ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 8 agosto 2025

«Cortona On The Move», la fotografia tra crisi, conflitti e riconciliazioni

Adagiata come una sentinella di pietra sulle colline della Valdichiana, tra ulivi d’argento che si stendono come un mare silenzioso e ordinati vigneti che sembrano disegnati da un pittore cinquecentesco, la cittadina toscana di Cortona, con la sua cinta muraria di epoca etrusca e i tipici tetti rossi che la caratterizzano sin dal Medioevo, è una finestra aperta sul Rinascimento, quello del Beato Angelico e di Luca Signorelli. Basterebbero questi elementi, insieme alla prestigiosa fiera antiquaria (la più antica d’Italia), a farne una meta turistica di richiamo. Ma, da quindici anni, questo borgo, «perla» del territorio aretino, parla anche il linguaggio della contemporaneità con un festival che, ogni estate, lo trasforma nella «capitale italiana della fotografia», in un «museo a cielo aperto» capace di attrarre appassionati e professionisti da tutto il mondo: il «Cortona On The Move».

Ventitré mostre tra collettive e individuali
e settantasei artisti provenienti dai quattro angoli del pianeta - dalla Palestina all’Iran, dalla Francia al Canada, dagli Usa alla Russia, dall’Ucraina all’Italia – compongono il cartellone di questa nuova edizione, in programma fino al 2 novembre, che anima otto luoghi simbolici e suggestivi della città, quali Palazzo Baldelli, la Fortezza del Girifalco, la Via Crucis di Gino Severini, la Stazione C nei pressi della fermata di Camucia-Cortona, il Parco archeologico del Maec, i Giardini del Parterre, il cortile di Palazzo Casali e largo Beato Angelico.
«Come Together» è il tema scelto quest’anno dalla direttrice Veronica Nicolardi e dal direttore artistico Paolo Woods per fare da filo rosso alle varie proposte espositive, che prevedono anche una tappa fuori dalle mura del borgo, sulle rive del Lago di Montepulciano.

Non si tratta di uno slogan rassicurante, ma di una chiamata a guardare le ferite – personali, collettive e geopolitiche – e a interrogarsi su cosa significhi, oggi, risanarle. Il titolo scelto è, dunque, un invito alla «riparazione» e alla «riconciliazione», ma senza sconti e retorica, cioè senza cadere nella narrazione salvifica che solo dimenticando e perdonando ciò che è accaduto si può voltare pagina. Riconciliarsi, in questo contesto, significa, invece, riconoscere l’altro anche quando la memoria brucia e le distanze sembrano irreversibili. È un atto di responsabilità e coraggio, che combina cuore e consapevolezza e non dimentica la difficoltà reale del ricomporre, di quel gesto - fragilissimo e spesso silenzioso – che invita a tentare ancora, un po’ come avviene nel kintsugi, l’arte giapponese del restauro che mette oro nelle crepe, trasformandole in una traccia preziosa e visibile.
Al «Cortona On The Move», che quest'anno si avvale del collettivo Kublaiklan per la curatela espositiva, il tema è trattato in modo traversale esplorando ogni territorio in cui il conflitto prende forma e ciò che è stato rotto può essere ancora ricucito: dalla geopolitica alla famiglia, dalle comunità locali al proprio io.

A raccontare le fratture del nostro tempo c’è, tra gli altri, Alfredo Jaar (Santiago del Cile, 1956), uno degli artisti contemporanei più eticamente impegnati nell’indagare gli squilibri del potere e la sofferenza degli invisibili (emblematica, in tal senso, è l’opera «The Rwanda Projetct» del 1994-2000).
In collaborazione con Photo Elysée - Museo per la fotografia di Losanna, il festival toscano presenta la mostra «Inferno & Paradiso», nella quale l’artista cileno ha invitato venti tra i più grandi fotoreporter di oggi a selezionare due immagini dal loro archivio: la più straziante, quella che non ha mai abbandonato i loro occhi e la loro mente, e la più gioiosa, quella che è stata la via d’uscita dallo strazio. Questi quaranta scatti – firmati, tra gli altri, da Samar Abu Elouf, Lynsey Addario, Véronique De Viguerie, Donna Ferrato, Pablo Ernesto Piovano e Hannah Reyes Morales - sono ricomposti in un’installazione immersiva, negli spazi della Fortezza del Girifalco, che esplora la complessità della condizione umana, il suo fragile equilibrio tra sofferenza e speranza. Contemporaneamente, Alfredo Jarr, convinto che il compito dell’artista sia creare modelli per reimmaginare il mondo, lancia un monito contro l’indifferenza e l’apatia che spesso accompagnano tragedie e crisi globali, a cominciare dal genocidio di Gaza.

Un’altra mostra pensata appositamente per il festival toscano è quella allestita alla Stazione C: «Family Trilogy», curata dalla critica Marion Durand (Francia, 1975) – firma della rivista «Kometa» e compagna di vita del fotografo documentarista Christopher Anderson (Canada, 1970) – che interpreta il tema «Come Together» da una prospettiva profondamente personale e autobiografica, attraverso gli scatti del partner dedicati alla famiglia, quelli delle serie «Son» (2013), «Pia» (2021) e «Marion» (2022). Il risultato è un ritratto familiare che parla di paternità, amore coniugale, memoria condivisa, intimità e prossimità silenziosa, senza escludere la fatica del vivere quotidiano, «sempre minacciato – si legge nella presentazione - da un avversario temibile, la fotografia», quella che ha portato Christopher Anderson in giro per il mondo, anche in contesti di guerra come l’Iraq e il Ghana.

Altra mostra prodotta appositamente per il festival «Cortona On The Move» è «Order/Chaos — Photographs of American Groups 1865-1965», a Palazzo Baldelli, con una selezione di fotografie provenienti dalla collezione W.M. Hunt / Collection Blind Pirate. Si tratta di scatti, realizzati nell’arco di cento anni, che parlano della dicotomia tra ordine e disordine, controllo sociale e disgregazione, sentimenti di identità collettiva e sfilacciamento dei legami comunitari. Queste immagini ritraggono famiglie, associazioni, comitati religiosi o sociali, gruppi di americani colti nelle situazioni più disparate, da feste informali a schieramenti precisamente coreografati con sguardi frontali, gesti codificati e volti dalle espressioni pietrificate. In questo spazio oscillante tra posa e verità, tra rito e smarrimento, le fotografie diventano specchio di ciò che siamo, quando vogliamo sembrare insieme, con il rischio di perdere la nostra unicità.

A Palazzo Baldelli è allestita anche la mostra «Ordinary Grief» della fotoreporter iraniana Parisa Azadi (Iran, 1986), una storia di fragile riconciliazione, quella con il Paese natale, dove l’artista è ritornata nel 2017, dopo venticinque anni di vita in Canada, per intraprendere un percorso di recupero della propria identità. Scatto dopo scatto, viene raccontata l’esperienza di chi torna a casa e scopre di non essere più del tutto a casa, consapevole che quel luogo custodisce, comunque, il proprio io di un tempo. Quel senso di estraneità diventa una «lettera d’amore» malinconica e delicata, a tratti dolente, un racconto intimo e sincero di chi cerca di ritrovarsi attraverso gli occhi degli altri: giovani che resistono con sguardi pieni di attesa, donne che abitano il silenzio intimo della propria casa, volti segnati dal tempo e dalle difficoltà.

Di ricostruzione del senso di appartenenza parla anche la mostra «Distance & Belonging» dell’artista palestinese Taysir Batniji (Gaza, 1966), residente a Parigi, che, attraverso tre progetti - «Home Away From Home», «Disruptions e At Home», «Elsewhere» - mette in scena, alla Fortezza del Girifalco, una riflessione sulle nozioni di esilio, identità e memoria. Toccante è l'omaggio alla madre con gli screenshot delle loro videochiamate, dal 2015 al 2017, con lo schermo di un improbabile colore verde e l’immagine del volto della donna sempre più evanescente, per la decomposizione dei pixel, a causa dell’interferenze causate dai droni israeliani nei cieli di Gaza. Queste difficoltà di comunicazione, che documentano come quei territori fossero già allora «una prigione a cielo aperto», ci raccontano della nostalgia e dell’affetto di un figlio che non è riuscito a dare alla madre, morta nel 2007, l’ultimo saluto.

Mentre Jan Banning (Paesi Bassi, 1954) porta a Cortona il suo progetto «Blood Bonds: Reconciliation in Post-Genocide Rwanda», realizzato con lo scrittore Dick Wittenberg, a distanza di trent’anni dal genocidio che, nel 1994, causò nel Paese africano più di ottocentomila vittime in soli cento giorni, prevalentemente tra civili di etnia tutsi (ma tra i morti ci furono anche hutu moderati). Il lavoro, realizzato con il contributo del Mondriaan Fund, evidenzia la complessità del processo di perdono e di riconciliazione, favorito anche dal Governo locale, in nome dell’unità nazionale, attraverso laboratori di socioterapia. In doppi ritratti l’artista accosta vittima e carnefice, persone che sono riuscite ad andare oltre ciò che è accaduto, dimostrando così come, anche nelle società più divise, la guarigione è possibile.

