ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 27 aprile 2022

«Open-end», Marlene Dumas tra corpi ed emozioni

«È un’esposizione sulle storie d’amore e i loro diversi tipi di coppie, giovani e vecchie, sull’erotismo, il tradimento, l’alienazione, l’inizio e la fine, il lutto, le tensioni tra lo spirito e il corpo, le parole (titoli e testi) e le immagini». Così Marlene Dumas (Città del Capo, Sudafrica, 1953) racconta la mostra «Open-end», la sua prima «grande personale» in Italia, allestita fino all’8 gennaio negli spazi di Palazzo Grassi, una delle sedi della collezione Pinault a Venezia
È la stessa artista a spiegare il titolo della rassegna, maturata durante i mesi di confinamento e di chiusura dei luoghi di cultura a causa della pandemia per il Covid-19, in un clima di malinconia per i tanti lutti che hanno caratterizzato gli ultimi due anni.
«Ci ho riflettuto molto – racconta Marlene Dumas - prima di trovare un titolo che riflettesse il mio stato d’animo e la mia percezione del mondo. Ho pensato al fatto di essere bloccata a casa, ai musei chiusi al pubblico e a Palazzo Grassi che dovrà essere aperto per accogliere questa mostra. Poi ho pensato alla parola ‘open’, aperto, e al modo in cui i miei dipinti siano aperti a diverse interpretazioni. Nelle mie opere lo spettatore vede immediatamente ciò che ho dipinto, ma non ne conosce ancora il significato. Dove comincia l’opera non è dove termina. La parola ‘end’, fine, che nel contesto della pandemia ha le proprie implicazioni, è al contempo fluida e melanconica».
Un centinaio di opere, selezionate da Caroline Bourgeois, raccontano la produzione più recente dell’artista, attraverso una selezione di dipinti e disegni che vanno dal 1984 a oggi, compreso un nucleo di opere realizzate proprio per la rassegna veneziana. Lavori di piccole dimensioni, come l’inchiostro e pastello su carta «About Heaven» (2001), «Mamma Roma» (2012) o «The Gate» (2001), si alternano ad altri di grande formato, da «Figure in a landscape» (2010) a «The making» of (2020), in un allestimento dal ritmo poetico, ora serrato, ora arioso, che occupa tutti e due i piani espositivi di Palazzo Grassi.
La maggior parte della produzione di Marlene Dumas è costituita da ritratti e figure umane che rappresentano l’intero spettro delle nostre emozioni: la sofferenza, l’estasi, la paura, la disperazione, la tenerezza, l’amore. Volti, corpi, e in alcuni casi organi sessuali, vengono resi sulla tela con una pennellata veloce, fluida ed essenziale, che negli ultimi anni si è fatta più pastosa, visibilmente materica, e con colori non naturalistici, tipici dello stile neoespressionista, che virano verso i toni del blu, del grigio, del rosso scuro e del giallo. Marlene Dumas spiega questa sua scelta figurativa così, con parole poetiche e simboliche: «La pittura è la traccia del tocco umano, è la pelle di una superficie. Un dipinto non è una cartolina».
Non mancano lungo il percorso espositivo - insieme potente ed enigmatico, intimo e provocatorio - autoritratti e opere che ritraggono personalità di spicco della nostra storia più recente, rivisitati in una chiave intima e inedita, da Pier Paolo Pasolini ad Anna Magnani, da Oscar Wilde a Marilyn Monroe, da Charles Baudelaire a «Dora Maar che ha visto piangere Picasso».
Un aspetto cruciale del lavoro di Marlene Dumas è l’uso di immagini provenienti da giornali, cartoline postali, libri, riviste di moda o film, ricombinate in una narrazione pittorica che mette insieme istanze socio-politiche, fatti di cronaca e storia dell’arte. A tal proposito, con una vena ironica, la stessa pittrice afferma: «sono un’artista che usa immagini di seconda mano ed esperienze di prim’ordine».
L’amore e la morte, le questioni di genere e razziali, la situazione di quelli che l’artista chiama i «dannati di questa terra», ovvero tutti coloro che sono stati privati dei propri diritti, l’innocenza e la colpa sono alcuni temi al centro del corpus di opere esposte, realizzate con un fare artistico molto corporeo, quasi erotico. «Dipingere per me è un’attività molto fisica – spiega, a tal proposito, Marlene Dumas – c’è qualcosa di primitivo. Uso il mio corpo e il corpo crea il dipinto, è il gesto che decide. Io penso molto, ma questo non necessariamente porta a un buon dipinto. Conta la tensione del momento nel quale sono fisicamente con i materiali, e anche questi devono trovare la loro strada nel dipinto. Vorrei che il quadro fosse come una danza». Una danza o una poesia, «una scrittura – conclude l’artista - che respira e fa dei balzi, e che lascia spazi aperti per consentirci di leggere tra le righe».

