La grande arte ritorna protagonista al cinema, forte dei risultati della passata stagione che ha visto la presenza di oltre 650mila spettatori in più di trecentocinquanta sale italiane.
Dal 24 settembre prende il via un nuovo ciclo di eventi, capace di offrire al pubblico un’esperienza visiva innovativa e di far vivere sul grande schermo tutta la ricchezza delle mostre, degli artisti e dei musei più importanti del mondo.
Ad aprire la rassegna «Grande arte al cinema» sarà l’omaggio a uno degli artisti più fantasiosi, irruenti e imprevedibili del Novecento, di cui nel 2019 ricorre l’anniversario dei trent’anni dalla morte: Salvador Dalí (1904-1989).
Il film sull’artista surrealista, in cartellone dal 24 al 26 settembre, permetterà agli spettatori di conoscere da vicino il pittore e l'uomo, così come agli spazi da lui ideati e che hanno contribuito a plasmarne il mito.
«Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità», questo il titolo del progetto cinematografico, proporrà, nello specifico, un viaggio esaustivo attraverso la vita e l'opera dell’artista catalano e anche di Gala, sua musa e collaboratrice.
Il regista David Pujol ci guiderà, assieme a Montse Aguer Teixidor, direttrice del Museo Dalí, e Jordi Artigas, coordinatore delle Case Museo Dalí, in un percorso che ha inizio nel 1929, anno cruciale per il pittore sia dal punto di vista professionale che personale, fino alla sua morte, avvenuta nel 1989.
È nel 1929, infatti, che l’artista catalano si unisce al gruppo surrealista, suscitando le ire del padre che non accetta un cambiamento così radicale e tenta di allontanarlo da Cadaqués, luogo dove l’artista trascorre le estati soleggiate con la famiglia prima della rottura. Nello stesso anno il pittore incontra Gala, l’amore intenso di una vita, una donna che comprende il suo talento e le sue ossessioni, una musa che lo ispira e con cui sperimenta piaceri e divertimenti, ma che allo stesso tempo sa riportarlo alla realtà e gli restituisce l’equilibrio necessario.
Percorrendo vicende non scontate, il progetto filmico attraversa intere geografie vitali. Si può visitare virtualmente l’adorata casa a Portlligat, l’officina casalinga che, dalle finestre che si ingrandiscono con i progressivi ampliamenti dell’edificio, accoglie tutti i colori della Catalogna e i paesaggi tipici delle opere Dalí. In origine una cella di soli ventidue metri quadri, proprietà di Lidia, una figura paesana che con la sua «follia plastica» e «cerebro paranoica» influenzò spiritualmente l’artista: un piccolo nido appena sufficiente per due che negli anni si trasforma in un’enorme casa studio circondata da uliveti, frequentata da artisti, personaggi pubblici e giornalisti.
In questo viaggio tra luoghi, emozioni e arte, non può mancare Figueres, la città natale dove l’artista crea il museo-teatro Dalí, il suo testamento artistico. Proprio qui, nella Torre Galatea, l’artista decide di trascorrere gli ultimi anni della sua vita in una dimensione più intima con studi volti a comprendere il caos e a carpire l’agognato segreto dell’immortalità.
Anche Púbol è un luogo caro a Dalí. In questo castello, donato all’amata Gala e simbolo di un amor cortese pensato per restituire una desiderata dimensione intima che a Portlligat si era persa, l’artista torna a un corteggiamento quasi antico: qui egli può accedere solo su invito scritto della stessa Gala.
Ma sono anche la Parigi surrealista di «Un Chien Andalou», prodotto e interpretato da Dalí e da Luis Buñuel, e la New York moderna e simbolo di speranza e risurrezione, ad essere protagoniste di «Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità», un film evento capace di farci penetrare nell’animo creativo, geniale, tormentato, di colui che secondo il regista Alfred Hitchcock era «il miglior uomo in grado di rappresentare i sogni» e replicare il mondo del subconscio.
Il film si configura così come un tour tra le creazioni dell’artista. La contemplazione della sua vita intrecciata a quella di Gala, immagini e documenti, alcuni dei quali completamente inediti, avvicinano lo spettatore a un genio unico nella storia dell’arte, un pittore che ha fatto di se stesso una straordinaria ed eccentrica opera, capace di assicurargli un posto tra i grandi maestri e nel mito e di regalargli quell’immortalità che ha cercato per tutta la vita.