Il percorso espositivo - «bello, ma anche crudo, disordinato e ruvido», per usare le parole del direttore artistico Paolo Woods – prevede, poi, una riflessione sulla guerra e sulle sue drammatiche conseguenze. Nelle sale di Palazzo Baldelli, il fotografo ucraino Vic Bakin (Turkmenistan, 1984) presenta, per esempio, la mostra «Epitome», «una raccolta – si legge nella presentazione - di cicatrici, non solo quelle visibili, ma anche quelle invisibili che portiamo dentro di noi». Mentre Federico Vespignani (Italia, 1988) è in mostra con «Short-term, but Long-term», progetto che raccoglie trecento screenshot tratti da App di incontri in cui soldati israeliani di stanza a Gaza pubblicano selfie o ritratti di se stessi come immagini di profilo, nel mezzo della distruzione circostante, dandoci una documentazione plastica di quella che Hannah Arendt chiamava «la banalità del male».

Palazzo Baldelli fa da scenografia anche alla mostra «L’occhio coloniale», che, grazie a materiali ritrovati in archivi pubblici e privati (tra i quali quello dell’Istituto Luce), esplora il ruolo della fotografia come strumento di propaganda e controllo nella conquista italiana dell’Etiopia.
Ci sono, poi, nel cartellone qualificati progetti realizzati in partnership con istituzioni prestigiose. È il caso di «Uncertain Silence», mostra di Yael Martínez (Messico, 1984), promossa in collaborazione con Medici senza Frontiere, che documenta il volto umano della crisi migratoria messicana e la sofferenza silenziosa, sia fisica che psicologia, di migliaia di persone bloccate alle porte degli Stati Uniti.

Altra prestigiosa partnership è quella con Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia, il cui frutto è la collettiva «Cronache d’acqua – Immagini dal Sud Italia», realizzata con il contributo editoriale di «Green & Blue». In un tempo in cui il cambiamento climatico accentua diseguaglianze e tensioni, cinque fotografi italiani – Cosimo Calabrese, Valeria Cherchi, Eleonora D’Angelo, Giulia Parlato e Roselena Ramistella - ci propongono una riflessione visiva su uno degli elementi indispensabili del vivere quotidiano, il nostro «oro blu», in un percorso che racconta sprechi e sfruttamenti, spaziando dalla siccità in Sicilia alle sorgenti storiche di Bari, dalle isole rifornite con le cisterne alle fontane di Napoli.
Sempre di natura parlano il progetto «Atlas of the New World» di Edoardo Delille (1974) e Giulia Piermartiri (1990), una mappa visiva di come i paesaggi potrebbero apparire in futuro a causa della crisi climatica, la mostra «Simona Kossak - Born to Be Wild», con gli scatti del fotografo Lech Wilczek (Polonia, 1943-2007) che documentano una vita trascorsa in mezzo ai boschi, e «Sorgente - Valdichiana On The Move», una narrazione visiva diffusa e itinerante, che porta anche sulle rive del Lago Montepulciano, affidata alla fotografa britannica Laura Pannack (1995), che ci restituisce le immagini di dieci comuni toccati dal Canale Maestro della Chiana, realizzato nel 1338 per bonificare l'area paludosa tra Arezzo e Chiusi.

Non manca, infine, una mostra celebrativa: «15 anni insieme», con ventotto immagini, due per ogni edizione passata, che si configurano come un racconto visivo di ciò che il festival toscano ha sempre voluto essere: non un semplice contenitore di mostre, ma un laboratorio vivo che ci interroga sul mondo e sul nostro stare nel mondo. Non è un guardarsi indietro nostalgico, è un ponte costruito verso il futuro, una dichiarazione di intenti per gli anni a venire, che mette al centro tre parole: incontro, collaborazione, inclusione. Quello che esprime «Cortona On The Move» è, dunque, un invito a stare insieme, a restare uniti dentro alle crepe del nostro tempo, senza nasconderle. Come nel kintsugi è lì, nella frattura risanata, che si rivela una forma di bellezza. Imperfetta. Resiliente. Vera.

Didascalie delle immagini
1. Taysir Batniji, Dalla serie Home Away From Home ©Taysir Batniji | Courtesy of the artist, Sfeir-Semler Gallery (Hamburg/Beirut) and Éric Dupont Gallery (Paris). ©Taysir Batniji; 2. Christopher Anderson, Dalla serie Family Trilogy © Christopher Anderson & Marion Durand; 3. Inferno & Paradiso, Alfredo Jaar. Courtesy Galleria Lia Rumma, Milano & Napoli, e l'artista, New York.  © Foto di Hannah Reyes Morales; 4. Inferno & Paradiso, Alfredo Jaar. Courtesy Galleria Lia Rumma, Milano & Napoli, e l'artista, New York. © Foto di Veronique De Viguerie; 5. Parisa Azadi, Amir Hussain Roozbahani gioca con il suo uccellino nel giorno del suo compleanno a casa, nella periferia di Teheran, Iran, 5 maggio 2020. Con la rapida diffusione del virus da Covid-19, l’Iran è diventato l’epicentro della pandemia in Medio Oriente. Con i raduni pubblici vietati, la sua famiglia ha festeggiato l’occasione con una piccola e tranquilla celebrazione in casa – un momento di gioia e normalità in mezzo alla crisi nazionale e all’isolamento. Dalla serie Ordinary Grief © Parisa Azadi; 6. Parisa Azadi, Hossain abbraccia la sua fidanzata Negar per le strade di Teheran, Iran, il 13 ottobre 2017. Dopo la rivoluzione, l’affetto in pubblico tra coppie non sposate era illegale e poteva portare a molestie o arresti. Nell’ultimo decennio, sempre più coppie hanno iniziato a mettere alla prova i limiti dell’applicazione della legge – flirtando sui marciapiedi, scambiandosi baci di nascosto nei vicoli e stringendosi sui banchi dei parchi mentre la polizia pattuglia nelle vicinanze. Dalla serie Ordinary Grief © Parisa Azadi; 7.Jan Banning, Rose ha perso i suoi due figli maggiori e quasi tutta la sua famiglia durante il genocidio. Tra gli aggressori c’era Ezechiel, che uccise brutalmente il suo bambino e la cognata, lasciando Rose gravemente ferita. Le cicatrici sulla sua mano destra sono un costante ricordo di quel giorno orribile. Nel 2014, Rose ha aderito a un gruppo di socioterapia di CBS Rwanda. Durante le sessioni, Ezechiel ha espresso il suo profondo rimorso per aver tolto la vita al suo bambino e, col tempo, Rose ha trovato la forza di perdonarlo. Dalla serie Blood Bonds: Reconciliation in Post-Genocide Rwanda © Jan Banning; 8. Federico Vespignani, Dalla serie Short-term, but Long-term © Federico Vespignani; 9. Vic Bakin, Untitled (House), 2023. Dalla serie Epitome © Vic Bakin; 10. Yael Martínez, Dalla serie Echoes of Uncertain Silence © Yael Martínez | Magnum Photos; 11. Dalla serie Atlas of the New World © Edoardo Delille e Giulia Piermartiri


