ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 9 dicembre 2019

Parma, alla Pilotta l’Epifania secondo Rembrandt

Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma il mondo dell’arte ricorda quest’autunno anche la scomparsa di un altro autore rappresentativo per la pittura europea, e più precisamente per il «secolo d’oro olandese»: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669), artista molto prolifico con il suo catalogo di circa seicento tele, duemila disegni e quattrocento incisioni, ma poco presente nelle collezioni pubbliche del nostro Paese.
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.

Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo

Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020

venerdì 6 dicembre 2019

Firenze, al Museo de’ Medici un ritratto di Cosimo I

Ha scritto tre secoli di storia di Firenze, dal XV al XVIII secolo, e ha lasciato in eredità un patrimonio storico e artistico di grande rilevanza. Stiamo parlando della famiglia de’ Medici, alla quale è stato da poco dedicato nella città toscana un museo.
La neonata istituzione, ubicata a metà strada tra la Cattedrale e la Basilica della Santissima Annunziata, è frutto della passione di Samuele Lastrucci, giovane direttore d'orchestra e studioso di musica antica e barocca.
Aperto non a caso nell’anno in cui si festeggia il doppio cinquecentenario della nascita di Cosimo I e di Caterina de’ Medici, il museo ha come suo location il piano nobile di un antico palazzo fiorentino in via de’ Servi, quello di Sforza Almeni, che vide camminare tra le sue stanze Eleonora di Toledo e artisti come Bartolomeo Ammannati e Giorgio Vasari.
In queste sale, fatte costruire da Piero d'Antonio Taddei, i visitatori possono ammirare dalla scorsa estate reliquie e cimeli provenienti da collezioni private, installazioni multimediali e opere d’arte, scoprendo così la storia della casata medicea, che ebbe il controllo del Gran Ducato di Toscana dal 1424 al 1737, ovvero dalla signoria di Cosimo il Vecchio a quella di Gian Gastone.
La prima sala è dedicata alla genealogia e offre un ritratto della famiglia de’ Medici attraverso un suggestivo cinema olografico.
La stanza seguente racconta, invece, la nascita del Granducato, le ville di proprietà della famiglia, la flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, fondata da Cosimo I°, e la famosa battaglia di Anghiari, combattuta tra le truppe milanesi della famiglia Visconti e l’esercito fiorentino.
Il museo continua, poi, con una grande sala dedicata al mecenatismo artistico, caratteristica peculiare della dinastia, nella quale, oltre a una galleria di pittura virtuale e a una preziosa collezione di monete originali dal XV al XVIII secolo, è possibile ammirare una scultura di Giovanni Battista Foggini ritraente Ferdinando II.
Il percorso continua, quindi, con una sezione dedicata alla moda del tempo, con alcune statue per banchetti su modelli del Giambologna (realmente fuse nello zucchero), e una sala sulla scienza, in cui sono conservate una collezione storica di animali imbalsamati, una serie di minerali e alambicchi legati all'alchimia, un modello del telescopio con il quale Galileo Galilei scoprì i pianeti medicei e persino un documento originale del papa che condannò l'astronomo pisano.
A tutto ciò si aggiungono la piccola sala originariamente utilizzata come cappella palatina dallo Sforza Almeni, all’interno della quale è conservato ancora oggi un prezioso soffitto affrescato del XVI secolo, e una sorta di cantinetta, dove è possibile conoscere i vini preferiti dalla famiglia de’ Medici, tutelati dallo specifico bando emesso da Cosimo III già nel 1716.
Non manca lungo il percorso espositivo anche un piccolo ambiente nel quale ammirare la più fedele ricostruzione tridimensionale al mondo della corona granducale, oggi perduta.
Nella mission della neonata istituzione c’è anche l’organizzazione di mostre temporanee, eventi, incontri, presentazioni editoriali e conferenze.
Tra le rassegne in cartellone si segnala «Cosimo I. Spolveri di un grande affresco», curata dall’antiquario Alberto Bruschi, che offre al pubblico l’occasione di vedere una quindicina di opere tra dipinti, reliquie, curiosità, manoscritti, medaglie, libri a stampa e oggetti di vario genere incentrati sulla figura del granduca toscano.
Tra i pezzi esposti si possono ammirare ben quattro medaglie della settecentesca Serie medicea, opera di Antonio Selvi, che raffigurano Cosimo I, Eleonora di Toledo, Camilla Martelli e il misterioso Don Fagoro (si tratta, in realtà, di Don Pedricco, figlio del granduca, morto a meno di un anno di età, ma raffigurato dall’incisore come un giovinetto di almeno 15 anni e in armatura).
Una delle opere più importanti esposte è il quadro-bozzetto preparatorio di Jacopo Ligozzi per il dipinto «Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini» nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, che l’artista terminò nel 1592 e il cui disegno è oggi conservato nel Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi.
«La scena -raccontano al Museo de’ Medici- doveva illustrare il momento in cui papa Bonifacio VIII nel 1295, vedendosi attorniato dagli ambasciatori fiorentini che gli rendevano omaggio, esclamò che i fiorentini erano il quinto elemento della Terra, alludendo ovviamente ai quattro elementi costitutivi del cosmo della filosofia presocratica. Solo che Ligozzi pose sul fondo dell’immagine la personificazione della Toscana al centro, affiancata invece che dai quattro elementi, dai quattro continenti, considerando, dunque, anche l'America».
Lungo il percorso espositivo si possono, inoltre, vedere il «Ritratto di Cosimo I» attribuito all’Allori e due reliquie di Pio V, ovvero il guanto della mano destra, con il quale il papa benedisse le truppe della Battaglia di Lepanto, e una pantofola, una di quelle che Cosimo dovette baciare il giorno della sua incoronazione granducale, avvenuta nel 1569. Un momento importante, questo, per la politica cosimiana e per il potere della famiglia de’ Medici, regina indiscussa di Firenze per ancora altri due secoli. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Bronzino (bottega). Ritratto di Cosimo I (attr. Allori); [fig. 2] J. Ligozzi, Bonifacio VIII riceve gli ambasciatori fiorentini, quadro-bozzetto preparatorio, ante 1592; [fig. 3] A. Haelvegh. Ritratto di Cosimo I, acquaforte.c. 1675; [fig. 4] Stemma coniugale Medici-Toledo affisso sullo sprone del Palazzo di Sforza Almeni

