ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 3 aprile 2019

Miart 2019, 186 gallerie e un invito: «abbi cara ogni cosa»

«Abbi cara ogni cosa»: è un verso del poeta Gareth Evans, tratto dal poema «Hold Everything Dear», il motto di Miart 2019, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea in programma da venerdì 5 a domenica 7 aprile (con giovedì 4 press preview, VIP preview e vernissage su invito) a Milano, negli spazi del padiglione 3 di fieramilanocity, a chiusura della Milano art week, un vasto programma di eventi, inaugurazioni e performance che coinvolge istituzioni pubbliche, fondazioni private e spazi no-profit della città.
«Abbi cara ogni cosa» non è il tema guida di questa ventiquattresima edizione di Miart, espressione come tutte le rassegne di settore della diversità e della complessità del mercato dell’arte nelle sue varie forme e quindi evento difficilmente catalogabile, quanto un invito all’attenzione rivolto agli artisti e alle gallerie, ma anche al pubblico.
«L’arte -spiega a tal proposito Alessandro Rabottini, al suo terzo anno alla direzione della fiera milanese- ha il potere di trasformare anche gli aspetti più umili della realtà perché gli artisti posano una sguardo di cura su di essa, e quando come spettatori facciamo nostro questo gesto di attenzione allora forse diventiamo spettatori più consapevoli, e in grado noi stessi di incidere sulla società».
«Il punto -continua il critico e curatore milanese, attivo per anni alla Gamec di Bergamo- non è quanto l’arte del nostro tempo possa cambiare la realtà, ma quanto essa possa renderci spettatori attivi della nostra epoca, accettando il confronto e la sperimentazione accanto al consolidamento dei valori storici», facendoci osservare il nostro tempo, caotico quanto fecondo, con occhi nuovi.
All’appello di Alessandro Rabottini hanno risposto 186 gallerie internazionali provenienti da diciannove nazioni, alcune delle quali al loro debutto sulla scena milanese come le londinesi Cabinet, Corvi-Mora ed Herald St, la piemontese Tucci Russo di Torre Pellice, e le multi-sede Marian Goodman Gallery (New York - Parigi - Londra), Galerie Thaddaeus Ropac (Parigi - Londra - Salisburgo), e, ultima ma non ultima, la Hauser e Wirth (Hong Kong - Londra - Los Angeles - New York - Somerset - St. Moritz - Gstaad - Zurigo), grande protagonista anche dell’art week milanese con le mostre di Anna Maria Maiolino (rappresentata anche da Raffaella Cortese) al Pac – Padiglione d’arte contemporanea, Anj Smith al Museo Poldi Pezzoli, Lygia Pape alla Fondazione Carriero e Hans Josephsohn ad Ica.
Più di un centinaio delle realtà presenti in fiera a Milano sono italiane; una settantina provengono da Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Messico, Perù, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Stati Uniti, Sud Africa, Svizzera, Turchia e Ungheria.
Tante sono le gallerie che consolidano il loro rapporto con Miart, a partire dalle italiane Alfonso Artiaco di Napoli, Giò Marconi di Milano e Massimo Minini di Brescia per giungere alle straniere ChertLüdde di Berlino, Bortolami di New York, Lelong e Co. di Parigi, senza dimenticare realtà con più sedi in tutto il mondo, come la Continua (San Gimignano - Pechino - Boissy-le-Châtel - L’Avana), la Clearing (Bruxelles - New York - Brooklyn),la Dvir Gallery (Bruxelles - Tel Aviv) e la Gladstone Gallery (New York - Bruxelles).
«Established contemporary», «Established Masters», «Generations», «Decades», «Emergent», «On Demand» ed «Object» sono le sette sezioni in cui è stato suddiviso il percorso in fiera, che getta un occhio anche al design in edizione limitata, facendo quasi da trait d’union con il prossimo importante appuntamento che attende il capoluogo milanese: la Milano Design Week, con il Salone del mobile, in cartellone dall’8 al 14 aprile.
Miart ha nel proprio Dna non solo il racconto di ciò che si muove sulla scena contemporanea, ma anche un’attenta riflessione sull’arte del secolo scorso, attraverso la presenza di stand di realtà come la Galleria dello Scudo di Verona, la Tega di Milano o la Mazzoleni di Torino, ma anche con la realizzazione del progetto «Decades», per la curatela di Alberto Salvadori, in cui ogni decade del Novecento verrà rappresentata da un artista simbolo.
