ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 4 maggio 2019

«Segni esemplari», Bodoni e il suo «Manuale tipografico»

«Io vivo sempre segregato dal gran mondo, e procuro ultimare il mio Manuale tipografico che da quarant’anni mi tiene occupatissimo, e sia certo che Ella ne avrà copia qualora sarà a laudevol termine ridotto». Era il 28 dicembre 1800 quando Giambattista Bodoni (Saluzzo, 26 febbraio 1740 – Parma, 30 novembre 1813) scriveva ad Andrés Franco Castellanos promettendogli una copia del suo «Manuale tipografico».
L’opera avrebbe in realtà visto la luce solo una ventina di anni dopo, nel 1818, pubblicata postuma dalla vedova dello studioso, Margherita, con l’intento di portare a termine quello che era stato un progetto lungamente pensato, e infine, avviato dal marito.
Al suo interno è contenuta una collezione di 665 alfabeti diversi e una serie di circa 1300 fregi, oltre a una prefazione nella quale Giambattista Bodoni espone alcuni criteri di metodo legati al suo modo di operare: «tanto più bello sarà un carattere -scrive per esempio-quanto più avrà regolarità, nettezza, buon gusto e grazia».
Questa raccolta, della quale si è appena festeggiato il bicentenario dalla pubblicazione, è al centro della mostra «Segni esemplari», promossa dal Museo bodoniano al Palazzo della Pilotta di Parma, con la curatela di Silvana Amato, che si è avvalsa per l’occasione dell’ausilio di Grazia Maria De Rubeis e Caterina Silva.
Il «Manuale tipografico» del 1818, a dispetto del titolo, non appartiene né all’ambito dei compendi né a quello dei campionari. Ci troviamo piuttosto di fronte a un orgoglioso e monumentale riepilogo con cui Giambattista Bodoni voleva mettere nero su bianco, fissando nel tempo, la sua attività. L’incisore e tipografo di Saluzzo non era, in realtà, nuovo alla pubblicazione di una raccolta di caratteri. Già nel 1788 aveva, infatti, dato alle stampe un «Manuale tipografico», in questo caso privo di prefazione e di testo esplicativo.
Evidentemente, lo studioso -racconta Silvana Amato- aveva mutuato il termine dal piccolo manuale tecnico di Pierre-Simon Fournier, il «Manuel typographique» del 1764, ma i «due volumi esprimevano, seppur con lo stesso titolo, due oggetti con funzione diversa. Quello di Fournier, in effetti, era un vero manuale nel senso di strumento divulgativo di descrizione degli elementi essenziali di una pratica complessa, dall’incisione dei punzoni all’impressione delle matrici e alla fusione dei caratteri mobili. Quello di Bodoni era, invece, un campionario di caratteri e ornamenti da lui realizzati».
Accanto ai due volumi di Giambattista Bodoni, ai suoi punzoni, alle sue matrici e agli studi manoscritti, la mostra alla Pilotta presenta anche alcuni manuali e campionari di caratteri realizzati da altri autori prima e dopo il 1818, con l’intento di raccontare in maniera più che esaustiva la scrittura alfabetica nella sua forma tipografica.
L’esposizione, il cui progetto grafico è curato da Rosanna Lama e Nicolò Mingolini, si apre, poi, anche al contemporaneo, presentando il lavoro di un selezionato gruppo di grafici internazionali. Si tratta di «testimonianze visive– racconta ancora Silvana Amato- che ci permettono di rintracciare, attraverso l’evoluzione della forma dei caratteri, lo svolgersi stesso della nostra storia, e di sfruttare l’occasione per avviare nuovi discorsi critici intorno al tema della scrittura come strumento di conoscenza».
Un omaggio, dunque, di grande interesse quello che il Palazzo della Pilotta fa a Giambattista Bodoni, uno dei più grandi innovatori della stampa tipografica, pioniere, insieme al collega francese Didot, dei cosiddetti caratteri tipografici moderni, e narratore con il suo «Manuale» della storia e della tecnica di un'arte antica, fondamentale per lo sviluppo dell'editoria.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Minuta autografa di lettera del 29 dicembre 1800 ad Andrés Franco Castellanos; [fig. 2] Lettera theta dell’alfabeto greco che appartiene ai cosiddetti caratteri “esotici” disegnati da Giambattista Bodoni è tratta dalla pagina 42 del secondo volume del «Manuale tipografico» del 1818; [fig. 3] Manifesto realizzato per la mostra dal grafico inglese Patrick Thomas che illustra su un muro uno dei primi principi acquisiti quando era studente: la crenatura (ovvero lo spazio bianco tra le lettere) si controlla meglio se il testo è rovesciato

