Mentre Claude Monet, Camille Pissarro, Alfred Sisley e molti altri collocavano il loro cavalletto sulle sponde della Senna o in mezzo a campi assolati, studiando appassionatamente la pittura en plein air, vera e propria cifra stilistica del movimento impressionista, c’era un artista che si divertiva a ritrarre la vita notturna di Parigi, cogliendo le atmosfere delle sale da ballo, dei caffè-concerto e dei palcoscenici più in voga nella capitale francese sul finire dell’Ottocento. Quell’artista era Henri de Toulouse-Lautrec (Albi, 24 novembre 1864 – Saint-André-du-Bois, 9 settembre 1901), emblema indiscutibile di un’epoca, la leggendaria e scintillante Belle Époque, di cui contribuì a fissarne per sempre nella memoria del tempo, con il suo sguardo disincantato e il suo stile anticonformista, protagonisti, umori, colori e illusioni.
Montmartre e i suoi locali, il Moulin Rouge e le sue ballerine di can-can, l’Opéra e i suoi concerti, il bistrot alle Folies-Bergère e i suoi bevitori d’assenzio, le «maisons closes» parigine e le loro prostitute, le stelle effimere del cabaret e le vedette del tempo, dal cantante Aristide Bruant alla bella Yvette Guilbert: questo era l’universo vissuto e rappresentato dall’artista francese, di cui rimane sulla tela o sui fogli di carta il lato più malinconico e amaro, come ben documenta la mostra curata da Stefano Zuffi per il gruppo Arthemisia, che porta, fino al prossimo 3 settembre, circa centosettanta opere provenienti dall’Herakleidon Museum di Atene negli spazi di Palazzo Forti a Verona.
Litografie a colori (da «Jane Avril» del 1893 a «Troupe de Mlle Églantine» del 1896, passando per l’album «Elles» del 1896), manifesti pubblicitari (come «Aristide Bruant nel suo cabaret» del 1893 e «La passeggera della cabina 54» del 1895), grafiche promozionali, illustrazioni per giornali (tra cui «La revue blanche» del 1895), vignette satiriche, disegni a matita e a penna, acquerelli, insieme a video, fotografie e arredi dell’epoca riscostruiscono uno spaccato della Parigi bohémienne. Riportano i visitatori indietro nel tempo, in un’epoca frivola e peccaminosa, piena di joie de vivre, svaghi serali, luci artificiali, risate artefatte e applausi per cabarettisti, ballerine e chansonniers, artisti abili nel nascondere le nubi che correvano sulla loro anima e le ombre fuggevoli che passavano sul loro viso sotto il trucco pesante e gli abiti vistosi, dietro le luci della ribalta, ma non all’occhio di Toulouse-Lautrec.
Osservatore implacabile e attento dell’animo umano, il pittore filtrava il mondo attraverso le frustrazioni della sua vita e capiva empaticamente il dolore e l’insoddisfazione degli altri, il sorriso forzato e lo sguardo perso di chi avrebbe voluto essere altrove. Afflitto da una malattia genetica alle ossa, assimilabile al nanismo, l’artista si condannò, infatti, a una vita infelice fatta di piaceri facili ed estemporanei, alcol e sesso a pagamento in primis, morendo a causa della sifilide a soli trentasei anni, ma lasciando dietro di sé un corpus di opere dai numeri considerevoli per essere stato realizzato in soli vent’anni: 737 tele, 275 acquerelli, 363 stampe e manifesti, 5.084 disegni.
Più che mai fedele al suo principio che «solo la figura esiste» e che il paesaggio non è che un accessorio», Toulouse-Lautrec regala al nostro sguardo ritratti di donne sole, silenziose, osservate senza la minima intenzione caricaturale o di vignetta cronachistica, ma anche un album di litografie dedicato a Yvette Guilbert, soprannominata la «Diseuse» (la fine dicitrice) e rimasta nell’immaginario collettivo per i suoi lunghi guanti neri fino al gomito, e lavori con Jane Avril, celebre stella del cabaret parigino, effigiata, per esempio, nel can-can insieme ad altre ballerine nell’opera «La compagnia di Mademoiselle Eglantine» (1896).
Lungo il percorso espositivo si trovano anche una sezione dedicata all’amore di Toulouse-Lautrec per i cavalli, con opere come «Il fantino» (1899) e «The pony Philibert» (1898), e un’altra incentrata sulle commissioni per le riviste «Le Rire» ed «Escarmouche», per le quali l’artista disegnava vignette di satira politica e di costume.
Al centro della mostra vi è, poi, una sezione preziosa con una serie di disegni a matita e a penna: schizzi di volti, atteggiamenti, silhouette e caricature, di travolgente freschezza e mordente incisività. Il lapis è stato il compagno fedele nella lunga e obbligata immobilità durante le convalescenze dalla malattia, il modo per vincere la noia delle stazioni termali, la piccola condanna negli esercizi obbligati durante la fase di formazione accademica, lo strumento più immediato per vedere e interpretare il mondo, quella Parigi di fine secolo, vitale e contraddittoria, di cui Toulouse-Lautrec ha consegnato alla storia luci e ombre.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Henri de Toulouse-Lautrec, Au Concert (Before Letters), 1896. Litografia a colori, 32x25,2 cm. © Herakleidon Museum, Atene; [fig. 2] Henri de Toulouse-Lautrec, Jane Avril (Before Letters), 1893. Litografia a colori, 124x91,5 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece; [fig. 3] Henri de Toulouse-Lautrec, La Troupe de Mademoiselle Églantine, 1896. Litografia a colori, 61,7x80,4 cm. © Herakleidon Museum, Athens Greece Greece
Informazioni utili
«Toulouse Lautrec. La Belle Époque». AMO – Palazzo Forti, via Achille Forti, 1 - Verona. Orari: lunedì, dalle ore 14.30 alle ore 19.30; da martedì a domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 14,00, ridotto € 12,00, ridotto gruppi € 10,00, ridotto universitari € 9,00, ridotto scuole da € 5,00 a € 3,00, per altre tariffe si consiglia di vedere la pagina http://www.mostratoulouselautrec.it/informazioni-visite-orari-biglietti-prenotazioni.html. Informazioni: tel. 045.853771. Sito internet: www.mostratoulouselautrec.it. Fino al 3 settembre 2017.
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