Gli anni Novanta saranno raccontati, per esempio, da Jon Thompson, figura fondamentale per lo sviluppo della Young British Art e artista la cui ricerca sulla storia dell’arte è ancora da scoprire. Sandro Chia, uno dei protagonisti del movimento della Transavanguardia, rappresenterà, invece, gli anni Ottanta. Mentre gli anni Settanta saranno portati a Miart dalla galleria acb di Budapest, attraverso il lavoro di Katalin Ladik e le pratiche sperimentali delle artiste della Neo-avanguardia ungherese, e dalla Galleria Gomiero di Milano, che presenterà una straordinaria selezione di disegni inediti dell’ultimo periodo di attività dell’architetto Carlo Scarpa.
La recente riscoperta del lavoro di Maria Lai, protagonista dell’ultima edizione della Biennale di Venezia e a breve al centro di una grande retrospettiva a Roma per la curatela di Bartolomeo Pietromarchi, sarà sotto i riflettori di Miart grazie a una mostra personale promossa dalla M77 di Milano, con una selezione dei suoi lavori realizzati negli anni Sessanta. Gli anni Cinquanta saranno raccontati, invece, da uno dei capolavori dell’artista ceco Jaroslav Serpan. Mentre Antonietta Raphaēl, artista di riferimento della Scuola romana, sarà la protagonista degli anni Quaranta. La decade precedente sarà, invece, rappresentata dal romano Duilio Cambellotti; la Società di belle arti di Viareggio realizzerà, infine, un percorso attraverso gli anni ‘10 e ‘20 con opere, tra gli altri, di Lorenzo Viani ed Elisabeth Chaplin.
La fiera milanese sarà anche -come negli intenti di Alessandro Rabottini- barometro della realtà di oggi. Latifa Echakhch proporrà, per esempio, una riflessione sui limiti degli stereotipi culturali, mentre l’artista portoghese Luìs Lázaro Matos metterà in scena l’assurdità della propaganda attraverso i suoi dipinti ironici e pungenti. Serena Vestrucci installerà, invece, un monumentale cielo stellato cucito a mano con dozzine di bandiere dell’Unione Europea e, ancora, lo statunitense Jon Kessler presenterà le sue celebri sculture in movimento che criticano la società della sorveglianza.
Durante i giorni della fiera, diciotto direttori di musei internazionali e curatori di prestigiose istituzioni provenienti da dieci Paesi andranno ad implementare il fondo di acquisizione della Fondazione Fiera Milano con l’acquisto di opere esposte a Miart e assegneranno cinque premi a gallerie e artisti: Herno, Fidenza Village per Generations, On Demand by Snaporazverein, LCA per Emergent, Rotary club Milano Brera per l'arte contemporanea e i giovani artisti.
Ad accompagnare la ricca proposta delle gallerie c’è anche un nuovo ciclo di «miartalks», realizzati in collaborazione con «In Between Art Film», casa di produzione cinematografica fondata nel 2012 da Beatrice Bulgari. Si tratta di tre giornate di incontri in cui una quarantina di artisti, curatori e direttori di musei, collezionisti, designer e scrittori internazionali saranno chiamati a riflettere su tre principali tematiche, riunite attorno al tema «Il bene comune». La prima giornata è dedicata al collezionismo, alla produzione e alla commissione di opere d’arte; la seconda è incentrata sull’arte italiana come patrimonio collettivo e sulla sua diffusione a livello internazionale; la terza prevede un focus sul design.
Con Miart torna anche la Milano Art Week, una settimana in cui, scarpe comode e programma alla mano, si va a zonzo per la città a scoprire le ricerche più attuali del contemporaneo, in attesa dei due eventi collettivi che chiuderanno questa intensa sette giorni: l’Art Night degli spazi no-profit, in cartellone sabato 6 aprile, e l’apertura speciale, in agenda domenica 7, delle gallerie private.
Tra le mostre e le installazioni da vedere, tutte ben raccontate sul sito milanoartweek.it, si segnalano «A Friend», un intervento monumentale dell’artista ghanese Ibrahim Mahama ai bastioni di Porta Venezia (commissionato dalla Fondazione Trussardi), «Remains», un’ampia rassegna sul lavoro dell’artista di origine indiana Sheela Gowda all’Hangar Bicocca, ma anche i lavori di Marinella Pirelli al Museo del Novecento e quelli di Carlos Amorales alla Fondazione Adolfo Pini.