Informazioni utili
Cortona on the Move - Festival internazionale di fotografia
Le mostre:
● Alfredo Jaar - Inferno & Paradiso. Coprodotta in collaborazione con Photo Elysée, Museo per la Fotografia, Losanna
● Christopher Anderson & Marion Durand - Family Trilogy
● Taysir Batniji - Distance & Belonging
● L’occhio coloniale. In collaborazione con Archivio Storico Luce, Archivio Memorie Coloniali-MOXA, Maaza Mengiste
● Pia-Paulina Guilmoth - Flowers Drink the River
● Jan Banning - Blood Bonds: Reconciliation in Post-Genocide Rwanda. Con il contributo di Mondriaan Fund
● Simona Kossak: Born to Be Wild. Fotografie di Lech Wilczek. Con il supporto dell’Istituto Polacco di Roma
● Order/Chaos – Photographs of American Groups 1865-1965 - W.M. Hunt / Collection Blind Pirate
● Patrick Waterhouse - Restricted Images – Made with the Warlpiri of Central Australia
● Federico Vespignani - Short-term, but Long-term
● Parisa Azadi - Ordinary Grief
● Mika Sperling - I Have Done Nothing Wrong
● Vic Bakin - Epitome
● Ray Banhoff - Supersosia
● Cronache d’acqua – Immagini dal Sud Italia. Una produzione di Cortona On The Move in partnership con Intesa Sanpaolo e Gallerie d’Italia
● Edoardo Delille & Giulia Piermartiri - Atlas of the New World. Ideato e realizzato in partnership con at - autolinee toscane. Progetto vincitore del Premio Amilcare G. Ponchielli – XX edizione | Istituito dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale). Con il supporto di WeWorld - Organizzazione umanitaria
● Yael Martínez - Echoes of Uncertain Silence. Con Medici Senza Frontiere lungo la rotta migratoria in Messico
● Maria Abranches - Maria. Progetto vincitore della terza edizione di COTM Award
● 15 anni insieme / 15 Years Together
● Maya Valencia - Ca Sa Padrina — Letter to my Grandmother’s House. In collaborazione con Institut d’Estudis Baleàrics
Laura Pannack – Sorgente - Valdichiana On The Move. Progetto ideato per VALDICHIANA2025 Capitale toscana della cultura
● Eleonora Agostini - Revolve. In collaborazione con Accademia Etrusca di Cortona e MAEC
● Sosta Palmizi - il Cortile 1985-2025
Gli orari: Dal 18 luglio al 31 agosto dalle 10 alle 20 (tutti i giorni) | Dal 1 settembre al 28 settembre dalle 10 alle 19 (tutti i giorni) | Dal 29 settembre al 2 novembre dalle 10 alle 18 (tutti i giorni) | La mostra esposta al Parco Archeologico di Cortona segue i seguenti orari: dal 18 luglio fino al 15 ottobre dalle 10 alle 14 e dalle 16 alle 19 (tutti i giorni) |Dal 16 ottobre fino al 2 novembre dalle 10 alle 14 (ven, sab, dom)
I biglietti: intero 18,00 € tutte le esposizioni, 8,00 € Solo esposizioni Fortezza del Girifalco, 10,00 € integrativo dietro presentazione del biglietto della Fortezza del Girifalco | ridotto 15€ tutte le esposizioni | scuole 3€ tutte le esposizioni 
Sito web: https://www.cortonaonthemove.comFino al 2 novembre 2025

mercoledì 6 agosto 2025

«Una boccata d’arte»: venti artisti per venti borghi italiani

Dal borgo valdostano di Ollomont, in una conca soleggiata della Valpelline ricca di specchi d’acqua e torrenti, a Custonaci, «città internazionale dei marmi» affacciata sul mare della Sicilia; dal piccolo comune trentino di Luserna, «un'isola verde tra i monti» dell'Alpe Cimbra, a Burcei, paesino di montagna dalle antiche tradizioni pastorali, nel cuore della Sardegna sudorientale: coinvolge tutto il territorio nazionale il progetto espositivo «Una boccata d’arte», ideato nel 2020 da Marina Nissim, per la Fondazione Elpis di Milano, con l'intento di far scoprire, attraverso il linguaggio dell'arte contemporanea, il patrimonio storico, artistico e paesaggistico di borghi e paesi lontani dai classici circuiti del turismo.
Per la sesta estate consecutiva venti artisti, dalle culture ed esperienze linguistiche differenti, sono stati invitati a intervenire in altrettanti piccoli centri abitati con meno di 5mila abitanti, offrendo un itinerario culturale che attraversa tutte le regioni italiane.

Come da consuetudine, le opere in mostra, visibili fino al prossimo 28 settembre, sono il risultato di un periodo di residenza nel borgo assegnato, che ha permesso agli artisti di scoprire la storia, le tradizioni vernacolari e la cultura del territorio, entrando in contatto, in maniera partecipativa e inclusiva, con le comunità locali, i loro saperi artigianali e le loro energie preesistenti, per progettare un intervento inedito e site-specific.
Nuova è, invece, la volontà di coinvolgere in questo virtuoso progetto espositivo diffuso, che si avvale anche della collaborazione di Maurizio Rigillo della Galleria Continua e dell’agenzia creativa Threes di Milano (attiva nel campo della musica), non più solo centri storici con evidenze monumentali, ma anche borghi spopolati, spazi rimasti in disuso, aree marginali da «ri-attivare» attraverso il linguaggio dell'arte.

È il caso dell’intervento site-specific «Flessione riflesso» di Bibi Manavi (Francia/Iran, 1991) in Piemonte, nel paesino di Borgolavezzaro, nel sud della provincia di Novara, in una zona profondamente segnata dalla tradizione risicola. L’installazione, per la curatela di Veronica Botta, prende forma nel Dormitorio delle Mondine di Cascina Caccia ed esplora l’acqua come materia e memoria viva, risorsa politica e linfa del territorio, attraverso stampe fotografiche, che riproducono immagini tratte da archivi idraulici e rurali e strutture vegetali indagate al microscopio.

Lo spopolamento è il punto di partenza anche del progetto «Partitura per un futuro ritorno», elaborato da Roberto Casti (Iglesias, 1992) e curato da Alessia Delli Rocioli, per Macchiagodena, borgo di origine medioevale in provincia di Isernia, nel Molise, caratterizzato, già a partire dal XIX secolo, da una significativa emigrazione verso le Americhe, la Francia, la Germania e il Belgio. Nel villaggio di San Nicola — il nucleo più antico e oggi quasi disabitato del paesino — risuona un canto registrato dagli abitanti, invitati a reinterpretare il brano popolare «Lu Molisano in America», immaginando un ritorno possibile, una contro-narrazione al silenzio dello spopolamento.

Propone un racconto in musica anche l’intervento «MĒTAsêm» del duo Babau per Cormons, paesino friulano dalla pregiata tradizione vinicola, a pochi chilometri dalla Slovenia. Attraverso la commistione di lingue e dialetti locali, nonché di simboli visivi come una maschera folkloristica, una mappa e uno stendardo, il progetto, per la curatela di Marta Oliva, riflette sul confine come spazio fisico e metafisico, coinvolgendo poeti, artisti e performer locali nella recitazione di un singolare «radiodramma» popolare, una sorta di fiaba sonora contemporanea.

Il suono è alla base anche dei progetti proposti da Threes, che in questa edizione coinvolgono la Liguria, l'Emilia-Romagna e la Sardegna, conferendo voci inedite a spazi, luoghi e oggetti.
A pochi chilometri dalla Cinque Terre, nel borgo di Framura, Jim C. Nedd (Colombia/Italia, 1991) presenta, per esempio, «Sorgente», un'installazione fotografica, per la curatela di Mireille Filippini, che si concentra sull’antico lavatoio comunale alimentato dal torrente Castagnola, custode silente di una storia che parla non solo di gesti quotidiani dimenticati come quello di lavare a mano e in comunità, ma anche di guerra e rifugi difensivi.

Mentre a Bagnara di Romagna, nel Ravennate, Vica Pacheco (Oaxaca, Messico, 1993) presenta «Concierto de ranas - Preludio para seres del umbral», un’installazione sonora nel Prato di Sant’Andrea, area naturalistica e archeologica protetta, di origine romana. L’intervento, per la curatela di Baldi Pighi, consiste in un’orchestra di piccole sculture in ceramica ispirate alla flora e alla fauna locali, che dialogano con l’ecosistema circostante, «invitando – spiega l’artista - a una riconnessione collettiva con l’acqua, la memoria e i ritmi ciclici della terra».

In Sardegna a suonare è, invece, la pietra, simbolo della civiltà nuragica da cui discende l’antico centro abitato di Burcei, borgo incastonato tra le pendici orientali del Monte Serpeddì. Qui, Sara Persico (Napoli, 1993), con la curatela di Anna Prisi, propone «Nuù»: una lastra di marmo incisa con segni ispirati alle storie, ai suoni e alle voci emerse durante la residenza, installata nella chiesa campestre di Sant’Isidoro.

Mentre sull’altra grande isola del territorio italiano, la Sicilia, Nicola Martini (Firenze, 1984) riflette sulla filiera estrattiva del marmo, che ha caratterizzato sin dal Cinquecento la storia di Custonaci, borgo in provincia di Trapani. L’intervento, a cura di Giulia Monroy, si intitola «Mangiatutto» e si compone di due blocchi di perlato siciliano e diaspro rosso, residui di cava, sottoposti a un’erosione estrema con frese a tazza, fino al limite del collasso. L’opera ha coinvolto le maestranze locali, custodi della conoscenza del materiale litico come organismo vivo.

Medita sulla tradizione economico-produttiva del territorio, nel caso specifico quella del legno, anche l’opera di Stella Rochetich (Roma, 1997) per Pratovecchio Stia, borgo toscano del Casentino, che ha dato i natali a Paolo Uccello e che è molto conosciuto per la Pieve romanica di San Pietro, sede della fraternità di Romena. Il lavoro, intitolato «Gli alberi non vagano», si ispira a una presenza silenziosa dei boschi casentinesi: l’osmoderma eremita, insetto raro che vive nel legno in decomposizione, nei tronchi cavi degli alberi caduti. La sua esistenza, invisibile per la maggior parte dell’anno, si rivela solo durante il periodo estivo, quando emette un feromone intenso, progettato per attrarre e farsi trovare. Questa potente «traccia odorosa» è la protagonista dell'opera, una scultura/diffusore olfattiva, presentata nella fontana dismessa di piazza Vecchia, per la curatela di Gabriele Tosi.

