ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 5 dicembre 2012

Alighiero & Boetti, uno «Shaman-showman» tra mappe, lettere e virgole

Mappe geopolitiche puntellate da bandiere, arazzi variopinti con lettere dell’alfabeto, tavole celesti costellate da piccoli aeroplani, grandi lavori a biro ritmati da virgole nere, cartoline postali e ricalchi di giornali e riviste: il ricco universo figurativo di Alighiero Boetti (Torino, 1940 – Roma, 1994), considerato uno dei più affascinanti e «seminali» protagonisti dell'arte del secondo dopoguerra, va in scena a Milano, nelle sale dello Studio Giangaleazzo Visconti, ubicato nello storico Palazzo Cicognani Mozzoni, dove aveva sede l’atelier di Lucio Fontana.
Trentasei opere, realizzate tra il 1967 e il 1994 (dalla prima personale torinese alla prematura scomparsa), ripercorrono l’eccentrica e caleidoscopica parabola creativa del maestro torinese, figura chiave del poverismo e protagonista indiscusso del concettualismo, recentemente celebrato da un’importante retrospettiva che ho toccato tre prestigiose sedi espositive estere: il Reina Sofia di Madrid, la Tate Modern di Londra e il MoMA di New York.
Emergono dai lavori selezionati per la mostra milanese, aperta fino a venerdì 22 marzo 2013, tutti quei temi che rendono ancora attuale la filosofia di Alighiero Boetti: la complessità del rapporto con l'altro e lo straniero, la mescolanza dei linguaggi e delle culture, il superamento dei confini, il ruolo della comunicazione e dell'immagine nella civiltà della riproduzione, la relazione tra locale e globale, tra microcosmo e macrocosmo.
L’artista torinese è stato capace di cogliere la complessità del mondo contemporaneo e di restituircela attraverso una pluralità di tecniche e di materiali che vanno dai disegni ai ricami, dai collage alle matite su carta, dagli acquerelli agli arazzi, icona più riconoscibile della sua versatile creatività. Non meno nota è quella firma ‘storpiata’, «Alighiero & Boetti», scelta come titolo della mostra milanese, che l’artista iniziò ad usare tra la fine del 1972 e il 1973 e che è cifra simbolica della sua ricerca sull’identità e sul suo doppio, del quale è noto il lavoro «Gemelli» del 1968.
«Alighiero -affermava lo stesso Boetti- è la parte più infantile, più estrema, che domina le cose familiari, Alighiero è il modo in cui mi chiamano e mi nominano le persone che conosco, Boetti è più astratto, appunto, perché il cognome rientra nella categoria, mentre il nome è unico il cognome è già una categoria, una classifica. Questa è una cosa che riguarda tutti. Il nome dà certe sensazioni di familiarità, di conoscenza, di intimità. Boetti, per il solo fatto di essere un cognome, è già un’astrazione, è già un concetto».
Acutissimo teorico senza per questo amare le teorie, pensatore zen, cantastorie di piccole verità in forma di enigma, e, soprattutto, titolista nato (rimane leggendario il suo «Mettere al mondo il mondo» del 1973-1979, diventato lo slogan del primo movimento femminista), il maestro torinese ha attraversato l'universo dell'arte e la vita stessa con la forza di un ciclone, come se sapesse di avere poco tempo a disposizione per lasciare la propria impronta, ironica e svincolata dalle convenzioni, nella storia del Novecento.
Qualche anno prima di morire, con il suo «Non parto, non resto» (1984), Alighiero Boetti aveva lasciato il suo testamento personale e aveva colto nel segno. La sua leggerezza creativa, la sua libertà di pensiero, il suo fare compositivo, comprensivo di tutti i fenomeni del vivere e intriso di elementi personali, ha trovato ‘seguaci’ in Stefano Arienti, Rirkrit Tiravanija, Felix Gonzales-Torres, Philippe Parreno e in tanti altri giovani artisti. 
Il percorso espositivo allo Studio Gian Galeazzo Visconti prende, cronologicamente, avvio dal tessuto «Mimetico» (1967), per presentare, poi, altre opere storiche come «Postale» (1974), una serie di buste affrancate e timbrate messe le une accanto alle altre, «Aerei» (1989), un acquerello blu su cui sfrecciano vievoli di varie dimensioni, o ancora «Direzioni suggerite» (1974) e «Piano inclinato» (1981/82), lavori realizzati in penna biro, strumento grazie al quale l’artista creava una complessa e fitta texture, ovvero «un sistema di trasposizione delle parole in immagini, con la segreta speranza» di trovare, un giorno, «quella che disegnerà se stessa».
I veri protagonisti dell’esposizione sono, però, gli arazzi, che Alighiero Boetti fece realizzare in Afghanistan, Paese dove visse, periodicamente, dal 1971 fino all'invasione russa e dove aprì anche un piccolo albergo, lo «One Hotel». Accanto alle mappe, planisferi politici in cui ciascun territorio viene ricamato con i colori e i simboli della bandiera di appartenenza, ci sono i celebri ricami su tela con lettere dell’alfabeto, opere ricche di colori e di frasi che l’artista sceglieva personalmente, per poi farle tessere alle donne di Kabul.«Scrivere -era solito affermare- è disegnare. Le mie scritture sono tutte fatte con la sinistra, una mano che non sa scrivere, mostrano quindi anche una punta di sofferenza fisica, ma scrivere è un gran piacere. Ci sono parole che uccidono, parole che fanno un male tremendo, parole come sassi, parole leggerissime, parole reali come in numeri. Ma se vuoi veramente qualcosa mettilo per iscritto».
«Le infinite possibilità di esistere», «Nella tua vita errante o fratello mio fisso abbi sempre l'occhio alla ciambella e non al foro», «Sciogliersi come neve al sole», «Sragionare in lungo e in largo», «L'insensata corsa della vita delle parole e dei pensieri in giro per il mondo» sono alcuni dei titoli che Alighieri Boetti sceglie per questi suoi lavori, dimostrando quella sua doppia vocazione di «Shaman-showman» dell'arte: «sciamano perché sei sempre uno stregone quando lavori con la mano e la testa (…) showman perché ogni tanto ti tocca fare anche questo», come ebbe a dire a Maurizio Fagiolo dell'Arco in un’intervista per le pagine de quotidiano «Il Messaggero» (marzo 1977). Inarrivabile Boetti!


