ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 11 dicembre 2024

Bologna, alla Galleria Davia Bargellini un’opera di Bartolomeo Passerotti dalla collezione Geo Poletti

Rimarrà in mostra per cinque anni al Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini di Bologna il «Ritratto di vedova» di Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), «bonisimo disegnatore e coloritore», per usare la testimonianza presente nella «Graticola» (1560 circa) di Pietro Lamo, che è stato fondamentale per la formazione della dinastia Carracci e per la nascita della grande pittura bolognese della fine del Cinquecento e dell’inizio del Seicento.
L’opera, concessa in comodato d’uso gratuito ai Musei civici d’arte antica della città felsinea, proviene dalla collezione di Ruggero Poletti, noto a tutti come Geo (Milano 1926 – Lenno, Como 2012), storico dell’arte, connoisseur, pittore e collezionista che formò la sua raccolta tra Milano, Londra e Lugano a partire dagli anni Cinquanta del Novecento.

Acquistato sul mercato antiquario il 24 marzo 1976, in un’asta nella sede londinese di Sotheby’s, e reso noto per la prima volta da Giovanna Poletti (1985), il dipinto è una significativa testimonianza della produzione tarda di Bartolomeo Passerotti, artista formatosi con Iacopo Barozzi detto il Vignola e con il coetaneo Taddeo Zuccari, che, nella sua città natale, si dedicò principalmente all’esecuzione di grandi pale d’altare in cui elementi della pittura nordica si univano a caratteri di stile tipici del Manierismo romano e delle opere modenesi del Correggio.

L’opera, databile intorno o poco dopo il 1585, raffigura senza accomodamenti un’anziana dama, che la veste nera e il velo bianco sul capo indicano in stato vedovile.
La posa con l’indice della mano inserito fra le pagine a tenere il segno nel piccolo libro di preghiera, la cui lettura è stata temporaneamente interrotta, rivela le prerogative della ritrattistica passerottiana, volta a cogliere – scrisse Carlo Cesare Malvasia nel 1678 - i personaggi «non fermi e insensati», ma «in azione e in moto», «a ciascuno […] adattando quell’azione e quel gesto che fu più particolare e frequente alla natura e al genio di quel soggetto».

Nella scheda critica dell’olio su tela, delle dimensioni di 66 x 50 centimetri, Maria Angela Ghirardi argomenta come la tipologia del soggetto rappresentato – quella dell’anziana dama devota – sia propria degli anni inoltrati dell’età tridentina. Nell’immagine si coglie, inoltre, «un nuovo accostarsi al personaggio e alla sua psicologia più «intimo» e «naturale». Illustrata senza orpelli, la vecchia si distoglie un momento dalla lettura e guarda, calma, verso lo spettatore. È forse la cordialità di una pacata vita familiare, quale trapela dall’immagine, ad aver indotto il sospetto di un’improbabile e non fondata identificazione della dama con Cornelia Ricci, seconda moglie di Passerotti».

La formula del «ritratto istoriato», ideata da Passerotti, si affermò con grande successo nell’orizzonte culturale della Bologna pontificia dopo la riforma tridentina, dove il vescovo Gabriele Paleotti stava elaborando il suo celebre trattato, edito nel 1582, in cui esplicitava la funzione pedagogica ed edificante delle immagini. L’esemplarità di vita della vedova devota pareva, quindi, ben conformarsi a questi intenti, rivelando la capacità del pittore di interpretare le esigenze dell’epoca. Tutt’altro, dunque, che finalizzato a uno scopo adulatorio, il ritratto doveva rispettare il criterio del «decoro», restituendo la fisionomia del personaggio con estrema onestà, senza alterarla o correggerla.

