Fratelli Toso, una storia di alto artigianato e arte
Il Museo del vetro ospita, fino al 24 novembre, la mostra «Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie», a cura di Chiara Squarcina e Caterina Toso, con duecentocinquanta pezzi tra opere in vetro, murrine, schizzi originali, bozzetti, fotografie e documenti d’archivio.
Profondamente radicata nel territorio e già attiva da generazioni nel settore, poco dopo la metà del XIX secolo, la famiglia Toso inizia l’attività della sua fornace producendo repliche e imitazioni degli stili dei secoli precedenti, rievocando i fasti del Rinascimento e del Barocco, sulla scia del diffuso spirito revivalistico dell’arte di fine Ottocento. In questa fase iniziale vengono recuperate antiche tecniche come il murrino, il millefiori e la filigrana.
Il Museo del vetro ospita, fino al 24 novembre, la mostra «Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie», a cura di Chiara Squarcina e Caterina Toso, con duecentocinquanta pezzi tra opere in vetro, murrine, schizzi originali, bozzetti, fotografie e documenti d’archivio.
Profondamente radicata nel territorio e già attiva da generazioni nel settore, poco dopo la metà del XIX secolo, la famiglia Toso inizia l’attività della sua fornace producendo repliche e imitazioni degli stili dei secoli precedenti, rievocando i fasti del Rinascimento e del Barocco, sulla scia del diffuso spirito revivalistico dell’arte di fine Ottocento. In questa fase iniziale vengono recuperate antiche tecniche come il murrino, il millefiori e la filigrana.
La prima partecipazione pubblica di rilievo data al 1864, anno della prima Esposizione vetraria muranese, dove la fornace presenta un monumentale lampadario - oggi parte delle collezioni dei musei civici veneziani -, premiato con l’unica medaglia d’oro assegnata e un diploma d’onore.
Fino alla Prima guerra mondiale, la produzione si concentra su modelli in Stile antico e Stile moderno, e sulle celebri serie «Fenicio» e «Floreali», senza dimenticare le collaborazioni con artisti internazionali come Hans Stoltenberg Lerche, appassionato di arti applicate e profondamente influenzato dallo spirito dell’Art Nouveau nordico.
Con l’inizio degli anni Venti si apre una fase segnata da un’estetica più sobria e sofisticata: vetri soffiati leggeri, essenziali nelle forme e raffinati nelle decorazioni, in sintonia con il gusto Déco allora emergente. Tra questi spiccano alcuni modelli disegnati da Guido Cadorin, e nel decennio successivo, da Vittorio Zecchin, autore, tra l’altro, di calici sottilissimi, caratterizzati da steli allungati e minuscole foglie stilizzate applicate ai lati, presentati alla XXI Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia nel 1938.
La fornace è presente anche alla Biennale successiva, quella del 1940, con una serie di oggetti soffiati dalle forme naturalistiche che colpiscono per la loro leggerezza estrema e il forte impatto poetico, testimoniando la continua ricerca di equilibrio tra natura, forma e trasparenza.
Nel frattempo, intorno al 1930, entrano a far parte della produzione anche vetri meno eterei e più materici, come i pulegosi, gli incamiciati e le paste vitree. Parallelamente, si intensifica la sperimentazione sul tema della murrina, che evolve oltre la consueta ricerca di ordine e simmetria. Tra i risultati più originali si distinguono i «Mutras» e i «Marmorini», nuove tipologie che rompono volutamente con la composizione tradizionale per esplorare effetti scultorei, accostamenti irregolari e stratificazioni cromatiche di forte impatto visivo.
Negli anni del Dopoguerra, con la direzione artistica di Ermanno Toso, la vetreria rinnova la tecnica della murrina in chiave moderna, creando opere di grande forza espressiva. Accanto a lui, Pollio Perelda, con il suo linguaggio pittorico, e Rosanna Toso, unica donna in ruoli dirigenziali nella storia della ditta, firmano pezzi eleganti e contemporanei, capaci di interpretare anche il minimalismo degli anni Settanta.
