Ci vuole coraggio a dire «no» e così, per non cedere al ricatto di chi si crede più forte e non omologarsi all’osanna della folla, abbandonare per sempre le certezze della propria quotidianità, restando fedeli solo alla propria coscienza. Certe volte quel coraggio lo si paga con una severa solitudine e molte difficoltà, altre volte con la vita stessa. Spesso quei «no» -frutto di ideali di dignità, onestà intellettuale e coerenza interiore- finiscono per essere dimenticati, fino a quando la Storia li sottrae al proprio oblio e li trasforma in torce che illuminano la strada verso la libertà e il sogno di un mondo migliore. È il caso della vicenda dei dodici professori universitari che nel 1931 rifiutarono di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista, consapevoli di andare incontro a conseguenze pesantissime per le proprie vite professionali e personali.
Erano solo dodici uomini su milleduecentotrentotto. Si chiamavano Gaetano de Sanctis, Mario Carrara, Giorgio Levi della Vida, Vito Volterra, Lionello Venturi, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Bonaiuti, Fabio Luzzato, Piero Martinetti, Giorgio Errera, Francesco Ruffini ed Edoardo Ruffini.
«Erano differenti –ricorda Giorgio Boatti nel libro «Preferirei di no» (Einaudi, Torino 2011), dedicato alle loro storie- per origini, carattere, modi di pensare, attitudini sociali e radicamento alla vita».
Avevano in comune solo una cosa: si sentivano estranei alla servile grevezza del mondo che li circondava. E con la loro scelta di andarsene, perdendo per sempre la cattedra, diedero inconsapevolmente ai loro allievi una lezione indimenticabile, forse la lezione più bella della loro carriera: insegnarono, per usare le parole del filosofo Piero Marinetti, «che le cose esteriori in fondo poco importano e che nulla ci è tolto quando ci resta ciò che deve accompagnarci in vita e in morte». Fu una lezione quella, però, che gli allievi avrebbero capito solo dopo, forse troppo tardi.
Alla storia, liberamente romanzata, di uno di questi dodici coraggiosi professori universitari è dedicato lo spettacolo «Il giuramento» del drammaturgo e giornalista Claudio Fava, prodotto dal Teatro Stabile di Catania, in scena fino a domenica 25 febbraio al Menotti di Milano.
A portare in scena questo bel testo di impegno civile sono David Coco, Stefania Ugomari Di Blas, Antonio Alveario, Simone Luglio, Liborio Natali, Pietro Casano, Federico Fiorenza, Luca Iacono e Alessandro Romano.
Le musiche sono firmate da Cettina Donato, compositrice, arrangiatrice e pianista italiana, prima donna italiana a dirigere orchestre sinfoniche con repertorio jazz.
La storia raccontata, che si avvale della regia rigorosa, semplice e proprio per questo saggia di Ninni Bruschetta, è quella di Mario Carrara (Guastalla, 2 novembre 1866 – Torino, 10 giugno 1937) , medico legale e docente universitario, che insegna ai suoi studenti a coltivare il gusto del dubbio, ma anche a non intrupparsi, travestirsi ed esibirsi.
«Vedovo, solitario, ironico e inacidito al tempo stesso», con un impegno volontario nel carcere di Torino dove va a lenire più le pene del cuore che quelle del corpo, Carrara è un uomo semplice, che vive per la scienza, «ancora abituato -racconta Claudio Fava- a censire gli uomini e le anime con l’algida geometria di Cesare Lombroso: fronte, ossa, sguardo, fiato, pelle…». Ma è anche un uomo capace di guardare al dettaglio, al particolare con la curiosità di chi sa che non tutto è come sembra.
Attorno a lui corre l’Italietta conformista dei primi anni del Fascio: gli studenti con la tessera del Guf, le camicie nere inamidate, i fez col fiocco, le canzoncine come «Faccetta nera», il finto perbenismo, le conversazioni vaghe e discrete dei colleghi, le brume umide di una città del Nord e quel sentimento comune ai più di non voler guardare in faccia alla realtà, perché voltare gli occhi altrove è più facile e tranquillo.
