Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma il mondo dell’arte ricorda quest’autunno anche la scomparsa di un altro autore rappresentativo per la pittura europea, e più precisamente per il «secolo d’oro olandese»: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669), artista molto prolifico con il suo catalogo di circa seicento tele, duemila disegni e quattrocento incisioni, ma poco presente nelle collezioni pubbliche del nostro Paese.
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.
Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020
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