La rassegna «Grande arte al cinema» proseguirà con il film «Klimt & Schiele. Eros e Psiche», che dal 22 al 24 ottobre porterà il pubblico nel 1918, a Vienna. Il progetto cinematografico si apre nella notte del 31 ottobre quando, nel letto della sua casa, muore Egon Schiele, una delle 20milioni di vittime dell’influenza spagnola. L’artista si spegne guardando in faccia il male invisibile, come solo lui sa fare: dipingendolo. Ha 28 anni e solo pochi mesi prima il salone principale del palazzo della Secessione si è aperto alle sue opere, diciannove oli e ventinove disegni, con la celebrazione di una pittura che rappresenta le inquietudini e i desideri dell’uomo. Qualche mese prima è morto anche il suo maestro e amico Gustav Klimt, che dall’inizio del secolo aveva rivoluzionato il sentimento dell’arte, fondando un nuovo gruppo: la Secessione.
Oggi i capolavori di questi due artisti attirano visitatori da tutto il mondo, a Vienna come alla Neue Galerie di New York, ma sono anche diventati immagini pop che accompagnano la nostra vita quotidiana su poster, cartoline e calendari.
Ora, cent’anni dopo, le opere di questi artisti visionari –tra Jugendstil e Espressionismo– tornano protagoniste assolute nella capitale austriaca, insieme a quelle del designer e pittore Koloman Moser e dell’architetto Otto Wagner, morti in quello stesso 1918, sempre a Vienna.
Prendendo spunto da alcune delle tante mostre che stanno per aprirsi in occasione del centenario, il film evento ci guida tra le sale dell’Albertina, del Belvedere, del Kunsthistorisches, del Leopold, del Freud e del Wien Museum, ripercorrendo questa straordinaria stagione: un momento magico per arte, letteratura e musica, in cui circolano nuove idee, si scoprono con Freud i moti della psiche e le donne cominciano a rivendicare la loro indipendenza. Un’età che svela gli abissi dell’Io in cui ci specchiamo ancora oggi.
Mentre il 26, 27, 28 novembre il pubblico si sposterà nella Francia di Giverny con «Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce», che narra la storia della nascita di una delle più grandi opere d’arte del ‘900, anzi di trecento capolavori che hanno rivoluzionato l’arte successiva. Il racconto di una passione viscerale che diventerà una vera ossessione e dell’uomo che da questa ossessione si è lasciato divorare: Claude Monet.
La dimora di Giverny è la villa più costosa della zona ma le manca ancora qualcosa. Appena vi si trasferisce, infatti, Monet decide immediatamente di mettersi al lavoro: desidera creare un giardino «per il piacere degli occhi», ma si accorge presto che questa meravigliosa tavolozza naturale può offrirgli innumerevoli soggetti per la sua pittura. È così che, attirandosi le ire dei suoi confinanti, sradica tutti gli alberi da frutto, distrugge l’orto e inizia a creare il suo atelier en-plein-air. Nel sud della Francia sorge ancora lo storico vivaio Latour-Marliac, presso il quale Monet acquista quei fiori esotici, dei quali si è innamorato all’esposizione universale di Parigi del 1889. Si tratta di sei bulbi di ninfee: quattro gialle e due bianche. Pur tra le mille difficoltà, nel 1895, l’artista piazza il cavalletto sulla riva del lago. Per la prima volta dai suoi pennelli prende vita un fiore di ninfea. È da queste prime pennellate che nasce il film evento che racconta l’amore e l’ossessione di Monet per le sue ninfee attraversando il giardino e la casa dell’artista a Giverny, ma anche il Musée D’Orsay, l’Orangerie e il Marmottan di Parigi, la grande mostra del Vittoriano di Roma.
A chiudere il 2018 della rassegna «Grande arte al cinema» sarà, l’11 e 12 dicembre, «L’uomo che rubò Banksy», diretto da Marco Proserpio e narrato da Iggy Pop, che ha riscosso successo all’ultima edizione del Tribeca Film Festival.
Il film-evento sull’artista e writer inglese, considerato uno dei maggiori esponenti della Street Art, racconta di arte, culture in conflitto, identità e mercato nero. L’inizio mostra la percezione dei palestinesi sul più importante artista di strada dei nostri tempi, ma si trasforma presto nella scoperta di un vasto mercato nero di muri e dipinti rubati nelle strade di tutto il mondo, ma anche in un dibattito sulla commercializzazione o conservazione della Street Art.Il docu-film porterà così lo spettatore a capire cosa abbia portato le opere d’arte di Banksy da Betlemme a una casa d’aste occidentale, insieme al muro su cui sono state dipinte.