Informazioni utili 
Cosimo I. Spolveri di un grande affresco. Museo de’ Medici - Palazzo di Sforza Almeni (primo pano), via dei Servi 12 – Firenze. Orari: tutti i giorni, ore 10-18. Biglietti: 9,00 euro intero, 5,00 euro ridotto (da 7 a 25 anni, gruppi di minimo 10 persone, accompagnatori di persone con disabilità, residenti di Firenze); ingresso libero (da 0 a 6 anni, persone con disabilità, guide turistiche e giornalisti accreditati). Informazioni: www.museodemedici.com |museodemedici@gmail.com. Fino al 24 marzo 2020

giovedì 5 dicembre 2019

Da Giambattista Piranesi a Tapio Wirkkala, le mostre del 2020 alla Fondazione Cini di Venezia

Dalla storia dell’arte alla musica, dal teatro agli studi religiosi: è come al solito ricco il programma di iniziative culturali messo in cantiere dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia per il nuovo anno.
A parlare della varietà della proposta sono i numeri degli eventi organizzati: quarantasei incontri tra convegni, giornate di studio, workshop e seminari, oltre venti concerti, cinque nuovi progetti espositivi, più di trenta iniziative editoriali, varie borse di studio e un premio, il «Benno Geiger», per la traduzione poetica.
Nel nuovo anno proseguirà, inoltre, il progetto di valorizzazione del patrimonio monumentale, artistico, materiale e immateriale custodito sull’Isola di San Giorgio Maggiore, promuovendo lo studio e il progetto di digitalizzazione dei suoi archivi.
In quest’ultimo ambito rientra anche il recente progetto di riqualificazione dell’Auditorium «Lo Squero», vincitore del Premio Torta 2017, già pronto per un nuovo anno di grandi appuntamenti.
La nuova stagione concertistica vedrà consolidarsi i rapporti avviati negli anni passati con Asolo Musica, l’Associazione Amici della Musica, Le Dimore del Quartetto, Chamber Music – Premio Trieste e Antiruggine, il laboratorio culturale creato da Mario Brunello, che da oltre dieci anni promuove un’idea di cultura trasversale a molte discipline, con più di trecento serate realizzate, dedicate prevalentemente alla musica, ma anche a letteratura, teatro, architettura, cinema, sport, alto artigianato artistico.
La Cini vanta, inoltre, un'intensa attività convegnistica. Tra i tanti incontri organizzati nel 2020 a Venezia ce ne sono alcuni significativi per chi si occupa di arte come il convegno internazionale su Vittore Carpaccio (11-12 novembre) e l’appuntamento «Il teatro in fotografia. La scena teatrale italiana tra le due guerre» (16-17 novembre).
La fondazione organizzerà, inoltre, la tappa veneziana del «Taihu World Cultural Forum» (7-9 maggio) dedicato allo scambio e al dialogo culturale tra Italia e Cina in occasione del cinquantesimo anniversario (1970-2020) del ristabilimento delle relazioni diplomatiche ufficiali tra la Repubblica popolare cinese e la Repubblica italiana.
Di grande qualità, infine, è il calendario delle mostre in programma. Si inizierà con la riapertura stagionale della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, grazie alla partnership di Assicurazioni Generali. A segnare l'avvio delle attività sarà la mostra «Piranesi Roma Basilico» (nelle due foto accanto), organizzata in occasione delle celebrazioni per i trecento anni dalla nascita di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 – Roma, 1778).