Una proposta, dunque, varia quella di Miart e della Milano Art Week, che, con i suoi tanti appuntamenti, indagherà come l’arte e il design «possano contribuire -si legge nella nota stampa- al dibattito attuale su questioni urgenti come il cambiamento climatico, lo scambio tra culture, l’espansione delle geografie dell’arte, l’impatto delle nuove tecnologie e la riscrittura della storia dell’arte alla luce del contributo della creatività delle donne». Temi di attualità, questi, che dimostrano come Milano possa essere e sia una «città che sale».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine per «Horizon», campagna promozionale di Miart 2019. Fotografo: Jonathan Frantini. Art Direction: Francesco Valtolina (Mousse). Assistente Art Direction: Anita Poltronieri (Mousse). Assistente fotografo: Francesca Gardini, Giacomo Lepori. Casting: Semina Casting Modelli: Amelie, Lorenzo, Clara, Federico, Alessandro, Mohamed, Sara, Angela, Martina, Alessandro, Nicolo', Davide, Loreley, Mehdi; [fig. 2] JX Williams, Untitled (Bull Chain), 2018. Mixed media floor installation. Dimensions variable. Unique. Courtesy Cabinet, London; [fig. 3] Latifa Echakhch, Erratum, 2004. «Leopards in the Temple». Installation view, Sculpture Center, New York, 2010. Courtesy: courtesy of the artist, kaufmann repetto, Milan / New York. Copyright: Jason Mandella. © SculptureCenter and the artists; [fig. 4] Virgilio Guidi, Donna dalla cintura rossa, 1934. Olio su compensato, 90 × 72,2 cm. Courtesy Società delle belle arti, Viareggio; [fig. 5] Serena Vestrucci, «Strappo alla regola», 2013. European flags canvas, cotton thread, three months, 110 × 4 × 100 cm. Otto Zoo and the artist. Copyright Ph. Luca Vianello; [fig. 6] Luís Lázaro Matos, White Shark Cafe, 2018. Graphite, marker and tracing paper on paper, variable dimensions. Unique. Courtesy Galeria Madragoa and Luís Lázaro Matos; [fig. 7] Alessandro Mendini, Corbu, 2016. Ceramica dipinta con i colori usati da Le Corbusier nell'Unité d'Habitation di Marsiglia, 59,5 × 20 × 27 cm ciascuno. Copyright Renato Ghiazza. Courtesy Enrico Astuni, Bologna

Informazioni utili  
Miart. fieramilanocity, viale scarampo, gate 5 pad./ pav. 3 - Milano. Orari: venerdì 5 e sabato 6 aprile, dalle ore 12.00 alle ore 20.00, domenica 7 aprile, dalle ore 11.00 alle ore 19.00. Ingresso: intero 15,00 euro, ridotto per ragazzi dai 14 ai 17 anni 10,00 euro, ridotto per bambini sotto i 14 anni e studenti di arte 1,00 euro | il biglietto intero online costa 12,00 euro. Informazioni: www.miart.it. Dal 5 al 7 aprile 2019.

lunedì 1 aprile 2019

«Infinito Leopardi»: un manoscritto, un fotografo e duecento anni di poesia

Sono passati duecento anni da quando Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837) compose il manoscritto vissano de «L’Infinito», «la sua poesia -per usare le parole di Laura Melosi- più studiata, più letta e più tradotta».
In occasione dell’anniversario è stato ideato un ricco calendario di iniziative che, per un intero anno, proporrà al pubblico mostre, spettacoli, conferenze e pubblicazioni.
L’arco temporale dell’intera manifestazione sarà suddiviso in due momenti principali, corrispondenti alla realizzazione di rassegne di diversa natura prodotte da Sistema Museo, la società che gestisce i musei civici di Recanati, città natale dello scrittore.
La prima parte delle celebrazioni, in programma fino al 19 maggio, ha il suo cuore pulsante a Villa Colloredo Mels, dove Laura Melosi, direttrice della cattedra leopardiana all’Università degli studi di Macerata, ha curato l’esposizione «Infinità / Immensità», incentrata sul patrimonio leopardiano di manoscritti di proprietà del Comune di Visso, originariamente parte della collezione di Prospero Viani (1812-1892), tra i quali c’è appunto l’autografo de «L’infinito».