Apprezzato anche in altri generi artistici – fu, fra l’altro, l’iniziatore a Bologna di una nuova pittura «di genere» che, alla maniera fiamminga, tornò a guardare la vita con piglio di verità rappresentando le classi più umili nella loro quotidianità – Bartolomeo Passerotti incontra grande fortuna soprattutto come ritrattista, realizzando alcuni dei capolavori della ritrattistica cinquecentesca per l’altissima qualità esecutiva.
L’artista fu attivo per le più alte gerarchie religiose (addirittura per i papi Pio V e Gregorio XIII) e per le famiglie aristocratiche e senatorie, come era uso già nel Quattrocento. Tra queste figurano i Bargellini, per i quali il pittore realizzò una serie di ritratti rievocativi dei membri più illustri, un tempo allestiti nelle gallerie del palazzo in Strada Maggiore. Il ritratto di Filippo Gaspare Bargellini è stato riferito a Bartolomeo Passerotti da Renzo Grandi nel 1987, insieme a quelli di Ovidio e Lattanzio Bargellini; mentre i più noti ritratti di Gaspare, figlio di Filippo, e di Pietro Annibale Bargellini sono da tempo attribuiti all’artista che, secondo la testimonianza di Marcello Oretti, svolse intensa attività per questa famiglia, assieme al figlio Ventura.
«Vivificati dal gesto delle mani» (Angela Ghirardi, 1990), atteggiate secondo l’eloquenza retorica di Quintiliano, i cinque ritratti sono databili entro la prima metà degli anni Settanta del Cinquecento, ed erano probabilmente destinati a comporre una galleria di antenati e illustri esponenti del nobile casato bolognese. E proprio accanto a queste pregevoli opere di grandi dimensioni, gli eredi di Ruggero Poletti hanno espresso il desiderio che anche il «Ritratto di vedova» vada esposto, andando così ad arricchire le collezioni del Museo civico d’arte industriale e Galleria Davia Bargellini.

Grazie a questo ritratto, i bolognesi e i turisti avranno così l’occasione di incuriosirsi e, di conseguenza, di scoprire una collezione d’arte di rilievo all’interno della temperie culturale del secondo Novecento, nata anche dalla consuetudine quotidiana con Giovanni Testori e Roberto Longhi, che guarda principalmente alla pittura lombarda, allora trascuratissima, e agli artisti del Sei e Settecento che si mossero sulle orme del Caravaggio. Tra nature morte, dipinti mitologici, scene sacre e ritratti, la raccolta di Ruggero Poletti, costruita con occhio attento alla qualità e senza preclusioni verso gli anonimi e gli artisti considerati minori, annovera al suo interno artisti come Tanzio da Varallo, Il Cerano, Giacomo Ceruti e Fra’ Galgario, ma anche autori come Bartolomeo Passerotti, Camillo Boccaccino, Pier Francesco Mola e Paolo Pagani, oltre agli spagnoli Velázquez e Ribera.

Didascalie delle immagini
Bartolomeo Passerotti (Bologna, 1529 - ivi, 1592), Ritratto di vedova. Olio su tela, cm 66 x 50. Collezione Geo Poletti

Informazioni utili 
Museo civico d'arte industriale e Galleria Davia Bargellini - Bologna. Orario di apertura: martedì, mercoledì, giovedì 10.00 - 15.00; venerdì 14.00 - 18.00; sabato, domeni-ca, festivi 10.00 - 18.30; Chiuso lunedì non festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. +39 051 236708 o museiarteantica@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/daviabargellini

lunedì 9 dicembre 2024

Elliott Erwitt e Robert Doisneau, la grande fotografia del Novecento in mostra nel Cuneese

Sarà un inverno all’insegna della grande fotografia d’autore quello che offre la provincia di Cuneo ai suoi abitanti e ai tanti turisti che, in ogni mese dell’anno, raggiungono questo territorio, ricco di storia e tradizioni, alla scoperta delle Langhe e del Roero, le cui colline del vino sono patrimonio mondiale dell’Umanità di Unesco, ma anche del Parco del Monviso o di città come Mondovì, Cherasco e Racconigi.
La Fondazione Artea - rinata nel 2016 per volontà della Regione Piemonte, con l’intento di promuovere il patrimonio culturale materiale e immateriale dell’area geografica costituita dall’arco alpino compreso tra le valli monregalesi e la Val Po – propone, fino al prossimo 23 febbraio, due mostre dedicate ad altrettanti importanti fotografi del Novecento: Elliott Erwitt e Robert Doisneau, entrambi celebri per il loro approccio unico e poetico nel catturare momenti della vita quotidiana.