La proposta espositiva della collezione Pinault, per i giorni della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte, si completa con la mostra «Bruce Nauman: Contrapposto Studies», a cura di Carlos Basualdo e Caroline Bourgeois, allestita fino al 27 novembre a Punta Dogana
Attraverso un percorso espositivo inedito, che affianca lavori storici a opere più recenti, alcune delle quali inedite o presentate per la prima volta in Europa, la rassegna si concentra su tre direttrici fondamentali della produzione dell’autore americano, vincitore del Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale alla Biennale di Venezia nel 2009: lo studio d’artista come spazio di lavoro e creazione, l’uso performativo del corpo e la sperimentazione sonora. . 
Centrale nel percorso espositivo è una serie di installazioni video realizzate negli ultimi anni a partire dal celebre «Walk with Contrapposto» del 1968, che ritraeva Bruce Nauman avanzare lungo un corridoio di legno allestito nel suo studio mentre si sforzava di mantenere la posa chiastica: «Contrapposto Studies, I through VII» (2015/16), «Walks In Walks Out» (2015), «Contrapposto Split» (2017) e «Walking a Line» (2019). Si trovano, poi, esposti lavori storici come, per esempio, «Bouncing in the Corner No.1» (1968) , «Lip Sync» (1969) e «For Children »(2010).  Il risultato è un’esperienza immersiva per il visitatore, invitato a mettersi in gioco con il proprio corpo, i sensi e l’intelletto.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1-5] Vista dell'allestimento della mostra «Open-end» di Marlene Dumas. Courtesy: Palazzo Grassi, Venezia; [fig. 6]  Vista dell'allestimento della mostra «Bruce Nauman: Contrapposto Studies». Courtesy: Punta Dogana, Venezia;

Informazioni utili 
Marlene Dumas. open-end- Palazzo Grassi, San Samuele 3231 – Venezia. Orari: tutti i giorni, tranne il martedì, dalle ore 10 alle ore 19. Biglietti: intero € 15,00, ridotto € 12,00. Maggiori informazioni sugli orari, le tariffe, le attività e le modalità di accesso sul sito: www.palazzograssi.it. Fino all’8 gennaio 2023