La proposta espositiva, in cartellone dal 24 aprile al 23 novembre, prevede la presentazione di una settantina di vedute piranesiane, tutte conservate presso le collezioni grafiche della fondazione, accanto alle rispettive fotografie che Gabriele Basilico effettuò nel 2010 in occasione della mostra veneziana sull'artista, ripercorrendo la quasi totalità dei luoghi piranesiani con la macchina fotografica.
Ad aprirsi all’arte saranno, poi, gli spazi dell’Ala napoleonica della Fondazione Giorgio Cini, dove dal 29 aprile al 15 luglio ci sarà «Est. Storie italiane di territori, città e architetture», a cura di Luca Molinari, già curatore del Padiglione Italia alla dodicesima Biennale di Architettura.
L’esposizione vuole raccontare storie di luoghi e città guardando il mondo verso Est partendo dall’Italia, che rimane il perno del percorso narrativo. Al centro del progetto -raccontano gli organizzatori- c’è «il 'fare italiano', che rifugge una pratica colonizzatrice per un atteggiamento di dialogo e assimilazione di mondi diversi dal nostro, avendo poi la capacità di immaginare e costruire spazi e luoghi significativi per la realtà in cui si sono insediati».
Sarà, quindi, la volta di «Homo Faber: Crafting a more human future. Living Treasures of Europe and Japan», in cartellone dal 10 settembre all’11 ottobre.
Dopo l’incredibile successo dell’edizione inaugurale del 2018, la rassegna celebrerà nuovamente l’artigianato d’eccellenza. Il designer giapponese di fama internazionale Naoto Fukasawa, l’acclamata fotografa nipponica Rinko Kawauchi, l’iconico regista americano Robert Wilson, il collezionista ed esperto britannico Simon Kidston, il professore universitario veneziano Stefano Micelli, l’executive director del Museo d’arte di Hakone Tokugo Uchida, i celebri architetti italiani Michele De Lucchi e Stefano Boeri, la docente londinese di moda Judith Clark, il designer tedesco Sebastian Herkner, gli esperti e consulenti d’arte David Caméo e Frédéric Bodet, il gallerista belga Jean Blanchaert sono i nomi di prestigio chiamati a immaginare i sedici spazi espositivi di «Homo Faber». Saranno loro a creare una visione spettacolare e senza eguali dell’artigianato d’eccellenza contemporaneo, disegnando un ponte tra tradizione e futuro.
Mentre l’attività delle «Le stanze del vetro», iniziativa per lo studio e la valorizzazione dell’arte vetraria veneziana del Novecento, nata dalla collaborazione tra Fondazione Cini e Pentagram Stiftung, prevede due mostre.
Si inizierà con «Venice and American Studio Glass» (26 marzo - 26 luglio), a cura di Tina Oldknow e William Warmus. Più di centocinquanta pezzi provenienti dagli Stati Uniti e dall’Europa permetteranno di esaminare da vicino l’influenza dell’estetica e delle tradizionali tecniche di lavorazione del vetro veneziano nello Studio Glass dagli anni Sessanta ad oggi.
Al centro della rassegna ci sarà la monumentale installazione di Dale Chihuly, «Laguna Murano Chandelier», realizzata a Murano con i maestri veneziani Lino Tagliapietra e Pino Signoretto.
In autunno si terrà, invece, «Tapio Wirkkala e Toni Zuccheri alla Venini» (7 settembre 2020 - 10 gennaio 2021), a cura di Marino Barovier.
L’esposizione guiderà il pubblico tra due aspetti della stessa realtà, due generi quasi agli antipodi ma ugualmente fondanti: il minimalismo del nordico Tapio Wirkkala, che tanto influenzò il dialogo di prospettiva tra Finlandia e Italia, e il Bestiario lagunare di Toni Zuccheri, che trovò nella natura una costante fonte da cui lasciarsi contaminare e ispirare.

Per saperne di più
www.cini.it