ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 5 dicembre 2024

«Smach 2025», aperto il bando di concorso internazionale per la Biennale della Val Badia

È uno strumento che racconta il legame profondo tra l’uomo e la natura nelle valli del Trentino Alto Adige, soprattutto in quei contesti più rurali o caratterizzati da attività artigianali. Ed è anche una tradizione millenaria tipica delle Dolomiti e di altri luoghi contadini, da tramandare di generazione in generazione, che ben rappresenta la fatica del lavoro e il legame, non sempre semplice, con la terra. Alla «cu», la pietra che si usa per affilare la falce – detta in italiano «cote», in inglese «whetstones», in tedesco «schleifstein» –, il cui nome ladino deriva da cos-cotis, a sua volta derivato dalla radice «co» nel senso di essere acuto e tagliente, è dedicata la settima edizione di «Smach. Constellation of art, culture e history in the Dolomites», la biennale internazionale di arte pubblica, ideata nel 2012 da Michael Moling e coadiuvata da Gustav Willeit, che ha per scenario un panorama di incredibile bellezza, la Val Badia, dal 2009 patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco.

In attesa della manifestazione, in programma dal 12 luglio al 4 settembre 2025, si scaldano i motori con il bando di concorso internazionale che selezionerà le dieci opere che animeranno la mostra open-air.

Aperta fino al 2 marzo 2025, la call è rivolta a creativi e creative di ogni ambito e di ogni provenienza, invitati a raccontare la cote, strumento usato per affilare falci e coltelli, da sempre simbolo di ingegno contadino, pazienza e resistenza.

«Attraverso la «cu» – raccontano gli organizzatori - si fa riferimento a quei processi materiali, ma anche mentali, di evoluzione tecnica e di immaginazione, di saper fare, di strumenti diffusi in tutto il mondo, di universalità delle forme e dei bisogni primari. La «cu», quindi, veicola molteplici tematiche e stimola numerose riflessioni: l’evoluzione umana e quella tecnica; la trasmissione, o la perdita, dell’eredità culturale; il presente, il passato e il futuro».

I partecipanti sono invitati a proporre liberamente il loro contributo, senza limiti di tecnica e contenuto, ma anche a mantenere sempre l’attenzione al contesto paesaggistico nel quale intervengono. Requisito indispensabile sarà, pertanto, quello di realizzare un progetto artistico garantisca il rispetto e la cura dell’ambiente. Le opere proposte dovranno dialogare, inoltre, con il patrimonio culturale, storico e architettonico dei territori dolomitici, in uno scambio costruttivo e proficuo di valori locali, nazionali e internazionali.

Potranno partecipare al bando persone singole, collettivi, gruppi informali di ogni provenienza, età e background. Non verrà, dunque, richiesto il curriculum in fase di presentazione del proprio progetto, proprio perché l’intento è quello di ricevere idee originali e pertinenti con il tema richiesto, ma anche con la visione e gli obiettivi della rassegna.

A tutti i dieci progetti selezionati sarà assegnato un premio in denaro di 2.000 € (il compenso include i costi di ideazione, produzione, trasporti, montaggio e smontaggio); e gli artisti (massimo due per progetto) parteciperanno a una residenza di 5 giorni e 4 notti ( tra il 1° e l’8 giugno 2025) per la realizzazione e l’allestimento delle opere in loco.
In più, alcuni lavori avranno la possibilità di entrare a far parte della collezione permanente Smach Val dl’Ert, che, ad oggi, espone - ad accesso libero e per tutto l’anno - ventisette opere acquisite nelle edizioni precedenti.
Il parco, di ettari, è situato in una valle incontaminata nella località di San Martino in Badia, in provincia di Bolzano. Il suo accesso è a 150 m dal Museum Ladin e crea con esso un interessante polo di attrazione turistico-culturale per tutta la Val Badia.

Le opere comporranno un originale allestimento nella natura e in un contesto alpino di alta quota, percorribile in brevi trekking giornalieri o in escursioni di più giorni, con pernottamento in rifugio. I percorsi, della durata di quattro giorni e tre notti, partiranno il 15 luglio, il 26 agosto e il 2 settembre 2025 e saranno realizzati in partnership con Holimites.

