ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 4 aprile 2019

Milano Art Week, dieci appuntamenti da non perdere

Chi passa in questi giorni da Porta Venezia, una delle sei porte principali della cinta urbana di Milano, non potrà non notare che i due caselli daziari sono completamente avvolti da enormi teli di juta. Non si tratta di una copertura per il restauro del monumento, come forse verrà facile credere ai più, ma di una vera e propria opera d’arte voluta dalla Fondazione Nicola Trussardi per la Milano Art Week, il calendario di eventi, coordinato dal Comune di Milano, in occasione della ventiquattresima edizione della fiera internazionale Miart.

L’imponente installazione, intitolata «A Friend», è opera dell’artista ghanese Ibrahim Mahama (Tamale, Ghana, 1987), che si è fatto conoscere in Italia con la sua partecipazione alla cinquantaseiesima edizione della Biennale d’arte di Venezia, quella del 2015, dove, su invito del curatore Okwui Enwezor, aveva presentato «Out of Bounds», foderando con sacchi di juta il lungo corridoio che conduce i visitatori fuori dall’Arsenale.
Con quest’ultimo progetto espositivo per la Milano Art Week, a cura di Massimiliano Gioni, Ibrahim Mahama guarda ancora una volta alla lezione di Christo, l’artista bulgaro noto per gli «impaccaggi» di edifici pubblici, invitando lo spettatore a ripensare alla storia di Porta Venezia, per secoli limite tra il territorio urbano e la campagna, e alla funzione simbolica ed economica dei due caselli daziari, a lungo terreno di scambio commerciale, innescando così una riflessione sul concetto stesso di soglia, quel luogo di passaggio che definisce l’interno e l’esterno, il sé e l’altro, l’amico e il nemico.

L’opera, che sarà visibile anche nei giorni della Design Week (dall’8 al 14 aprile), è da non perdere e rimarrà sicuramente nella memoria dei milanesi e non solo. Ma il calendario degli eventi proposti per questa settimana dedicata all’arte contemporanea, che interessa sia istituzioni pubbliche sia spazi privati, offre molte altre occasioni interessanti e attente all’attualità.
Questa nuova edizione della Milano Art Week (dal 1° al 7 aprile) si propone, infatti, di indagare -si legge nella nota stampa- come tutti i linguaggi della creatività possano «contribuire al dibattito su questioni urgenti come il cambiamento climatico, lo scambio tra culture, l’espansione delle geografie dell’arte, l’impatto delle nuove tecnologie e la riscrittura della storia dell’arte alla luce del contributo della creatività delle donne».

All’universo femminile guarda, per esempio, Pirelli HangarBicocca con la personale di Sheela Gowda (Bhadravati, Karnataka, 1957), una delle maggiori esponenti dell’arte contemporanea in India.
«Remains» -questo il titolo della rassegna, la prima dell’artista in Italia- raccoglie un’ampia selezione di opere, realizzate dal 1996 a oggi, tra cui installazioni, sculture site-specific, stampe e acquerelli, oltre a due lavori pensati appositamente per l’HangarBicocca: «Tree Line» e «In Pursuit of».
Le curatrici Nuria Enguita e Lucia Aspesi restituiscono così al visitatore il volto di un’artista che sperimenta per le sue opere una grande varietà di materiali di uso comune nel suo Paese, come la gomma, il metallo dei barili per il catrame, l’incenso e i pigmenti naturali, fino ai capelli e allo sterco bovino, per raccontare soprattutto il lavoro delle persone che in India vivono ai margini della società e vengono sfruttate.

Una donna alla sua prima personale in Italia è protagonista anche alla Fondazione Carriero. Francesco Stocchi ha curato, infatti, per questa sede espositiva, ubicata all’interno di Casa Parravicini, un omaggio a Lygia Pape (Nova Friburgo, 1927 – Rio de Janeiro, 2004), una delle maggiori esponenti del Neoconcretismo in Brasile.
La mostra sottolinea l’eclettismo e la poliedricità dell’artista, che nei suoi quarantacinque anni di carriera si è confrontata con una molteplicità di linguaggi: dal disegno alla scultura, dal video al balletto, sconfinando nell’installazione e nella fotografia.
Lygia Pape ha fatto propria la lezione del modernismo europeo per presto fonderlo con le istanze della cultura del suo Paese, fino ad arrivare a una personalissima e prolifica sintesi tra le varie pratiche artistiche, dove a predominare sono il colore e la gioia.
Tra le opere esposte, realizzate in un arco di tempo che spazia dal 1952 al 2000, ci sono i «Tecelares», una serie di incisioni su legno in cui si fondono la tradizione popolare brasiliana e le ricerche costruttiviste di origine europea, e «Tteia1», la celebre installazione che racchiude tutta l’indagine dell’artista sui materiali e la tridimensionalità.