Questa poesia di grande armonia compositiva, costituita da quindici endecasillabi sciolti, fu composta in un anno della biografia di Giacomo Leopardi particolarmente difficile. Il 1819 fu, infatti, un vero e proprio annus horribilis per lo scrittore marchigiano, ridotto come era alla quasi completa cecità, impossibilitato allo studio e al pensiero, attanagliato da una disperazione profonda che lo portò a progettare una clamorosa fuga dal «natio borgo selvaggio».
È Leopardi stesso a indicare quel 1819 come l’anno della «mutazione totale», «privato dell’uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai -scrive il poeta- a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose».
È proprio a queste traversie, in un contrasto notato da molti critici, «andrebbe ricondotta -racconta Laura Melosi- l’origine più intima dell’«Infinito», un componimento che in maniera implicita celebra la capacità del pensiero di trascendere il reale e i limiti concreti della vita, fino a valicare monti, campi e a naufragare nell’indeterminato e infinito spazio».
Della poesia esistono due manoscritti: uno più antico, conservato a Napoli, e un secondo, quello di Visso messo in mostra a Recanati, nel quale si tramanda una versione testuale molto vicina alla definitiva.
«Le correzioni che si osservano su questi manoscritti -racconta ancora Laura Melosi- sono effettivamente minime, sostituzioni di singole parole, aggiustamenti di punteggiatura, ma investono e riguardano altresì concetti filosofici e letterari sottilissimi, per cui anche la semplice mutazione di una virgola gioca un ruolo fondamentale nella conoscenza e nella comprensione di questa poesia».
La mostra a Villa Colloredo Mels non è, però, solo una semplice vetrina per il celebre manoscritto autografo, ma è anche un momento scientifico importante, come documenta il catalogo edito per l’occasione, che esce a distanza di quasi un secolo dal contributo più ampio finora dedicato ai manoscritti di Visso, quello scritto nel 1923 da Carlo Bandini per i tipi della Nicola Zanichelli di Bologna.
L’esposizione dell’intera collezione di autografi vissani, arrivati nel comune maceratese nel 1869 a seguito dell’acquisizione del deputato cavalier Giovan Battista Gaola Antinori per la cifra irrisoria di 400 lire (l’equivalente di circa 2000 euro odierni), permette, infatti, di ripercorrere alcune tappe dell’iter creativo leopardiano.
Il percorso espositivo, arricchito da strumenti multimediali, spazia dal manoscritto degli «Idilli» (con «L’Infinito», «La sera del dì di festa», «Alla luna», «Il sogno», «La vita solitaria» e il frammento «Odi, Melisso»), poesie ideati tra il 1819 e 1821, fino ad arrivare ad uno degli ultimi scritti del poeta recanatese, la nuova prefazione al commento delle «Rime» petrarchesche da ripubblicare per i tipi dell’’editore fiorentino David Passigli nel 1837, ma che avrebbe visto la luce solo due anni dopo.
Accanto al nucleo vissano, la mostra recanatese permette di ammirare altri documenti, manoscritti e cimeli del poeta, selezionati sempre da Laura Melosi, con la collaborazione di Lorenzo Abbate.
Tra le opere esposte meritano una segnalazione le carte donate nel 1881 dall’editore Le Monnier di Firenze, quelle relative alla pubblicazione della prima edizione dello «Zibaldone» e una commovente lettera che Giacomo spedì da Firenze il 7 luglio 1833 al padre Monaldo.
Questi documenti sono allineati accanto a una galleria di ritratti della famiglia Leopardi e dello stesso scrittore, tra cui si possono ammirare tre tele firmate da Giovanni Gallucci e Giuseppe Ciaranfi, un gesso di Antonio Ugo (Palermo 1870 – ivi 1950), un marmo di Americo Luchetti (Montecassiano 1909, – ivi 2006) e la maschera funeraria realizzata alla morte del poeta, il 14 giugno 1837, su incarico di Antonio Ranieri.
Le sale di villa Colloredo Mels e l’omaggio al manoscritto de «L'Infinito» si aprono anche al contemporaneo con la mostra «Mario Giacomelli. Giacomo Leopardi, L’Infinito, A Silvia», a cura di Alessandro Giampaoli e Marco Andreani, che racconta, anche grazie al prezioso catalogo edito per l’occasione, uno dei capitoli più affascinanti e meno indagati della storia della fotografia italiana del Dopoguerra e dei rapporti tra letteratura e fotografia.
Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000), marchigiano come Giacomo Leopardi, non poteva non confrontarsi con il poeta recanatese e le sue opere più celebri. Data, per esempio, al 1964 la trasposizione fotografica della lirica leopardiana «A Silvia», esposta a Villa Colloredo Mels nella sua versione originale, della quale fino ad oggi si erano perse le tracce.
La serie, composta da trentaquattro stampe di vario formato, faceva parte di un progetto più ampio di diffusione dei grandi capolavori della letteratura attraverso la loro trasposizione fotografica, che vide coinvolti, tra gli altri, i fotografi Ugo Mulas, Ferdinando Scianna e Toni Nicolini.
Questo lavoro fu sceneggiato da Luigi Crocenzi (Montenegro, 1923- Fermo 1984), in vista della proiezione televisiva all’interno della trasmissione Rai Telescuola, e ne mostra parecchie sue suggestioni, come nel trittico di ritratti che, come i fotogrammi della pellicola di un film, segnano il mutamento progressivo dell’espressione di Silvia da «lieta» a «pensosa».
Giacomelli si accostò nuovamente alla poesia «A Silvia» nel 1988 e vi lavorò in totale autonomia.
Nonostante il recupero di undici fotografie e due varianti dalla versione originale, su un totale di trenta stampe, l’esito complessivo fu totalmente diverso.
«Il fotografo -raccontano i curatori- fece, infatti, un ampio uso di doppie esposizioni, immagini mosse, sfocate e contrastate, tutti stilemi tipici del Giacomelli degli anni Ottanta e Novanta e quasi del tutto assenti nella versione del 1964. Soprattutto mutò radicalmente il rapporto col testo. Se la versione originale costituiva una traduzione fedele dei versi di «A Silvia», in quella del 1988 il filo logico e narrativo del testo non era più immediatamente rintracciabile, disciolto nel magma di immagini realizzate in luoghi e situazioni diverse, tenute insieme non da relazioni sintattiche, spaziali, temporali o di causa-effetto, ma da un sistema di associazioni a volte indecifrabili».
Nel 1988 Giacomelli lavorò anche alla trasposizione fotografica de «L’Infinito». La serie, presentata in mostra nella sua sequenza originale, costituisce uno degli esiti più alti a cui pervenne l’artista nell’ambito delle cosiddette «foto-poesie». In questo lavoro -raccontano ancora i curatori- «attraverso il meticoloso montaggio di immagini legate tra loro e ai versi della lirica leopardiana secondo un complesso sistema di libere associazioni e richiami metaforici, Giacomelli ci restituisce in termini visivi il rapporto tra finito e infinito, realtà e immaginazione caro al poeta di Recanati».
Le celebrazioni recanatesi continueranno, dal 30 giugno al 3 novembre (l’inaugurazione è prevista per il 29 giugno, giorno in cui cade il compleanno del poeta), con due mostre che ruotano attorno all’espressione dell’infinito nell’arte: «Infiniti», a cura di Emanuela Angiuli, e «Finito, Non Finito, Infinito», a cura di Marcello Smarrelli. Ma il programma, che nei giorni passati ha visto, in occasione della Giornata mondiale della poesia, un’intensa tre giorni di eventi con ospiti del calibro di Antonino Zichichi, Paolo Crepet, il ministro Marco Bussetti e molti altri, ha in serbo ancora tante sorprese per gli appassionati di Giacomo Leopardi e della sua poesia più conosciuta. Tante occasioni per rivivere un viaggio in versi tra la concretezza di un colle e la meraviglia di ciò che sta oltre, nell’infinito, un’esperienza sublime, totale, che toglie il respiro, come ben racconta il verso finale: «E il naufragar m’è dolce in questo mare».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertine realizzate in occasione delle prime due mostre del progetto «Infinito Leopardi»; [fig. 2] Giacomo Leopardi, «L’Infinito», manoscritto autografo
1819. Visso, Museo Comunale; [fig. 3] Giovanni Gallucci, Ritratto di Giacomo Leopardi. Olio su tela. Collezione del Comune di Recanati, Donazione Teresa Teja; [fig. 4] Giacomo Leopardi, manoscritto della prima edizione dello «Zibaldone di pensieri». Collezione Comune di Recanati; [fig. 5]  Maschera funeraria realizzata alla morte di Giacomo Leopardi, il 14 giugno 1837, su incarico di Antonio Ranieri. Collezione del Comune di Recanati, Donazione Felice Le Monnier; [fig. 6 e 7] Mario Giacomelli, «A Silvia», 1964. Gelatin Silver Print. © Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli; [fig. 8] Mario Giacomelli, L'infinito, 1986-88. Gelatin Silver Print. © Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli; [fig. 8] Americo Luchetti (Montecassiano 1909 – ivi 2006), Testa di Giacomo Leopardi, marmo. Collezione del Comune di Recanati

