ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 29 ottobre 2019

Al Funaro di Pistoia arriva il Fondo Paolo Grassi

Il suo nome è legato a doppio filo con quello del Piccolo Teatro di Milano, una delle sale più famose e importanti d’Italia, prestigioso punto di riferimento anche nel panorama internazionale. È il 14 maggio del 1947 quando Paolo Grassi, insieme con la moglie Nina Vinchi e con l’amico Giorgio Strehler, fonda il primo teatro stabile ed ente comunale di prosa del nostro Paese. La sua intuizione, che ha del rivoluzionario, si riassume nello slogan «teatro d'arte per tutti», una formula -questa- che sta ad indicare la volontà di proporre spettacoli di alta qualità a un pubblico il più vasto possibile, mettendo così al centro la funzione sociale di cui il linguaggio teatrale è portatore.
«L‘albergo dei poveri», del drammaturgo russo Maksim Gorkij, apre trionfalmente la prima stagione della sala. Orio Vergani, sulle pagine del «Corriere della Sera», scrive: « [...] folla da grandissime occasioni. Immaginate una grande prima della Scala condensata come in un dado da minestra. Pubblico succosissimo [...]».
Prende così il via un’avventura destinata a segnare la storia del teatro italiano e internazionale. A dieci anni dal debutto, il bilancio è tutto positivo, forte di settantatré spettacoli, oltre duemila repliche nella sede di via Rovello, più di quattrocento in Italia e circa duecento all’estero.
Quell’idea di fondare non un semplice teatro, ma un luogo votato «all’impegno sociale, alla coscienza etica, alla maturità civile» piace ai milanesi e non solo.
Il merito è anche di un cartellone vario e di elevata qualità, nel quale compaiono grandi opere internazionali, autori italiani, attori di grido del momento e, soprattutto, le opere di Giorgio Strehler.
Il 4 maggio 2007, in occasione dei sessant’anni dalla fondazione, Maurizio Porro, sempre sulle pagine del «Corriere della Sera», riassume in poche righe il segreto del successo: «Il Piccolo lascia una scia di memorie meravigliose, di titoli, di volti di attori (uno li vale tutti, tutti lo valgono, direbbe Sartre), di polemiche, di scandali politici (quando la Dc non voleva il «Galileo» di Brecht), anche di snobberie intellettuali... Alle prime c’era tutta l’intellighenzia illuminata alla milanese (magari ci incontrava Brecht) ma poi seguiva un pubblico vero, vivo, giovane e nuovo che imparava ad ascoltare Shakespeare, Goldoni, Pirandello, Brecht senza annoiarsi un attimo. E senza che Strehler abbia mai cambiato una battuta dei testi».
La storia del Piccolo alle origini è anche la storia di Paolo Grassi, che ne sarà direttore dal 1947 al 1972. L’intellettuale milanese ha appena ventotto anni quando dà avvio all’avventura di un nuovo teatro nella sede del vecchio cinema Broletto.
La sua passione per il palcoscenico si era manifestata da giovanissimo. A 18 anni era già attivo come critico, firmava la sua prima regia e iniziava un intenso percorso che lo avrebbe reso celebre come studioso e organizzatore, figura, quest’ultima, la cui invenzione come la conosciamo oggi si deve proprio all’intellettuale milanese.
Dopo l’esperienza del Piccolo, per Grassi verrà la sovrintendenza della Scala, che, con Massimo Bogiankino e Claudio Abbado, viene riportata a una dimensione di grande valore artistico e riconoscibilità. Sarà, poi, la volta della presidenza della Rai (dal 1976) e di quella del gruppo editoriale Electa, dove l'intellettuale riprende con grande passione la sua attività editoriale che, comunque, aveva coltivato quasi ininterrottamente durante tutta la carriera.