Informazioni utili
«La grande arte al cinema» - Nuova stagione 2018. Salvador Dalí. La ricerca dell’immortalità - 24, 25, 26 settembre | Klimt & Schiele. Eros e Psiche - 22, 23, 24 ottobre | Le ninfee di Monet. Un incantesimo di acqua e luce - 26, 27, 28 novembre | L’uomo che rubò Banksy - 11 e 12 dicembre. Progetto Scuole: tutti i titoli possono essere richiesti anche per speciali matinée al cinema dedicate alle scuole; per prenotazioni: Maria Chiara Buongiorno, progetto.scuole@nexodigital.it, tel. 02.8051633. Sito internet: www.nexodigital.it.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
lunedì 24 settembre 2018
venerdì 29 giugno 2018
Da Nicola di Ulisse a Carlo Crivelli, il Quattrocento a Fermo
Racconta la preziosità artistica di un angolo di Marche la mostra «Il Quattrocento a Fermo. Tradizione e avanguardie da Nicola di Ulisse a Carlo Crivelli», per la curatela di Alessandro Marchi e Giulia Spina, allestita fino al 7ottobre nella chiesa di San Filippo. L’esposizione -che fa parte del progetto di valorizzazione del patrimonio culturale regionale «Mostrare le Marche», nato con l’intento di valorizzare i territori che hanno subito danni in seguito al sisma- si propone di raccontare un tratto di storia di Fermo perduta nell’oblio.
La città marchigiana, orgogliosa nei tempi antichi della sua posizione preminente in territorio Piceno, capoluogo di una circoscrizione ecclesiastica vastissima, ebbe nel Quattrocento un rilievo assai originale nelle vicende dell'arte marchigiana, non ancora riproposto alla ribalta che gli compete.
Dopo che nel 1433 Francesco Sforza conquista le terre della Marca, la città diventa anche la capitale di un nuovo stato. Sull'acropoli fermana si erge la rocca del Girfalco, in cui si insedia la corte sforzesca. Nel 1442 viene chiesto ai priori di Norcia di inviare una compagnia di pittori; a questi artisti viene commissionata la decorazione dipinta di una camera che doveva accogliere Francesco Sforza con la futura moglie Bianca Maria Visconti.
L'impresa pittorica risolta in affresco, o meglio secondo le tecniche della pittura murale a destinazione profana come usava a quei tempi, doveva esser condotta da Nicola di Ulisse da Siena (doc. a Norcia dal 1442 – m. tra il 1476 e il 1477), un protagonista assai attivo sul crinale appenninico fa Umbria e Marche, solo di recente riscoperto dalla critica.
Di questa impresa non rimane più nulla, perché i fermani, malgovernati dal tiranno romagnolo, dopo la capitolazione marchigiana degli Sforza (che da qui puntarono al dominio di Milano e di Pesaro) e con il benestare di papa Eugenio IV, distrussero completamente la rocca, cancellando per sempre il simbolo della tirannia.
Gli artisti che realizzarono i dipinti murali del Girfalco -Nicola di Ulisse, Bartolomeo di Tommaso da Foligno, Andrea Delitio da Lecce de' Marsi (Abruzzo), Giambono Di Corrado da Ragusa e Luca de Alemania- ritornano ora a Fermo, ovviamente con altre opere, sopravvissute al naufragio del tempo, per evocare in analogia le suggestioni e i fasti quattrocenteschi.
Nella mostra è possibile ammirare anche opere di artisti locali quali Marino Angeli, Pierpalma da Fermo e Paolo da Visso, che si sono formati ed hanno sviluppato i caratteri originali dello stile appenninico dei pittori del Girfalco. A questi lavori sono affiancate opere di altri pittori, documentati a Fermo negli anni centrali del Quattrocento, accanto a sculture, oreficerie, tessuti, ceramiche e miniature che ancora documentano nella città e nel vasto territorio che la circonda, e che nei secoli da essa è stato dominato, l'imponente fioritura del Quattrocento artistico marchigiano.
La mostra si conclude con opere di Carlo e Vittore Crivelli che, nel 1468, provenendo da Venezia e dopo un soggiorno in Dalmazia, fecero di Fermo il centro della loro splendida pittura. I due fratelli portarono a Fermo l’incisività della pittura squarcionesca di matrice veneta e la forza espressiva di una cultura che voleva parlare direttamente all’osservatore, puntando sull’ostensione dell’immagine attraverso la ricchezza delle superfici pittoriche.
Lungo il percorso è possibile così vedere capolavori di Nicola di Ulisse come il «Polittico di Sant’Eutizio», arrivato da Spoleto e appena stato restaurato dopo il terremoto del 2016, e il «Cristo Risorto», opera attualmente visibile solo nella mostra fermana poiché il Museo di Castellina da cui proviene è oggi impraticabile. Si segnala, poi, la presenza lungo il percorso espositivo della tavola «San Francesco che riceve le stimmate» di Falerone, di una cartapesta proveniente dalla bottega di Antonio Rossellino, dei frammenti della Pala di Ripatransone di Fra’ Mattia della Robbia e del «Polittico di Massa Fermana» di Carlo Crivelli, che è la prima opera marchigiana dell’artista veneziano.