Informazioni utili 
«Infinito Leopardi» - prima parte. Museo civico Villa Colloredo Mels, via Gregorio XII - Recanati. Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 13.00 e ore 15.00 – 18.00; Lunedì chiuso. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7 (gruppi minimo 15 persone, gruppi accompagnati da guida turistica abilitata, possessori di tessera FAI, Touring Club, Italia Nostra, Coop, Alleanza 3.0 e precedenti Adriatica, Bordest, Estense) o € 5,00 euro (possessori Recanati Card, aderenti al Campus Infinito, gruppi scolastici da 15 a 25 studenti); omaggio per minori fino a 19 anni (singoli), soci Icom, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e la persona che li accompagna. Informazioni: Ufficio IAT, tel. 071.981471, recanati@sistemamuseo.it. Fino al 19 maggio 2019.

sabato 30 marzo 2019

Da Botticelli a Della Robbia, Montevarchi e i suoi tesori

Figure dall'eleganza senza tempo, velate da un delicato senso di malinconia, scene oniriche illuminate da bagliori d’oro, ambientazioni dall'armonioso equilibrio compositivo e dalla sensibilità intima, quasi domestica: c’è lo stile, personalissimo, di Sandro Botticelli, (Firenze 1445 – 1510), uno dei maggiori esponenti del Rinascimento fiorentino, nella tela «Incoronazione della Vergine e Santi», grande protagonista della mostra «Botticelli, Della Robbia, Cigoli. Montevarchi alla riscoperta del suo patrimonio artistico», allestita negli spazi del recentemente restaurato Palazzo del Podestà di Montevarchi.
Ideata da Luca Canonici, direttore artistico del Museo di arte sacra di San Lorenzo, e curata da Bruno Santi, Lucia Bencistà e Felicia Rotundo, l’esposizione mette insieme per la prima volta dieci importanti opere d’arte -nove dipinti e una statua in terracotta- realizzate nella cittadina tra la fine del Quattrocento e gli ultimi decenni del Settecento, e in seguito allontanate, per circostanze diverse, dai luoghi per i quali erano state eseguite.
La rassegna, allestita fino al prossimo 28 aprile, prova così a ridisegnare una mappatura delle grandi committenze per gli enti religiosi di Montevarchi, quali il convento francescano di San Ludovico, il monastero benedettino di San Michele Arcangelo alla Ginestra, il monastero agostiniano di Santa Maria del Sacro Latte, la chiesa parrocchiale di Sant’Andrea a Cennano e la Collegiata di San Lorenzo.
L’ «Incoronazione della Vergine e Santi» di Sandro Botticelli -collocata al secondo piano del Palazzo del Podestà, a chiusura del percorso espositivo- torna a casa dopo due secoli. Era, infatti, il 1810 quando la tela, a seguito della soppressione napoleonica dei beni ecclesiastici, venne trafugata dalla chiesa di San Ludovico (ora Sant’Andrea a Cennano) per essere portata nei depositi fiorentini in piazza San Marco, giungendo, poi, nella chiesa di San Jacopo di Ripoli e finendo il suo viaggio, nel 1823, alla Villa La Quiete a Firenze, dove tuttora è conservata.
L’olio su tavola, di grandi dimensioni e presumibilmente realizzato tra il 1498 e il 1508, è diviso in due livelli, uno terreno e uno celeste, da un piano di nuvole. «Nella parte inferiore, in un prato fiorito, -scrive Maria Eletta Benedetti in catalogo- un’assemblea di Santi (Antonio da Padova, Barnaba, Filippo apostolo, Ludovico di Tolosa, Maria Maddalena, Giovanni Battista, Caterina d’Alessandria, Pietro, Bernardino, Francesco, Giacomo Maggiore e Sebastiano) rivolge il proprio sguardo al cielo, dove la Vergine viene incoronata da Dio Padre mentre un affollato coro di angeli musicanti celebra con antichi strumenti musicali (un organo portativo, un liuto, un salterio, una lira, un flauto, dei cimbali, un’arpa e un tamburello) il momento solenne, inondato di una luce dorata che filtra fino al cielo terrestre».