Questa storia sarà al centro dell’incontro in programma mercoledì 30 ottobre, alle ore 19.00, al Funaro di Pistoia. L’occasione, ideata per i cento anni dalla nascita dell’intellettuale milanese (nato proprio nella giornata del 30 ottobre), è offerta dall’ospitalità del Fondo Paolo Grassi all’interno della biblioteca dell’ente teatrale toscano, inaugurata nel 2009. La donazione va ad arricchire un già cospicuo catalogo composto da una collezione di seimila volumi, il Fondo Andres Neumann, con circa settantacinquemila documenti che compongono l’archivio professionale del produttore, e la Biblioteca teatrale di Piero Palagi, formata da tremila titoli fra saggi, drammi, commedie, tragedie, satire, teatro di narrazione e non solo del bibliotecario della Nazionale di Firenze, grande appassionato di teatro, che, fino agli ultimi anni della sua vita, non ha smesso di raccogliere opere ad esso dedicate.
Per quanto riguarda la ricchissima biblioteca di Paolo Grassi va ricordato che questa fu divisa tra due diversi eredi dopo la sua morte. Una metà fu donata alla Biblioteca civica di Martina Franca, dove ora ha sede la Fondazione Paolo Grassi, l'altra metà è giunta alla Biblioteca San Giorgio nell'ambito della donazione di due appassionati bibliofili: Annapaola Campori Mettel e Paolo Mettel.
Il lascito è composto da circa quattromila volumi, che riguardano l'attività delle varie collane editoriali di cui Grassi è stato direttore e curatore (per Einaudi ed Electa, per citarne due) o gli allestimenti del Piccolo, accanto agli approfondimenti critici intorno a diversi argomenti e autori.
Gran parte dei testi, in italiano, francese, inglese, tedesco, riguardano il teatro nei suoi molteplici aspetti: dalla legislazione alla scenografia, dalle biografie degli attori alle storie delle varie drammaturgie.
Molti sono i volumi di letteratura italiana (con particolare riferimento al Novecento) e soprattutto di politica e storia contemporanea.
I libri, editi in un arco di tempo che va dalla fine del Settecento fino agli ultimi anni di vita di Grassi, perlopiù sono siglati o autografati dal possessore al frontespizio e molti sono quelli con dedica degli autori allo stesso Grassi (tra le altre quelle di Romolo Valli, Giorgio Strehler, Eduardo De Filippo e Bertolt Brecht).
Quasi sempre si tratta di edizioni originali o prime traduzioni italiane, in particolare, gran parte della drammaturgia tedesca di inizio secolo è in prima edizione originale.
Maria Stella Rasetti, direttrice della biblioteca San Giorgio, ha proposto di affidare l'ospitalità del Fondo Grassi alla Biblioteca del Funaro, anch'essa parte della Rete documentaria della Provincia di Pistoia e specializzata in testi di teatro, quindi particolarmente adatta ad accogliere i materiali. I libri sono in fase di catalogazione e quando verrà terminata sarà possibile consultarne le notizie bibliografiche sull'Opac della Rete bibliotecaria della Provincia di Pistoia e sarà insieme possibile la consultazione dei volumi al Funaro.
Un nuovo e prezioso tassello, dunque, va ad arricchire la proposta della realtà teatrale toscana, centro culturale che, con la sua sempre articolata e preziosa attività, che spazia dai corsi alle produzioni, dai workshop alle residenze artistiche, sembra poter dire, con le parole di Paolo Grassi, «il teatro è per me come l'acqua per i pesci. Il mio teatro è sempre stato un teatro vivo, con il sipario aperto, oppure un teatro semivivo, con il sipario aperto senza il pubblico, durante la prova, oppure anche un teatro apparentemente morto, senza nessuno in sala: sono stato tanto tempo in sala a gustare il silenzio sublime del teatro. Il teatro è un modo di amare le cose, il mondo, il nostro prossimo. Io non ho mai amato il teatro come fine a se stesso [...]. Attraverso il teatro io penso tutto il resto: io vedo la politica attraverso il teatro, vedo l'urbanistica [...]. Ho creduto e ho vissuto per il momento fragile, insostituibile, della comunicazione teatrale».