Informazioni utili 
«Segni esemplari». Palazzo della Pilotta - Galleria Petitot della Biblioteca Palatina, - Parma. Orari: dal lunedì al giovedì, dalle ore 9.00 alle ore 18.00, il venerdì e il sabato, dalle ore 9.00 alle ore 13.00. Ingresso: € 3,00. Informazioni: info@museobodoniano. Sito internet: www.museobodoniano.it. Fino al 18 maggio 2019

giovedì 2 maggio 2019

Brescia Photo Festival: la fotografia è donna

Da Man Ray a Robert Mapplethorpe, da Vanessa Beecroft a Francesca Woodman, da Julia Margaret Cameron a Mihaela Noroc ed Elisabetta Catalano: sono sguardi differenti di grandi artisti che dall’Ottocento a oggi hanno lasciato il proprio nome nel grande libro della storia mondiale della fotografia quelli che vanno in scena a Brescia in occasione della terza edizione del Brescia Photo Festival.
Da giovedì 2 a domenica 5 maggio dieci sedi espositive cittadine -per un totale di 4mila metri quadrati- ospiteranno diciannove esposizioni tra mostre tematiche, monografiche e one-off, in gran parte produzioni originali, oltre a talk con artisti, workshop, concerti, proiezioni cinematografiche e visite guidate.
Filo conduttore di questa edizione del festival, le cui rassegne temporanee proseguiranno in gran parte fino a settembre inoltrato, è la complessità dell’universo femminile nella società contemporanea: la donna davanti all'obiettivo come fonte di ispirazione creativa e la donna dietro l'obiettivo, come realizzatrice di opere fotografiche, sono, infatti, una costante importantissima e imprescindibile nel panorama internazionale.
La manifestazione, che si inaugurerà con un concerto per pianoforte del veneziano Alessandro Taverna (giovedì 2 maggio, alle ore 18), sarà anche un’importante occasione per valorizzare il patrimonio museale di Brescia, a partire dal Complesso di Santa Giulia, antico monastero femminile di origine longobarda, al cui interno saranno ospitate ben nove mostre del festival.
Il percorso può idealmente partire con la rassegna «Davanti l’obiettivo», a cura di Mario Trevisan, che racconta il nudo femminile attraverso un centinaio di scatti di artisti di fama internazionale, in un viaggio che va dagli albori della fotografia a oggi, passando dagli anni ’20 e dalla Parigi del periodo surrealista all'America Latina degli inizi del ‘900, senza dimenticare il Giappone e la sua cultura.
Al Museo di Santa Giulia viene proposta anche un’esposizione sulle più importanti fotografie italiane, «Dietro l’obiettivo», con oltre cento scatti provenienti dalla collezione di Donata Pizzi. Attraverso le opere in mostra –da quelle di reportage a quelle più spiccatamente sperimentali– affiorano i mutamenti concettuali, estetici e tecnologici che hanno caratterizzato la fotografia italiana dell’ultimo cinquantennio, dal 1965 al 2018.
Sempre alle donne fotografe è dedicata l’installazione «Parlando con voi», ideata da Giovanni Gastel, con trenta schermi su cui scorrono interviste esclusive e sequenze di opere e pubblicazioni di una trentina di artiste.
Chiude idealmente il trittico sul ritratto dal XIX al XXI secolo, ammiccando anche alla cultura del selfie, la rassegna «Autoritratto al femminile», a cura di Donata Pizzi e Mario Trevisan, con cinquanta opere che non si fermano alla semplice e formale produzione del ritratto, ma sono caratterizzate da una forte ricerca nella rappresentazione intimista del soggetto/oggetto.
Sempre al Museo di Santa Giulia sono allestite due monografiche, a cura della collezione Massimo Minini, con altrettante artiste alla loro prima volta in Italia: Julia Margaret Cameron, la più importante ritrattista di epoca vittoriana, ed Elisabetta Catalano, testimone della storia d’Italia dagli anni Settanta ai giorni nostri, di cui sono esposti trenta ritratti di grandi personaggi del Novecento.
Un’altra eccezionale prima per il nostro Paese è la mostra «Mihaela Noroc. The Atlas of Beauty», a cura di Roberta D'Adda e Katharina Mouratidi, che allinea quarantaquattro scatti tratti dal progetto sul mondo femminile e sul concetto di bellezza multiculturale, iniziato nel 2013 dalla fotografa romena e che ora conta oltre 2mila ritratti da più di cinquanta Paesi.
A completare questo percorso artistico-culturale al Complesso di Santa Giulia sono due progetti speciali, con altrettante opere uniche poste in dialogo immateriale con il patrimonio museale e i suoi modelli senza tempo.
L’esposizione «Dea. La Vittoria alata dalle immagini d’archivio a Galimberti» è dedicata alla straordinaria statua di bronzo, simbolo della città di Brescia, temporaneamente in restauro. Nella sezione romana del museo a immagini dell’Archivio fotografico dei Musei civici, che ripercorrono la storia della Vittoria alata, si affiancano tre opere inedite di Maurizio Galimberti, realizzate con la tecnica del fotocollage.