Mentre l’installazione «Stasi, equilibri ecosistemici in divenire», ideata da Stefano Caimi (Merate, 1991) per Luserna, cittadina del Trentino Alto Adige, si ispira alle strategie per contrastare la diffusione del bostrico tipografo, coleottero che infesta i boschi locali e destabilizza l’ecosistema della zona. Attraverso una trama di cavi tra abeti vivi e tronchi a terra, l’intervento, a cura di Valerio Panella, rende visibili i cicli di vita, morte e rinascita delle foreste.

Anche l’opera di Hatty Laycock (Cambridge, 1997) nasce dal contatto con i boschi del territorio, quelli del piccolo borgo valdostano di Ollomont. «Nel riflesso di una roccia lontana», questo il titolo dell’intervento per la curatela di Elena Graglia, utilizza licheni locali e cera d’api, per creare una forma organica, successivamente fusa nel rame e collocata all’aperto, dove invecchierà naturalmente in dialogo con la luce e il tempo atmosferico.

La relazione effimera tra le forze naturali e il lavoro dell'essere umano è, inoltre, protagonista nell'installazione «Sleeps the lake» di Aiko Shimotsuma (Giappone, 1987), per la curatela di Edoardo De Cobelli, presentata in un palazzo storico di Brunate, in provincia di Como. Fonte di ispirazione sono le invenzioni di Alessandro Volta, in particolare quelle sui fenomeni luminosi, e il «fitto mare di nebbia» che talvolta nasconde i confini del Lario. Questo si traduce nell’opera «Feeling is all», una parete tattile che, attivata dal tocco di una mano, è capace di generare una leggera coltre di fumo. Mentre i colori del tramonto sul lago si trasformano in sfumature luminose nella serie di opere in vetro «Matter is Void», che evocano i gradienti di colore del cielo. «Horseshoe» riproduce, invece, un ferro di cavallo trovato sulla porta di un antico pozzo: un oggetto da toccare, per chiamare a sé la fortuna.

Dal lago di Como si può, quindi, partire alla volta del vicino Veneto, dove a Tarzo, nella provincia di Treviso, Giacomo Gerboni (Parma, 1990) presenta «Pietra comune», opera a cura di Giovanni Paolin e Sara Maggioni. Si tratta di un menhir contemporaneo, che custodisce al suo interno una collezione di lettere e messaggi scritti dagli abitanti nel corso di diversi laboratori condotti dall’artista.

La creazione di nuovi immaginari legati al territorio anima anche l’opera «MMMMMMM KM», firmata dal duo Vaste Programme e curata da Roberta Mansueto per il borgo di Miglionico, in Basilicata. Il binocolo panoramico si trasforma in un dispositivo fuorviante, capace di sovvertire la lettura convenzionale del panorama e amplificare il concetto di veduta. Il lavoro, installato alla Torre di Fino, invita a uno sguardo che si apre su vedute molteplici, rispondendo alla domanda: «Cosa vedo a 7.000 km da Miglionico?». La distanza non è casuale: è suggerita da un motto riportato sull’antico stemma del paese: «Milone Milite Magno Munì Miglionico di Magnifiche Mura» le cui sette «M» diventano, lette come numeri romani, la misura settemila. L’opera amplifica così il concetto di veduta, tema ricorrente nella storia dell’arte, e ridefinisce l’idea stessa di confine, dissolvendo ogni limite geopolitico e culturale.

Rimanendo nel sud Italia, in Puglia, Aymen Mbarki (Tunisi, 1983) ha ideato un’installazione per Sammichele di Bari: «Il versetto del mare», a cura di VOGA Art Project, che rievoca la ricca storia di migrazioni del borgo attraverso un portale in cui si fondono linee arabeggianti, tipiche delle medine nordafricane, con segni e scritture che evocano storie e mitologie mediterranee.

Sempre nel Sud, in Calabria, Anna Ill (Barcellona, 1990) approfondisce il patrimonio archeologico di Simeri Crichi e del Museo numismatico archeologico provinciale di Catanzaro con «Ceaseless Care», installazione a cura di Ehab Halabi Abo Kher. Questo percorso ha permesso all’artista di riportare all’attenzione della comunità la Kouroutropos, una statuetta acefala del IV secolo a.C., simbolo di cura e maternità e di sviluppare così una riflessione più ampia sul senso universale dell’accudimento, al di là del genere e del tempo.

Mentre in Campania, a Rocca Cilento (Salerno), Tild Greene (UK, 1994) presenta l’installazione «Pitch Point», a cura di Giulia Pollicita, con «un portale-cancello collocato in un campo da calcio in disuso, poco fuori il centro abitato, che non separa da nulla e non porta da nessuna parte».

Un altro spazio abbandonato, ovvero la casina di caccia di Villa Altieri, nel parco comunale di Oriolo Romano (Viterbo), i cui restauri sono stati recentemente interrotti per mancanza di fondi, è al centro del progetto espositivo «Il corredo» di Gabriele Ermini (Figline Valdarno, 1996), per la curatela di Irene Angenica. L’artista toscano trasforma l’edificio in un finto museo allestito con sculture in ceramica e mette in scena un ritrovamento archeologico fittizio.

Sempre nel centro Italia, a Citerna, nel Perugino, l’artista Qeu Meparishvili (Tbilisi, Georgia, 1995) presenta «Edicola dei Randagi – Shrine of the Strays», un’installazione, a cura di Giovanni Rendina, composta da lastre di metallo con raffigurazioni create secondo una tradizionale tecnica iconografica georgiana che dialogano con l’architettura medievale del borgo umbro. Soggetto di questi lavori sono i cani randagi: figure numerosissime nella città natale dell’artista, Tbilisi, qui trasformate in «reliquie» urbane.

Completano l’offerta espositiva di «Una boccata d’arte» due interventi che, attraverso studi approfonditi condotti sul campo, hanno riscoperto la memoria storica dei luoghi al centro delle residenze d’artista. Ad Altidona, nelle Marche, una vecchia fotografia in bianco e nero, che mostra la scultura di un galletto, un tempo collocata all’ingresso del borgo e oggi scomparsa, ha ispirato a Giuseppe Abate (Bari, 1987) il progetto «Lu Gallu», per la curatela di Matilde Galletti, con un'opera in argilla e una grande festa per ridare cittadinanza all’animale.

Mentre Adele Dipasquale (Torino, 1994) ha analizzato, nel corso della sua residenza sul territorio di Roccacaramanico, in Abruzzo, i punti di bivacco presenti in alta montagna, legati in questa zona anche alla storia del brigantaggio. Partendo da queste suggestioni, il progetto, intitolato «L’infestata» e curato da Andrea Croce, ha dato forma a una serie di strutture, come panche, letti ed elementi che disegnano spazi di condivisione, pensati per accogliere chi vive o attraversa il borgo durante l’estate. Le superfici di questo nuovo arredo pubblico sono incise con scritte, frasi, appunti: diventano così strutture parlanti, presenze silenziose che «infestano» l’area attorno al vecchio cimitero abbandonato del borgo.

Ancora una volta «Una boccata d’arte» offre, dunque, uno sguardo inedito su luoghi del nostro territorio spesso lontani dai tradizionali circuiti turistici, accendendoli di nuova luce grazie all’arte contemporanea, che ne rivitalizza identità e storie locali.

Didascalie delle immagini
1. Emilia-Romagna
Vica Pacheco, Concierto de ranas - Preludio para seres del umbral, Bagnara di Romagna, Emilia-Romagna. Ph Daniele Signaroldi.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
2. Veneto
Giacomo Gerboni, Pietra Comune, Tarzo, Veneto. Ph Fiorella Costantini.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
3. Basilicata
Vaste Programme, MMMMMMM KM, Miglionico, Basilicata. Ph Michele Battilomo
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
4. Liguria
Jim C. Nedd, Sorgente, Framura, Liguria. Ph Andrea Venturini.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
5. Marche
Giuseppe Abate, Lu Gallu, Altidona, Marche. Ph Matteo Natalucci.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
6.  Abruzzo
Adele Dipasquale, l’infestata, Roccacaramanico fraz. di Sant’Eufemia a Maiella, Abruzzo. Ph Giacomo Alberico.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
7. Sardegna
Sara Persico, Nuù, Burcei, Sardegna. Ph Riccardo Locci.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
8. Molise
Roberto Casti, Partitura per un futuro ritorno, Macchiagodena, Molise. Ph Alessandro Pace.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
9. Sicilia
Nicola Martini, MANGIATUTTO, Custonaci, Sicilia. Ph Fausto Brigantino.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
10. Lombardia
Aiko Shimtzuma, Sleeps the lake, Brunate, Lombardia. Ph Andrea Benedetta Bonaschi.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
11. Friuli Venezia Giulia
Babau, MĒTAsêm, Cormons, Friuli Venezia Giulia. Ph Mattia Romanut
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025
12. Valle d’Aosta
Hetty Laycock, Nel riflesso di una roccia lontana, Ollomont, Valle d’Aosta. Ph Michela Pedranti.
Opera realizzata con il sostegno di Fondazione Elpis nell’ambito di Una Boccata d’Arte 2025 / Artwork produced with the support of Fondazione Elpis as part of Una Boccata d’Arte 2025