Quella di Elliott Erwitt, maestro dell’obiettivo scomparso il 29 novembre 2023, a 95 anni, è la sua prima mostra postuma e proprio per questa ragione assume una grande importanza storiografica, riunendo per la prima volta i più celebri capolavori in bianco e nero insieme a una serie di meno note, ma altrettanto mirabili, fotografie a colori.
Scenario dell’esposizione è La Castiglia di Saluzzo, imponente fortezza, risalente agli ultimi decenni del Duecento, dalle cui torri e terrazze è possibile ammirare il circostante borgo medioevale, ma anche, nelle giornate limpide, il maestoso «Re di pietra», il Monviso.
All’interno di questi spazi, dove sono anche allestiti i musei della Civiltà cavalleresca e della Memoria carceraria, scorrono cento scatti dell’autore franco-americano, selezionati da Bilba Giacchetti, già collaboratrice oltre che amica di Elliott Erwitt, e riuniti sotto il titolo «L’ideale fuggevole».
«Le immagini esposte sono quelle che lui amava di più. Un omaggio alla sua filosofia di vita e al suo modo di intendere la fotografia», dichiara la curatrice.
Lungo il percorso espositivo, dal quale emerge la tipica ironia del fotografo franco-americano, pervasa da una vena surreale e romantica, scorrono così gli indimenticabili ritratti di Marilyn Monroe, Grace Kelly, Muhammed Alì, Che Guevara, Jack Kerouac, Andy Warhol e Marlene Dietrich, ma anche fotografie che hanno eternato pagine importanti della grande storia del Novecento, come quella, scattata a Mosca nel 1959, con Richard Nixon che punta il dito contro Nikita Chruščëv, o quella del 1963 con Jackie Kennedy in lacrime, dietro il velo nero, durante il funerale del marito John Fitzgerald Kennedy.
Portano la firma di Elliott Erwitt, e sono visibili nella mostra a Saluzzo, anche lavori iconici come «Umbrella Jump» (1989), con una Parigi piovosa sullo sfondo e un uomo che si libra in aria a simulare il jeté (il passo tipico della danza classica) in primo piano, o «California Kiss» (1956), con un bacio ripreso all’interno dello specchietto retrovisore di una macchina, negli anni del boom economico americano, o, ancora, «Boy, Bycicle and Baguette», scattata in Provenza nel 1954 per la campagna promozionale del Turismo francese, realizzata con l’agenzia Doyle Dane Bernbach, dove è ritratto un bambino dall'aria monella, in sella a una bici dietro al nonno, con, attaccate al portapacchi, due lunghe baguette.
Non mancano in mostra i celebri scatti dedicati ai cani, «creature comprensive, presenti ovunque nel mondo», che «non chiedono le stampe», «persone interessanti con più peli», come aveva dichiarato l’autore franco-americano, con la sua consueta ironia, in un’intervista del 2013. Fra i numerosi esempi, nei quali i cani appaiono catturati in situazioni surreali e buffe, spicca «Usa, New York City, 2000», l’immagine di due bulldog, uno dei quali è ritratto in modo tale da apparire come se avesse delle gambe umane.
Ci sono in mostra a Saluzzo anche le fotografie dedicate all’infanzia, della quale il fotografo franco-americano ci restituisce l’innocenza e la spontaneità, a cominciare dal bellissimo scatto con Ellen, la prima figlia neonata dell’artista, osservata attraverso gli occhi amorevoli della madre.

Se Elliott Erwitt è noto per il suo occhio attento a momenti bizzarri, comici e surreali, spesso nascosti nella routine quotidiana, Robert Doisneau, considerato, insieme a Cartier-Bresson, il padre fondatore della fotografia umanista e del fotogiornalismo di strada, ci restituisce la vita della sua città natale, Parigi, negli anni della Liberazione e del Dopoguerra, con uno sguardo nostalgico e poetico, avvalendosi del rigore e dell’eleganza del bianco e nero.
L’intensa parabola creativa del fotografo francese, che si faceva chiamare «il pescatore di momenti», rivive, questo inverno, al Filatoio di Caraglio, sede, in passato, di una delle più antiche fabbriche di seta esistenti in Europa, fondata nel 1676 dalla famiglia Gallizzo, che oggi, accanto a un qualificato cartellone di mostre temporanee, ospita un museo dedicato all’arte serica, dove vengono spiegati i processi di trasformazione dei bozzoli in tessuti preziosi.
Un centinaio di immagini
– selezionate dai curatori Gabriel e Chantal Bauret, con il supporto di Francine Derouidille e Annette Doisneau – raccontano la periferia parigina e la vita della gente comune, tra banlieue e bistrot, tra bambini che giocano e animali incontrati per strada, a cominciare dallo scatto più famoso, quello pubblicato sulla rivista «Life» nel 1950, che immortala il bacio di una coppia in mezzo a una strada, tra il passeggiare veloce e indifferente della gente, davanti all’Hôtel de Ville di Parigi.
Il percorso espositivo getta, poi, luce anche su un lato ancora poco indagato nella produzione del fotografo d’Oltralpe, quello dedicata al mondo del lavoro e all’attività delle fabbriche francesi.
L’esposizione, intitolata «Trame di vita», inizia, infatti, con un reportage realizzato nel 1945 nella manifattura tessile di Aubusson, nella Francia centrale, su commissione della rivista «Le Poin», dove vengono documentate l’operosità degli artigiani e le varie fasi di realizzazione degli arazzi.
Il progetto fotografico viene esposto per la prima volta al pubblico ed è messo in dialogo con i reportage svolti su incarico di importanti realtà industriali, come la Renault o le miniere di Lens, per raccontare l’evoluzione del mondo produttivo nella seconda metà del XX secolo.
Per la fabbrica automobilistica francese, dove lavora, poco più che ventenne, nella sezione pubblicitaria per cinque anni, Robert Doisneau fotografa le vetture, le catene di montaggio con macchinari e ingranaggi, le mense, i lavoratori, tra le scintille di polveri di magnesio e nei momenti di pausa sdraiati tra gli pneumatici, dimostrando da subito il suo sguardo empatico e rispettoso nei confronti degli altri.
L'artista ha già allora, forse inconsapevolmente, un progetto in testa, lo stesso che anima tutta la sua attività e che racconta a Frank Horvat nel 1990 con queste parole: «Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. [...] Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