In «VBSS.002», esposta nella Basilica di San Salvatore (dal 2011 Patrimonio mondiale dell’Umanità Unesco), Vanessa Beecroft ritrae se stessa come una Madonna che allatta due gemelli neri anziché un bambino bianco.
Un ulteriore progetto one-off, allestito nella Pinacoteca Tosio Martinengo, da poco riaperta dopo un lungo restauro, è «Ma-donne». Un meraviglioso scatto di Tazio Secchiaroli con Sophia Loren nell’inedita veste di una Madonna, icona per eccellenza della femminilità, si inserisce in un dialogo senza tempo con le opere della collezione permanente di pittura raffiguranti la Madonna, in un percorso trasversale a epoche e stili. Ai dipinti del percorso museale si aggiunge, in occasione della mostra, la «Vergine consolatrice» di Francesco Hayez, opera dipinta negli anni 1851-1853 su commissione del Comune di Brescia e ispirata alla grande tradizione del Rinascimento.
Un’altra location coinvolta nel festival è Ma.co.f. – Centro della fotografia italiana, situato nel barocco Palazzo Martinengo Colleoni. Qui quattro mostre indagano il ruolo della donna nella società e nel mondo del lavoro negli ultimi 70 anni, in Italia e all’estero.
«Happy Years. Sorrisi e malizie nel mito di Betty Page e nel mondo delle pin up», a cura di Renato Corsini e Francesco Fredi, espone una trentina di fotografie vintage degli anni ’50: immagini di Betty Page scattate da Paula Claw, insieme a un inedito reportage realizzato da Nicola Sansone sull'America di quel periodo e pubblicazioni e documenti originali d'epoca che parlano dell’affermazione dei diritti femminili e del ruolo della donna nell’America postbellica.
«Una, nessuna, centomila», a cura del Collettivo donne fotoreporter, racconta l’esperienza di dieci fotografe italiane, tra cui Kitti Bolognesi, Marcella Campagnano e Giovanna Calvenzi, che nel 1976 indagarono la relazione fra donna e fotografia, giocando con ruoli e stereotipi propri dell’immaginario femminile e ironizzando sui luoghi comuni legati al mestiere di fotografo.
«La rivoluzione silenziosa. Donne e lavoro nell’Italia che cambia», a cura di Tatiana Agliani, è un racconto fotografico corale della storia del lavoro delle donne in Italia e dei cambiamenti che ha portato nella condizione femminile, in un paese in trasformazione. Un centinaio di immagini, dai maestri del neorealismo agli autori contemporanei come Paola Agosti, Federico Garolla, Uliano Lucas, Giorgio Lotti, Paola Mattioli, Nino Migliori, Carlo Orsi e Ferdinando Scianna delineano aspirazioni e desideri che mutano, limiti e condizionamenti sociali, concezioni di sé e del proprio ruolo nella società, nuove possibilità, orizzonti culturali e prospettive di vita di quattro generazioni di donne.
A chiusura la proposta del Ma.co.f. è una monografica, a cura di Carolina Zani, che omaggia il fotografo bresciano Gian Butturini: trentacinque fotografie in bianco e nero raccolte tra quelle dei suoi numerosi reportage, raccontano la sua visione dell’universo femminile. Le protagoniste di questa mostra sono donne rappresentate dall'artista nella loro tenerezza e sensibilità, forza e passione, senza pose o rigorosi canoni estetici, ma attraverso semplici gesti e sguardi.
Il Brescia Photo Festival, quest’anno, uscirà anche fuori dai confini cittadini. A Montichiari sarà possibile vedere, dal 10 maggio, la mostra «Hollywood versus Cinecittà», a cura di Renato Corsini e Margherita Magnino, che mette a confronto le fotografie dei paparazzi della Roma della «Dolce Vita» con quelle della stampa hollywoodiana dell’America degli anni ’30. Mentre a Desenzano del Garda sarà ospitata, dall’11 maggio, «Miss Italia. Miti e leggende dell’era delle Miss», a cura di Renato Corsini, che racconta i miti e le leggende del celebre concorso, oltre all’evoluzione dell’estetica femminile, attraverso gli scatti di due grandi maestri della fotografia italiana, Federico Patellani e Gianni Berengo Gardin. La rappresentazione fotografica del concorso è sempre stata quella ufficiale, con gli scatti in posa destinati ai rotocalchi o alle dirette televisive, questa mostra vuole invece indagare dietro le quinte scoprendo i retroscena del concorso.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Vanessa Beecroft, VBSS.002, 2006-2008Digital C-Printcm. 230,8x177,8Collezione San Patrignano–Work in progress; [fig. 2] Hollywood versus Cinecittà. Sophia Loren. Foto: G.Palmas. Brescia Photo Festival 2019; [fig. 3] M. Noroc, The Atlas of Beauty - Milan, Italy, 2017; [fig. 4] Foto di Rudolf Koppitz per Donne davanti l’obiettivo; [fig. 5] Dietro l'obiettivo. Dalla collezione di Donata Pizzi. Courtesy of Letizia Battaglia, La bambina e il buio, Baucina, 1980; [fig. 6] Betty Page fotografata da Bunny Yeager