La quota di partecipazione al bando è di € 15 per progetto, con la possibilità di presentare un massimo di due progetti per proponente. L’opera deve essere inedita e ideata appositamente per uno dei siti coinvolti dal percorso espositivo.

Tra tutte le proposte pervenute entro il 2 marzo 2025, il direttivo di Smach effettuerà una prima scrematura selezionando cento progetti. Questi saranno vagliati dalla giuria tecnica, in base a parametri di sostenibilità ambientale e paesaggistica. Di questa giuria fanno parte: l’artigiano Isidoro Clara, l’architetto Loris Clara, l’ingegnere Walther Ferdigg, l’ispettore forestale Gottlieb Moling e Astrid Wiedenhofer, dell’Ufficio provinciale Parchi naturali. Alla fine della selezione rimarranno cinquanta lavori da sottoporre alla giuria artistica, composta da Zasha Colah, curatrice della «Berlin Biennale 2025» e co-direttrice artistica di Ar/Ge Kunst a Bolzano; Jasmine Deporta, artista, che lavora tra Losanna e Bolzano; Emanuele Masi, direttore artistico di Equilibri Festival a Roma e direttore di produzione dell’Haydn Foundation di Bolzano; Peter Senoner, artista, che vive e lavora a Bolzano; Stefan Sagmeister, designer, che vive e lavora a New York.

Le opere selezionate per «Smach 2025» verranno scelte entro il 28 marzo 2025 per dare così vita a un nuovo capitolo della valorizzazione culturale e d’avanguardia dell’area dolomitica, attraverso il dialogo tra arte e natura, nel segno, quest’anno, di un elemento della tradizione contadina, la «cu», la cote, scelta nell’ambito del progetto «Tocc», condotto da «Smach» e assegnatario del Pnrr. Si tratta di un percorso di ricerca demoetnoantropologico, grazie al quale si sta procedendo alla documentazione e digitalizzazione dell’archivio culturale materiale e immateriale di San Martino in Badia, promuovendolo anche attraverso alla webapp «Iradié».

Nel frattempo, «Smach» prosegue il suo lavoro per il «Cultural Hub», un progetto sulla conservazione storica dell’identità e della cultura del territorio, che nei prossimi mesi si articolerà nella «Child Dolomitica», per far scoprire la montagna alle scuole, e in un progetto satellite di Land Art, che vedrà protagonista Michelangelo Pistoletto, uno dei padri fondatori dell’Arte povera. Dopo le installazioni, tra le altre, al Louvre di Parigi, alle Nazioni Unite di New York, ai Fori Imperiali di Roma, al Castello di Rivoli di Torino e al sito archeologico di Karkemish in Turchia, il simbolo del «Terzo Paradiso», realizzato in questa occasione con il legno degli abeti abbattuti dalla tempesta Vaia, troverà collocazione, nel luglio 2025, a Colfosco in Val Badia (in provincia di Bolzano), coprendo un’area di 52x24 metri, nell'area Plans sul Passo Gardena, in un prato messo a disposizione dalla famiglia Mersa, adiacente a un incantevole bosco con ruscello, ai piedi del Gruppo del Sella. 

L’opera sarà raggiungibile tramite un percorso pedonale e ciclabile e sarà visibile dall'alto da chi attraversa il passo, dagli scalatori della Ferrata tridentina e dai frequentatori della seggiovia Plans Frara.

Il simbolo del «Terzo Paradiso», riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, è composto da tre cerchi consecutivi. I due cerchi esterni rappresentano tutte le diversità e le antinomie, tra cui natura e artificio. Quello centrale è la compenetrazione fra i cerchi opposti e rappresenta il grembo generativo della nuova umanità, responsabile anche nei confronti dell’ambiente che la circonda.

