ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 27 luglio 2017

«Spartaco», la schiavitù nel mondo antico e oggi

La storia di Roma è la storia di una società, di una cultura e di un'economia essenzialmente schiaviste. Il nostro sguardo ammirato rivolto all'antico non deve nasconderci questa verità: l'impero romano e la sua organizzazione così avanzata, che in alcuni casi ha fatto parlare di proto-capitalismo, non avrebbe potuto reggersi senza lo sfruttamento, abilmente organizzato, delle capacità e della forza lavoro di milioni di individui senza libertà, senza diritti e senza proprietà, neppure quella del proprio corpo. Senza gli schiavi, motore silenzioso e quasi invisibile dell’impero, difficilmente si sarebbe sviluppato il latifondo a cultura intensiva. Il commercio non avrebbe potuto distribuire merci su scala globale solcando numerose rotte, così come l’industria tessile, le fabbriche dei laterizi, la produzione industriale della ceramica e le imprese estrattive di cava e di miniera non avrebbero potuto far fronte ai consumi delle grandi concentrazioni urbane sorte intorno al Mediterraneo. Persino il divertimento e il tempo libero –ovvero tutto quel sistema che comprendeva teatro, circo e terme– non avrebbe potuto sopravvivere senza una larga percentuale di lavoro servile. Basti pensare che stime recenti hanno calcolato la presenza tra i 6 e i 10 milioni di schiavi su una popolazione di 50-60 milioni di individui.
A questa storia rivolge la propria attenzione la mostra «Spartaco. Schiavi e padroni a Roma», ospitata fino al 17 settembre al Museo dell’Ara Pacis di Roma, che vede il coinvolgimento nella parte curatoriale di un team di archeologi, scenografi, registi e architetti, coordinato dal punto di visto scientifico da Claudio Parisi Presicce, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo.
Oltre duecentocinquanta reperti archeologici provenienti da importanti istituzioni italiane e straniere come il Louvre di Parigi, i Musei Vaticani, la Galleria Tretyakov di Mosca, il Maschio Angioino di Napoli e le Terme di Diocleziano (solo per fare qualche nome) ricostruiscono la complessità del mondo degli schiavi nell’antica Roma a partire dall’ultima grande rivolta guidata da Spartaco tra il 73 e il 71 a.C., una protesta che coinvolse oltre settantamila gladiatori della Scuola di Capua e che venne repressa nel sangue da una decina di legioni al comando di Crasso.
Le opere sono inserite in un racconto immersivo composto da installazioni audio e video che riportano in vita suoni, voci e ambientazioni del contesto storico, la cui regia visiva e sonora è stata curata da Roberto Andò.
Il percorso espositivo è, inoltre, arricchito da una selezione di dieci fotografie, selezionate da Alessandro Mauro di Contrasto e firmate da Lewis Hine, Philip Jones Griffith, Patrick Zachmann, Gordon Parks, Fulvio Roiter, Francesco Cocco, Peter Magubane, Mark Peterson e Selvaprakash Lakshmanan, che rappresentano forti denunce visive di forme di schiavismo dell’epoca post-industriale e contemporanea.
L’attenzione all’attualità in mostra è data anche dai contributi forniti dall’Ilo - Organizzazione internazionale del lavoro, agenzia specializzata delle Nazioni Unite nei temi della politica sociale, impegnata nell’eliminazione del lavoro servile e di altre forme di schiavitù legate al mondo del lavoro.
Il percorso si snoda attraverso undici sezioni, a partire da «Vincitori e vinti», in cui si racconta l’età delle conquiste e la riduzione in schiavitù di decine di migliaia di vinti in ogni campagna militare: 300.000 prigionieri a seguito delle guerre puniche, 30.000 dalla sola città di Taranto nel 209 a.C., 150.000 durante le razzie dell’Epiro, 40.000 arrivati dalla Sardegna nel 174 a.C., altri 50.000 da Corinto nel 146 a.C.., circa 150.000 presi tra i Cimbri e i Teutoni ai tempi di Caio Mario e, secondo alcune fonti, più di un milione, catturati dall’esercito di Giulio Cesare in Gallia.
A mantenere alto il numero degli schiavi nell’antica Roma era, fin dai tempi remoti, la loro riproduzione naturale, ovviamente favorita dai padroni, ma anche la povertà, che costringeva molti a vendere i propri figli e a farne così dei servi, o le pendenze con la legge.
Di sezione in sezione, il visitatore può scoprire, per esempio, che gli schiavi domestici -cuochi (praepositus cocorum), camerieri (ministratores), assaggiatori (praegustatores), barbieri (tonsores), pettinatrici (ornatrices), addetti al guardaroba (ad vestem) o ai gioielli (ab ornamentis) e portatori di lettighe (lecticarii)- avevano dei privilegi rispetto agli addetti ai lavori pesanti, concentrati principalmente nei campi e nelle miniere, e in alcuni casi creavano addirittura rapporti di affetto e intimità con i loro padroni.