Informazioni utili 
Il Funaro centro culturale, via del Funaro 16/18 – 51100 Pistoia, tel/fax 0573.977225, tel 0573.976853, e–mail: info@ilfunaro.org. Sito web: www.ilfunaro.org.

lunedì 28 ottobre 2019

«Elogio dei fiori finti», Bertozzi & Casoni rileggono Giorgio Morandi

È stato il pittore delle silenziose quotidianità e nella sua casa bolognese di via Fondazza, lontano dai grandi circuiti dell’arte, ha creato un proprio personale linguaggio figurativo, semplice e nello stesso tempo fortemente simbolico. Brocche, bottiglie, vasi, fiori e recipienti sono stati i suoi modelli, raffigurati quasi fino all'ossessione.
Quello stile dai ridotti accordi cromatici, dalle forme elegantemente geometriche e dall'atmosfera contemplativa è capace, con la sua poesia, di parlare ancora oggi agli artisti, che ne hanno fatto propria la visione e l’hanno restituita attraverso differenti linguaggi.
Giorgio Morandi è così diventato un modello con cui confrontarsi. Lo hanno dimostrato, negli anni, le mostre bolognesi di Alexandre Hollan, Wayne Thiebaud, Tacita Dean, Rachel Whiteread, Brigitte March Niedermair, Joel Meyerowitz e Catherine Wagner.
Ora il Museo Morandi prosegue il percorso di valorizzazione della propria collezione invitando il duo artistico Bertozzi & Casoni, formato da Giampaolo Bertozzi (Borgo Ossignano, 1957) e da Stefano Dal Monte Casoni (Lugo di Romagna, 1961), a confrontarsi con la lezione del pittore bolognese.
Il risultato è la mostra «Elogio dei fiori finti», focus espositivo, visibile fino al prossimo 6 gennaio, che filtra la lezione del pittore bolognese attraverso il linguaggio della ceramica.
L’attenzione dei due artisti si è rivolta ad alcuni celebri dipinti morandiani, presenti in via Fondazza, che raffigurano vasi di fiori.
Morandi guardava preferibilmente non al fiore fresco, caduco e destinato a modificarsi giorno dopo giorno (e, quindi, a creare varianti indipendenti dalla sua volontà), ma al fiore di seta o a quello essiccato che mantiene il suo stato inalterato e, al pari degli altri oggetti, raccoglie la polvere, creando effetti tonali per nulla sgraditi e forse volutamente ricercati.
Bertozzi & Casoni interessati da sempre al tema floreale, sembrano, invece, voler concedere nuova vita a quelle rose che hanno scelto di realizzare a gambo volutamente lungo, sulle cui foglie si aggirano presenze insettiformi dalla colorazione cangiante.
Nei tre lavori proposti in mostra assistiamo a una rivisitazione attenta e personale da cui nascono veri e propri «d’aprés Morandi» dopo quelli celeberrimi, firmati Gio Ponti, che più di settant’anni fa riproponevano bottiglie trafitte, ingioiellate, mascherate e addirittura abbottonate.
I fiori di Bertozzi & Casoni sono, infatti, diversi da quelli di Giorgio Morandi, che, ricordava Cesare Brandi, «tagliava le sue rose sotto il bocciolo e le disponeva sull’orlo del vaso, fitte come un bouquet da sposa».

Informazioni utili 
«Elogio dei fiori finti. Bertozzi & Casoni». Museo Morandi, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Orari di apertura: martedì, mercoledì, venerdì, sabato, domenica e festivi, ore 10.00 – 18.30; giovedì, ore 10.00 – 22.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 6,00, ridotto € 4,00. Informazioni: tel. 051.6496611, info@mambo-bologna.it. Sito web: www.mambo-bologna.org/museomorandi/. Fino al 6 gennaio 2020.