Didascalie delle immagini 
1. Smach 2025, immagine istituzionale, ph. Gustav Willeit; 2. Val Dl'Ert. Xinge Zhang & Jiaqi Qiu, Fragile as a Rainbow, 2021. Ph. Gustav Willeit; 3. Val dl’Ert. Alemeh & Shahed Mohammadzadeh, The Sun, 2019. Ph. Gustav Willeit; 4. Val dl’Ert Dimitri Khramov, Mama, 2021. Ph Gustav Willeit; 5. Val dl’Ert. Barbara Tavella, "Ralegrëite, sce te storjes pro. Palsa, sce te restes chilò. Cunfôrtete, sce te vas inant.", 2015. Ph. Gustav Willeit; 6. Val dl’Ert. Arturs Punte & Jekabs Volatovskis, Fragile Silence, 2021. Ph. Gustav Willeit; 7. Val dl’Ert Conor Mcnally, Ciasa, 2019. Ph. Gustav Willeit; 8. Cultural Hub Child Dolomitica 2024

Informazioni utili 

mercoledì 4 dicembre 2024

Museo Canova di Possagno, riaperta l'Ala ottocentesca della Gypsoteca

Immerso tra le dolci colline venete del Prosecco, il Museo Gypsotheca «Antonio Canova» di Possagno, paesino in provincia di Treviso, ai piedi del Monte Grappa, ritorna di nuovo fruibile al pubblico nella sua completezza. Dopo sette anni, e un significativo intervento di restauro, ha riaperto i battenti l’Ala ottocentesca, struttura realizzata su commissione del vescovo Giovanni Battista Sartori, con il progetto dell’architetto veneziano Francesco Lazzari, fra il 1831 ed il 1836 per ospitare le opere dello scultore neoclassico Antonio Canova (Possagno, 1757–Venezia, 1822) presenti nel suo Studio romano in Via delle Colonnette, donati alla morte dell’artista alla sua città natale.

L’intervento conservativo, il cui quadro economico di spesa ha previsto un importo complessivo di 950mila euro (provenienti in massima parte dal Fondo Cultura), ha interessato il consolidamento strutturale e il miglioramento sismico della seconda e della terza campata dell’Ala ottocentesca; mentre l’atrio e la prima campata erano stati riqualificati nel 2018, lo stesso anno in cui le opere erano state temporaneamente spostate dalla loro sede originaria per consentire le operazioni di conservazione.

Contemporaneamente è stato attuato un riallestimento illuminotecnico di questo spazio, teso a esaltare la bellezza dei modelli originali in gesso, studi preparatori per le pregevoli opere marmoree di Antonio Canova, oggi presenti nei più prestigiosi musei del mondo.
Il nuovo impianto a Led indirizza fasci luminosi verso la volta, creando un effetto diffuso e riflesso che valorizza le opere e garantisce un’esperienza visiva immersiva. Inoltre, sono stati integrati dispositivi regolabili da remoto, progettati per generare scenari personalizzati e adattarsi alle diverse esigenze espositive.

In questi anni è stato, inoltre, possibile completare il progetto di digitalizzazione del complesso architettonico canoviano, grazie alla combinazione e integrazione di metodi e tecnologie innovative. Questo ha permesso la riproduzione immateriale dell’intero patrimonio artistico possagnese, arricchendo così l’offerta del museo con un nuovo virtual tour a disposizione del pubblico, che integra modelli 3D e fotografie sferiche ad alta definizione per offrire un’esperienza inclusiva e immersiva.

In questi anni, il museo veneto ha, comunque, garantito la propria continuità espositiva grazie agli altri suoi elementi fondanti: la Casa natale (dove sono custodite le opere pittoriche, i disegni, e incisioni e gli effetti personali dell’artista), l’Ala Scarpa della Gypsoteca, che trae il suo nome dal progettista Carlo Scarpa, invitato tra il 1955 e il 1957 a creare un Padiglione per le opere in argilla e una selezione di gessi canoviani provenienti da Venezia come «Ercole e Lica» e «Teseo in lotta con il centauro», nonché l’Ala Gemin (costruita nel 1992 per ospitare conferenze e seminari), la biblioteca, il giardino e il parco.

Ora, con la riapertura dell’Ala ottocentesca, il pubblico potrà nuovamente ammirare alcuni capolavori in gesso, tra i quali «Napoleone come Marte pacificatore» (1806), un’imponente statua celebrativa, alta oltre tre metri, che raffigura il generale Bonaparte nelle vesti di un dio greco mentre regge, con la mano sinistra, una lancia e, con la destra, il globo terrestre sormontato dalla dea Nike, personificazione della vittoria alata.