Didascalie delle immagini
[fig. 1] Alighiero Boetti, «Nella tua vita errante o fratello mio fisso abbi sempre l'occhio alla ciambella e non al foro», 1994, ricamo su tela, 40x40 cm; [fig. 2]  Alighiero Boetti, «Mappa», 1979, ricamo su tela, 131x93 cm; [fig. 3] Alighiero Boetti, «Direzioni suggerite», 1974, 2 elementi, 100x140 cm, penna biro blu su carta intelata; [fig. 4] Alighiero Boetti, «Aerei», 1989, acquerello e spray oro su carta fotografica intelata, 68x32,5 cm, 3 elementi

Informazioni utili
 «Alighiero & Boetti».Studio Gian Galeazzo Visconti, corso Monforte, 23 - Milano. Orari: lunedì-venerdì, ore 11.00-19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.795251 o info@studiovisconti.net. Sito web: www.studiovisconti.net. Fino a venerdì 22 marzo 2013.

martedì 4 dicembre 2012

«Big Bambù», arte ambientale al Macro di Roma

E’ il 2010 quando gli artisti americani Doug e Mike Starn, classe 1961, conquistano il Metropolitan Museum di New York. La loro installazione «Big Bambú: You Can’t, You Don’t and You Won’t Stop» («Non puoi, non vuoi e non ti fermerai») si classifica come la nona esposizione più visitata nella storia del museo americano e la quarta più vista al mondo in quell’anno.
L’imponente opera, successivamente presentata in versione ridotta alla cinquantaquattresima Biennale d’arte di Venezia, è ora al centro della sesta edizione di «Enel contemporanea», progetto espositivo, a cura di Francesco Bonami, con il quale la storica azienda elettrica italiana festeggia anche i suoi primi cinquant’anni di attività.
Dopo la doppia giostra in movimento dell’artista tedesco Carsten Höller e la «casa di farfalle» degli olandesi Bik Van der Pol, il Macro – Museo d’arte contemporanea di Roma apre, dunque, le porte al genio creativo dei gemelli Starn che, da martedì 11 dicembre, offriranno al pubblico l’occasione di sperimentare l’ebbrezza di una passeggiata sospesi nel vuoto, all’interno di una singolare cattedrale-capanna, accessibile a un massimo di centoventi persone alla volta, costruita, nell’arco di due mesi, con ottomila canne di bambù e con l’aiuto di venticinque esperti arrampicatori italiani e americani.
L’opera, che si sviluppa fino a venticinque metri di altezza, è stata concepita dai due artisti come un organismo vivente in continuo cambiamento nella sua complessità ed energia, grazie all’utilizzo di un materiale solido e flessibile, oltre che altamente simbolico, come il bambù. All’interno dell’architettura-scultura l’imprevedibile incrociarsi dei materiali costruttivi diviene, al tempo stesso, elemento giocoso ed espressione della molteplicità della vita, dell’immaginazione e della creatività umana.
Rendendo la flessibilità e gli intrecci del bambù elementi fisici di costruzione ma anche elementi mentali di riflessione, il visitatore può abbandonarsi nello spazio di quest’opera d’arte in continua trasformazione, concepita come se la costruzione non fosse mai finita. «Big Bambù» appare, dunque, come un grande organismo vivo che si trasforma, si muove, si adatta al tempo, che cresce non in dimensioni ma in sensazioni. In questo modo i fratelli Starn creano una delle poche opere d’arte contemporanea che, pur presentandosi nella sua versione ultimata come una scultura, rimane costantemente organica e viva, capace di accogliere lo spettatore e di inglobarlo come parte integrante del processo.
«Big Bambù» sarà anche un sorprendente luogo d’incontro e di aggregazione, dove fermarsi a chiacchierare, ad ascoltare una presentazione, a leggere un libro o anche, semplicemente, a guardare il panorama di Roma da un punto di vista unico e diverso.
Per l’occasione, nell’ottica di una migliore fruibilità dell’area interna di Macro Testaccio, sono state realizzate anche due isole verdi lungo i corridoi laterali, con una selezione botanica di sempreverdi ed essenze ornamentali legate alla tradizione e alla spontaneità del territorio.