Brasiliana (ma italiana di nascita) è anche Anna Maria Maiolino (Scalea, 1942), in mostra al Pac – Padiglione d’arte contemporanea con «O amor se faz revolucionario».
La rassegna, a cura di Diego Sileo, allinea oltre quattrocento opere tra disegni, dipinti, sculture, fotografie, video e installazioni, che restituiscono i contorni di un’indagine sociale e di una critica alle condizioni storico-politiche del suo Paese, iniziata a partire dagli anni Sessanta, quando era studentessa a Caracas, e ancora oggi vivace e fertile.
A fare da collante tra i vari lavori esposti è il tema dell’amore -quello per le origini, per la famiglia, per la terra d’adozione e per il lavoro-, «un amore che si fa rivoluzionario» e che con la sua energia, libera e contagiosa, conquista lo spettatore, facendolo riflettere sui rapporti umani, le difficoltà comunicative e di espressione, il labile confine tra fisicità e sfera intima e spirituale.

Dal Sudamerica arriva anche Carlos Amorales (Città del Messico, 1970), protagonista della mostra «L’ora dannata», a cura di Gabi Scardi, allestita negli spazi della Fondazione Pini, che invita il visitatore a riflette sulle dinamiche del tempo presente, dalla violenza ai tranelli della comunicazione.
L’artista messicano mette in scena il progetto «Life in the folds», già presentato con successo alla cinquantasettesima edizione della Biennale d’arte di Venezia. E presenta, inoltre, la scenografica installazione «Black Cloud», che porta all’interno dell’istituzione milanese, dallo scalone di ingresso alle sale di rappresentanza, uno sciame di quindicimila farfalle nere di carta, ritagliate in varie dimensioni. Pur nella loro eleganza e leggerezza, questi insetti creano spaesamento nello spettatore, ricordandogli per qualche verso le atmosfere asfissianti del film «Uccelli» di Hitchcock e la naturale paura della preda accerchiata da un branco famelico.

In occasione dell’Art Week guarda al contemporaneo anche il Museo Poldi Pezzoli, con la mostra-dossier «The Mountain of the Muse», nella quale la giovane inglese Anj Smith (Kent, 1978) dialoga con le collezioni permanenti della residenza milanese attraverso una piccola selezione di dipinti e incisioni, oltre alla personale reinterpretazione di tre piatti, due vasi e un trumeau, realizzati grazie all’esclusiva collaborazione con Fornasetti, storico atelier milanese di design e decorazione.

La pratica artistica al femminile sarà protagonista anche al Museo del Novecento, che presenterà due posizioni creative pionieristiche per l’Italia: l’esplorazione dei processi pittorici e dei materiali naturali di Renata Boero (Genova, 1936), attraverso una selezione di opere che spaziano dagli anni Sessanta a oggi come i «Cronoprogrammi» e i «Fiori di carta», e le sperimentazioni di Marinella Pirelli (Verona, 1925- Varese,2009), tra gli anni Sessanta e Settanta, con il cinema, la luce e lo spazio.
Fondazione Prada propone, invece, una grande installazione multimediale realizzata dagli americani Lizzie Fitch e Ryan Trecartin, entrambi classe 1981, che indaga i concetti di «fuga», frontiera e nuova «terra promessa».
«Whether line», questo il titolo dell’opera, prende forma nel podium, nel deposito e negli spazi esterni del museo, immergendo i visitatori in una sorta di paesaggio rurale nel quale ci si potrà muovere liberamente tra costruzioni che suggeriscono uno stato attivo di limbo, tra echi sonori e visivi della natura e della vita quotidiana che si uniscono a distorsioni di spazi familiari come parchi di divertimento, fattorie e fortificazioni.

Nell’anno di Leonardo, di cui ricorre nel 2019 il cinquecentesimo anniversario dalla morte, non poteva, poi, mancare una mostra sulla sua «Ultima cena», capolavoro simbolo per Milano. Alla Fondazione Stelline sei artisti contemporanei, di diversa tradizione culturale, rileggono l’affresco vinciano, in un inedito dialogo tra Occidente e Oriente. Si tratta di Wang Guangyi, Robert Longo, Nicola Samorì, Yue Minjun, Anish Kapoor e dei Masbedo, duo multimediale che, per questo omaggio, ha focalizzato la propria attenzione sulle mani di Pinin Brambilla Barcilon, la restauratrice che ha salvato l’«Ultima cena» leonardesca in oltre ventidue anni di costante e ininterrotto lavoro.

Merita, infine, una visita la mostra «Prospettiva arte contemporanea» alle Gallerie d’Italia, nella quale sono presentate per la prima volta al pubblico le opere acquisite da Fondazione Fiera Milano nell’ambito di Miart.
Una quarantina di lavori selezionati tra gli ottantadue entrati a far parte della raccolta negli ultimi sette anni tratteggiano un ritratto puntuale della varietà di linguaggi che animano l’arte contemporanea, in un percorso che spazia dalla pittura alla scultura, dal film alla fotografia, dal disegno all’installazione.
L’allestimento, a cura di Andrea Anastasio, si snoda come all’interno di una domus immaginaria, un susseguirsi di stanze e rientranze che rivelano e, al tempo stesso, proteggono le opere.
Lungo il percorso espositivo si possono, per esempio, ammirare gli intensi volti femminili dalla natura arcaica di Marisa Merz (1926), i misteriosi personaggi carnevaleschi della tedesca Ulla von Brandenburg (1974), i ritratti scultorei di grandi pensatori del Novecento che l’artista polacca Goshka Macuga (1967) ha trasformato in eccentrici vasi o, ancora, i volti di personaggi famosi parzialmente cancellati da Stefano Arienti (1961) fino a rivelare fisionomie inedite.