Didascalie delle immagini
1. Elliott Erwitt, «Boy, Bycicle and Baguette», France, Provence, 1955 © Elliott Erwitt;2. Elliot Erwitt, «Umbrella Jump», France, Paris, 1989 © Elliott Erwitt; 3. Elliott Erwitt, «Usa, New York City, 2000», 2000 © Elliott Erwitt; 4. Elliott Erwitt, Marilyn Monroe, Usa, Reno, Nevada, 1960 © Elliott Erwitt; 5. Robert Doisneau, «Le Baiser de l'Hôtel de ville», Paris, 1950. © Atelier Robert Doisneau; 6. Robert Doisneau, «Aubusson, basse lisse», 1945. ©Atelier Robert Doisneau; 7. Robert Doisneau, «Les frères, rue du Docteur Lecène», 1934. ©Atelier Robert Doisneau

Informazioni utili
«Robert Doisneau. Trame di vita». Filatoio, via Matteotti, 40 – Caraglio (Cuneo). Orari: giovedì e venerdì, dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi, dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; le agevolazioni e le gratuità sono consultabili sul sito fondazioneartea.org; per dettagli e prenotazioni è possibile scrivere a info@fondazioneartea.org o telefonare allo 0171.1670042 (dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17.00). Fino al 23 febbraio 2025 

«Elliott Erwitt. L’ideale fuggevole». La Castiglia di Saluzzo, piazza Castello, 1 – Saluzzo (Cuneo). Orari: venerdì dalle ore 15 alle ore 19; sabato, domenica e festivi dalle ore 10 alle ore 19. Ingresso: intero 12 euro, ridotto 9 euro; sono previste tariffe agevolate per gruppi e scuole di ogni ordine e grado; i biglietti sono acquistabili in prevendita su ticket.it o alla biglietteria dello spazio museale. Per informazioni e prenotazioni: musakids@itur.it. Siti internet: www.visitsaluzzo.it | www.fondazioneartea.org. Fino al 23 febbraio 2025

venerdì 6 dicembre 2024

«Murano illumina il mondo»: undici lampadari d’artista per il Natale di Venezia

Pochi luoghi al mondo evocano un senso di meraviglia come Murano, l’isola veneziana che da secoli brilla grazie alla sua eccellenza nella lavorazione del vetro. Qui, la perizia artigianale della soffiatura e la modellazione della materia con il calore incandescente del fuoco hanno raggiunto vertici di maestria anche grazie al coinvolgimento di artisti e designer.
Tra le creazioni più iconiche occupano un posto d’onore i lampadari, la cui tradizione risale al XVII secolo. Si tratta di manufatti che incantano i collezionisti e i semplici amanti dell’arredamento di lusso con le loro braccia sinuose, i pendenti di cristallo trasparente o colorato, i dettagli floreali che sembrano sospesi in un tempo rarefatto.