In seguito, con Giusto e Renato Toso, la produzione si apre al design per l’arredo e l’illuminazione, con largo impiego di vetro cristallo e monocromatico, trasformando gli oggetti in vere e proprie sculture di luce.
Dalla nascita del Padigione Venezia alla Seconda guerra mondiale, il vetro di Murano alla Biennale
La fornace, con alcune sue opere tra le quali la serie «A spire d’argento» degli anni Trenta, è presente anche nel percorso della mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia», seconda tappa di un progetto curato da Marino Barovier per «Le stanze del vetro», spazio espositivo nato dalla collaborazione tra la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung, nello scenografico contesto dell’Isola di San Giorgio Maggiore, un’oasi di mare, natura e silenzio che si affaccia sul bacino di San Marco.
Temporalmente, la rassegna si apre con l’inaugurazione, nell’ambito della diciottesima edizione della Biennale, quella del 1932, del Padiglione Venezia, uno specifico spazio dedicato alle arti decorative, voluto dall’Istituto veneto per il lavoro, e si chiude poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che causa un’interruzione dell’attività espositiva fino al 1948.
Sono questi anni di grande creatività e di sperimentazioni sulla materia e sui colori, sia attraverso la rivisitazione di antiche tecniche, sia tramite la messa a punto di nuove lavorazioni. Inizialmente vengono proposti soprattutto soffiati leggeri trasparenti insieme a vetri opachi dalle colorazioni intense, mentre dalla metà degli anni Trenta si va affermando il vetro pesante di grosso spessore, in molti casi impreziosito da bollicine, da nuances delicate o da applicazioni di foglia d’oro.
Grande protagonista del percorso espositivo, con una carrellata di circa centosessanta manufatti, è Carlo Scarpa, che nel 1931 lascia M.V.M. Cappellin per la Venini S.A., dove rimarrà fino al 1947. In questi anni, il giovane architetto dà il meglio di sé con i «Sommersi», i vetri a mezza filigrana, le Murrine romane o quelle opache, i sofisticati «Lattimi», i «Corrosi» dalla superficie scabra, i vetri a fasce, a spirale, a pennellate o a macchie, gli «Incamiciati Cinesi», i «Laccati».
Nello stesso periodo la Barovier Seguso Ferro, poi Seguso Vetri d’Arte, vede la presenza, alla direzione artistica, di Flavio Poli, designer premiato nel 1954 con il Compasso d’oro. Il pittore Dino Martens collabora con la Salviati & C., la Successori Andrea Rioda e Aureliano Toso. La Salviati & C. si avvalse anche della consulenza del pittore Mario De Luigi, che firma i suoi lavori, tra cui rari e pregevoli «Vetri musivi» realizzati con le tessere del mosaico, con lo pseudonimo di Guido Bin.
Sono, questi, anche gli anni di Ercole Barovier, che realizza, tra l’altro, i «Crepuscolo» in bruno-grigio, ottenuti introducendo filamenti metallici tra due o più strati di vetro, gli «Autunno Gemmato» o i «Laguna Gemmata», ma anche i più recenti «Oriente», dal vivace tessuto vitreo a canne e fasce policrome incrociate, impreziosito da foglia d’argento.
Ci sono in mostra anche le paste vitree rosso corallo e verde smeraldo di Napoleone Martinuzzi per Zecchin Martinuzzi, due bellissimi pannelli che all’epoca ornavano il Padiglione Venezia - «La mano di Atlante», su disegno di Tomaso Buzzi, e «Bagnante», su schizzo di Mario De Luigi con Carlo Scarpa – e, poi, opere di vetrerie come AVEM, Cirillo Maschio, Moretti Ulderico & C., S.A.I.A.R. Ferro Toso, V.A.M.S.A. e S.A.L.I.R., quest’ultima specializzata in «decorazioni a smalto e oro e incisioni su vetro», in prevalenza su disegno di Franz Pelzel.