Il cartellone dell’Art Week è ancora molto ricco. Tante sono, infatti, le mostre e le installazioni da vedere in città, tutte ben raccontate sul sito ufficiale dell’iniziativa, in attesa del week-end, quando ci saranno due appuntamenti collettivi da non perdere: l’Art Night degli spazi no-profit (sabato 6 aprile) e l’apertura speciale delle gallerie private (domenica 7 aprile). Scarpe comode e programma alla mano -gli opuscoli cartacei sono disponibili in tutti gli spazi; la My Art Guide è scaricabile sia da Google Play che da AppStore- ognuno potrà crearsi il suo itinerario perfetto per vivere alla meglio Milano e il suo tributo all’arte del nostro tempo, avendo bene in mente il motto di questa edizione di Miart: «Abbi cara ogni cosa».

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] «A Friend», installazione di Ibrahim Mahama ai Caselli daziari di Porta Venezia a Milano. Foto: Fondazione Nicola Trussardi, Milano; [Fig. 3] Sheela Gowda, «Stock», 2011. Collezione Masureel, Belgio. Courtesy dell’artista; [fig. 4] Sheela Gowda, «And that is no lie», 2015. Veduta dell’installazione: Pérez Art Museum Miami, 2015–16. Courtesy dell’artista e Pérez Art Museum Miami. Foto: Oriol Tarridas; [fig. 5] Lygia Pape, «Livro do Tempo», 1965. Vista della mostra «Lygia Pape Neoconcreta» alla Galeria Thomas Cohn Arte Contemporânea, Rio de Janeiro, 1988. © Progetto Lygia Pape; [fig. 6] «Lygia Pape», 2019, Vista della mostra alla Fondazione Carriero, Milano. Ph. Christian Kain. Courtesy Fondazione Carriero, Milano; [fig. 7] Anna Maria Maiolino, «O amor se faz revolucionario», Milano, Pac, 2019. Vista della mostra. Foto: Nico Covre, Vulcano; [figg. 8 e 9] Una vista dell’installazione «Black Cloud» di Carlos Amorales alla Fondazione Pini di Milano. Foto: Andrea Rossetti; [fig. 10] Masbedo, «Madame Pinin», 2016, still da video. © Masbedo; [figg.11 e 12] Prospettiva Arte Contemporanea. La Collezione di Fondazione Fiera Milano. Installation view. ©Emmestudio_Jacopo Menzani; [figg. 13 e 14] Due lavori di Anj Smith per la mostra «The Mountain of the Muse» al Museo Poldi Pezzoli. 

Informazioni utili 
 #«A Friend» - Installazione di Ibrahim Mahama. Caselli daziari di Porta Venezia, piazza Guglielmo Oberdan, 4 – Milano. Orari: 24 h su 24 h. Ingresso libero. Informazioni: Fondazione Nicola Trussardi, tel. 02.8068821, e-mail info@fondazionenicolatrussardi.com. Sito internet: www.fondazionetrussardi.com. Fino al 14 aprile 2019.
# «Remains». Personale di Sheela Gowda. Pirelli HangarBicocca, via Chiese, 2 – Milano. Orari: giovedi-domenica, ore 10.00–22.00. Ingresso: gratuito. Informazioni: tel. 02.66111573, info@hangarbicocca.org. Sito internet: www.hangarbicocca.it. Fino al 15 settembre 2019.
# Lygia Pape. Fondazione Carriero, via Cino del Duca, 4 – Milano. Orari:da martedì a domenica, dalle ore 11.00 alle ore 18.00; chiuso il lunedì. Ingresso libero. Informazioni: info@fondazionecarriero.org, tel. 02.36747039. Sito internet: www.fondazionecarriero.org. Fino al 31 luglio 2019
#«O amor se faz revolucionario». Mostra di Anna Maria Maiolino. Pac - Padiglione d’arte contemporanea, via Palestro, 14 – Milano. Orari: mercoledì, venerdì, sabato e domenica, ore 9.30—19.30; martedì e giovedì, ore 9.30—22.30 | dal 2 al 7 aprile, tutti i giorni dalle ore 9:30 alle ore 22:30. Ingresso: intero € 8,00, ridotto da € 6,50 a € 4,00, ingresso con biglietto mostra speciale a € 4,00 dalle ore 18 durante la Art Week e la domenica, dalle ore 19.00 il giovedì. Informazioni: tel. 02.88446359. Sito internet: pacmilano.it. Fino al 9 giugno 2019. Prorograta fino al 1° settembre 2019.