martedì 26 aprile 2022

Da Donatello ad Alessandro Vittoria, centocinquanta anni di scultura a Venezia

Nel 1450 Venezia è all’apice della sua potenza, grazie al ruolo di cerniera tra l’Oriente e il nord Europa. In questo scenario il gotico viene gradualmente abbandonato per lasciare spazio a uno stile nuovo e, allo stesso tempo, eterno che parte dal ritorno all’antico per dare vita al Rinascimento. È in questo periodo che Donatello (Firenze, 1386 – Firenze, 13 dicembre 1466), fa tappa a Padova, dove soggiornerà per dieci anni, dal 1443 al 1453. Il suo arrivo sancisce il sopraggiungere di influenze esterne al panorama artistico veneto, ancora tardo gotico, e contribuisce alla formazione di una nuova generazione di artisti che si specializzano nella fusione del bronzo e nelle sculture in terracotta. Simbolo di questa nuova plasticità è il «San Lorenzo», un busto in terracotta del 1440, scelto per aprire il percorso espositivo della mostra «Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia», allestita negli spazi della Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, per la curatela di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini.
Originariamente nella lunetta del portale della Pieve di San Lorenzo a Firenze, il busto di «San Lorenzo» fu acquistato da Giovanni II, principe del Liechtenstein, nel 1889, e fino al 1938 esposto nella residenza estiva della famiglia a Vienna. Solo studi recenti di Francesco Caglioti, condotti tra il 2013 e il 2014 con l’ingresso del lavoro nella collezione di Peter Silverman e Kathleen Onorato, hanno dimostrato l’autografia donatelliana.
L’iconografia della scultura è quella tradizionale, presente in tanti busti reliquari del Medioevo: il santo levita, in eleganti fattezze giovanili, è raffigurato con la dalmatica diaconale, mentre nella mano destra tiene la palma del martirio e in quella sinistra il libro sacro (il Vangelo). Innovativa, invece, è la resa plastica di questa scultura che la mostra veneziana mette a confronto con una «Madonna in trono», sempre in terracotta, di Andrea Briosco detto il Riccio (fine XV secolo) e due raffigurazioni di San Sebastiano, un rilievo della bottega dei Lombardo, proveniente dalla sacrestia della chiesa veneziana dei Santi Apostoli, e un dipinto di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 – Mantova, 1506), tra i simboli della collezione di Giorgio Franchetti esposta alla Ca’ d’Oro.
L’esposizione, la prima dedicata alla scultura del Rinascimento e della Tarda Maniera a Venezia, dedica, quindi, una sala al «Ritorno all’antico». La caduta di Costantinopoli prima (1453) e il ritrovamento del gruppo scultoreo del Laocoonte poi (1506) stimolano, infatti, negli scultori del tempo un nuovo modo di intendere l’estetica, fortemente ispirato alla classicità e allo stesso tempo aperto a nuove idee e tecniche. A rappresentare pienamente questo nuovo corso della storia della scultura è stato scelto il rilievo in marmo «La morte di Lucrezia», recentemente attribuito ad Antonio Lombardo e mai esposto fino a ora in un contesto museale. Realizzato probabilmente nel periodo ferrarese dell’artista, in cui fu eseguito anche il Camerino di alabastro per il duca Alfonso I, quest’opera è esemplificativa della volontà dell’epoca di rappresentare esempi di moralità e virtù patrizie. In questa seconda sala, è possibile ammirare anche l’«Apollo» di Antonio Minello e la «Cleopatra» di Giammaria Mosca, due opere esposte fino insieme, fino al 1624, nella collezione del marchese Costanzo Patrizi a Roma e per la prima volta riunite dopo quasi quattro secoli.
I rimandi alla classicità si notano anche nella rappresentazione dei soggetti sacri: le statue del «Cristo risorto» di Giovanni Battista Bregno rimandano rispettivamente al Doriforo di Policleto e all’Apollo del Belvedere, mentre il Cristo di Lorenzo Bregno, proveniente dalla Scuola Grande di San Rocco a Venezia, si ispira ai ritratti romani sia nel formato che nella veste del soggetto, simile a una toga. Ha abiti di ispirazione classica anche la «Figura allegorica» di Antonio Rizzo, appartenente alle collezioni della Ca’ d’Oro, che indossa un peplo con un diploide stretto in vito da una cinta come una Nike ellenistica.
L’ultima sala del piano nobile del museo veneziano, sede dell’esposizione, è dedicata, invece, alla «Renovatio Urbis», quel momento in cui Venezia diventa rifugio per artisti e architetti in fuga dalla Roma pontificia, dopo il sacco del 1527. Tra di loro c’è Jacopo Sansovino, architetto e scultore che giunge nella città lagunare sostenuto dal grande collezionista e mecenate Domenico Grimani, che lo presenta al doge Andrea Gritti assicurandogli una rapida ascesa nel contesto culturale della Serenissima. Il suo stile influenza il gusto della città unendo scultura e architettura, come si può notare nella sua «Madonna del Bacio» o nei rilievi bronzei con episodi della vita di San Marco, realizzati per il pulpito della Basilica ed eccezionalmente esposti a Ca d’Oro grazie all’ottimo lavoro della Fondazione Venetian Heritage, organizzatrice dell’evento espositivo con la Direzione regionale musei veneto
Conclude il percorso una serie di busti patrizi, esempi di un modo nuovo di intendere il ritratto commemorativo in una società, quella veneziana, profondamente oligarchica e repubblicana, in cui l’esaltazione del singolo non era ben vista. Si deve ad Alessandro Vittoria lo sdoganamento definitivo di questa raffigurazione, espressamente ispirata agli ideali romani del patriziato in Età repubblicana. Fondendo fantasia antiquaria e verosimiglianza – come si evince dai busti in mostra che ritraggono Marino Grimani, Tommaso Rangone e Francesco Duodo – queste opere esaltano e rendono immortale una classe dirigente dedita a proiettare l’immagine di un governo saggio e sereno, animato dalla linfa vitale della Serenissima.
La rassegna, visitabile fino al 30 ottobre, ha il pregio di restituire ai visitatori, grazie all’esposizione di opere note e di lavori mai visti in contesti museali, la varietà interpretativa della tecnica scultorea, sottolineandone la ricchezza di materiali, le potenzialità espressive e le declinazioni estetiche all’interno di un contesto storico-artistico che troppo spesso predilige, nel discorso su Venezia, la pittura.
Altro punto di forza della mostra è la scelta della cornice espositiva, la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, forte di una raccolta museale tra le più importanti in città per la qualità delle opere di diverse epoche e tipologie, da sempre uno dei capisaldi del collezionismo privato confluito in raccolte pubbliche e il luogo per eccellenza di concentrazione di capolavori scultorei provenienti da contesti monumentali dispersi, in larga parte concepiti per complessi ecclesiastici smembrati o non più̀ esistenti del territorio lagunare. Per questo motivo assume grande interesse anche la notizia che, al termine dell’esposizione, Venetian Heritage sottoporrà il palazzo a «un generale intervento di restyling e update espositivo».
La mostra «Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 – 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia» si prefigge, inoltre, di accompagnare il visitatore in un itinerario diffuso per calli e campielli veneziani: è stata, infatti, progettata un’apposita segnaletica che indica la presenza di capolavori scolpiti conservati all’interno delle chiese e dei musei cittadini per creare un dialogo integrato e diffuso tra diversi punti di interesse. Un’occasione, questa, per visitare Venezia con occhi nuovi. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze, 1386 ca. - Firenze, 1466) San Lorenzo, 1440 ca. Terracotta. Londra, Collezione privata. Curtesy Colnaghi Gallery; [fig.2] Tullio Lombardo (Venezia 1455 - 1532), Doppio ritratto. Marmo di Carrara, 47 x 50 cm. Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro - Direzione regionale Musei Veneto, su concessione del Ministero della Cultura; [fig. 3] Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600, a cura di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, dal 22 aprile al 30 ottobre 2022. Installation view. Foto: Matteo De Fina; [fig. 4] Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 - 1600, a cura di Toto Bergamo Rossi e Claudia Cremonini. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'Oro, dal 22 aprile al 30 ottobre 2022. Installation view. Foto: Matteo De Fina; [fig. 5] Antonio Lombardo (Venezia, 1458 ca. - Ferrara, 1516) Morte di Lucrezia, 1508 - 1516 ca. Marmo di Carrara. Londra, Collezione privata. Courtesy of Colnaghi Gallery; [fig. 6] Gianmaria Mosca (Padova 1495/99 – Cracovia 1573), Porzia. Marmo, 45,5 x 33 cm. Venezia, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro - Direzione regionale Musei Veneto, su concessione del Ministero della Cultura