Informazioni utili
Una boccata d’arte 
20 artisti, 20 borghi, 20 regioni
Un progetto di Fondazione Elpis, in collaborazione con Maurizio Rigillo di Galleria Continua e Threes
Dal 28 giugno al 28 settembre 2025
Hetty Laycock a Ollomont (AO) in Valle d’Aosta, a cura Elena Graglia;
Bibi Manavi a Borgolavezzaro (NO) in Piemonte, a cura di Veronica Botta; 
Jim C. Nedd a Framura (SP) in Liguria, a cura di Mireille Filippini per Threes;      
Aiko Shimotsuma a Brunate (CO) in Lombardia, a cura di Edoardo De Cobelli; 
Stefano Caimi a Luserna (TN) in Trentino-Alto Adige, a cura di Valerio Panella; 
Giacomo Gerboni a Tarzo (TV) in Veneto, a cura di Giovanni Giacomo Paolin e Sara Maggioni; 
Babau a Cormons (GO) in Friuli Venezia Giulia, a cura di Marta Oliva;
Vica Pacheco a Bagnara di Romagna (RA) in Emilia-Romagna, a cura di Sofia Baldi Pighi per Threes;
Stella Rochetich a Pratovecchio Stia (AR) in Toscana, a cura di Gabriele Tosi;
Qeu Meparishvili a Citerna (PG) in Umbria, a cura di Giovanni Rendina;
Giuseppe Abate a Altidona (FM) nelle Marche, a cura di Matilde Galletti;
Gabriele Ermini a Oriolo Romano (VT) in Lazio, a cura di Irene Angenica; 
Adele Dipasquale a Roccacaramanico, fraz. di Sant’Eufemia a Maiella (PE) in Abruzzo, a cura di Andrea Croce; 
Roberto Casti a Macchiagodena (IS) in Molise, a cura di Alessia Delli Rocioli; 
Tild Greene a Lustra (SA) in Campania, a cura di Giulia Pollicita;
Aymen Mbarki a Sammichele di Bari (BA) in Puglia, a cura di VOGA Art Project;
Vaste Programme a Miglionico (MT) in Basilicata, a cura di Roberta Mansueto;
Anna Ill a Simeri Crichi (CZ) in Calabria, a cura di Ehab Halabi Abo Kher; 
Nicola Martini a Custonaci (TP) in Sicilia, a cura di Giulia Monroy; 
Sara Persico a Burcei (SU) in Sardegna, a cura di Anna Pirisi per Threes

lunedì 4 agosto 2025

Non sono Biennale e architettura, mostre e progetti artistici da vedere a Venezia nell'estate 2025

 Cosa succede quando l’architettura incontra l’intelligenza artificiale, naturale e collettiva? È questa la domanda che anima la diciannovesima edizione della Mostra internazionale d'architettura, uno dei progetti della Biennale di Venezia, in calendario fino al prossimo 23 novembre.

Oltre 750 partecipanti tra architetti, ingegneri, scienziati e artisti presentano, negli spazi dell'Arsenale e dei Giardini, ma anche in vari luoghi del centro storico, circa trecento progetti che intendono raccontare un futuro più sostenibile, adattivo e umano.
Il curatore di quest’anno è Carlo Ratti, architetto e innovatore con base al MIT, che ha trasformato l’intera mostra in un «laboratorio vivente», dove interrogarsi sulle grandi sfide del nostro tempo, dalla crisi climatica al problema delle migrazioni.
«Intelligens. Natural. Artificial. Collective.», questo il titolo della rassegna, ci sfida, dunque, a ripensare il nostro modo di abitare il mondo, anche sfruttando le potenzialità della robotica e dell’intelligenza artificiale o usando materiali circolari come il legno riciclato, il vetro di recupero, le bioplastiche.
Tra le installazioni più sorprendenti di questa edizione, ci sono la «Cool Forest», una foresta multisensoriale che simula il clima futuro della Laguna veneziana, e il «Rolex Pavilon», una struttura, elegante e minimalista, progettata dalla nigeriana Mariam Issoufou con materiali naturali e a basso impatto ambientale, pensata per essere smontata e riutilizzata altrove.
Interessante è anche «Canicola» di Andrea Faraguna, il progetto del Regno del Bahrain, premiato con il Leone d’oro per la miglior partecipazione nazionale, che riflette sull’aumento delle temperature globali attraverso un’installazione capace di combattere il caldo, avvalendosi di tecniche tradizionali di raffrescamento passivo come le torri del vento e i cortili ombreggiati.
Merita, infine, una segnalazione il Padiglione della Santa Sede, premiato con una Menzione speciale dalla giuria della Biennale di architettura, presieduta da Hans Ulrich Obrist. Il progetto, intitolato «Opera aperta», trasforma, sotto la curatela di Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti, il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice di Castello in «un laboratorio vivente di riparazione collettiva», in un cantiere di restauro aperto alla comunità.

Tutto intorno c’è una città che indossa il suo abito migliore. I Musei civici propongono, per esempio, una ricca offerta espositiva, tra cui spiccano le mostre «L’oro dipinto. El Greco e la pittura tra Creta e Venezia», con centocinquanta opere che, negli Appartamenti del Doge a Palazzo Ducale, propongono un raffinato confronto tra l’Oriente bizantino e l’Occidente latino seguendo il filo rosso delle icone cristiane, e «Poema della vita umana» di Giulio Aristide Sartorio Ca’ Pesaro, una narrazione monumentale e visionaria sul nostro vivere, di impronta simbolista, nata per il Salone centrale dell’Esposizione Internazionale del 1907. 
Mentre al Museo Correr c'è un significativo omaggio a Carlo Scarpa, artigiano della materia e poeta del dettaglio, del quale vengono ricordati i due interventi di restyling alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, avvenuti nel 1952-53 e nel 1959-60 (dei quali vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), ancora oggi considerati un modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.
Per gli amanti della fotografia sarà, invece, imperdibile la grande retrospettiva «Robert Mapplethorpe. Le forme del classico», che porta sull’Isola di San Giorgio Maggiore oltre duecento immagini, alcune delle quali presentate in Italia per la prima volta, che pongono l’attenzione sulla perfezione aulica che permea le composizioni del maestro statunitense (New York, 1946 - Boston, 1989), assente dalla scena artistica veneziana da circa trent’anni, spaziando tra i tanti soggetti esplorati, dalla sensualità del corpo umano alla bellezza dei fiori, dalla statuaria antica ai ritratti di grandi protagonisti del Novecento.
Sempre sull’isola di San Giorgio è visitabile la mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia» (della quale vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), idealmente collegata alla rassegna muranese proposta dai Musei civici sulla produzione vetraria dei Fratelli Toso.
Mentre la Pinault Collection, le cui esposizioni sono sempre amate dagli art addicted, presenta, a Punta Dogana, la prima grande retrospettiva in Italia di Thomas Schütte (Oldenburg, Germania, 1954), con opere realizzate a partire dagli anni Settanta che gettano uno sguardo inquieto e ironico sulla condizione umana, e, a Palazzo Grassi, «La strana vita delle cose», una personale della cosentina Tatiana Trouvé, classe 1968, con sculture, disegni e installazioni site-specific che invitano i visitatori ad ampliare la propria conoscenza fisica e mentale, a guardare al di là della superficie.

Accanto alle cosiddette «grandi mostre», quelle che tutti i turisti in visita a Venezia hanno sul loro taccuino delle vacanze, alcune volte più attratti dal contenitore che dal contenuto, ci sono anche progetti artistici colti come i cantieri di restauro aperti al pubblico della Peggy Guggenheim e delle Gallerie dell’Accademia, ma anche eventi incentrati su un’unica opera, come quelli in corso a Palazzo Cini a San Vio (con Antoon Van Dyck) e alla Querini Stampalia (con Giovanni Bellini), o rassegne che profumano di buono e che, come in una macchina del tempo, ci trasportano in una Venezia di trine e merletti, di divertimenti raffinati e momenti conviviali, quella degli anni d’oro della Serenissima.

Per #Notizieinpillole, la rubrica collegata alla nostra pagina Facebook, abbiamo scelto di raccontarvi nove progetti artistici che si possono vedere a Venezia in questi caldi giorni estivi. 