# «L’ora dannata» - Mostra di Carlos Amorales. Fondazione Adolfo Pini, corso Garibaldi, 2 – Milano. Orari: ore 10.00-13.00 e ore 15.00-17.00 | apertura straordinaria Milano Art week: da lunedì a venerdì, 10.00-13.00 e ore 15.00-19.00; sabato 6 e domenica 7, dalle ore 11.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.874502, eventi@fondazionepini.it. Sito internet: www.fondazionepini.net. Fino all'8 luglio 2019
«Anj Smith - The Mountain of the Muse». Museo Poldi Pezzoli, via Manzoni, 12 - Milano. Orari: da mercoledì a lunedì, dalle ore 10.00 alle ore 18.00; chiuso il martedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7,00. Informazioni: tel. 02.794889 o 02.796334. Sito internet: www.museopoldipezzoli.it. Fino al 12 maggio 2019
# «Kromo-Kronos». Personale di Renata Boero (fino al 23 giugno 2019) e «Luce movimento». Personale di Marinella Pirelli (fino al 25 agosto 2019). Museo del Novecento - Palazzo dell'Arengario, piazza Duomo, 8 Milano. Orari: lunedì, dalle ore 14.30 alle ore 19.30; martedì-domenica, dalle ore 9.30 alle ore 19.30. Ingresso: intero € 10,00, ridotto da € 8,00 a € 5,00, solo mostra Marinella Pirelli € 5,00. Informazioni: tel. 02.88444061 o 02.88444062, c.museo900@comune.milano.it. Sito internet: https://www.museodelnovecento.org. Fino al 25 agosto 2019.
# «Whether line». Fondazione Prada, Largo Isarco, 2 - Milano. Orari: lunedì, mercoledì, giovedì, ore 10.00 – 19.00; venerdì, sabato e domenica, ore 10.00 – 21.00. Ingresso (per i soli progetti temporanei):intero € 10,00, ridotto € 8,00, ingresso gratuito per tutti sabato 6 aprile, dalle ore 19.00 alle ore 21.00; per altre tariffe si consiglia di vedere la pagina fondazioneprada.org/visit/visit-milano/. Informazioni: tel.02.56662611 o info@fondazioneprada.org. Fino al 5 agosto 2019.
# «L'ultima cena dopo Leonardo». Orari: martedì – domenica, ore 10.00-20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto e Milano Art Week (con visite guidate nella serata di sabato 6 aprile, dalle ore 17.00 alle ore 19.00) € 6,00 |biglietti online: http://bit.ly/vivaticketprevendita. Informazioni: fondazione@stelline.it. Sito internet: www.stelline.it. Fino al 30 giugno 2019
# «Prospettiva arte contemporanea». Gallerie d’Italia, piazza della Scala, 6 - Milano. Fino al 7 maggio 2019 Orari: martedì - domenica, ore 9.30-19.30 (ultimo ingresso ore 18.30); giovedì, ore 9.30-22.30 (ultimo ingresso ore 21.30); lunedì chiuso | aperture straordinarie 21-22 aprile (Pasqua e lunedì dell’Angelo), 25 aprile, 1° maggio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: numero verde 800.167619; info@gallerieditalia.com. Sito internet: www.gallerieditalia.com. Fino al 7 maggio 2019
#Altre mostre: www.milanoartweek.it

mercoledì 3 aprile 2019

Miart 2019, 186 gallerie e un invito: «abbi cara ogni cosa»