Da due anni questo oggetto d’uso quotidiano è al centro del progetto espositivo «Murano illumina il mondo», promosso da «The Venice Glass Week», con il Comune di Venezia.
Per tutto il periodo natalizio e fino al 4 marzo 2025, al calare della sera, undici creazioni originali e inedite, nate dalla collaborazione tra undici importanti artisti e architetti di fama internazionale con alcune tra le più prestigiose fornaci muranesi, illumineranno «il salotto più bello del mondo»: la veneziana piazza San Marco.
Il risultato è una suggestiva installazione urbana che trasforma le volte delle Procuratie vecchie, che si estendono per centocinquantadue metri dalla Torre dell’Orologio verso l’Ala napoleonica, con un portico di ben cinquanta arcate a tutto sesto, in uno scintillante museo a cielo aperto, simbolo perfetto dello spirito che anima le feste natalizie, da sempre caratterizzate da un raffinato dialogo tra la bellezza e la luce, metafora di rinascita e speranza.

A selezionare i partecipanti per questa seconda edizione di «Murano illumina il mondo» è stato un Comitato scientifico composto dalla storica del vetro Rosa Barovier Mentasti, dai curatori Mario Codognato e Alma Zevi, da David Landau, trustee di Pentagram Stiftung, e da Chiara Squarcina, direttrice scientifica della Fondazione Musei civici di Venezia. Mentre il coordinamento tra artisti e fornaci è stato affidato a Matteo Silverio.
«Ognuno degli undici lampadari è stato disegnato, progettato e realizzato appositamente per la rassegna rispettando specifici parametri di dimensione, peso e caratteristiche strutturali per garantire il totale rispetto del delicato luogo in cui sono stati installati», fa sapere «The Venice Glass Week», l’ente organizzatore della mostra del quale fanno parte il Comune di Venezia, i locali Musei civici, «Le stanze del vetro» (con la Fondazione Giorgio Cini e Pentagram Stiftung), l’Istituto veneto di Scienze, Lettere ed Arti e il Consorzio Promovetro Murano.

Tra i grandi maestri internazionali che hanno accettato la sfida di confrontarsi con le tecniche vetrarie, fondendo il proprio inconfondibile stile con una sapiente artigianalità dalla tradizione millenaria, c’è Joseph Kosuth, esponente di punta dell’arte concettuale, noto per il suo approccio filosofico alla pratica creativa, che, con il maestro Marco Barbini, all’interno della fornace «Barbini Specchi Veneziani», ha realizzato «Enlighten’s the Word», un manufatto in vetro specchiato, invito a riflettere sui principi dell’Illuminismo, che ricrea la silhouette astratta di un lampadario classico «Rezzonico» e la rende tridimensionale e auto-riflettente.
Un riferimento alla storia veneziana è presente anche nell’opera realizzata dall’architetto giapponese Kengo Kuma, noto per le sue «creazioni contestuali» nelle quali si respira grande attenzione per l’ambiente culturale e naturale circostante, recentemente autore della nuova veste del Centro d’arte moderna «Gulbenkian» di Lisbona e delle scenografie per l’opera «Simon Boccanegra» di Giuseppe Verdi al teatro San Carlo di Napoli. Il lampadario «dieXe» (termine che significa «dieci» in lingua veneta) è una celebrazione delle «bricole» veneziane, le «sentinelle della Laguna» formate da due o più grossi pali in legno, che delimitano la parte navigabile anche in condizione di bassa marea, qui usate come calco per la texture delle lastre di vetro del lampadario, sviluppate in un percorso modulare a incastro. A rafforzare ulteriormente il legame tra l’opera e il territorio è la scelta del colore: l’iconico verde pavone della fornace Salviati, che ben rappresenta le magnetiche sfumature dell’acqua lagunare.
Suggestioni veneziane animano anche la creazione del pittore tirolese Hans Weigand che, con Nicola Causin della fornace «Berengo Studio», ha dato vita a «Venetian Wavebreakers Chandelie», raffigurazione di due dighe frangiflutti realizzate interamente in vetro, che vogliono raccontare la fragilità della Serenissima, sempre di più a confronto con il fenomeno dell'innalzamento delle acque, anche a causa del cambiamento climatico.
Mentre racconta il volto di Venezia come città di pesci e pescagione «Bilancia» di Marina e Susanna Sent, una lampada a sospensione dalle linee essenziali e geometriche, realizzata manualmente con la tecnica del vetro a lume, che usa come elementi di raccordo i fili delle caratteristiche reti da pesca della Laguna nord.

Il grande designer francese Philippe Starck ha, invece, raccolto la sfida realizzando, con Aristide Najean e sotto la supervisione del maestro vetraio Cristiano Rossetto, «Quadri», un lampadario surreale in ametista scura, con motivi floreali che trasportano in un mondo dominato dalla bellezza e dalla poesia.
I fiori caratterizzano anche «Colpo di vento», l’opera che l’artista nipponica Kimiko Yoshida ha realizzato, con il maestro vetraio Gianni Seguso, per «Murano illumina il mondo». Il suo lampadario reinterpreta il «Rezzonico» barchetta classico, in una commistione tra Rococò veneziano e minimalismo giapponese, che trae ispirazione dai colori del fiore di ciliegio, simbolo nazionale nel suo Paese natale.