Una sezione della mostra è, infine, dedicata agli oggetti di arte quattrocentesca esposti, come oreficerie, tessuti, boccali e piatti dell’Officina ‘Sforzesca’ di Pesaro della seconda metà del Quattrocento fra cui un preziosissimo «Boccale con volto di donna a rilievo», un «Boccale con decoro alla foglia gotica detta ‘cartoccio’», e un terzo «Boccale con stemma dipinto».
Informazioni utili
Il Quattrocento a Fermo. Chiesa di San Filippo, Corso Cavour, 53 – Fermo. Orari: giugno - da martedì a domenica, ore 10.30-13 e ore 14.30-19; luglio-agosto-settembre - da lunedì a domenica, ore 10.30-13 e ore 14.30-19, giovedì, ore 10.30-13 e ore 14.30-24. Ingresso: Biglietto unico per il circuito museale e monumentale (valido 1 anno) - intero € 8,00, ridotto € 6,00 (14-25 anni, gruppi > 15, soci Fai, Touring Club, Italia Nostra); omaggio per minori di 13 anni, disabili, soci ICOM, giornalisti con tesserino; ridotto con coupon sconto progetto «Mostrare le Marche» 6,00 €. Informazioni e prenotazioni visite guidate e servizi didattici: tel. 0734.217140 e fermo@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 7 ottobre 2018
La città marchigiana, orgogliosa nei tempi antichi della sua posizione preminente in territorio Piceno, capoluogo di una circoscrizione ecclesiastica vastissima, ebbe nel Quattrocento un rilievo assai originale nelle vicende dell'arte marchigiana, non ancora riproposto alla ribalta che gli compete.
Dopo che nel 1433 Francesco Sforza conquista le terre della Marca, la città diventa anche la capitale di un nuovo stato. Sull'acropoli fermana si erge la rocca del Girfalco, in cui si insedia la corte sforzesca. Nel 1442 viene chiesto ai priori di Norcia di inviare una compagnia di pittori; a questi artisti viene commissionata la decorazione dipinta di una camera che doveva accogliere Francesco Sforza con la futura moglie Bianca Maria Visconti.
L'impresa pittorica risolta in affresco, o meglio secondo le tecniche della pittura murale a destinazione profana come usava a quei tempi, doveva esser condotta da Nicola di Ulisse da Siena (doc. a Norcia dal 1442 – m. tra il 1476 e il 1477), un protagonista assai attivo sul crinale appenninico fa Umbria e Marche, solo di recente riscoperto dalla critica.
Di questa impresa non rimane più nulla, perché i fermani, malgovernati dal tiranno romagnolo, dopo la capitolazione marchigiana degli Sforza (che da qui puntarono al dominio di Milano e di Pesaro) e con il benestare di papa Eugenio IV, distrussero completamente la rocca, cancellando per sempre il simbolo della tirannia.
Gli artisti che realizzarono i dipinti murali del Girfalco -Nicola di Ulisse, Bartolomeo di Tommaso da Foligno, Andrea Delitio da Lecce de' Marsi (Abruzzo), Giambono Di Corrado da Ragusa e Luca de Alemania- ritornano ora a Fermo, ovviamente con altre opere, sopravvissute al naufragio del tempo, per evocare in analogia le suggestioni e i fasti quattrocenteschi.
Nella mostra è possibile ammirare anche opere di artisti locali quali Marino Angeli, Pierpalma da Fermo e Paolo da Visso, che si sono formati ed hanno sviluppato i caratteri originali dello stile appenninico dei pittori del Girfalco. A questi lavori sono affiancate opere di altri pittori, documentati a Fermo negli anni centrali del Quattrocento, accanto a sculture, oreficerie, tessuti, ceramiche e miniature che ancora documentano nella città e nel vasto territorio che la circonda, e che nei secoli da essa è stato dominato, l'imponente fioritura del Quattrocento artistico marchigiano.
La mostra si conclude con opere di Carlo e Vittore Crivelli che, nel 1468, provenendo da Venezia e dopo un soggiorno in Dalmazia, fecero di Fermo il centro della loro splendida pittura. I due fratelli portarono a Fermo l’incisività della pittura squarcionesca di matrice veneta e la forza espressiva di una cultura che voleva parlare direttamente all’osservatore, puntando sull’ostensione dell’immagine attraverso la ricchezza delle superfici pittoriche.