«Abbi cara ogni cosa»: è un verso del poeta Gareth Evans, tratto dal poema «Hold Everything Dear», il motto di Miart 2019, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea in programma da venerdì 5 a domenica 7 aprile (con giovedì 4 press preview, VIP preview e vernissage su invito) a Milano, negli spazi del padiglione 3 di fieramilanocity, a chiusura della Milano art week, un vasto programma di eventi, inaugurazioni e performance che coinvolge istituzioni pubbliche, fondazioni private e spazi no-profit della città.
«Abbi cara ogni cosa» non è il tema guida di questa ventiquattresima edizione di Miart, espressione come tutte le rassegne di settore della diversità e della complessità del mercato dell’arte nelle sue varie forme e quindi evento difficilmente catalogabile, quanto un invito all’attenzione rivolto agli artisti e alle gallerie, ma anche al pubblico.
«L’arte -spiega a tal proposito Alessandro Rabottini, al suo terzo anno alla direzione della fiera milanese- ha il potere di trasformare anche gli aspetti più umili della realtà perché gli artisti posano una sguardo di cura su di essa, e quando come spettatori facciamo nostro questo gesto di attenzione allora forse diventiamo spettatori più consapevoli, e in grado noi stessi di incidere sulla società».
«Il punto -continua il critico e curatore milanese, attivo per anni alla Gamec di Bergamo- non è quanto l’arte del nostro tempo possa cambiare la realtà, ma quanto essa possa renderci spettatori attivi della nostra epoca, accettando il confronto e la sperimentazione accanto al consolidamento dei valori storici», facendoci osservare il nostro tempo, caotico quanto fecondo, con occhi nuovi.
All’appello di Alessandro Rabottini hanno risposto 186 gallerie internazionali provenienti da diciannove nazioni, alcune delle quali al loro debutto sulla scena milanese come le londinesi Cabinet, Corvi-Mora ed Herald St, la piemontese Tucci Russo di Torre Pellice, e le multi-sede Marian Goodman Gallery (New York - Parigi - Londra), Galerie Thaddaeus Ropac (Parigi - Londra - Salisburgo), e, ultima ma non ultima, la Hauser e Wirth (Hong Kong - Londra - Los Angeles - New York - Somerset - St. Moritz - Gstaad - Zurigo), grande protagonista anche dell’art week milanese con le mostre di Anna Maria Maiolino (rappresentata anche da Raffaella Cortese) al Pac – Padiglione d’arte contemporanea, Anj Smith al Museo Poldi Pezzoli, Lygia Pape alla Fondazione Carriero e Hans Josephsohn ad Ica.
Più di un centinaio delle realtà presenti in fiera a Milano sono italiane; una settantina provengono da Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Inghilterra, Messico, Perù, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Stati Uniti, Sud Africa, Svizzera, Turchia e Ungheria.
Tante sono le gallerie che consolidano il loro rapporto con Miart, a partire dalle italiane Alfonso Artiaco di Napoli, Giò Marconi di Milano e Massimo Minini di Brescia per giungere alle straniere ChertLüdde di Berlino, Bortolami di New York, Lelong e Co. di Parigi, senza dimenticare realtà con più sedi in tutto il mondo, come la Continua (San Gimignano - Pechino - Boissy-le-Châtel - L’Avana), la Clearing (Bruxelles - New York - Brooklyn),la Dvir Gallery (Bruxelles - Tel Aviv) e la Gladstone Gallery (New York - Bruxelles).
«Established contemporary», «Established Masters», «Generations», «Decades», «Emergent», «On Demand» ed «Object» sono le sette sezioni in cui è stato suddiviso il percorso in fiera, che getta un occhio anche al design in edizione limitata, facendo quasi da trait d’union con il prossimo importante appuntamento che attende il capoluogo milanese: la Milano Design Week, con il Salone del mobile, in cartellone dall’8 al 14 aprile.
Miart ha nel proprio Dna non solo il racconto di ciò che si muove sulla scena contemporanea, ma anche un’attenta riflessione sull’arte del secolo scorso, attraverso la presenza di stand di realtà come la Galleria dello Scudo di Verona, la Tega di Milano o la Mazzoleni di Torino, ma anche con la realizzazione del progetto «Decades», per la curatela di Alberto Salvadori, in cui ogni decade del Novecento verrà rappresentata da un artista simbolo.
Gli anni Novanta saranno raccontati, per esempio, da Jon Thompson, figura fondamentale per lo sviluppo della Young British Art e artista la cui ricerca sulla storia dell’arte è ancora da scoprire. Sandro Chia, uno dei protagonisti del movimento della Transavanguardia, rappresenterà, invece, gli anni Ottanta. Mentre gli anni Settanta saranno portati a Miart dalla galleria acb di Budapest, attraverso il lavoro di Katalin Ladik e le pratiche sperimentali delle artiste della Neo-avanguardia ungherese, e dalla Galleria Gomiero di Milano, che presenterà una straordinaria selezione di disegni inediti dell’ultimo periodo di attività dell’architetto Carlo Scarpa.