La ricchezza e la preziosità dell’abito di San Ludovico di Tolosa, la dolcezza lineare dei volti di Santa Caterina d’Alessandria e della Vergine sono caratteristiche riconducibili alla pittura matura del Botticelli. Ma insieme al maestro è ragionevole pensare che la tavola vide all’opera anche gli allievi della sua bottega. I tratti dei santi in seconda fila appaiono, infatti, impuri e grossolani, così come -racconta ancora Maria Elena Benedetti - «il terzetto di angeli cantatori in alto a sinistra sembra essere realizzato per la delicatezza del tratto, per la resa dei volti e per l’intensità espressiva, da un’altra mano rispetto a quella degli angeli eseguiti sommariamente nella parte destra».
Un altro capolavoro presente in mostra, al primo piano, è l’imponente «Miracolo della mula» di Giovanni Martinelli (Montevarchi 1600 – Firenze 1659), uno degli artisti più affascinanti ed enigmatici della pittura del Seicento, anche se, allo stesso tempo, tra i meno conosciuti.
Questo dipinto -commissionato per la Chiesa di San Ludovico e oggi custodito nella chiesa di San Francesco a Pescia- è stato realizzato nel 1632 probabilmente proprio a Montevarchi con il pittore «suggestionato -spiega Luca Canonici in catalogo- da ciò che il territorio gli suggeriva».
Sullo stesso piano è esposta anche una tela ritrovata da Lucia Bencistà proprio in occasione della mostra a Montevarchi: «Santi francescani in adorazione della Vergine» di Giacomo Tais (Trento 1685 - Pescia 1750).
Oggi conservato nel deposito del Museo del cenacolo di Andrea del Sarto a Firenze, quest’olio su tela, realizzato per la chiesa di San Ludovico nel 1739, è stato recentemente restaurato da Stefania Bracci, il cui lavoro ha restituito al dipinto la sua cromia accesa e luminosa, portando alla ribalta una tavolozza incentrata non solo su toni grigi e bruni, ma anche sulle tonalità del rosso, del giallo e del blu.
«L’opera -racconta Lucia Bencistà in catalogo- è dominata nel registro superiore da due angeli circondati da cherubini e puttini festanti e, più in basso, da quattro santi francescani che attorniano il vano centrale, in atteggiamento di venerazione». I santi sono Margherita da Cortona, Bonaventura da Bagnoregio, autore della «Legenda Maior» (la prima biografia ufficiale di San Francesco), San Pietro d’Alcantara e San Pasquale Baylon, «la cui vita -racconta ancora Lucia Bencistà- fu caratterizzata dall’amore per l’Eucaristia rappresentata nel calice poggiato sulla nuvoletta soprastante».
Sempre dal capoluogo fiorentino, o meglio dal Museo provinciale dei cappuccini toscani, provengono il «San Fedele da Sigmaringen in adorazione della Vergine col Bambino» di Fra’ Felice da Sambuca (Sambuca 1734 – Palermo 1805) e il «San Francesco» di Violante Siries Cerroti (Firenze 1710 - 1783), dipinto nel 1765 per l’altare del santo nella chiesa di San Ludovico.
Nella mostra, al piano terra, è possibile ammirare un altro capolavoro recuperato: un bellissimo dipinto del pittore Jacopo Vignali (Pratovecchio 1592 - Firenze 1664) per il convento dei frati cappuccini di Montevarchi, oggi conservato a Firenze, che raffigura il «Beato Felice da Cantalice che riceve il Bambino Gesù dalle mani della Vergine».
Dalla chiesa del Monastero benedettino di San Michele Arcangelo alla Ginestra a Montevarchi provengono, invece, altre due opere di primissimo piano, entrambe conservate al Museo nazionale d’arte medievale e moderna di Arezzo: la «Resurrezione di Cristo» di Ludovico Cardi detto il Cigoli (Cigoli di San Miniato 1559 – Roma 1613), firmata dal pittore e datata 1591, e l’intima «Natività della Vergine» di Santi di Tito (Firenze 1536 - 1603).