Lungo il percorso è possibile così vedere capolavori di Nicola di Ulisse come il «Polittico di Sant’Eutizio», arrivato da Spoleto e appena stato restaurato dopo il terremoto del 2016, e il «Cristo Risorto», opera attualmente visibile solo nella mostra fermana poiché il Museo di Castellina da cui proviene è oggi impraticabile. Si segnala, poi, la presenza lungo il percorso espositivo della tavola «San Francesco che riceve le stimmate» di Falerone, di una cartapesta proveniente dalla bottega di Antonio Rossellino, dei frammenti della Pala di Ripatransone di Fra’ Mattia della Robbia e del «Polittico di Massa Fermana» di Carlo Crivelli, che è la prima opera marchigiana dell’artista veneziano.
Una sezione della mostra è, infine, dedicata agli oggetti di arte quattrocentesca esposti, come oreficerie, tessuti, boccali e piatti dell’Officina ‘Sforzesca’ di Pesaro della seconda metà del Quattrocento fra cui un preziosissimo «Boccale con volto di donna a rilievo», un «Boccale con decoro alla foglia gotica detta ‘cartoccio’», e un terzo «Boccale con stemma dipinto».
Informazioni utili
Il Quattrocento a Fermo. Chiesa di San Filippo, Corso Cavour, 53 – Fermo. Orari: giugno - da martedì a domenica, ore 10.30-13 e ore 14.30-19; luglio-agosto-settembre - da lunedì a domenica, ore 10.30-13 e ore 14.30-19, giovedì, ore 10.30-13 e ore 14.30-24. Ingresso: Biglietto unico per il circuito museale e monumentale (valido 1 anno) - intero € 8,00, ridotto € 6,00 (14-25 anni, gruppi > 15, soci Fai, Touring Club, Italia Nostra); omaggio per minori di 13 anni, disabili, soci ICOM, giornalisti con tesserino; ridotto con coupon sconto progetto «Mostrare le Marche» 6,00 €. Informazioni e prenotazioni visite guidate e servizi didattici: tel. 0734.217140 e fermo@sistemamuseo.it. Sito internet: www.sistemamuseo.it. Fino al 7 ottobre 2018
mercoledì 27 giugno 2018
A Massa Marittima undici capolavori di Ambrogio Lorenzetti
«A Massa [dipinse] una grande tauola et una capella». Con questa lapidaria, ma non troppo precisa indicazione, contenuta nei «Commentarii», l’architetto, scultore e scrittore Lorenzo Ghiberti (Pelago, 1378 – Firenze, 1º dicembre 1455), che probabilmente era ben informato sui fatti relativi al «famosissimo et singularissimo maestro» senese, indicava per primo l’attività di Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 circa – Siena, 1348) nella città maremmana.
L’artista e storiografo fiorentino si riferiva alla grande tavola con la «Maestà», che «con la sua profonda dottrina, la sua bellezza figurativa, la sua calda e attraente gamma cromatica -per usare le parole di Alessandro Bagnoli, uno dei più attenti studiosi dell’opera di Lorenzetti- abbagliava dall’altare della piccola chiesa di San Pietro all’Orto, dove gli eremitani agostiniani di Massa Marittima avevano iniziato a svolgere la loro vita comunitaria e liturgica».
Questo importante dipinto, realizzato intorno al 1335, è al centro della mostra «Ambrogio Lorenzetti in Maremma. I capolavori dei territori di Grosseto e Siena», che allinea, fino al prossimo 16 settembre, nelle sale del Complesso museale di San Pietro all'Orto, undici tele dell’artista senese, alle quali sono affiancati video e pannelli illustrativi.
Il percorso espositivo si propone così non solo di essere facilmente fruibile da un pubblico di non esperti, ma anche di offrire una visione di insieme delle varie stagioni conosciute dal pittore nel corso della propria carriera, anche al fine di meglio contestualizzare la stessa «Maestà» nell’ambito di quella che in passato era considerata la Maremma senese.
Di questo straordinario dipinto a tempera e oro su tavola -si legge nella brochure che accompagna la mostra- «si erano perse le tracce da diversi secoli, quando gli studi eruditi dell’Ottocento proposero d’identi¬ficarla con l’opera allora conservata nella Cappella dei Priori del Palazzo comunale della città, che oggi ospita l’ufficio del sindaco. La tavola era stata ritrovata nel 1867 nella soffitta del Convento di Sant’Agostino divisa in cinque parti utilizzate in un deposito di carbone. La felice intuizione che in quelle tavole annerite si celasse l’opera perduta di Lorenzetti, confermata solo all’inizio del Novecento dopo una trentina di anni di studio, rappresentava la prova tangibile, dopo secoli d’incertezze, del fatto che uno dei più grandi pittori del Trecento italiano avesse davvero lavorato a Massa Marittima, sulla scia di altri maestri senesi del calibro di Duccio e Goro di Gregorio».