Informazioni utili 
www.bresciaphotofestival.it

venerdì 19 aprile 2019

Tullio Pericoli, le Marche e i suoi paesaggi dell’anima

Sono passati tre anni da quando un drammatico terremoto devastò il centro Italia. Un sisma, soprattutto quando porta con sé lutti e distruzione, diventa quasi sempre occasione per ripensare alla fragilità di un territorio come quello italiano, ma soprattutto per riflettere sull’«anima dei luoghi», ovvero su quei legami complessi e mutevoli che si instaurano tra i suoi abitanti e che vanno a comporre la memoria, individuale e collettiva, di una comunità.
Da quell’agosto del 2016, la città di Ascoli Piceno ha visto ridisegnato il volto del territorio che la circonda: oltre alle gravi lesioni subite dai campanili cittadini delle chiese della Madonna del Ponte e di Sant’Angelo Magno, è il panorama intorno, quell’insieme di verdi colline e dolci declivi che si avvicendano fino al mare, simbolo e orgoglio della terra marchigiana, a non essere più lo stesso.
Ripensare a quell’ambiente, ma anche alla frattura fisica ed emotiva che lo ha colpito, è l’obiettivo della mostra-evento «Tullio Pericoli. Forme del paesaggio. 1970-2018», allestita per oltre un anno, fino al 2 maggio 2020, al Palazzo dei Capitani, edificio medioevale dalla caratteristica torre merlata, affacciato sul «salotto buono» di piazza del Popolo.
Ascoli Piceno ha, dunque, invitato uno dei suoi figli più illustri, Tullio Pericoli (Colli del Tronto - Ascoli Piceno, 1936), a raccontare le radici del suo vissuto attraverso la pittura, o meglio la pittura di paesaggio, un genere che lo ha visto per oltre cinquant’anni dare, con il suo tratto leggero ed elegante, forma e colore a luoghi reali e del cuore, dalle Laghe al Piceno, regalandoci un diario per immagini «fitto -per usare le parole di Giorgio Manganelli- di segni, di tracce e di appunti».
Ne è nato un percorso antologico, per la curatela di Claudio Cerritelli, con una scelta di centosessantacinque opere, commisurata alle caratteristiche ambientali del Palazzo dei Capitani, un luogo simbolo per Tullio Pericoli che oltre sessant’anni fa, nel 1958, tenne qui la sua prima mostra, tappa iniziale di un percorso che, oltre a dipingere, lo ha visto disegnare per importanti testate giornalistiche come il «Corriere della Sera», «L’Espresso», «Linus», «La Repubblica», «The Guardian» ed «El País», nonchè lavorare per il teatro in qualità di scenografo e costumista, illustrare storie e scrivere libri.
«Le «forme del paesaggio» -raccontano a Palazzo dei Capitani- sono proposte, sala per sala, come un viaggio a ritroso nei quasi cinquanta anni di ricerca che l’artista ha dedicato a questo tema: a partire dalle opere più recenti si risale alle radici della pittura di Tullio Pericoli, tramite un susseguirsi di momenti analitici ed emozionali che esplorano il volto mutevole della nostra terra a partire dalla sua natura più profonda».
Si tratta di momenti differenti di un unico viaggio caratterizzato da un segno rigoroso, pur quando emotivo, fatto da «una mano che pensa», una mano che ha avuto modo di riflettere a lungo su quel paesaggio che ha trovato tra i suoi più illustri cantori Lorenzo Lotto. Quei luoghi -racconta lo stesso artista- «ho potuto guardarmeli e fissarmeli nella memoria da tanti punti di vista, alti, bassi e obliqui, sognarli, pensarli e tradurli nella lingua che so parlare meglio».