#  «DI STORIE E DI ARTE», UNA MOSTRA RACCONTA TRE SECOLI DI VITA A PALAZZO VENDRAMIN GRIMANI
A Venezia ogni pietra racconta una storia. Palazzi, piazze e calli custodiscono, silenziosamente, la memoria di un passato glorioso che parla di commerci con l’Oriente, Dogi e intrighi politici, sfarzose feste di Carnevale, civettuole chiacchiere da salotto, trine e merletti, scoperte scientifiche, amori appassionati e libertini. 

Questa estate, sul Canal Grande, nel sestiere di San Polo, un’antica dimora nobiliare, a mezza via fra il ponte di Rialto e la Volta de Canal, apre le proprie porte al pubblico per mostrare la bellezza delle sue sale e far rivivere le storie di chi quegli ambienti li ha pensati, li ha vissuti, li ha amati. Si tratta di Palazzo Vendramin Grimani, simbolo di potere, cultura e mondanità nella Venezia aristocratica, oggi sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, dove è allestita la mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.

Frutto di una ricerca iniziata nel 2020, pubblicata in un corposo volume, l’esposizione ha l’ambizione di farci varcare la soglia del tempo e di immergerci nelle emozioni, nei riti e nei ritmi della Serenissima, tra giochi e svaghi colti come il teatro e la musica, tra ricevimenti conviviali e passioni collezionistiche.

Nelle sale del piano nobile e del pianoterra trovano posto documenti d’archivio, libri, mobili, argenti, ceramiche, porcellane, vetri, tessuti, abiti originali, fotografie storiche, antichi menù e opere d’arte inedite, tra le quali quattro pastelli di Rosalba Carriera (Venezia, 1673-1757) e un dipinto di Angelica Kauffmann (Coira, 1741 - Roma, 1807).

«Di storie e di arte» è, inoltre, arricchita da una selezione di video e animazioni, che intensificano il coinvolgimento del visitatore, fornendo la possibilità di incontrare «redivivi» i protagonisti della storia del palazzo, a cominciare dal doge Pietro Grimani (1677-1752), letterato di respiro internazionale, conferendo loro voce e corpo virtuali.

I Vendramin, i Grimani Giustinian e i Marcello - le famiglie che, nell’arco di tre secoli, hanno abitato queste stanze – si raccontano, dunque, e ci svelano come, attraverso una costante sedimentazione, risultato dei mutamenti del gusto proprio di ogni epoca, hanno trasformato un elegante edificio veneziano, con la facciata in pietra d’Istria lambita dall’acqua salmastrata, in uno scrigno colmo di storia, arte e alto artigianato.

Per saperne di più: https://www.fondazionealberodoro.org

Didascalie delle foto: Allestimento della mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.. Palazzo Vendramin Grimani a Venezia, sede della Fondazione dell'Albero d'Oro. Foto: © Ugo Carmeni, 2025

# A PALAZZO CINI IL «CRISTO CROCIFISSO» DI ANTOON VAN DYCK
Un altro ospite illustre anima il percorso espositivo della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, straordinaria casa-museo veneziana, un tempo dimora dell’industriale e politico Vittorio Cini (Ferrara, 1885-Venezia, 1977), «un vero raccoglitore di pittura antica», per usare una felice espressione di Federico Zeri, la cui collezione vanta mirabili testimonianze del Rinascimento toscano e ferrarese, tra cui il «San Giorgio» di Cosmè Tura.

Iniziata nel 2014 con l’«Adorazione dei pastori» di Lorenzo Lotto, in arrivo dai Musei civici di Brescia, la serie espositiva «L’ospite a Palazzo» ha portato in Laguna, anno dopo anno, capolavori come la «Madonna di Pontassieve» del Beato Angelico (2015), il «San Marco» di Andrea Mantegna (2016), il «San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (2021) e la veduta di «Santa Croce» del Bellotto (2023), provenienti rispettivamente dagli Uffizi di Firenze, dallo Städel Museum di Francoforte, dal Musée Jacquemart-André di Parigi e dal Castello di Varsavia.
Quest’anno a intrecciare inedite relazioni dialogiche e contenutistiche con la collezione della casa-museo veneziana, uno dei gioielli del Dorsoduro Museum Mile, è il «Cristo crocifisso» di Antoon van Dyck (Anversa 1599 - Londra 1641), proveniente dal Palazzo Reale di Genova, che a sua volta ospiterà, questo autunno, una coppia di dipinti ferraresi della raccolta Cini, nell’ambito di una mostra su San Giorgio.

Dipinta nel 1627, la tela raffigura il corpo di Gesù inchiodato sulla croce, che si si staglia contro un cielo cupo addensato di nubi livide, spezzate da guizzi di luce abbacinante, appena addolciti da venature rosate. Un voluminoso, quasi ingombrante, drappo bianco copre la vita, accartocciandosi sinuosamente al vento ed esaltando la figura ancora viva del Cristo che volge lo sguardo, intenso e dolente, verso il cielo.
Ad oggi non sono state trovate notizie, sulla committenza e sulla storia del dipinto, antecedenti al 1821, l’anno dell’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia insieme ai dipinti di Andrea Caerlo Gabaldoni. Venne pagato mille lire, contro le duemila che pretendeva l’antico proprietario.
Buona parte della critica considera questo lavoro, dove è chiara l’influenza di Peter Paul Rubens nella struttura compositiva e la fascinazione per il colorismo veneto nella stesura della pittura, l’unico Crocifisso autografo del maestro anversano sopravvissuto tra quelli eseguiti nei suoi anni italiani, ovvero nel periodo tra il 1621 e il 1627.

In contemporanea, e sempre fino all’8 settembre, la Galleria di Palazzo Cini a San Vio ospita l’esposizione «Spazi, soglie, luci» di Ljubodrag Andric: un’indagine fotografica su luoghi e architetture, a cura di Francesco Tedeschi, con diciassette lavori dal carattere enigmatico e sospeso, dove luce, materia e colore dialogano elegantemente tra di loro, raccontando, in un gioco di rimandi e risonanze, le corrispondenze tra le architetture veneziane e quelle indiane, conosciute dall’artista durante una serie di viaggi compiuti tra il 2021 e il 2024.

Per saperne di più: https://www.palazzocini.it/

# ALLA QUERINI STAMPALIA UN ALLESTIMENTO IMMERSIVO E SENSORIALE PER GIOVANNI BELLINI 
Si intitola «How to deal with a masterpiece. A tribune» l’omaggio che la Fondazione Querini Stampalia di Venezia fa a una delle opere più famose della sua collezione: la «Presentazione di Gesù al Tempio» (1460 ca) di Giovanni Bellini (1433 ca-1516), capolavoro del Rinascimento che ritorna a casa dopo essere stato esposto per quattro mesi a Forlì, al Museo civico di San Domenico, nella mostra «Il ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie».

Non è la prima volta che questa preziosa tempera su tavola (80 x 105 centimetri), dai colori morbidi e dal taglio narrativo intimo, lascia la sua sede storica: negli ultimi anni è stata esposta alla National Gallery di Londra, alla Gemäldegalerie di Berlino e alle Scuderie del Quirinale. Ma è la prima volta che, al suo ritorno, trova ad accoglierla, nel Salotto verde, un'architettura effimera e colorata, una sorta di guscio protettivo, che ne esalta l'importanza all'interno del percorso espositivo del museo, da poco diretto da Cristiana Collu, e consente anche una modalità di visita più riservata e avvolgente.

A firmare l’allestimento è la madrilena Izaskun Chinchilla, progettista che ha fatto del colore, della sperimentazione materica e del gusto per il dettaglio gli elementi distintivi della sua poetica visiva. Il suo stile – riconoscibile per le forme sinuose, i materiali leggeri e l’uso sorprendente della luce – trova espressione a Venezia e dà origine a uno spazio quasi fiabesco: una struttura rigida in legno di betulla, dalle curvature bombate, contiene un feltro acustico, ottenuto da bottiglie di plastica riciclate. Il tutto è circondato da tende in velluto, omaggio ai quadri di Gabriel Bella, esposti in una sala vicina, che documentano come in Laguna, ai tempi della Serenissima, «le costruzioni tessili – si legge nella presentazione - fossero funzionali a colmare, e talvolta a sfidare, gli spazi progettati per restare immutabili, trasformandoli con teatralità e imprevedibilità».

L'esperienza di visita è resa, inoltre, multidisciplinare e sensoriale, restituendo al dipinto anche i suoni e gli odori del suo tempo. L’ambiente è, infatti, pervaso da una composizione sonora originale ideata da Gavino Murgia, con ritmi arcaici che vogliono evocare «echi di spiritualità e memorie ancestrali». Mentre un profumo caldo e avvolgente, il «Mystic Incense di The Merchant of Venice – Murano Collection», ricrea suggestioni orientali e offre informazioni sulle spezie e le essenze comuni nella Venezia del XV secolo.