Dal confronto con la tradizione, rivisitata in chiave moderna e sperimentale, nasce anche «TransFormation», la creazione di Deborah Czeresko che, in collaborazione con la fornace «Massimiliano Schiavon Art Team», ha rivisitato il lampadario classico sostituendo i suoi bracci a S con le forme sinuose di coloratissimi serpenti, dalle pelli magicamente squamate di murrine, dalle cui lingue fuoriescono fasci di luce.

Mentre il designer francese Emmanuel Babled, del quale è stata appena pubblicata una monografia sul suo lavoro da 5 Continents Editions, prosegue la sua ricerca più che trentennale sui materiali d’eccellenza, coadiuvata nella fase di produzione da «la main des autres», ovvero da «la mano degli altri». E presenta, in collaborazione con il maestro vetraio Marino Gabrielli della fornace «NasonMoretti», il suo «Digit Light», un gioioso lampadario composto da ventitré sfere in vetro soffiato a mano e otto sorgenti luminose che trae ispirazione dalla cultura Pop degli anni Sessanta.

Passeggiando sotto le volte delle Procuratie vecchie si trovano, poi, «Inariaa» di Arturo Tedeschi, un elegante ed etereo poliedro sospeso nel vuoto realizzato grazie alla maestria di Nicola Moretti e Stefano Bullo, «AZ 2024», un lampadario dalle tonalità blu creato dagli studenti dell’Istituto «Abate Zanetti» con Eros Raffael, e «Solomon Chopsticks», l’inedita creazione del duo Fiedler O Mastrangelo, ideata con la fornace di Giorgio Giuman, dove le linee astratte delle bacchette asiatiche evocano il simbolismo del nodo di Salomone, rappresentazione iconografica dell’eterno, ennesima prova della malleabilità del vetro e del suo alto potere espressivo.

Per gli amanti dell'artigianalità muranese e delle tradizioni natalizie si consiglia, infine, di dirigersi verso Rialto dove, nella chiesa di San Salvador, sarà visibile, dal 15 dicembre 2024 al 15 gennaio 2025, un grande albero di Natale in vetro, di due metri e mezzo di altezza e con quaranta luci. Il manufatto, anche questo ispirato al design iconico del lampadario veneziano, è realizzato dal maestro Pierpaolo Seguso della storica Vetreria Seguso, le cui radici risalgono al 1397 e che nel 2023 è stata riconosciuta dal Ministero della Cultura come «Patrimonio nazionale».
Il verde dell'albero e il bianco delle candele si fondono con decorazioni festose, rappresentate dai classici bastoncini di caramella - i «candy canes» rossi e bianchi -, da palle rigorosamente rosse e da tre preziose sfere dorate, in ricordo del primo Babbo Natale, San Nicola o San Nicolò, che è anche il patrono e il protettore dei vetrai, custodi di una tradizione che, da secoli, «illumina il mondo».

Didascalie delle immagini
1.Quadri, artista Philippe Starck e Aristide Najean, maestro Cristiano Rossetto, fornace Najean & Sy. Ph. Giorgio Bombieri; 2. Colpo di vento, artista Kimiko Yoshida, maestro Gianni Seguso, fornace Seguso Gianni Murano. Ph. Giorgio Bombieri; 3. TransFormation, artista Deborah Czeresko, maestri Giorgio Valentini, Claudio Zama e Massimiliano Schiavon + Wili Bardella (moleria), fornace Massimiliano Schiavon Art Team. Ph. Giorgio Bombieri; 4. Digit Light, artista Emmanuel Babled, maestro Marino Gabrielli, fornace NasonMoretti. Ph. Giorgio Bombieri; 5. dieXe, artista Kengo Kuma, fornace Salviati. Ph. Giorgio Bombieri; 6. Enlighten’s the Word, artista Joseph Kosuth, maestro Marco Barbini, fornace Barbini Specchi Veneziani. Ph. Giorgio Bombieri; 7. Venetian Wavebreakers Chandelier, artista Hans Weigand, maestro Nicola Causin, fornace Berengo Studio. Ph. Giorgio Bombieri; 8. Albero di Natale di Seguso Vetri d'arte per la Chiesa di San Salvador a Venezia

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