Informazioni utili 
«Da Donatello a Alessandro Vittoria, 1450 – 1600. 150 anni di scultura nella Repubblica di Venezia». Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, Calle Ca' d'Oro, 3934 – Venezia. Orari: martedì-domenica, ore 10-19; la biglietteria chiude alle ore 18:30.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 9,00, ridotto per cittadini UE dai 18 ai 25 anni € 2,00. Sito internet: https://www.cadoro.org/. Fino al 30 ottobre 2022

lunedì 25 aprile 2022

Da Tony Cragg a Vera Molnár: vetro e arte contemporanea sull’isola di Murano

«Solve et coagula», «Sciogli e condensa», dicevano i romani. È racchiusa in queste parole la magia del vetro, materiale figlio di un processo alchemico che, nel passaggio di dissoluzione e ricomposizione di un pugno di sabbia e silicio, arso dal fuoco e «coreografato» dal soffio e dalla sapienza manuale dell’uomo, genera forme trasparenti e opache, fragili e resistenti, colorate o bianche, meraviglie che fanno – giustamente - definire l’alto artigianato un’arte.
Questa tecnica dalle origini antiche ha in Italia un importante centro creativo, l’isola di Murano, dove nel 1291 furono trasferite, in seguito a un editto del doge Tiepolo, tutte le fornaci attive a Venezia al fine di preservare la città, allora centro di scambi commerciali con l’Oriente lungo le vie della seta e delle spezie, dai frequenti incendi che, purtroppo, si sviluppavano frequentemente all’interno delle botteghe compromettendo la vita degli edifici vicini, costruiti in legno.
La concentrazione delle vetrerie a Murano permise alla Serenissima anche di controllarne l’attività, impedendo che i segreti di quest’arte venissero esportati all'estero e facendo così fiorire il commercio del vetro veneziano, le cui fornaci erano sempre foriere di nuove invenzioni. Sulla piccola isola lagunare vide, infatti, la luce, verso la metà del XV secolo, il cristallino o «cristallo veneziano», un vetro estremamente chiaro e trasparente, nato dalla fantasia e dalla perizia creativa di Angelo Barovier (1405-1460 circa), che garantì a Venezia il predominio artistico per oltre due secoli, fino alla comparsa sul mercato del vetro boemo.
Murano fu anche la patria del vetro placcato, che permetteva di far risaltare colori e decorazioni, del vetro ghiaccio, una lavorazione estremamente complessa per ottenere un effetto rugoso con piccole crepe, del lattimo, bianco come la porcellana, del vetro smaltato, del vetro calcedonio, della filigrana, dell’avventurina, del millefiori o vetro colorato, delle conterie e delle murrine.
Di secolo in secolo, l’isola lagunare ha saputo, dunque, mantenere viva la sua peculiare tradizione traghettandola nel Novecento, epoca che ha visto l’affermarsi di tanti importanti marchi come, per esempio, Barovier & Toso, Seguso, Venini, Avem e Vistosi, interessati a far incontrare l’artigianalità dei maestri «fiolari» con il mondo del design e dell’arte.