Tra le opere che ritornano visibili c’è anche il gesso dell’«Ercole e Lica» (1795-1796), prima delle statue colossali tra quelle eseguite da Antonio Canova, oggi alla Galleria nazionale di arte moderna di Roma, commissionata nel 1795 dal principe aragonese Onorato Gaetani, che dovette poi rinunciare all’acquisto per via delle sue avverse fortune politiche, e entrata, quindi, nella collezione del finanziere Giovanni Torlonia di Roma. «L’opera – si legge nella presentazione - è fortemente espressiva: il volto disperato dell’ingenuo Lica dalla cui bocca sembra diffondersi l’urlo di dolore; la mano aggressiva di Ercole che afferra i capelli del giovane traduce la forsennata aggressività e la ferocia dell’eroe; tutti i muscoli sono definiti nella più viva tensione».

Tra gli altri capolavori del museo si segnalano: «Le Grazie» (1813), commissionato da Giuseppina Beauharnais, ora all’Ermitage di San Pietroburgo, e in replica da John Russel, VI Duca di Bedford, e diventato patrimonio condiviso del Victoria & Albert Museum di Londra e delle National Galleries of Scotland di Edimburgo; e «Amore e Psiche» (1800), tra le opere più celebri della collezione, scelta spesso come emblema dell’amore, che rappresenta la contrastata e passionevole storia tra il dio Amore e la mortale Psiche, nel momento in cui si riuniscono dopo che lei ha affrontato le difficili prove inflittegli dalla dea Venere.

Passeggiare nel museo di Possagno, e nella ritrovata e restaurata Ala ottocentesca della Gypsoteca significa, dunque, immergersi nell’essenza dell’arte di Antonio Canova e scoprirne così il suo amore per la perfezione, la sua dedizione all’armonia. Le sculture in gesso dell’artista, modelli delle opere in marmo sparse nei musei di tutto il mondo, rivelano dettagli dall’eleganza senza tempo, perfetta sintesi di bello naturale e bello ideale.

Didascalie delle immagini
Le fotografie dell'Ala ottocentesca della Gypsoteca Antonio Canova di Possagno (Treviso) sono di Lino Zanuso

Informazioni utili
Possagno (TV), Museo Gypsotheca Antonio Canova, via Antonio Canova 74 - Possagno (Treviso). Orari: martedì-venerdì, 9.30-18.00; sabato, domenica e festivi, 9.30-19.00; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Biglietti:. intero: €13,00; ridotto: €10. Informazioni: tel.0423.544323; posta@museocanova.it. Sito internet: www.museocanova.it 

martedì 3 dicembre 2024

A Venezia un convegno internazionale su Lucio Fontana, il maestro dello Spazialismo

«[…] Per andare più in là cosa devo fare? Io buco, passa l’infinito di lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere. Tutti han creduto che io volessi distruggere: ma non è vero, io ho costruito, non distrutto […]». Così Lucio Fontana (Rosario - Santa Fè - Argentina, 19 febbraio 1899 - Comabbio - Varese - Italia, 7 settembre 1968), il maestro dei «Tagli» e dei «Buchi», universalmente riconosciuto come il padre dello Spazialismo, movimento del quale scrisse (insieme con Giorgio Kaisserlian, Beniamino Joppolo e Milena Milani) il Manifesto programmatico nel 1947, spiegava la sua ricerca creativa, mossa dalla volontà di andare oltre la bidimensionalità della tela e la tridimensionalità statica della scultura alla scoperta della «quarta dimensione», dell’«infinito».

Considerato uno degli artisti più influenti del Novecento, l’autore italo-argentino, con alle spalle solidi studi in scultura con Adolfo Wildt all’Accademia di Belle arti di Brera, seppe tracciare, nel secondo Dopoguerra, una via alternativa al Neorealismo figurativo di Renato Guttuso e alle provocazioni concettuali di Piero Manzoni e Alberto Burri con un’arte che era semplice gesto e pura idea.