Ambrogio Lorenzetti elaborò per questo lavoro un’iconografia complessa, caratterizzata da un sovraffollamento di personaggi: le tre virtù teologali sono raffigurate sedute sui gradini che conducono al trono della Madonna con gli angeli musicanti, santi e profeti.
Si rivela così in questo straordinario dipinto tutta la maestria dell’artista, innovatore dei dipinti d'altare, di storie sacre e che ha allargato lo sguardo della pittura alla narrazione del paesaggio e della pittura d'ambiente.
Il percorso espositivo propone altre dieci opere a partire dagli anni 1320/25 con la ¬ figura del «Re Salomone», frammento che faceva in origine parte di una delle cornici di raccordo tra le scene che Ambrogio, assieme al fratello Pietro, eseguì per la Sala Capitolare del convento senese di San Francesco, ¬ fino al 1340 con il «Polittico di San Pietro in Castelvecchio» e il «Polittico della Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo» dipinto per la Chiesa di Roccalbegna.
Tra queste due date si collocano le altre opere in mostra: la «Croce dipinta» della Pieve di Montenero d’Orcia, la vetrata raffigurante il «San Michele Arcangelo vittorioso sul demonio», le sinopie dell’«Annunciazione» della cappella di San Galgano a Montesiepi, i «Quattro Santi» del Museo dell’Opera della Metropolitana di Siena, le scene affrescate lungo il lato orientale del Chiostro di San Francesco, sempre a Siena, e l’«Allegoria della Redenzione» della Pinacoteca di Siena. Il percorso della mostra si completa con la visita ad altri due importanti luoghi della città, dove Lorenzetti lavorò: la Chiesa di San Pietro all’Orto, o i Museo degli Organi Meccanici Antichi, e la Cattedrale di San Cerbone, dove sono presenti affreschi recentemente attribuiti al grande artista senese.
Il percorso espositivo della mostra si completa con la visita ad altri due importanti luoghi della città, dove Lorenzetti lavorò: la Chiesa di San Pietro all’Orto, oggi Museo degli Organi Meccanici Antichi, e la Cattedrale di San Cerbone, dove sono presenti a affreschi recentemente attribuiti al grande artista senese.
Tra questi si segnala una grande «Annunciazione», posta al lato sinistro della porta laterale.
Nonostante la perdita di metà della superficie affrescata e la consunzione della pellicola pittorica, è ancora possibile apprezzare la stupenda invenzione compositiva e l’accuratezza dell’esecuzione.
Ambrogio Lorenzetti ha costruito una complessa architettura: lo spazio è scandito in profondità e si dispiega dall’area di primo piano, alle due volte in alto, sopra le quali si vedono due bifore di modernissima architettura gotica, al vano voltato dov’è la Vergine, nel fondo del quale si apre una porta che immette in una più lontana stanza.
«L’espediente di immaginare la porta socchiusa e delineata con scorcio prospettico ben misurato torna a riprova della responsabilità di Ambrogio Lorenzetti, che fu l’unico pittore del Trecento senese a concepire e realizzare con impressionate acutezza simili soluzioni. La stessa capacità di rappresentare le cose in uno spazio profondo e tangibile -spiega Alessandro Bagnoli-, si percepisce nella figura della Vergine, nelle sue mani e nel libro socchiuso, dove fra i due blocchetti delle pagine spicca isolata quella sulla quale era fissata la lettura. L’attenta cura nell’esecuzione si percepisce ancora nella fine elaborazione del nimbo della Vergine, che è riempito dall’impressione di stampini puntiformi, a scacchiera e a rosetta».
Per tutti questi elementi si può affermare che l’«Annunciata» della cattedrale di Massa Marittima si riveli come un’ulteriore prova magistrale della fase matura di Ambrogio Lorenzetti, «pratico coloritore a fresco», che – ebbe a scrivere Giorgio Vasari, un altro importante biografo dell’artista- «nel maneggiar la tempera i colori gl’adoperò con destrezza e facilità grande».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino e i santi Pietro e Paolo, circa 1340, tempera e oro su tavola, Roccalbegna, chiesa dei Santi Pietro e Paolo; foto di Andrea e Fabio Lensini, Siena © Diocesi di Pitigliano – Sovana - Orbetello; [fig. 2] Ambrogio Lorenzetti, Re Salomone, circa 1320-1325, affresco distaccato e applicato su supporto di vetroresina, Siena, Museo Diocesano; foto di Marcello Formichi © Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d'Elsa – Montalcino; [fig. 3] Ambrogio Lorenzetti, Croce dipinta, circa 1320- 1325, tempera e oro su tavola, Montenero d’Orcia (Castel del Piano), pieve di Santa Lucia; foto di Andrea e Fabio Lensini, Siena © Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d'Elsa – Montalcino; [fig. 4] Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino in trono con Virtù teologali, angeli musicanti, santi e profeti, 1335- 1336, oro, argento, lapislazzuli e tempera su tavole di legno di pioppo, Massa Marittima, Museo di Arte Sacra Provenienza: Massa Marittima, chiesa di San Pietro all’Orto Iscrizioni: FIDES, SPES, CARITAS (sui gradini del trono della Vergine) FOTO 19 foto di Marcello Formichi
Informazioni utili
«Ambrogio Lorenzetti in Maremma. Capolavori dei territori di Grosseto e Siena». Complesso museale di San Pietro all'Orto, corso Diaz, 36 - Massa Marittima (Grosseto). Orari: fino al 30 giugno - da martedì a domenica, ore 10.00 – 13.00 e ore 16.00- 19.00, dal 1° luglio al 16 settembre - tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 20.00. Ingresso: intero 7 euro, ridotto 5 euro. Informazioni: Ufficio turistico Comune di Massa Marittima/ Musei di Massa Marittima, Musei di Maremma, tel. 0566901954, www.turismomassamarittima.it/news o www.museidimaremma.it. Fino al 16 settembre 2018.