Questa storia, millenaria, rivive tra le sale del Museo del vetro, «uno dei simboli della venezianità nel mondo», fondato nel 1861 all’interno del gotico Palazzo Giustinian, che attualmente ospita uno dei progetti di «Muve contemporaneo», l’offerta dei Musei civici veneziani per la cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte: «Silicon Dioxide».
Curata da Berengo Studio, la mostra, che trae il suo titolo dal materiale all’origine del vetro (il diossido di silicio, appunto), ripercorre - attraverso una quarantina di opere, alcune totalmente inedite, e un gruppo disegni, acqueforti e acquerelli - le tappe più significative della carriera di Tony Cragg (Liverpool, 9 aprile 1949), esponente di rilievo della scultura britannica (premio Tuner nel 1988) che ha incentrato la sua ricerca sull’uomo e sull’ambiente, naturale e artefatto.
Accanto agli storici assemblage, lavori di grandi dimensioni che accostano e sovrappongono gruppi di oggetti, sono esposte opere più recenti, alcune appena ultimate, che manifestano la curiosità dell’artista inglese per i vari effetti del vetro colorato, per la sua duttilità alchemica e la sua energia dinamica. Si tratta di lavori realizzati a partire dal 2009, quando Tony Cragg inizia la sua collaborazione con la fornace muranese di Berengo Studio. In mostra sono, dunque, affiancate installazioni su larga scala come «Bromide Figures» (1992), «Blood Sugar» (1992), «Cistern» (1999), collage di bottiglie in vetro satinato, e «Larder» (1999), colorato insieme di vasetti di conserve, a opere più intime come «Curl» (2000), «Spindles» (2021), «Bi» (2021) e la giocosa scultura «Climate» (2021). Tutti questi lavori, visibili fino al 21 agosto, riflettono sulla complessità della physis (il principio e la causa di tutte le cose), «conciliando la totale comprensione della natura organica della realtà con l’accettazione delle sue caratteristiche meno intelligibili», e, nello stesso, raccontano quello che Tony Cragg definisce il «potenziale infinito» del diossido di silicio.

In questi giorni, la piccola isola lagunare è anche sede di uno degli eventi collaterali della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte: «Icône 2020». La mostra - ideata, prodotta e curata da Francesca Franco per l’Atelier muranese - esplora, attraverso schizzi preparatori, dipinti e materiale di documentazione, il processo di creazione della prima scultura in vetro realizzata da Vera Molnár, artista ungherese di nascita e parigina d’adozione, classe 1924, pioniera della computer art con oltre ottant’anni di carriera alle spalle, le cui opere fanno parte delle collezioni del Museum of Modern Art di New York, del Victoriam and Albert Museum di Londra e del Centre Pompidou di Parigi. Partendo dalla prima opera d’arte digitale dell’artista, creata su tela nel 1975 («Computer-Icône/2») a partire da una serie di disegni realizzati al computer nel 1974 («Trapèzes»), la scultura «Icône 2020» esplora il concetto di dicotomia, dando forma all’equilibrio, difficile, tra ordine e disordine.