Questa vivace stagione creativa, che vede le fornaci muranesi gareggiare tra di loro in bellezza e virtuosismo, viene silenziata dal rombo dei cannoni della Seconda guerra mondiale. Bisognerà attendere il 1948 perché i riflettori si riaccendano sulla Biennale di Venezia, che nella sua ventiquattresima edizione vede la presenza di Peggy Guggenheim e della sua leggendaria collezione d’arte. Ritorna protagonista, quell’anno, anche il vetro di Murano, con le sue suggestioni alchemiche, i suoi colori, le sue trasparenze e i suoi riflessi di luci.
Fino alla Prima guerra mondiale, la produzione si concentra su modelli in Stile antico e Stile moderno, e sulle celebri serie «Fenicio» e «Floreali», senza dimenticare le collaborazioni con artisti internazionali come Hans Stoltenberg Lerche, appassionato di arti applicate e profondamente influenzato dallo spirito dell’Art Nouveau nordico.
Con l’inizio degli anni Venti si apre una fase segnata da un’estetica più sobria e sofisticata: vetri soffiati leggeri, essenziali nelle forme e raffinati nelle decorazioni, in sintonia con il gusto Déco allora emergente. Tra questi spiccano alcuni modelli disegnati da Guido Cadorin, e nel decennio successivo, da Vittorio Zecchin, autore, tra l’altro, di calici sottilissimi, caratterizzati da steli allungati e minuscole foglie stilizzate applicate ai lati, presentati alla XXI Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia nel 1938.
La fornace è presente anche alla Biennale successiva, quella del 1940, con una serie di oggetti soffiati dalle forme naturalistiche che colpiscono per la loro leggerezza estrema e il forte impatto poetico, testimoniando la continua ricerca di equilibrio tra natura, forma e trasparenza.
Nel frattempo, intorno al 1930, entrano a far parte della produzione anche vetri meno eterei e più materici, come i pulegosi, gli incamiciati e le paste vitree. Parallelamente, si intensifica la sperimentazione sul tema della murrina, che evolve oltre la consueta ricerca di ordine e simmetria. Tra i risultati più originali si distinguono i «Mutras» e i «Marmorini», nuove tipologie che rompono volutamente con la composizione tradizionale per esplorare effetti scultorei, accostamenti irregolari e stratificazioni cromatiche di forte impatto visivo.
Negli anni del Dopoguerra, con la direzione artistica di Ermanno Toso, la vetreria rinnova la tecnica della murrina in chiave moderna, creando opere di grande forza espressiva. Accanto a lui, Pollio Perelda, con il suo linguaggio pittorico, e Rosanna Toso, unica donna in ruoli dirigenziali nella storia della ditta, firmano pezzi eleganti e contemporanei, capaci di interpretare anche il minimalismo degli anni Settanta.
In seguito, con Giusto e Renato Toso, la produzione si apre al design per l’arredo e l’illuminazione, con largo impiego di vetro cristallo e monocromatico, trasformando gli oggetti in vere e proprie sculture di luce.
Dalla nascita del Padigione Venezia alla Seconda guerra mondiale, il vetro di Murano alla Biennale
La fornace, con alcune sue opere tra le quali la serie «A spire d’argento» degli anni Trenta, è presente anche nel percorso della mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia», seconda tappa di un progetto curato da Marino Barovier per «Le stanze del vetro», spazio espositivo nato dalla collaborazione tra la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung, nello scenografico contesto dell’Isola di San Giorgio Maggiore, un’oasi di mare, natura e silenzio che si affaccia sul bacino di San Marco.
Temporalmente, la rassegna si apre con l’inaugurazione, nell’ambito della diciottesima edizione della Biennale, quella del 1932, del Padiglione Venezia, uno specifico spazio dedicato alle arti decorative, voluto dall’Istituto veneto per il lavoro, e si chiude poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che causa un’interruzione dell’attività espositiva fino al 1948.
Sono questi anni di grande creatività e di sperimentazioni sulla materia e sui colori, sia attraverso la rivisitazione di antiche tecniche, sia tramite la messa a punto di nuove lavorazioni. Inizialmente vengono proposti soprattutto soffiati leggeri trasparenti insieme a vetri opachi dalle colorazioni intense, mentre dalla metà degli anni Trenta si va affermando il vetro pesante di grosso spessore, in molti casi impreziosito da bollicine, da nuances delicate o da applicazioni di foglia d’oro.