La recente riscoperta del lavoro di Maria Lai, protagonista dell’ultima edizione della Biennale di Venezia e a breve al centro di una grande retrospettiva a Roma per la curatela di Bartolomeo Pietromarchi, sarà sotto i riflettori di Miart grazie a una mostra personale promossa dalla M77 di Milano, con una selezione dei suoi lavori realizzati negli anni Sessanta. Gli anni Cinquanta saranno raccontati, invece, da uno dei capolavori dell’artista ceco Jaroslav Serpan. Mentre Antonietta Raphaēl, artista di riferimento della Scuola romana, sarà la protagonista degli anni Quaranta. La decade precedente sarà, invece, rappresentata dal romano Duilio Cambellotti; la Società di belle arti di Viareggio realizzerà, infine, un percorso attraverso gli anni ‘10 e ‘20 con opere, tra gli altri, di Lorenzo Viani ed Elisabeth Chaplin.
La fiera milanese sarà anche -come negli intenti di Alessandro Rabottini- barometro della realtà di oggi. Latifa Echakhch proporrà, per esempio, una riflessione sui limiti degli stereotipi culturali, mentre l’artista portoghese Luìs Lázaro Matos metterà in scena l’assurdità della propaganda attraverso i suoi dipinti ironici e pungenti. Serena Vestrucci installerà, invece, un monumentale cielo stellato cucito a mano con dozzine di bandiere dell’Unione Europea e, ancora, lo statunitense Jon Kessler presenterà le sue celebri sculture in movimento che criticano la società della sorveglianza.
Durante i giorni della fiera, diciotto direttori di musei internazionali e curatori di prestigiose istituzioni provenienti da dieci Paesi andranno ad implementare il fondo di acquisizione della Fondazione Fiera Milano con l’acquisto di opere esposte a Miart e assegneranno cinque premi a gallerie e artisti: Herno, Fidenza Village per Generations, On Demand by Snaporazverein, LCA per Emergent, Rotary club Milano Brera per l'arte contemporanea e i giovani artisti.
Ad accompagnare la ricca proposta delle gallerie c’è anche un nuovo ciclo di «miartalks», realizzati in collaborazione con «In Between Art Film», casa di produzione cinematografica fondata nel 2012 da Beatrice Bulgari. Si tratta di tre giornate di incontri in cui una quarantina di artisti, curatori e direttori di musei, collezionisti, designer e scrittori internazionali saranno chiamati a riflettere su tre principali tematiche, riunite attorno al tema «Il bene comune». La prima giornata è dedicata al collezionismo, alla produzione e alla commissione di opere d’arte; la seconda è incentrata sull’arte italiana come patrimonio collettivo e sulla sua diffusione a livello internazionale; la terza prevede un focus sul design.
Con Miart torna anche la Milano Art Week, una settimana in cui, scarpe comode e programma alla mano, si va a zonzo per la città a scoprire le ricerche più attuali del contemporaneo, in attesa dei due eventi collettivi che chiuderanno questa intensa sette giorni: l’Art Night degli spazi no-profit, in cartellone sabato 6 aprile, e l’apertura speciale, in agenda domenica 7, delle gallerie private.
Tra le mostre e le installazioni da vedere, tutte ben raccontate sul sito milanoartweek.it, si segnalano «A Friend», un intervento monumentale dell’artista ghanese Ibrahim Mahama ai bastioni di Porta Venezia (commissionato dalla Fondazione Trussardi), «Remains», un’ampia rassegna sul lavoro dell’artista di origine indiana Sheela Gowda all’Hangar Bicocca, ma anche i lavori di Marinella Pirelli al Museo del Novecento e quelli di Carlos Amorales alla Fondazione Adolfo Pini.
Una proposta, dunque, varia quella di Miart e della Milano Art Week, che, con i suoi tanti appuntamenti, indagherà come l’arte e il design «possano contribuire -si legge nella nota stampa- al dibattito attuale su questioni urgenti come il cambiamento climatico, lo scambio tra culture, l’espansione delle geografie dell’arte, l’impatto delle nuove tecnologie e la riscrittura della storia dell’arte alla luce del contributo della creatività delle donne». Temi di attualità, questi, che dimostrano come Milano possa essere e sia una «città che sale».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine per «Horizon», campagna promozionale di Miart 2019. Fotografo: Jonathan Frantini. Art Direction: Francesco Valtolina (Mousse). Assistente Art Direction: Anita Poltronieri (Mousse). Assistente fotografo: Francesca Gardini, Giacomo Lepori. Casting: Semina Casting Modelli: Amelie, Lorenzo, Clara, Federico, Alessandro, Mohamed, Sara, Angela, Martina, Alessandro, Nicolo', Davide, Loreley, Mehdi; [fig. 2] JX Williams, Untitled (Bull Chain), 2018. Mixed media floor installation. Dimensions variable. Unique. Courtesy Cabinet, London; [fig. 3] Latifa Echakhch, Erratum, 2004. «Leopards in the Temple». Installation view, Sculpture Center, New York, 2010. Courtesy: courtesy of the artist, kaufmann repetto, Milan / New York. Copyright: Jason Mandella. © SculptureCenter and the artists; [fig. 4] Virgilio Guidi, Donna dalla cintura rossa, 1934. Olio su compensato, 90 × 72,2 cm. Courtesy Società delle belle arti, Viareggio; [fig. 5] Serena Vestrucci, «Strappo alla regola», 2013. European flags canvas, cotton thread, three months, 110 × 4 × 100 cm. Otto Zoo and the artist. Copyright Ph. Luca Vianello; [fig. 6] Luís Lázaro Matos, White Shark Cafe, 2018. Graphite, marker and tracing paper on paper, variable dimensions. Unique. Courtesy Galeria Madragoa and Luís Lázaro Matos; [fig. 7] Alessandro Mendini, Corbu, 2016. Ceramica dipinta con i colori usati da Le Corbusier nell'Unité d'Habitation di Marsiglia, 59,5 × 20 × 27 cm ciascuno. Copyright Renato Ghiazza. Courtesy Enrico Astuni, Bologna