Didascalie delle immagini
[fig. 1, 2 e 3] Mike and Doug Starn, «Big Bambù», Artwork photographs by Doug and Mike Starn. Copyright: courtesy of the artists and ARS (NY), 2012

Informazioni utili
Doug+Mike Starn.  «Big Bambù», MACRO Testaccio, piazza Giustiniani, 4 - Roma. Orari: martedì-domenica, ore 16.00-22.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: tel. 06.671070400. Sito Internet: www.enelcontemporanea.com. Da martedì 11 dicembre 2012.

lunedì 3 dicembre 2012

«Be Hobo», quando la crisi finisce sul cartello

«Preparati anche tu a diventare povero… ma senza rinunciare al fashion»:è questo il claim, scelto dalla graphic-designer Jukuki, per presentare «Be Hobo», progetto nato da una riflessione su come i nuovi spettri che si aggirano per l’Europa, lo spread e il default, stiano condizionando, negativamente, la nostra vita.
La curiosa e provocatoria idea creativa, che debutterà sulla scena italiana domenica 9 dicembre a Pescara, nasce, dunque, dal timore per il futuro del nostro Paese, ma anche da una buona dose di cinica ironia. Se del domani non c’è certezza, si deve essere, infatti, detta l’artista abruzzese, è meglio prepararsi a una vita on the road, dotati di eleganti cartelli per mendicare, dallo sfondo colorato e dalla grafica accattivante, con slogan anticrisi di sicuro effetto come «Accetto anche coupon, sconti, benzina» o «Fashion victim attualmente in rosso».
Il progetto «Be Hobo», il cui nome deriva da quello dei disoccupati vagabondi americani, che scelgono la vita senza tetto per sete di libertà o perché ridotti alla fame, è stato trattato da Jukuki come un vero prodotto, lavorando sulla brandizzazione di accessori per elemosina e creando una campagna marketing sul Web, con tanto di sito Internet, pagina Facebook e profilo Twitter.
Nell’attesa di arricchirsi di una borsa con tutto il kit per l’apprendista mendicante e di una App per tablet, riservata a tutti quelli che si lamentano di essere caduti in miseria, ma non riescono a rinunciare al mondo 2.0, «Be Hobo» scende in piazza. Domenica 9 novembre, dal tardo pomeriggio a mezzanotte, un gruppo di ragazzi -giovani professionisti, scrittori, ambientalisti, tecnici, artigiani e studenti provenienti da tutta Italia- proporrà una vera e propria installazione vivente, dal titolo «So di non avere un futuro ma almeno a domani vorrei arrivarci», sfilando per le vie di Pescara, nella zona dello spazio «La Designeria» di via D’Annunzio, con cartelli e slogan come «La cultura non si compra. Però le tasse universitarie le pago», «Ho un lavoro, ma non arrivo a fine mese», «Pizza € 1,50, Pasta € 5,00, Niente € 0. Cosa mangio oggi? Scegli tu…Grazie e buon appetito».
Giovani choosy anche nel mendicare, dunque, con il progetto di Jukuki, giovane creativa, autrice di corti d'animazione presentati a manifestazioni come il Vitamine Festival di Bologna e il FlashFestival di Torino, che non si pone l'eterno quesito se si possa cambiare o meno la società attraverso l’arte, ma che invita tutti a guardare con occhio positivo al domani.
D'altronde, Albert Einstein insegna: «chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e disagi, inibisce il proprio talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è l’incompetenza».

Didascalie delle immagini
[figg. 1, 2, 3 e 4] Cartello per il progetto «Be Hobo» di Jukuki

Informazioni utili
«Be Hobo Day». LaDesigneria, via Gabriele D’Annunzio, 33 - Pescara. Domenica 9 dicembre 2012, dalle ore 16.00 a mezzanotte. Informazioni: cell. +39.3395205451 o info@behobo.it. Web site: www.behobo.it