Grande protagonista del percorso espositivo, con una carrellata di circa centosessanta manufatti, è Carlo Scarpa, che nel 1931 lascia M.V.M. Cappellin per la Venini S.A., dove rimarrà fino al 1947. In questi anni, il giovane architetto dà il meglio di sé con i «Sommersi», i vetri a mezza filigrana, le Murrine romane o quelle opache, i sofisticati «Lattimi», i «Corrosi» dalla superficie scabra, i vetri a fasce, a spirale, a pennellate o a macchie, gli «Incamiciati Cinesi», i «Laccati».
Nello stesso periodo la Barovier Seguso Ferro, poi Seguso Vetri d’Arte, vede la presenza, alla direzione artistica, di Flavio Poli, designer premiato nel 1954 con il Compasso d’oro. Il pittore Dino Martens collabora con la Salviati & C., la Successori Andrea Rioda e Aureliano Toso. La Salviati & C. si avvalse anche della consulenza del pittore Mario De Luigi, che firma i suoi lavori, tra cui rari e pregevoli «Vetri musivi» realizzati con le tessere del mosaico, con lo pseudonimo di Guido Bin.
Sono, questi, anche gli anni di Ercole Barovier, che realizza, tra l’altro, i «Crepuscolo» in bruno-grigio, ottenuti introducendo filamenti metallici tra due o più strati di vetro, gli «Autunno Gemmato» o i «Laguna Gemmata», ma anche i più recenti «Oriente», dal vivace tessuto vitreo a canne e fasce policrome incrociate, impreziosito da foglia d’argento.
Ci sono in mostra anche le paste vitree rosso corallo e verde smeraldo di Napoleone Martinuzzi per Zecchin Martinuzzi, due bellissimi pannelli che all’epoca ornavano il Padiglione Venezia - «La mano di Atlante», su disegno di Tomaso Buzzi, e «Bagnante», su schizzo di Mario De Luigi con Carlo Scarpa – e, poi, opere di vetrerie come AVEM, Cirillo Maschio, Moretti Ulderico & C., S.A.I.A.R. Ferro Toso, V.A.M.S.A. e S.A.L.I.R., quest’ultima specializzata in «decorazioni a smalto e oro e incisioni su vetro», in prevalenza su disegno di Franz Pelzel.
Questa vivace stagione creativa, che vede le fornaci muranesi gareggiare tra di loro in bellezza e virtuosismo, viene silenziata dal rombo dei cannoni della Seconda guerra mondiale. Bisognerà attendere il 1948 perché i riflettori si riaccendano sulla Biennale di Venezia, che nella sua ventiquattresima edizione vede la presenza di Peggy Guggenheim e della sua leggendaria collezione d’arte. Ritorna protagonista, quell’anno, anche il vetro di Murano, con le sue suggestioni alchemiche, i suoi colori, le sue trasparenze e i suoi riflessi di luci.
Didascalie delle immagini
1., 2. e 3. Vista dell'allestimento della mostra «Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie» al Museo del vetro di Murano. © Sergio Camplone; 4., 5., 6. e 7. «1932-1942 Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia», installation view, ph. Enrico Fiorese
Informazioni utili
«Fratelli Toso. Storie di fabbriche. Storie di famiglie». Museo del Vetro, Fondamenta Giustinian 8 - 30121 Murano. Aperto tutti i giorni, dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00). Speciali aperture serali: fino al 30 settembre 2025, ogni venerdì e sabato apertura fino alle 20.00 (ultimo ingresso ore 19.00). Ingresso: intero € 10, ridotto € 7,50. Sito web: https://museovetro.visitmuve.it/. Fino al 24 novembre 2025
«Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia». Le stanze del vetro - Fondazione Giorgio Cini - Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia. Orari: 10.00-1900; chiuso il mercoledì. Ingresso libero. Sito web: https://www.lestanzedelvetro.org. Fino al 23 novembre 2025
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