Informazioni utili  
Miart. fieramilanocity, viale scarampo, gate 5 pad./ pav. 3 - Milano. Orari: venerdì 5 e sabato 6 aprile, dalle ore 12.00 alle ore 20.00, domenica 7 aprile, dalle ore 11.00 alle ore 19.00. Ingresso: intero 15,00 euro, ridotto per ragazzi dai 14 ai 17 anni 10,00 euro, ridotto per bambini sotto i 14 anni e studenti di arte 1,00 euro | il biglietto intero online costa 12,00 euro. Informazioni: www.miart.it. Dal 5 al 7 aprile 2019.

lunedì 1 aprile 2019

«Infinito Leopardi»: un manoscritto, un fotografo e duecento anni di poesia

Sono passati duecento anni da quando Giacomo Leopardi (Recanati 1798 – Napoli 1837) compose il manoscritto vissano de «L’Infinito», «la sua poesia -per usare le parole di Laura Melosi- più studiata, più letta e più tradotta».
In occasione dell’anniversario è stato ideato un ricco calendario di iniziative che, per un intero anno, proporrà al pubblico mostre, spettacoli, conferenze e pubblicazioni.
L’arco temporale dell’intera manifestazione sarà suddiviso in due momenti principali, corrispondenti alla realizzazione di rassegne di diversa natura prodotte da Sistema Museo, la società che gestisce i musei civici di Recanati, città natale dello scrittore.
La prima parte delle celebrazioni, in programma fino al 19 maggio, ha il suo cuore pulsante a Villa Colloredo Mels, dove Laura Melosi, direttrice della cattedra leopardiana all’Università degli studi di Macerata, ha curato l’esposizione «Infinità / Immensità», incentrata sul patrimonio leopardiano di manoscritti di proprietà del Comune di Visso, originariamente parte della collezione di Prospero Viani (1812-1892), tra i quali c’è appunto l’autografo de «L’infinito».
Questa poesia di grande armonia compositiva, costituita da quindici endecasillabi sciolti, fu composta in un anno della biografia di Giacomo Leopardi particolarmente difficile. Il 1819 fu, infatti, un vero e proprio annus horribilis per lo scrittore marchigiano, ridotto come era alla quasi completa cecità, impossibilitato allo studio e al pensiero, attanagliato da una disperazione profonda che lo portò a progettare una clamorosa fuga dal «natio borgo selvaggio».
È Leopardi stesso a indicare quel 1819 come l’anno della «mutazione totale», «privato dell’uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai -scrive il poeta- a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose».
È proprio a queste traversie, in un contrasto notato da molti critici, «andrebbe ricondotta -racconta Laura Melosi- l’origine più intima dell’«Infinito», un componimento che in maniera implicita celebra la capacità del pensiero di trascendere il reale e i limiti concreti della vita, fino a valicare monti, campi e a naufragare nell’indeterminato e infinito spazio».
Della poesia esistono due manoscritti: uno più antico, conservato a Napoli, e un secondo, quello di Visso messo in mostra a Recanati, nel quale si tramanda una versione testuale molto vicina alla definitiva.
«Le correzioni che si osservano su questi manoscritti -racconta ancora Laura Melosi- sono effettivamente minime, sostituzioni di singole parole, aggiustamenti di punteggiatura, ma investono e riguardano altresì concetti filosofici e letterari sottilissimi, per cui anche la semplice mutazione di una virgola gioca un ruolo fondamentale nella conoscenza e nella comprensione di questa poesia».
La mostra a Villa Colloredo Mels non è, però, solo una semplice vetrina per il celebre manoscritto autografo, ma è anche un momento scientifico importante, come documenta il catalogo edito per l’occasione, che esce a distanza di quasi un secolo dal contributo più ampio finora dedicato ai manoscritti di Visso, quello scritto nel 1923 da Carlo Bandini per i tipi della Nicola Zanichelli di Bologna.
L’esposizione dell’intera collezione di autografi vissani, arrivati nel comune maceratese nel 1869 a seguito dell’acquisizione del deputato cavalier Giovan Battista Gaola Antinori per la cifra irrisoria di 400 lire (l’equivalente di circa 2000 euro odierni), permette, infatti, di ripercorrere alcune tappe dell’iter creativo leopardiano.
Il percorso espositivo, arricchito da strumenti multimediali, spazia dal manoscritto degli «Idilli» (con «L’Infinito», «La sera del dì di festa», «Alla luna», «Il sogno», «La vita solitaria» e il frammento «Odi, Melisso»), poesie ideati tra il 1819 e 1821, fino ad arrivare ad uno degli ultimi scritti del poeta recanatese, la nuova prefazione al commento delle «Rime» petrarchesche da ripubblicare per i tipi dell’’editore fiorentino David Passigli nel 1837, ma che avrebbe visto la luce solo due anni dopo.
Accanto al nucleo vissano, la mostra recanatese permette di ammirare altri documenti, manoscritti e cimeli del poeta, selezionati sempre da Laura Melosi, con la collaborazione di Lorenzo Abbate.
Tra le opere esposte meritano una segnalazione le carte donate nel 1881 dall’editore Le Monnier di Firenze, quelle relative alla pubblicazione della prima edizione dello «Zibaldone» e una commovente lettera che Giacomo spedì da Firenze il 7 luglio 1833 al padre Monaldo.
Questi documenti sono allineati accanto a una galleria di ritratti della famiglia Leopardi e dello stesso scrittore, tra cui si possono ammirare tre tele firmate da Giovanni Gallucci e Giuseppe Ciaranfi, un gesso di Antonio Ugo (Palermo 1870 – ivi 1950), un marmo di Americo Luchetti (Montecassiano 1909, – ivi 2006) e la maschera funeraria realizzata alla morte del poeta, il 14 giugno 1837, su incarico di Antonio Ranieri.