venerdì 25 ottobre 2019

«Pittura di luce», Burano e il suo cenacolo di artisti

«Alla sera, per consolarci e consultarci in privato, salpavamo su una flottiglietta di sandoli verso Burano beata, e colà, sotto una pergola amicissima, nel crepuscolo incantato […] finivamo di demolire del tutto l’arte decrepita, la critica orba, la ciurma dei bottegai e dei borghesi senza testa e senza cuore […]». Sono le parole pronunciate nel 1948 da Nino Barbantini (Ferrara, 5 luglio 1884 – Ferrara, 17 dicembre 1952), primo direttore di Ca’ Pesaro, culla per la pittura italiana e veneziana delle Avanguardie, la migliore introduzione alla mostra «Pittura di Luce», allestita negli spazi del Museo civico del Merletto di Burano, per la curatela di Chiara Squarcina ed Elisabetta Barisoni.
La grande tradizione della pittura buranella dei primi decenni del Novecento, ancora sconosciuta ai più, rivive attraverso un selezionato numero di opere, tutte provenienti dalla collezione dei Musei civici di Venezia ed espressione di quell’«Avanguardia capesarina» che, tra il 1908 e il 1920, trovò nel palazzo progettato dall’architetto Baldassare Longhena sul Canal Grande, trasformato in galleria d’arte per volere della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, una «palestra intellettuale» nella quale esercitarsi e confrontare il proprio linguaggio con quello di tanti altri giovani artisti.
Nasce così il cenacolo di Burano, la cui storia -raccontava, sempre nel 1948, Nino Barbantini- sembra quella di una grande «famiglia», nella quale «tutti» erano «legati a doppio filo da una passione tale per l’arte, da una fede tale nella vita […], che quando si ripensa, tra i conti d’oggi, alla rarità delle vendite e ai prezzi d’allora, vien da supporre che di quella passione e di quella fede i più dei nostri campassero».
Come tutte le storie che hanno il sapore delle favole il «c’era una volta» ha una data ben precisa. Tutto inizia nel 1909 con l’incontro tra Gino Rossi (Venezia, 1884 ‒ Treviso, 1947) e Umberto Moggioli (Trento, 1886 – Roma, 26 gennaio 1919), che si ritrovano a vivere uno accanto all’altro sull’isola di Burano. Il primo è attento all'arte che si produce Parigi e frequenta la Bretagna, dove sta prendendo forma la scuola di Pont-Aven con Paul Gaugin e il suo gruppo. Il secondo è arrivato in laguna dalla natìa Trento per frequentare l'Accademia di belle arti e, innamoratosi dell’isola, ha deciso di prendere casa lì, in quell’angolo di laguna in cui i toni terrosi del paesaggio incontrano l’azzurro del cielo e del mare.
Tre anni dopo, nel 1912, Burano diventa anche la casa del mantovano Pio Semeghini (Quistello, 31 gennaio 1878 – Verona, 11 marzo 1964), di ritorno da Parigi dove è andato alla scoperta della pittura impressionista e post-impressionista, studiando, tra gli altri, Cezanne, Matisse e Bonnard.
Le case dai mille colori, le pallide fanciulle chine sul tombolo, i rudi pescatori di laguna con gli occhi bruciati dal sale, le donne che stendono il bucato nei campielli, la terra sospesa tra l’acqua e il cielo sono gli scenari che si offrono agli occhi di questi tre pittori e dei loro amici. Tutto sembra appartenere a un tempo fuori dalla storia, di cui fissare sulla tela luce e colori.
Sull’isola nasce una sorta di Pont- Aven lagunare, dove gli intatti paesaggi buranelli, con la loro condizione di quiete esistenziale, ideale per far riposare l’animo e i pensieri, vengono dipinti en plein air.
Nel frattempo, in quello scorcio di primo Novecento, Venezia vede nascere, sotto l’abile e propositiva regìa del giovane critico Nino Barbantini, una specie di contro-Biennale, nella quale sono esposte le opere di artisti che presentano una visione antiaccademica e antitetica rispetto alle prime edizioni dell’Esposizione Internazionale d’arte ai Giardini. Arturo Martini, Gino Rossi, Guido Cadorin, Pio Semeghini, Felice Casorati, Vittorio Zecchin, Umberto Moggioli, Teodoro Wolf Ferrari sono alcuni dei nomi di quelli che la critica battezza come «i ribelli di Ca’ Pesaro».
La fine di questa prima stagione arriva con lo scoppio, nel 1914, della Prima guerra mondiale e con la prematura scomparsa, nel 1919, di Moggioli.
La storia della pittura e dei pittori a Burano continua, però, per buona parte del Novecento, sempre a fianco dell'avventura di Ca' Pesaro. Il trevisano Nino Springolo (Treviso 1886-1975), con la sua cifra stilistica di impronta divisionista, e il veneziano Fioravante Seibezzi (1906-1975), per il quale il critico Ivo Prandin parla di «ripresa del vedutismo canalettiano», chiudono questa seconda stagione della scuola buranella. Una scuola che sembra aver fatto proprio il consiglio che il pittore Ponga diede proprio a Fioravante Seibezzi, agli inizi della carriera: «è tutto qui: copiare dal vero, aver fede, perseverare nel lavoro, non credere mai perfetto ciò che riesce facile. E soprattutto, lasciarsi guidare dall'istinto».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Pio Semeghini, La casa incantata; [fig. 2] Pio Semeghini, Paesaggio lagunare; [fig. 3] Umberto Moggioli, La casa dell'artista; [fig. 4] Umberto Moggioli, Piccolo paesaggio di Burano

Informazioni utili
Pittura di luce. Burano e i suoi pittori. Museo del Merletto, piazza Galuppi, 187 – Burano. Orari: fino al 31 ottobre, dalle ore 10.30 alle ore 17.00 (la biglietteria chiude alle ore 16.30); dal 1° novembre al 31 marzo, dalle ore 10.30 alle ore 16.30 (la biglietteria chiude alle ore 16.00); chiuso il lunedì, il 25 dicembre, il 1° gennaio e il 1° maggio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,50 (ragazzi da 6 a 14 anni; studenti dai 15 ai 25 anni; visitatori over 65 anni; personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC); titolari di Carta Rolling Venice; titolari di ISIC – International Student Identity Card. Offerta Famiglie: biglietto ridotto per tutti i componenti, per famiglie composte da due adulti e almeno un ragazzo); gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia; bambini da 0 a 5 anni; altre categorie aventi diritto per legge. Sito internet: www.museomerletto.visitmuve.it. Fino all’8 gennaio 2020.