«Sulla politica, fatta di goliardia e di lettere maiuscole, Carrara -racconta ancora Claudio Fava- nutre un disagio estetico più che ideologico. Gli sembrano ridicoli certi suoi studenti inamidati in camicia nera e pugnaletto. Gli vengono a noia le finte orazioni dei colleghi più anziani sulla patria e sul destino. Troppo poco per un turbamento o per una ribellione: la vita potrebbe scorrere senza pieghe».
Ma certe volte il destino bussa alla porta e bisogna prendere una decisione: Carrara non giura la sua sottomissione e fedeltà al fascismo. Non vuole. Non può.
Il resto è storia: il medico di Guastalla, ormai 65enne, viene escluso da tutte le cariche pubbliche. La sua casa è perquisita nell'ambito dell'operazione che porta all'arresto di Vittorio Foa e Massimo Mila. Nell’ottobre del 1936 è arrestato per attività contro il regime fascista e solo la sua età avanzata lo salva dal confino. Detenuto alle carceri Nuove di Torino, continua a lavorare al suo «Manuale di medicina legale» fino alla morte, avvenuta nel giugno del 1937.
A guidare lui e gli altri nella scelta di non giurare fu, secondo Fava, «l’incapacità della menzogna, il rigore illuminista del sapere, la noia per le liturgie del fascismo. Ma anche l’intuizione sul destino del Paese, sul modo in cui furbizie e conformismi avrebbero trasformato l’Italia di quegli anni in una terra senza libertà e senza decenza».
Ecco così sotto i riflettori del teatro Menotti di Milano un importante lavoro d’impegno civile che racconta la storia di un'Italia a cui era rimasta solo un'estrema risorsa di dignità: il diritto di dire no, senza pensare alle conseguenze di quel gesto coraggioso.
Ma il Mario Carrara che racconta Claudio Fava non è un eroe e un martire, è un uomo qualunque che sente il bisogno di vivere in libertà. Improvvisamente capisce anche le menzogne della sua vita monotona: le pastiglie rosse e blu, il pezzetto di mela che mangia ogni mattina in istituto, l'amore sempre sopito per la sua giovane assistente Tilde.
Il Carrara interpretato da David Coco non vuole dare insegnamenti, vuole sono essere onesto con la propria coscienza: «Io lo faccio solo per me», dice. Non vuole diventare un modello, vuole solo dimenticare quello che lo circonda, quella parata di uomini diventati manichini nelle mani del potente di turno: «Io sono uno scienziato, perché devo essere politico?», afferma ancora il protagonista. L'unico giuramento che sa di dover fare è quello di Ippocrate, gli altri non gli sono utili per guarire un uomo o per fare un'autopsia.
«Ribellarsi si può sempre, basta volerlo», così senza retorica e senza luci della ribalta, sembra dire il Mario Carrara di Claudio Fava allo spettatore, invitandolo a rispondere, nel silenzio della propria coscienza, a una domanda chiara: «Tu giureresti?», «Tu avresti giurato?».
Informazioni utili
Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11 – Milano. Prezzi: intero 28.00 € + 1.50 € prevendita, ridotto over 65/under 14 - 14.00 € + 1.50 € prevendita, martedì e mercoledì posto unico 14.00 € + 1.50 € prevendita. Orari biglietteria: dal lunedì al sabato, dalle ore 15.00 alle ore 19.00; domenica (solo nei giorni di spettacolo) ore 14.30-16.30; cquisti online con carta di credito su www.teatromenotti.org. Orari spettacolo: martedì, giovedì e venerdì, ore 20.30; mercoledì e sabato ore 19.30 (eccetto le prime ore 20.30); domenica ore 16.30; lunedì riposo. Informazioni: tel. 02 36592544 o biglietteria@tieffeteatro.it
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