Difficile era anche la situazione delle donne. «Prehende servam: cumvoles, uti licet», ovvero «Prenditi la schiava come vuoi, come è tuo diritto», è quanto si legge, per esempio, in un graffito pompeiano. I padroni utilizzavano, dunque, le loro serve come un bene su cui investire, mettendole incinte o favorendo il loro accoppiamento, vendendole a casa di piacere o destinandole ad ambienti particolari della propria casa, le cosiddette cellae meretricae. Non possiamo, però, escludere del tutto che talvolta le schiave-amanti acquisissero ruoli di rilievo nella vita familiare, come nel caso della schiava di Moregine, che poteva sfoggiare un dono prezioso come il bracciale d'oro serpentiforme, che riporta l’iscrizione «Dominus ancillae suae». A raccontare questo aspetto della vita servile ci sono anche le spintriae, dischi di bronzo, della dimensione di una moneta, che dovevano anche possedere un qualche valore, forse corrispondente al numero ordinale su di esse riportato.
Schiavi erano anche i professionisti dello spettacolo, a cominciare dagli aurighi e dai gladiatori, vere e proprie star del firmamento romano.
Chi calcava il palcoscenico -attori comici, tragici, mimi, cantanti e danzatori- aveva uguale la sua dose di gloria, pur facendo un lavoro considerato non rispettabile. L’affermazione del mimo, basato sulla capacità espressiva e acrobatica del singolo performer, consacrò, per esempio, nuovi idoli: ad esempio lo schiavo Publilio Siro, un contemporaneo di Giulio Cesare di grande arguzia e avvenenza, o la famosa mima Licoride, nata schiava quindi liberata, amante di grandi personalità politiche, come Marco Antonio, e amata da uno dei poeti più famosi del I secolo a.C., Cornelio Gallo.
Accanto a questi lavori che venivano bollati con il marchio di infamia ve ne erano, però, altri -oggi stimati, come quello del medico e del chirurgo- esercitati da schiavi, molto spesso greci, di particolare cultura e abilità.
La mostra documenta anche la manumissio, ovvero «la strada verso la libertà», vera e propria occasione offerta dal diritto romano agli schiavi più meritevoli e a quelli che erano riusciti, arricchendosi, a comprare la propria libertà. Si trattava, comunque, di una pratica diffusa e unica nella storia della schiavitù tanto che gli schiavi liberati, i liberti, potevano divenire a pieno titolo cittadini romani, con tutti i diritti connessi e poche limitazioni, che peraltro scomparivano per la generazione successiva. Con questa logica, paradossale, il sistema schiavistico romano metteva in moto un vero e proprio ascensore sociale su base, almeno teoricamente, meritocratica.
Interessante è anche la sezione dedicata alla schiavitù in epoca moderna, che presenta, tra l’altro, un’immagine di Fulvio Roiter, datata 1953, che ritrae dei lavoratori nella miniera di zolfo di Caltanisetta e uno scatto di Lewis H. Hine con due bambini intenti a riparare i fili spezzati di un telaio in una fabbrica tessile di Macon, in Georgia, nel 1909. Un invito a non dimenticare e a continuare e a impegnarci nella lotta contro le nuove schiavitù.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Frammento di mosaico figurato, Paris, Musée du Louvre Département des Antiquitès greques, étrusques et romaines Photo© RMN-Gran Palais (musée du Louvre)/Hervé Lewandowski; [fig. 2] Bracciale in oro con iscrizione incisa, Moregine. Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo - Soprintendenza Speciale Pompei; [fig. 3] Ritratto di auriga, Su concessione del ministero per i Beni e le Attività Culturali – Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Museo Nazionale Romano – Palazzo Massimo alle Terme; [fig. 4] Lanternarius addormentato, Su concessione del ministero per i Beni e le Attività culturali – Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Roma. Museo Nazionale Romano – Museo delle Terme di Diocleziano; [fig. 5] Gerla per lavoro in miniera. Madrid, Museo Arqueòlogico Nacional

Informazioni utili
«Spartaco. Schiavi e padroni a Roma». Museo dell’Ara Pacis, lungotevere in Augusta – Roma. Orari: tutti i giorni, dalle ore 9.30 alle ore 19.30; la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 9,00; speciale scuola ad alunno € 4,00 (ingresso gratuito a un docente accompagnatore ogni 10 alunni); speciale Famiglie € 22,00 (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni). Informazioni: 060608 (tutti i giorni, dalle ore 9.00 alle ore 19.00). Sito internet: www.arapacis.it, www.museiincomuneroma.it. Fino al 17 settembre 2017.

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