Le sale di villa Colloredo Mels e l’omaggio al manoscritto de «L'Infinito» si aprono anche al contemporaneo con la mostra «Mario Giacomelli. Giacomo Leopardi, L’Infinito, A Silvia», a cura di Alessandro Giampaoli e Marco Andreani, che racconta, anche grazie al prezioso catalogo edito per l’occasione, uno dei capitoli più affascinanti e meno indagati della storia della fotografia italiana del Dopoguerra e dei rapporti tra letteratura e fotografia.
Mario Giacomelli (Senigallia, 1925-2000), marchigiano come Giacomo Leopardi, non poteva non confrontarsi con il poeta recanatese e le sue opere più celebri. Data, per esempio, al 1964 la trasposizione fotografica della lirica leopardiana «A Silvia», esposta a Villa Colloredo Mels nella sua versione originale, della quale fino ad oggi si erano perse le tracce.
La serie, composta da trentaquattro stampe di vario formato, faceva parte di un progetto più ampio di diffusione dei grandi capolavori della letteratura attraverso la loro trasposizione fotografica, che vide coinvolti, tra gli altri, i fotografi Ugo Mulas, Ferdinando Scianna e Toni Nicolini.
Questo lavoro fu sceneggiato da Luigi Crocenzi (Montenegro, 1923- Fermo 1984), in vista della proiezione televisiva all’interno della trasmissione Rai Telescuola, e ne mostra parecchie sue suggestioni, come nel trittico di ritratti che, come i fotogrammi della pellicola di un film, segnano il mutamento progressivo dell’espressione di Silvia da «lieta» a «pensosa».
Giacomelli si accostò nuovamente alla poesia «A Silvia» nel 1988 e vi lavorò in totale autonomia.
Nonostante il recupero di undici fotografie e due varianti dalla versione originale, su un totale di trenta stampe, l’esito complessivo fu totalmente diverso.
«Il fotografo -raccontano i curatori- fece, infatti, un ampio uso di doppie esposizioni, immagini mosse, sfocate e contrastate, tutti stilemi tipici del Giacomelli degli anni Ottanta e Novanta e quasi del tutto assenti nella versione del 1964. Soprattutto mutò radicalmente il rapporto col testo. Se la versione originale costituiva una traduzione fedele dei versi di «A Silvia», in quella del 1988 il filo logico e narrativo del testo non era più immediatamente rintracciabile, disciolto nel magma di immagini realizzate in luoghi e situazioni diverse, tenute insieme non da relazioni sintattiche, spaziali, temporali o di causa-effetto, ma da un sistema di associazioni a volte indecifrabili».
Nel 1988 Giacomelli lavorò anche alla trasposizione fotografica de «L’Infinito». La serie, presentata in mostra nella sua sequenza originale, costituisce uno degli esiti più alti a cui pervenne l’artista nell’ambito delle cosiddette «foto-poesie». In questo lavoro -raccontano ancora i curatori- «attraverso il meticoloso montaggio di immagini legate tra loro e ai versi della lirica leopardiana secondo un complesso sistema di libere associazioni e richiami metaforici, Giacomelli ci restituisce in termini visivi il rapporto tra finito e infinito, realtà e immaginazione caro al poeta di Recanati».
Le celebrazioni recanatesi continueranno, dal 30 giugno al 3 novembre (l’inaugurazione è prevista per il 29 giugno, giorno in cui cade il compleanno del poeta), con due mostre che ruotano attorno all’espressione dell’infinito nell’arte: «Infiniti», a cura di Emanuela Angiuli, e «Finito, Non Finito, Infinito», a cura di Marcello Smarrelli. Ma il programma, che nei giorni passati ha visto, in occasione della Giornata mondiale della poesia, un’intensa tre giorni di eventi con ospiti del calibro di Antonino Zichichi, Paolo Crepet, il ministro Marco Bussetti e molti altri, ha in serbo ancora tante sorprese per gli appassionati di Giacomo Leopardi e della sua poesia più conosciuta. Tante occasioni per rivivere un viaggio in versi tra la concretezza di un colle e la meraviglia di ciò che sta oltre, nell’infinito, un’esperienza sublime, totale, che toglie il respiro, come ben racconta il verso finale: «E il naufragar m’è dolce in questo mare».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertine realizzate in occasione delle prime due mostre del progetto «Infinito Leopardi»; [fig. 2] Giacomo Leopardi, «L’Infinito», manoscritto autografo
1819. Visso, Museo Comunale; [fig. 3] Giovanni Gallucci, Ritratto di Giacomo Leopardi. Olio su tela. Collezione del Comune di Recanati, Donazione Teresa Teja; [fig. 4] Giacomo Leopardi, manoscritto della prima edizione dello «Zibaldone di pensieri». Collezione Comune di Recanati; [fig. 5]  Maschera funeraria realizzata alla morte di Giacomo Leopardi, il 14 giugno 1837, su incarico di Antonio Ranieri. Collezione del Comune di Recanati, Donazione Felice Le Monnier; [fig. 6 e 7] Mario Giacomelli, «A Silvia», 1964. Gelatin Silver Print. © Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli; [fig. 8] Mario Giacomelli, L'infinito, 1986-88. Gelatin Silver Print. © Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli; [fig. 8] Americo Luchetti (Montecassiano 1909 – ivi 2006), Testa di Giacomo Leopardi, marmo. Collezione del Comune di Recanati

Informazioni utili 
«Infinito Leopardi» - prima parte. Museo civico Villa Colloredo Mels, via Gregorio XII - Recanati. Orari: martedì – domenica, ore 10.00 – 13.00 e ore 15.00 – 18.00; Lunedì chiuso. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 7 (gruppi minimo 15 persone, gruppi accompagnati da guida turistica abilitata, possessori di tessera FAI, Touring Club, Italia Nostra, Coop, Alleanza 3.0 e precedenti Adriatica, Bordest, Estense) o € 5,00 euro (possessori Recanati Card, aderenti al Campus Infinito, gruppi scolastici da 15 a 25 studenti); omaggio per minori fino a 19 anni (singoli), soci Icom, giornalisti muniti di regolare tesserino, disabili e la persona che li accompagna. Informazioni: Ufficio IAT, tel. 071.981471, recanati@sistemamuseo.it. Fino al 19 maggio 2019.