L’artista e storiografo fiorentino si riferiva alla grande tavola con la «Maestà», che «con la sua profonda dottrina, la sua bellezza figurativa, la sua calda e attraente gamma cromatica -per usare le parole di Alessandro Bagnoli, uno dei più attenti studiosi dell’opera di Lorenzetti- abbagliava dall’altare della piccola chiesa di San Pietro all’Orto, dove gli eremitani agostiniani di Massa Marittima avevano iniziato a svolgere la loro vita comunitaria e liturgica».
Questo importante dipinto, realizzato intorno al 1335, è al centro della mostra «Ambrogio Lorenzetti in Maremma. I capolavori dei territori di Grosseto e Siena», che allinea, fino al prossimo 16 settembre, nelle sale del Complesso museale di San Pietro all'Orto, undici tele dell’artista senese, alle quali sono affiancati video e pannelli illustrativi.
Il percorso espositivo si propone così non solo di essere facilmente fruibile da un pubblico di non esperti, ma anche di offrire una visione di insieme delle varie stagioni conosciute dal pittore nel corso della propria carriera, anche al fine di meglio contestualizzare la stessa «Maestà» nell’ambito di quella che in passato era considerata la Maremma senese.
Di questo straordinario dipinto a tempera e oro su tavola -si legge nella brochure che accompagna la mostra- «si erano perse le tracce da diversi secoli, quando gli studi eruditi dell’Ottocento proposero d’identi¬ficarla con l’opera allora conservata nella Cappella dei Priori del Palazzo comunale della città, che oggi ospita l’ufficio del sindaco. La tavola era stata ritrovata nel 1867 nella soffitta del Convento di Sant’Agostino divisa in cinque parti utilizzate in un deposito di carbone. La felice intuizione che in quelle tavole annerite si celasse l’opera perduta di Lorenzetti, confermata solo all’inizio del Novecento dopo una trentina di anni di studio, rappresentava la prova tangibile, dopo secoli d’incertezze, del fatto che uno dei più grandi pittori del Trecento italiano avesse davvero lavorato a Massa Marittima, sulla scia di altri maestri senesi del calibro di Duccio e Goro di Gregorio».
Ambrogio Lorenzetti elaborò per questo lavoro un’iconografia complessa, caratterizzata da un sovraffollamento di personaggi: le tre virtù teologali sono raffigurate sedute sui gradini che conducono al trono della Madonna con gli angeli musicanti, santi e profeti.
Si rivela così in questo straordinario dipinto tutta la maestria dell’artista, innovatore dei dipinti d'altare, di storie sacre e che ha allargato lo sguardo della pittura alla narrazione del paesaggio e della pittura d'ambiente.
Il percorso espositivo propone altre dieci opere a partire dagli anni 1320/25 con la ¬ figura del «Re Salomone», frammento che faceva in origine parte di una delle cornici di raccordo tra le scene che Ambrogio, assieme al fratello Pietro, eseguì per la Sala Capitolare del convento senese di San Francesco, ¬ fino al 1340 con il «Polittico di San Pietro in Castelvecchio» e il «Polittico della Madonna col Bambino e i Santi Pietro e Paolo» dipinto per la Chiesa di Roccalbegna.