Autore di centinaia di opere, che dal novembre 1982 vengono certificate e autenticate da una fondazione nata a Milano per iniziativa della moglie Teresita Rasini, Lucio Fontana è sempre più al centro di esposizioni e pubblicazioni. Ed è altresì una vera e propria garanzia per i collezionisti, rivelandosi un investimento non solo al riparo dalle mode del momento, ma anche sempre più quotato sul mercato internazionale (lo scorso maggio Sotheby’s ha battuto all’asta a New York un «Concetto spaziale - La fine di Dio» dalle accese tonalità gialle, proveniente dalla collezione Cindy e Howard Rachofsky, a 23 milioni di dollari).

Per approfondire la figura dell’artista, alla luce degli studi più recenti, anche quelli sull’aspetto conservativo delle sue opere, la Fondazione Lucio Fontana, di concerto con l’Istituto di storia dell’arte della Fondazione Giorgio Cini e con il sostegno di Intesa San Paolo, ha ideato e promosso un convegno internazionale di studi della durata di due giorni, a ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili, in cartellone giovedì 5 e venerdì 6 dicembre a Venezia, che vedrà la partecipazione di ventuno relatori.

«Lucio Fontana: origini e immaginario» è il titolo dell’appuntamento, che si avvale del coordinamento scientifico di Silvia Ardemagni, Luca Massimo Barbero e Maria Villa, e che gli studiosi potranno seguire anche on-line, sul canale YouTube dell’istituzione lagunare, ripercorrendo la vitale parabola creativa dell’artista italo-argentino, caratterizzata da sperimentazioni costanti, in un percorso che spazia dagli anni Venti al termine degli anni Sessanta del XX secolo.

«Il convegno riconferma l’interesse manifestato dalla Fondazione Giorgio Cini nei confronti del maestro italo-argentino, protagonista di diversi momenti di approfondimento ospitati e promossi dall’istituzione veneziana: la «Mostra di Disegni e Opere Grafiche di Lucio Fontana» già nel 1972; il convegno del 2014 «Arte figurativa e arte astratta 1954-2014» e la borsa di studio «Lucio Fontana, periodo argentino: monumenti progetti e opere» bandita nel 2022 nuovamente in stretta sinergia con la Fondazione Lucio Fontana», spiega Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’arte.

Un primo focus della due giorni sarà riservato, nella mattinata di giovedì 5 dicembre, a indagare l’immaginario che ha nutrito l’avanguardia fontaniana. Ester Coen, docente di storia dell’arte contemporanea all’Università degli studi dell’Aquila, parlerà delle radici futuriste. Nico Stringa, già docente all’Università Ca’ Foscari a Venezia, approfondirà il rapporto con Arturo Martini. Valerio Terraroli, professore ordinario all’Università degli Studi di Verona, terrà un intervento sulla scultura in ceramica. Francesco Tedeschi, dell’Università Cattolica di Milano, parlerà del dialogo instaurato con l’Astrattismo italiano ed europeo. Infine, Giovanni Bianchi, docente all’Università degli studi di Padova, terrà una relazione dal titolo «Intorno allo Spazialismo veneziano: il richiamo dell’ombra in Mario Deluigi e in Lucio Fontana».

Un secondo piano di riflessione si concentrerà, nel pomeriggio di giovedì 5 dicembre, sui luoghi fontaniani, in un percorso in bilico tra Argentina e Italia. La storica dell’arte Daniela Alejandra Sbaraglia racconterà gli esordi dell’artista nell’atelier del padre scultore e la sua formazione negli anni Venti a Rosario, mentre Lorena Mouguelar seguirà le tracce della «nuova sensibilità» che emergeva, proprio in quel periodo, nel Paese latinoamericano. Luca Bochicchio, dell’Università degli Studi di Verona, porterà, dunque, il pubblico sulle rive del mar Ligure, nella vivace fornace di Albisola Marina, nel Savonese, importante fucina creativa per gli artisti novecenteschi, dove Lucio Fontana arrivò per la prima volta nel 1935, operando inizialmente alla manifattura di Giuseppe Mazzotti, e che frequentò fino agli anni Sessanta, come dimostra il suo atelier in piazza Pozzo Garitta. Sileno Salvagnini parlerà, invece, delle partecipazioni del maestro italo-argentino alla Biennale di Venezia, a partire dagli anni Trenta e fino al 1966, l’anno della vincita del Premio per la pittura con cinque tele bianche attraversate da un unico taglio. Mentre la storica dell’arte Giorgina Bertolino racconterà il rapporto dell’artista con la Torino degli anni Sessanta.