Il periodo iniziale di questa ricerca si identifica nel ciclo delle «Geologie», realizzato tra il 1970 e il 1973, che vede sulla tela immagini stratificate, sezioni materiche, strutture sismiche.
La fase successiva, che va dal 1976 al 1983, pone in evidenza un diverso trattamento del tema paesaggistico. Il visitatore si ritrova a tu per tu con vedute luminose e lievi - acquerelli, chine e matite su carta-, che l’artista concepisce come «orizzonti immaginari, memorie di alfabeti, tracce di antiche scritture».
L’esplorazione di nuove morfologie paesaggistiche si avverte in un consistente gruppo di opere, realizzate tra il 1998 e il 2009, che, dopo aver rappresentato lo scenario dei colli marchigiani, va progressivamente esplorando i dettagli della natura, i segni e i solchi delle terre.
 «Il paesaggio, dipinto per frammenti, è -raccontano gli organizzatori- una mappa costruita con equilibri diversificati, rapporti instabili che l’artista coglie nella trama di stratificazioni materiche».
L’esposizione documenta, infine, in modo ampio e articolato la stagione più recente, quella iniziata nel 2010, in cui Tullio Pericoli ha individuato nuove profondità del paesaggio, con continui rinnovamenti dell’esperienza pittorica. Queste opere, che traggono origine anche dagli sconvolgimenti paesaggistici dovuti agli eventi sismici, si trovano nella prima sala e accolgono il visitatore in mostra.
Forme dissestate, movimenti tellurici del segno e del colore ci restituiscono la drammatica fragilità del territorio marchigiano e di tutto il patrimonio paesaggistico italiano, segnato più che dagli eventi della «natura madre e matrigna» -per usare un’espressione cara a un altro marchigiano illuste, Giacomo Leopardi- dall’incuria dell’uomo e dalla sua incapacità di uno sguardo volto alla tutela.
Questi paesaggi -scrive Salvatore Settis nel catalogo pubblicato dalle Edizioni Quodlibet- «sono altamente soggettivizzati»; sono come «segmenti rivelatori di un volto». Qui -spiega ancora lo storico e archeologo calabrese- «la ricerca di nuove convenzioni rappresentative, di matrice geologica, archeologica o cartografica, si sposa a una marcata intensità emotiva, che attraverso il gesto del pittore evoca tutta una grammatica del vivere, il modo d’intendere il paesaggio di chi lo andò lentamente forgiando per secoli». È così che in Tullio Pericoli la pittura di paesaggio si fa, magicamente, storia e sentimento, racconto reale eppure immaginario di un luogo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tullio Pericoli, «Scena», 1999. Acquerello e inchiostro su carta, cm 57,5x76,5; [fig. 2] Tullio Pericoli, «Paesaggio instabile», 1998. Acquerello e inchiostro su carta, cm 51x72; [fig. 3] Tullio Pericoli, «Vita fra le rocce», 2000. Olio su tela, cm 60x80; [fig. 4] Tullio Pericoli, «Pittore e paesaggio», 1999. Acquerello su china e carta, cm 76x57; [fig. 5] Tullio Pericoli, «Paesaggio», 1979. Acquerello e china su carta, cm 57x76; [fig. 6] Tullio Pericoli, «Triassico», 1971. Acrilici e tecnica mista su tela, cm 120x120 

Informazioni utili
«Tullio Pericoli. Forme del paesaggio. 1970-2018». Palazzo dei Capitani, piazza del Popolo – Ascoli Piceno. Orari: martedì, mercoledì, giovedì e venerdì, ore 10.00-13.00 e ore 16.00-19.00; sabato, domenica, festivi e prefestivi, ore 10.00-20.00. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Sito internet: www.formedelpaesaggio.it. Fino al 2 maggio 2020.