Tra queste due date si collocano le altre opere in mostra: la «Croce dipinta» della Pieve di Montenero d’Orcia, la vetrata raffigurante il «San Michele Arcangelo vittorioso sul demonio», le sinopie dell’«Annunciazione» della cappella di San Galgano a Montesiepi, i «Quattro Santi» del Museo dell’Opera della Metropolitana di Siena, le scene affrescate lungo il lato orientale del Chiostro di San Francesco, sempre a Siena, e l’«Allegoria della Redenzione» della Pinacoteca di Siena. Il percorso della mostra si completa con la visita ad altri due importanti luoghi della città, dove Lorenzetti lavorò: la Chiesa di San Pietro all’Orto, o i Museo degli Organi Meccanici Antichi, e la Cattedrale di San Cerbone, dove sono presenti affreschi recentemente attribuiti al grande artista senese.
Il percorso espositivo della mostra si completa con la visita ad altri due importanti luoghi della città, dove Lorenzetti lavorò: la Chiesa di San Pietro all’Orto, oggi Museo degli Organi Meccanici Antichi, e la Cattedrale di San Cerbone, dove sono presenti a affreschi recentemente attribuiti al grande artista senese.
Tra questi si segnala una grande «Annunciazione», posta al lato sinistro della porta laterale.
Nonostante la perdita di metà della superficie affrescata e la consunzione della pellicola pittorica, è ancora possibile apprezzare la stupenda invenzione compositiva e l’accuratezza dell’esecuzione.
Ambrogio Lorenzetti ha costruito una complessa architettura: lo spazio è scandito in profondità e si dispiega dall’area di primo piano, alle due volte in alto, sopra le quali si vedono due bifore di modernissima architettura gotica, al vano voltato dov’è la Vergine, nel fondo del quale si apre una porta che immette in una più lontana stanza.
«L’espediente di immaginare la porta socchiusa e delineata con scorcio prospettico ben misurato torna a riprova della responsabilità di Ambrogio Lorenzetti, che fu l’unico pittore del Trecento senese a concepire e realizzare con impressionate acutezza simili soluzioni. La stessa capacità di rappresentare le cose in uno spazio profondo e tangibile -spiega Alessandro Bagnoli-, si percepisce nella figura della Vergine, nelle sue mani e nel libro socchiuso, dove fra i due blocchetti delle pagine spicca isolata quella sulla quale era fissata la lettura. L’attenta cura nell’esecuzione si percepisce ancora nella fine elaborazione del nimbo della Vergine, che è riempito dall’impressione di stampini puntiformi, a scacchiera e a rosetta».
Per tutti questi elementi si può affermare che l’«Annunciata» della cattedrale di Massa Marittima si riveli come un’ulteriore prova magistrale della fase matura di Ambrogio Lorenzetti, «pratico coloritore a fresco», che – ebbe a scrivere Giorgio Vasari, un altro importante biografo dell’artista- «nel maneggiar la tempera i colori gl’adoperò con destrezza e facilità grande».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino e i santi Pietro e Paolo, circa 1340, tempera e oro su tavola, Roccalbegna, chiesa dei Santi Pietro e Paolo; foto di Andrea e Fabio Lensini, Siena © Diocesi di Pitigliano – Sovana - Orbetello; [fig. 2] Ambrogio Lorenzetti, Re Salomone, circa 1320-1325, affresco distaccato e applicato su supporto di vetroresina, Siena, Museo Diocesano; foto di Marcello Formichi © Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d'Elsa – Montalcino; [fig. 3] Ambrogio Lorenzetti, Croce dipinta, circa 1320- 1325, tempera e oro su tavola, Montenero d’Orcia (Castel del Piano), pieve di Santa Lucia; foto di Andrea e Fabio Lensini, Siena © Arcidiocesi di Siena – Colle di Val d'Elsa – Montalcino; [fig. 4] Ambrogio Lorenzetti, Madonna col Bambino in trono con Virtù teologali, angeli musicanti, santi e profeti, 1335- 1336, oro, argento, lapislazzuli e tempera su tavole di legno di pioppo, Massa Marittima, Museo di Arte Sacra Provenienza: Massa Marittima, chiesa di San Pietro all’Orto Iscrizioni: FIDES, SPES, CARITAS (sui gradini del trono della Vergine) FOTO 19 foto di Marcello Formichi
Informazioni utili
«Ambrogio Lorenzetti in Maremma. Capolavori dei territori di Grosseto e Siena». Complesso museale di San Pietro all'Orto, corso Diaz, 36 - Massa Marittima (Grosseto). Orari: fino al 30 giugno - da martedì a domenica, ore 10.00 – 13.00 e ore 16.00- 19.00, dal 1° luglio al 16 settembre - tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 16.00 alle ore 20.00. Ingresso: intero 7 euro, ridotto 5 euro. Informazioni: Ufficio turistico Comune di Massa Marittima/ Musei di Massa Marittima, Musei di Maremma, tel. 0566901954, www.turismomassamarittima.it/news o www.museidimaremma.it. Fino al 16 settembre 2018.
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