I lavori della giornata di venerdì 6 dicembre si apriranno, invece, con un focus sugli anni Cinquanta e Sessanta e sulla fortuna internazionale del maestro italo-argentino. «Il rapporto con Charles Damiano e il suo ruolo nella promozione internazionale di Fontana tra Inghilterra e Stati Uniti» è il titolo della prima relazione, a cura di Paolo Campiglio (Università degli Studi di Pavia); mentre Silvia Bignami (Università degli Studi di Milano) parlerà della presenza dell’artista a Parigi. Stefano Turina (Università Vita – Salute San Raffaele di Milano) analizzerà, invece, la precoce fortuna in Giappone, nel periodo tra il 1953 e il 1968. Infine, Francesco Pola (Università degli Studi di Torino) racconterà i rapporti con il Gruppo Zero in Germania.

Non mancherà, nella mattinata di venerdì 6 dicembre, una conferenza sul particolare e caratterizzante rapporto di Lucio Fontana con la materia, che vedrà come relatrice la restauratrice Barbara Ferriani.

Una parte del convegno verrà, poi, dedicata ad approfondire il tema delle mostre, selezionando alcuni casi di studio tra le numerosissime che hanno fornito delle letture critiche pionieristiche. Luca Pietro Nicoletti (Università degli Studi di Udine) racconterà l’interpretazione di Enrico Crispolti che si consolida a partire dalla mostra «Omaggio a Fontana» del 1963. Francesco Guzzetti (Università degli Studi di Firenze) si concentrerà sulla personale al Walker Art Center di Minneapolis nel 1966. Chogakate Kazarian (curatrice e storica dell’arte) ripercorrerà, un decennio dopo, la preparazione della mostra «Lucio Fontana, rétrospective», tenutasi nel 2014 al Musée d’Art moderne de la Ville de Paris, illustrandone le questioni accademiche e pratiche e affronterà alcune riflessioni sull'impatto dell’esposizione. Marina Pugliese (Mudec, Milano) si soffermerà sulle ragioni della mostra «Lucio Fontana. Ambienti/Environments», allestita al Pirelli HangarBicocca nel 2017.

Infine, partendo dall’esposizione «Lucio Fontana. Scultpture», curata nel 2022 da Luca Massimo Barbero nella galleria newyorchese di Hauser & Wirth – negli stessi spazi dove l’artista ebbe, nel 1961, la sua prima personale statunitense -, Cristina Beltrami (storica dell’arte) racconterà come questa esperienza abbia offerto l’occasione di ribadire come l’artista italo-argentino sia stato in primis uno scultore.

In chiusura della sessione, e dell’intero convegno, Gianni Caravaggio rifletterà, attraverso la sua esperienza d’artista, sulla definizione dei «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, come dispositivi che predispongono in modo evocativo a un peculiare e originario atto immaginativo e mentale.

Didascalie delle immagini
1.Lucio Fontana a Venezia, 1960-1961 ; 2. Lucio Fontana, Concetto spaziale, la luna a Venezia, 1961, acrilico su tela, buchi e vetri, 150 x 150 cm. Collezione Intesa Sanpaolo, Gallerie D’Italia, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 3. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1968, idropittura su tela, tagli, 100 x 81 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 4. Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1954, olio e tecnica mista su tela, buchi e vetri, 65 x 80 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 5. Lucio Fontana, Concetto spaziale, 1962-63, terracotta smaltata, lustrata e squarci, 25,5 x 23,5 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 6. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Venice moon, 1961, olio su tela, tagli e incisioni, 150 x 150 cm. Fondazione Lucio Fontana, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 7. : Lucio Fontana, Concetto spaziale, Teatrino, 1964-65, idropittura su tela, buchi e legno laccato, 102 x 83 cm. Collezione privata. © Fondazione Lucio Fontana, Milano; 8. Lucio Fontana, Concetto spaziale, Attese, 1959, aniline su tela, tagli e buchi, 97 x 130 cm. Fondazione Lucio Fontana, Milano. © Fondazione Lucio Fontana, Milano

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