Per saperne di più: https://www.querinistampalia.org/it/mostre-eventi/how-to-deal-with-a-masterpiece/.

Nella foto:  Giovanni Bellini, Presentazione di Gesù al Tempio, 1475 ca. Fondazione Querini Stampalia, Venezia. Photo Adriano Mura

# A CA’ PESARO LE GEOGRAFIE EVANESCENTI DI ANTONELLO VIOLA E ELEONORA RINALDI
È Venezia, con la sua luce e la sua acqua, la protagonista della mostra «L’oro della Laguna», per la curatela di Elisabetta Barisoni, che Antonello Viola (Roma, 1966) presenta, fino al 28 settembre, nelle sale Dom Pérignon, al secondo piano di Ca’ Pesaro a Venezia. Una selezione di dipinti ad olio su vetro e su carta giapponese, realizzati negli ultimi quattro anni, molti dei quali esposti per la prima volta, compongono una geografia astratta e interiore, dai confini incerti e mutevoli, frutto di una pratica lenta e meditativa.
Antonello Viola lavora, infatti, per sovrapposizione e sottrazione, costruendo per strati e poi riducendo all’essenziale. Ne scaturisce una pittura che non descrive, ma suggerisce, abitata da immagini interiori, aperte all’interpretazione di chi guarda. Le superfici sono così luoghi sospesi e silenziosi, dove si intrecciano pigmenti, foglia d’oro, trasparenze e cancellature.
«Le fondamenta – elemento architettonico e urbanistico che argina e ridefinisce la dimensione liquida di Venezia – sono evocate – da linee essenziali che affiorano e si immergono tra le velature pittoriche, come strutture sommerse trattenute dalla memoria del colore».
Alessandro Viola instaura così un dialogo silenzioso con Giulio Aristide Sartorio, maestro simbolista in mostra in questi giorni nel museo veneziano con «Il poema della vita umana», del quale condivide l’idea dell’arte come esperienza spirituale, che trasforma la materia in veicolo di trascendenza.

Una natura sospesa tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, è al centro anche di «Órama», la personale di Eleonora Rinaldi (Udine, 1994) allestita, fino al 27 settembre, nella Project Room di Ca’ Pesaro. La mostra, per la curatela di Francesco Liggieri e Christian Palazzo, presenta sette opere realizzate dall’artista friulana a Parigi nel 2025, con visioni evanescenti nelle quali «la vegetazione si fa protagonista attiva, avvolgendo le figure umane e dissolvendone i contorni in un intreccio cromatico ipnotico».

Per saperne di più: https://capesaro.visitmuve.it/. 

Didascalie delle immagini: 1. Veduta dell'allestimento della mostra «L'oro della Laguna» di Antonello Viola, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. 2.Veduta dell'allestimento della mostra «Órama» di Eleonora Rinaldi,, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. Foto: Matteo De Fina

# «VENEZIA E LE EPIDEMIE», UNA MOSTRA ALLA FONDAZIONE CINI
È riconosciuto dagli storici come la Serenissima fosse uno stato all’avanguardia in molti campi della vita economica, istituzionale, sociale e culturale. Uno degli esempi più importanti, il cui lascito è arrivato sino ai giorni nostri, è stata la sua capacità di risposta di fronte alle epidemie, principalmente quelle di peste, che hanno colpito a più riprese la città tra la metà del Trecento e la metà del Seicento, con situazioni particolarmente drammatiche nei periodi 1348-49, 1575-77 e 1630-31.

A questa storia guarda la nuova mostra della Fondazione Giorgio Cini, allestita fino al 19 dicembre sull'isola di San Giorgio Maggiore, negli spazi della Biblioteca del Longhena, per iniziativa dell'Istituto di Storia della società e dello Stato veneziano (che quest’anno festeggia i settant’anni di attività).
«Venezia e le epidemie» (catalogo Marsilio editore), questo il titolo della rassegna, allinea, nello specifico, rari esemplari di testi e libri d’epoca, disegni e incisioni, eccezionali «fedi sanità» (i pass sanitari del tempo), oltre a editti e carteggi dei Provveditori alla sanità della Repubblica veneta.

La mostra include anche un'installazione multimediale interattiva dello studio camerAnebbia, collettivo di tre artisti - Lorenzo SartiMarco Barsottini e Matteo Tora Cellini - con sede a Milano, cresciuti nel contesto dello storico Studio Azzurro. Dai materiali digitalizzati, grazie al lavoro del Centro Digitale – ARCHiVe della Fondazione Cini, sono stati realizzati libri interattivi, che permettono non solo di sfogliare digitalmente documenti storici, ma anche di esplorare gli interni dei palazzi, immergersi nei dipinti, percorrere calli e campi della città.
Inoltre, grazie al progetto Venice Long Data, l'intelligenza artificiale ha permesso di trasformare tracce d'archivio in storie vive di veneziani vissuti durante la peste.
La mostra è aperta tutti i giorni dalle 11:00 alle 17:00, eccetto il mercoledì. Per informazioni: veneziaepidemie@cini.it | https://www.cini.it.


# ALLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA UNO SPAZIO MULTIMEDIALE PER CONOSCERE I RESTAURI E GLI STUDI SCIENTIFICI DEI LABORATORI DELLA MISERICORDIA 
È uno sguardo inedito sulle alacri attività delle Gallerie dell’Accademia di Venezia quello che offre il nuovo Spazio multimediale, una vetrina per conoscere i Laboratori della Misericordia, moderne strutture dedicate allo studio scientifico e al restauro, con un team interno dipendente dal museo lagunare e performanti strumenti di diagnostica a disposizione, come il moderno microscopio 3D-Hirox.

All’interno di questa stanza sono presentati alcuni interventi conservativi in corso e le tecniche utilizzate per la salvaguardia delle opere d’arte.
I visitatori avranno, per esempio, l’opportunità di esplorare da vicino, anche grazie a immagini ad alta definizione, uno tra i più straordinari disegni di Leonardo da Vinci: lo «Studio di proporzioni del corpo umano», universalmente noto come «Uomo vitruviano» (1490-1497 circa). Le recenti ricerche, frutto di preziosi e inediti ingrandimenti, hanno svelato curiosi dettagli mai notati, come il foro visibile nell’ombelico, testimone dell’utilizzo di un compasso, o il piccolo timbro circolare, presente nel bordo inferiore del foglio, in cui è possibile distinguere le lettere maiuscole AV (Accademia Veneta), il marchio apposto nel XIX secolo, quando il disegno entrò nelle collezioni lagunari.

Lo Spazio multimediale permette anche di mostrare immagini e dati relativi a opere d’arte estremamente delicate, che talvolta non possono essere esposte per motivi conservativi. È il caso del pastello su carta azzurra «Ritratto di bambina con ciambella» di Rosalba Carriera, che giunse alle Gallerie dell’Accademia nel 1888 con il legato di Vincenzo Omoboni Astori. Il lavoro, prezioso e fragilissimo, raffigura una bambina in posa, vestita di trine e stoffe leziose, che trattiene a sé un biscotto a forma di ciambella, un Bussolà, dolce tipico veneziano. A questa capacità descrittiva si accosta una predisposizione all’introspezione psicologica.
 
Parallelamente, la nuova sala offre la possibilità di scoprire un’altra opera del museo, «L’Allegoria della Prudenza o della Vanità» di Giovanni Bellini, che è stata recentemente esposta nella grande mostra «Corpi moderni. «La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione», a cura di Guido Beltramini, Francesca Borgo e Giulio Manieri Eli. La tavoletta, che ritrae una donna nuda, in piedi su un piedistallo, mentre addita con una mano uno specchio, è analizzabile nel dettaglio grazie agli ingrandimenti digitali del microscopio 3D. 

Per maggiori informazioni: https://www.gallerieaccademia.it

Nelle fotografie: Laboratorio muldimediale delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. © Foto di Matteo Panciera 2025

# ALLA COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM APRE UN LABORATORIO PER LO STUDIO E LA CONSERVAZIONE DELLE OPERE 
Il restauro rappresenta un tassello importante per la storia dell’arte perché è quella disciplina ponte tra passato e futuro che consente di conservare nel tempo un’opera, riparandone le ferite e, contemporaneamente, ampliando la conoscenza su un artista e il suo lavoro. Forte di questo pensiero, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha aperto, negli spazi di Palazzo Venier dei Leoni, un Conservation Lab, uno spazio innovativo che segna una svolta nel percorso di studio, manutenzione e cura delle opere collezionate nel corso di oltre trent’anni dalla lungimirante mecenate Peggy Guggenheim.

Concepito come centro di eccellenza dove rigore scientifico e innovazione tecnologica dialogano con una forte vocazione alla divulgazione, con l’intento di formare soprattutto le nuove generazioni, il nuovo laboratorio è il risultato di oltre un decennio di impegno da parte del Dipartimento di conservazione del museo, diventato oggi un punto di riferimento internazionale per lo studio delle tecniche artistiche e dei materiali utilizzati dai più importanti artisti del Novecento.