La mostra presenta, inoltre, altre interessanti sorprese come «Il miracolo di Sant’Antonio taumaturgo» di Mattia Bolognini (Montevarchi 1605 - Siena 1667), pittore nato a Montevarchi al pari del Martinelli, che dipinse quest’opera, oggi nella raccolta di arte sacra della chiesa di San Clemente di Pelago (Firenze), nel 1647 per l’ex Monastero di Santa Maria del Latte.
La mostra è, infine, arricchita da una terracotta policroma invetriata raffigurante «Sant’Antonio Abate», attribuita a Luca della Robbia il giovane e proveniente dall’antica Compagnia di Sant’Antonio abate.
Un percorso espositivo, dunque, di grande fascino quello visitabile a Montevarchi, che permette di riannodare i fili ormai recisi di una storia in cui si intrecciano le decisioni di committenze illuminate e il lavoro di artisti dall'abile mano. Una storia grazie alla quale, nell’Ottocento, la cittadina toscana -ricorda Lucia Bencistà in catalogo- venne inserita tra le «Cento città d’Italia» nell'impresa editoriale del «Secolo» di Milano, che per la prima volta diffondeva tra gli italiani la conoscenza e la bellezza del patrimonio culturale della penisola.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Sandro Botticelli e bottega (Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, Firenze 1445 - 1510), «Incoronazione della Vergine e Santi», 1500-1508. Particolare. Olio su tavola di pioppo bianco, cm 350x159. Firenze, Villa La Quiete Provenienza: Montevarchi, chiesa di San Ludovico; [fig. 3] Jacopo Vignali (Pratovecchio 1592 - Firenze 1664), «Il beato Felice da Cantalice riceve il Bambino dalle mani della Madonna». Olio su tela, cm 200x142. Firenze, Convento Cappuccini, Museo Provinciale dei Cappuccini Toscani Provenienza: Montevarchi, chiesa di San Lorenzo dei Padri Cappuccini; [fig. 4] Giovanni Martinelli (Montevarchi 1600 - 1659), «Il miracolo della mula», 1632. Olio su tela, cm 250x200. Pescia (Pistoia), Chiesa di San Francesco Iscrizioni: Io.Es Martinellius Floren. Fecit MDCXXXII; [fig. 5] Fra’ Felice da Sambuca (Sambuca 1734 – Palermo 1805), «San Felice da Sigmaringen ed altri santi cappuccini in venerazione della Madonna col Bambino», 1777 ca. Olio su tela, cm 202x145. Firenze, Convento Cappuccini, Museo Provinciale dei Cappuccini Toscani Provenienza: Montevarchi, chiesa di San Lorenzo dei Padri Cappuccini; [fig. 6] Santi di Tito (Firenze 1536 - 1603), «Natività della Vergine». Olio su tavola, cm 129x138. Arezzo, Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna Provenienza: Montevarchi, chiesa di San Michele Arcangelo alla Ginestra; [fig. 7] Violante Siries Cerroti (Firenze 1710 - 1783), «San Francesco d’Assisi», 1765. Olio su tela, cm 178 x 92,5. Firenze, Convento Cappuccini, Museo Provinciale dei Cappuccini Toscani Provenienza: Montevarchi, chiesa di San Ludovico Iscrizioni: VIOLANTE SIRIES CERROTI FECIT/ EX ELEMOSINIS A. R.P. M. FELICIS ANTONII BICILIOTTI EX VOTIS (in basso a destra); PROPOSTO NEPI 1898/ PROPOSTO CORSI 1921/ 1921 7° CENTENARIO 7 AGOSTO (sul retro)

Informazioni utili 
«Botticelli, Della Robbia, Cigoli. Montevarchi alla riscoperta del suo patrimonio artistico». Palazzo del Podestà di Montevarchi, piazza Varchi, 8 – Montevarchi (Arezzo). Orari: dal giovedì alla domenica, dalle ore 10 alle 13 e dalle ore 15 alle ore 19. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: Ufficio cultura -Comune di Montevarchi, tel. 0559108230, 0559108314, e-mail: ufficio.cultura@comune.montevarchi.ar.it. Sito web: www.comune.montevarchi.ar.it. Fino al 28 aprile 2019