L’isola lagunare ospita, in concomitanza con la cinquantanovesima Biennale d’arte, anche la collettiva «Le forme del bere», che Elisa Testori ha curato per le sale di «InGalleria», l’art gallery di Punta Conterie, l’hub dall’anima poliedrica dove il design, le arti visive e l’enogastronomia contemporanea si compenetrano stimolando percorsi culturali e del gusto inusuali. La mostra, aperta fino al 31 dicembre, rende omaggio al bicchiere in vetro, oggetto della quotidianità e manufatto che, lungo la sua evoluzione, ha stimolato la creatività dei designer. Accanto a pezzi storici, vere e proprie icone ancora oggi sulle tavole di tutto il mondo, come l’elegante «Ovio» (1983) di Achille Castiglioni, i leggeri calici «Plume» (2000) di Aldo Cibic, i colorati «Goti de fornasa» (1992) di Barovier e Toso, lo scenografico «Esimio» (1993) di Alessandro Mendini, la «Corolla d’autore» (2000) di Vico Magistretti e le «Ballerine fortunate» (1986) di Matteo Thun, ma non solo, sono esposti i lavori di nove designer contemporanei
Lorenzo Damiani
, Giulio Iacchetti, Astrid Luglio, lo Studio Martinelli Venezia, mischer'traxler studio, Luca Nichetto, Philippe Nigro, Ionna Vautrin e Zaven sono stati invitati – racconta la curatrice - a progettare ognuno «una diversa tipologia di bicchiere: il set acqua-vino-digestivo, un bicchiere dedicato all’acqua, un bicchiere per il vino «della casa», la coppia acqua e vino, il boccale da birra, la coppetta da cocktail, la coppa da champagne, il bicchiere da whisky e il tipetto, ovvero il calice veneziano». Ecco così lavori che stupiscono per i loro nuovi codici formali e per le variazioni su forme archetipiche, come il «Filo di Zaven», con una sottile canna di vetro colorato che si fa stelo, i sette bevanti di «Amurius», omaggio alle sette isole muranesi (San Pietro, San Stefano, San Donato, dei Conventi, Sacca San Mattia, Navagero, Sacca Serenella), la coppa in vetro a bolle «Champagne!», «Tulipe», con la sua forma basculante ispirata alle forme femminili, o «Access», un set di sei pezzi che propone una riflessione sulla disponibilità e sull’accesso all’acqua potabile in alcune aree geografiche del mondo.
I processi produttivi sono diversi e i linguaggi artistici aprono nuove frontiere di ricerca, mettendo sotto i riflettori la contemporaneità di un materiale dalla storia antica: il vetro. Ma non un vetro qualunque. Il vetro di Murano, sinonimo di bellezza e pregio nel mondo .

Vedi anche 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tony Cragg, Larder, 1999. Preserve jars, 100 x 90 x 65 cm. Photo credit Lasse Koivunen; [fig. 2] Tony Cragg, Blood Sugar, 1992. Glass. Photo credit Michael Richter;  [fig. 3 e fig. 4] Tony Cragg: Silicon Dioxide. Exhibition view. Photo credit Michael Richter; [fig. 5] Vera Molnár, Icône 2020 (detail), 2021, Murano glass and 24K gold leaf, 60 x 60 cm, photo by Cristiano Corte ©, Courtesy New Murano Gallery; [figg. 6, 7 e 8] Mostra Forme del bere. Photo: Roberta Orio

Notizie utili 
Tony Cragg. Museo del vetro - Fondamenta Giustinian 8, 30121 Murano. Orari: Aperto tutti i giorni, dalle 10:00 alle 17:00; ultimo ingresso ore 16:00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto (Ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25anni; visitatori over 65 anni; personale del Ministero della Cultura (MiC); titolari di Carta Rolling Venice; titolari di ISIC – International Student Identity Card) € 7,50; gratuito per esidenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; persone con disabilità e accompagnatore e altre categorie aventi diritto per legge. Informazioni: https://museovetro.visitmuve.it. Fino al 21 agosto 2022

Vera Molnár: Icône 2020. New Murano Gallery, spazi Atelier Muranese, Calle Alvise Vivarini, 6 - Murano (Venezia). Orari: tutti i giorni, dalle 10:00 alle 16:00. Ingresso libero. Informazioni: info@ateliermuranese.com. Sito dell'evento: www.ateliermuranese.com/icone2020. Fino al 27 novembre 2022 

Forme del bere. Punta Conterie, Fondamenta Giustinian, 1 - Murano (Venezia).Orari: da martedì a domenica, dalle 10:00 alle 18:00. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 041.5275174. Sito web:https://puntaconterie.com. Fino al 31 dicembre 2022