Il progetto - realizzato con il sostegno di Efg, che in passato ha affiancato l’ente culturale lagunare nel restauro di opere come «Lo studio» (1928) di Pablo Picasso, «La ragazza con il bavero alla marinara» (1916) di Amedeo Modigliani e «Scatola in una valigia» (1935–41) di Marcel Duchamp - si distingue per il suo duplice carattere di «open lab» e «open storage». Parte delle attività del laboratorio è, infatti, visibile al pubblico, offrendo ai visitatori l’opportunità di osservare da vicino il rigoroso e delicato lavoro quotidiano di conservazione. In questo luogo trovano, inoltre, spazio anche alcune sculture della collezione, attualmente non esposte, che diventano così accessibili in un contesto che unisce studio, conservazione e narrazione museale.

Tra gli interventi attualmente in corso nel nuovo spazio figurano i restauri di capolavori come «Finestre aperte simultaneamente 1° parte, 3° motivo» (1912) di Robert Delaunay, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso» (1938–39) di Piet Mondrian, «Movimento gracidante» (1946) di Jackson Pollock. Queste opere, emblematiche del linguaggio e delle sperimentazioni dei rispettivi autori, saranno oggetto di interventi altamente specializzati, riflettendo il desiderio del museo di diventare un interlocutore autorevole a livello internazionale anche nel campo della ricerca della scienza d’avanguardia applicata alla conservazione.

Il laboratorio sarà, inoltre, un centro di formazione e innovazione, aperto a giovani conservatori e studiosi che potranno apprendere le tecniche più avanzate e contribuire a progetti di ricerca, anche in collaborazione con enti accademici e partner europei. Il Dipartimento di conservazione partecipa, infatti, da anni a numerosi progetti sperimentali su materiali green e approcci sostenibili alla conservazione, contribuendo allo sviluppo di pratiche sempre più responsabili e consapevoli.

Questa estate la Collezione Peggy Guggenheim accoglie, nei suoi spazi di Palazzo Venier dei Leoni, anche la mostra «Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio», a cura di Flavia Frigeri. Settanta opere (provenienti dal Centre Pompidou di Parigi, dal Guggenheim di New York e dalla Tate Modern di Londra, ma non solo) ripercorrono l’intera carriera dell'artista portoghese, naturalizzata francese, nel periodo compreso tra gli anni Trenta e la fine degli anni Ottanta, raccontando la maturazione di un linguaggio creativo, influenzato da Paul Cézanne e dai movimenti d’avanguardia del Novecento, nel quale si ravvisa un'alternanza tra astrazione e figurazione. 

 Le composizioni di Maria Helena Vieira da Silva, caratterizzate da strutture labirintiche, ritmi cromatici e prospettive frammentate, catturano l’essenza di un mondo in perenne trasformazione. Opere come «La camera piastrellata» o «Figura di balletto» riflettono il suo interesse per l’architettura e il movimento, dove la distinzione tra figura e sfondo si dissolve, lasciando emergere una visione profondamente personale dello spazio. 


Nelle foto: Il Conservation Lab della Peggy Guggenheim Collection a Venezia. © Photo Matteo De Fina. Didascalia dell'ultima immagine: Maria Helena Vieira da Silva, Il gioco delle carte (Le Jeu de cartes), 1937. Olio e grafite su tela, 73 x 92 cm. Francia-Portogallo, Collezione privata. Courtesy Galerie Jeanne Bucher Jaeger, Parigi-Lisbona. © Maria Helena Vieira da Silva

# «ILLUSTRE SIGNORA DUSE»: ALLA FONDAZIONE CINI UNA STANZA DI LETTERE E CARTEGGI TRA ELEONORA DUSE E GLI INTELLETTUALI DELL’EPOCA 
Luigi Pirandello
 e Grazia DeleddaMariano Fortuny e Sibilla AleramoAda Negri e Giovanni PapiniIsadora Duncan e Margherita Sarfatti: sono, questi, alcuni degli artisti, scrittori e intellettuali del Novecento, con cui, nel corso della sua vita, Eleonora Duse ha avuto un intenso scambio epistolare. Questi carteggi, custoditi dall’archivio dell'attrice all’Istituto per il teatro e il melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sono al centro del libro «Illustre Signora Duse» (Marsilio, 2024), curato da Marianna Zannoni, che accoglie una selezione di cento voci che hanno intrattenuto rapporti artistici e amicali con l'artista veneta. Ricordi di incontri, scambi di opinioni, condivisione di progetti e visioni creative rivivono tra queste pagine, spunto per il nuovo allestimento della Stanza Duse, lo spazio espositivo e di ricerca che da quindici anni è aperto nell’area monumentale della Fondazione Cini, sull'isola di San Giorgio Maggiore, proprio davanti a piazza San Marco.

Fino al 6 gennaio 2026, in questo luogo, carico di fascino, viene proposto un percorso attorno a lettere, fotografie, copioni, documenti amministrativi, locandine e materiali d’epoca. Attraverso le parole di scrittori, artisti e intellettuali, l’esposizione restituisce «un omaggio intimo e corale alla grande attrice, figura centrale del teatro europeo tra Otto e Novecento», come lo definisce Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto e docente di Storia del teatro all’Università Ca’ Foscari Venezia. Il nuovo allestimento si presenta, quindi, come un viaggio tra parole, immagini e documenti.

L'Archivio Eleonora Duse, custodito dalla Fondazione Giorgio Cini, rappresenta la collezione più ampia e completa di documenti sulla vita e sull'arte della grande attrice italiana. La raccolta comprende diverse tipologie di materiali: autografi, tra cui lettere e copioni, fotografie, documenti amministrativi, abiti e oggetti.

Per visitare la Stanza Duse: visitcini.com

# DALL’ANTICO EGITTO AI GIORNI NOSTRI: A VENEZIA «UN VIAGGIO NELLA STORIA DEL PROFUMO»
Era al 1911 quando Bruno Storp e sua moglie Dora, entrambi appassionati di flaconi di profumo, iniziarono a creare una delle collezioni più belle e significative mai viste. Quella raccolta, oggi custodita dai Musei civici di Venezia, comprende oltre 3.000 pezzi rari, alcuni dei quali risalenti a quasi 6.000 anni fa.
In questi mesi estivi, Palazzo Mocenigo, elegante dimora nobiliare di impronta settecentesca, con annesso un Centro studi di storia del tessuto e del costume, presenta una selezione significativa di questi preziosi oggetti nella mostra «Viaggio nella storia del profumo», prodotta da Mavive Parfums e Zignago Vetro, con il supporto di Givaudan e la collaborazione dell’Università degli Studi di Padova.

In un viaggio nella memoria estetica e olfattiva dell’umanità, che spazia dall’antico Egitto alla modernità industriale, il visitatore può scoprire oltre cinquecento manufatti, custoditi come scrigni sotto campane di vetro.
Reperti rarissimi, dagli unguentari ai flaconi in porcellana di Meissen, fino ai capolavori d’oreficeria ottocenteschi e ai contenitori industriali del Dopoguerra, raccontano come la profumeria rifletta le civiltà che l’hanno prodotta e come questa abbia accompagnato ogni sfera della vita, trasformando essenze ora in rimedi medicinali ora in gesti estetici.
Ai reperti originali è affiancata la ricostruzione contemporanea di sette fragranze storiche realizzate partendo dalle formule originali dalla casa essenziera Givaudan.
Non manca in mostra, poi, un videomapping immersivo che attraverso proiezioni suggestive e paesaggi sonori, racconta la storia millenaria del vetro, quella «pietra liquida» che ha da sempre custodito fragranze e memorie.

Il filo rosso che collega tutto l’allestimento, di grande impatto scenografico, è un messaggio specifico: «il profumo può svanire, ma il flacone ne conserva la memoria».

Per saperne di più: https://mocenigo.visitmuve.it/.

Didascalie delle immagini: 1. Jean Paul Gaultier Le Male. Flacone a forma di torso maschile. Francia, 1995. Vetro trasparente con dettagli a rilievo; 2. Flacone a bulbo appuntito dipinto con decoro floreale. Francia, ca.1850. Porcellana e metallo. Foto: Andrea Morucchio

* [Didascalie delle immagini di copertina sulla Mostra internazionale di architettura - La Biennale di Venezia:1. AVZ. photo by Andrea Avezzù, courtesy of La Biennale di Venezia; 2. AVZ-LA LIBRERIA. Photo by Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia; 3. LC-Underground climate change. Photo by Luca Capuano, courtesy La Biennale di Venezia; 4. MZO-Deserta Ecofolie. Photo by Marco Zorzanello, courtesy of La Biennale di Venezia; 5. MZO-Elephant Chapel. Photo by Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia; MZO-The Third Paradise Perspective. Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia]