Gli anniversari, come i restauri, si rivelano spesso straordinarie occasioni di studio, approfondimento e conoscenza. A questo assunto non è venuto meno il cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci, che ha permesso di riscoprire i molteplici interessi dell’artista toscano.
In questo scorcio di fine anno, il calendario prevede ancora, nel nostro Paese, qualche appuntamento leonardesco interessante. Mentre a Milano ha da poco inaugurato, al Museo della scienza e della tecnica, una mostra permanente con centosettanta opere e trentanove installazioni multimediali che raccontano l’interesse del maestro per l’arte della guerra, il volo e le vie d’acqua, Torino risponde con una rassegna, alla Biblioteca reale, che allinea nove disegni autografi dell’artista, tra i quali il celebre «Autoritratto».
Sotto la Mole, al Museo storico nazionale d’artiglieria, nel Mastio della Cittadella, c’è, in questi giorni, anche la possibilità di vedere all’opera un robot progettato da Camau mentre disegna «La Gioconda». La performance, più spettacolare e divulgativa che rigorosamente scientifica, fa parte del percorso espositivo di «Leonardo da Vinci. I volti del genio», la rassegna a cura dello spagnolo Christian Gálvez, che ha il suo pezzo forte nella «Tavola lucana», una tempera su legno realizzata tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI secolo, ritrovata nel 2008 da Nicola Barbatelli, che raffigura il volto dell’artista ripreso di tre quarti in semi-profilo, con caratteristiche fisiche molto diverse dalle aspettative e da quelle già evidenziate dal famoso ritratto della Biblioteca reale di Torino.
Anche Firenze celebra, in questi ultimi giorni di dicembre, l’anniversario leonardesco e la fa in maniera insolita, con la presentazione al complesso monumentale di Santo Stefano al Ponte, a due passi da Ponte vecchio, di un libro fondamentale per gli studi sull’artista.
Lunedì 16 dicembre, alle ore 17, Roberta Barsanti, direttrice del Museo leonardiano di Vinci, e Raffaele Nencini presenteranno, infatti, la ristampa del volume «La critica e l’arte di Leonardo da Vinci» (160 pagine, 25 euro), un classico di Lionello Venturi, storico dell’arte che ha lavorato nei musei di Venezia, Roma e Urbino e che si è distinto, nei suoi anni torinesi, per essere stato uno dei pochi docenti italiani a rifiutare di firmare il giuramento di fedeltà al fascismo.
L’iniziativa editoriale è stata fortemente voluta da Crossmedia Group, realtà fiorentina attiva dal 2008 che, in anni recenti, ha creato prodotti innovativi per la fruizione e la valorizzazione dei beni culturali come le mostre multimediali, immersive e itineranti, su Raffaello, Magritte e Leonardo.
Apparso nel 1919 in occasione del quattrocentesimo anniversario della morte dell’artista toscano, il libro era fuori catalogo da tempo: l’ultima ristampa del volume risaliva, infatti, al 1988, quando la Zanichelli editore di Bologna ne aveva pubblicato un’edizione anastatica.
L’anniversario del mezzo millennio è sembrata, quindi, l’occasione giusta per riportare il testo sul mercato editoriale e renderlo disponibile alle nuove generazioni di studiosi e appassionati di Leonardo.
Il libro, uno dei testi più importanti di Lionello Venturi insieme con «Il gusto dei primitivi», è un saggio inconsueto, che viola la consueta regola della trattazione monografica, preferendo un taglio per tematiche. La natura, i contemporanei, la scienza, le fonti e il disegno sono gli argomenti trattati.
Il critico d’arte Giulio Carlo Argan ne parlava come di un libro profondamente segnato dall'esperienza bellica, che lo studioso aveva vissuto in prima persona come tenente in un reparto di fanteria.
L’opera, di grande vivacità intellettuale, è percorsa da un forte disprezzo verso i pregiudizi e da una notevole capacità di sintesi. Lionello Venturi separa l'indagine dello scienziato dall'opera dell'artista, e ammette spregiudicatamente che molti aspetti della prima ritornano inesorabilmente nella seconda.
In questo libro appare, inoltre, per la prima volta uno dei fondamenti del fare critica dello studioso, che, muovendo dallo storicismo crociano, ha approfondito le questioni metodologiche della storia dell'arte introducendo il concetto di gusto come elemento soggettivo di cultura figurativa.
Per saperne di più
www.ctcrossmedia.com
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
mercoledì 11 dicembre 2019
martedì 10 dicembre 2019
«Artonauti», un nuovo album di figurine dedicate al Novecento e ai Monuments Men
Le figurine da collezione non sono più riservate solo al mondo dei calciatori e dei cartoni animati. Dallo scorso marzo per i più piccoli è stato pensato anche un album dedicato alla storia dell’arte: «Artonauti».
Il primo numero, incentrato sui grandi artisti e sulle opere celebri dei secoli compresi tra la preistoria e Paul Gauguin, è stato un vero e proprio successo con ben quattro ristampe in pochi mesi.
Grazie alla creatività e alla passione di Daniela Re e di Marco Tatarella, fondatori dell’impresa sociale non-profit WizArt, Ale, Morgana e il cane Argo ritornano così in edicola, dal prossimo 13 dicembre, con una nuova avventura. Questa volta si va alla scoperta delle Avanguardie storiche del primo Novecento insieme a nonna Artemisia e ai Monuments Men, gli eroi silenziosi che durante la Seconda guerra mondiale hanno salvato il patrimonio artistico europeo da uno dei più grandi furti della storia.
I tre protagonisti si ritroveranno magicamente catapultati negli Stati Uniti del 1943, nello Studio Ovale del presidente Franklin Delano Roosvelt, che li manderà in Europa alla ricerca della «Madonna di Bruges», capolavoro di Michelangelo trafugato dai nazisti. Qui Ale, Morgana e il cane Argo avranno modo di conoscere i grandi protagonisti delle Avanguardie storiche, spesso vittime di censura da parte del regime nazista per aver prodotto «arte degenerata».
Le opere pubblicate non corrispondono, però, a quelle storicamente ritrovate dai Monuments Men: sono alcuni dei principali capolavori di Matisse, Picasso, Munch, Klee, Kandinsky, Marc, Klimt, Miró, Chagall, Modigliani, Goncharova, Boccioni e Mondrian, tra gli altri.
«Il Novecento: alla ricerca dei tesori perduti», questo il titolo del nuovo album dedicato alla memoria di Khaled al-Asaad (archeologo siriano decapitato dall’Isis), è ancora più ricco e interattivo del precedente: si compone di centosedici pagine, quindici tavole di illustrazione, ben centododici opere d’arte da ricostruire grazie a trecentoventiquattro figurine e ventiquattro indovinelli, tra «aguzza la vista», rebus e giochi di parole, oltre a veri e propri indizi per portare avanti la caccia al tesoro e ritrovare la «Madonna di Bruges».
Venticinque coppie di Twin Cards collezionabili consentiranno ai bambini dai 7 ai 14 anni, questo il target del nuovo album, di allenare la memoria, riconoscendo le opere a partire dai dettagli.
Sarà, inoltre, possibile scoprire i luoghi dove sono conservate le tele pubblicate grazie a una mappa.
Infine per raccontare lo stretto legame tra arti visive e musica che ha caratterizzato il Novecento, sette QR code permetteranno di ascoltare altrettante proposte musicali legate a sette diversi artisti presenti nell’album.
Ma c’è di più, grazie al concorso «In viaggio con gli Artonauti» i fortunati che troveranno un Golden Ticket nei propri pacchetti di figurine, potranno godere di un’esperienza creata ad hoc con Elesta Art Travel, tour operator specializzato in viaggi culturali che ha predisposto itinerari speciali, dedicati ai vincitori: una visita a una città d’arte, a un museo o un tour esperienziale alla scoperta delle bellezze di una città italiana, per un totale di ventuno premi.
Grazie al classico gioco «ce l’ho, ce l’ho, mi manca», con le figurine di «Artonauti» l’arte diventa, dunque, un gioco da ragazzi, che conquista anche i più grandi, a partire dagli insegnanti che subito hanno intuito le sue potenzialità dell'album come stimolo culturale per i più giovani e per le famiglie.
Vedi anche
Artonauti, arrivano in edicola le figurine della storia dell'arte
Per saperne di più
www.artonauti.it
Il primo numero, incentrato sui grandi artisti e sulle opere celebri dei secoli compresi tra la preistoria e Paul Gauguin, è stato un vero e proprio successo con ben quattro ristampe in pochi mesi.
Grazie alla creatività e alla passione di Daniela Re e di Marco Tatarella, fondatori dell’impresa sociale non-profit WizArt, Ale, Morgana e il cane Argo ritornano così in edicola, dal prossimo 13 dicembre, con una nuova avventura. Questa volta si va alla scoperta delle Avanguardie storiche del primo Novecento insieme a nonna Artemisia e ai Monuments Men, gli eroi silenziosi che durante la Seconda guerra mondiale hanno salvato il patrimonio artistico europeo da uno dei più grandi furti della storia.
I tre protagonisti si ritroveranno magicamente catapultati negli Stati Uniti del 1943, nello Studio Ovale del presidente Franklin Delano Roosvelt, che li manderà in Europa alla ricerca della «Madonna di Bruges», capolavoro di Michelangelo trafugato dai nazisti. Qui Ale, Morgana e il cane Argo avranno modo di conoscere i grandi protagonisti delle Avanguardie storiche, spesso vittime di censura da parte del regime nazista per aver prodotto «arte degenerata».
Le opere pubblicate non corrispondono, però, a quelle storicamente ritrovate dai Monuments Men: sono alcuni dei principali capolavori di Matisse, Picasso, Munch, Klee, Kandinsky, Marc, Klimt, Miró, Chagall, Modigliani, Goncharova, Boccioni e Mondrian, tra gli altri.
«Il Novecento: alla ricerca dei tesori perduti», questo il titolo del nuovo album dedicato alla memoria di Khaled al-Asaad (archeologo siriano decapitato dall’Isis), è ancora più ricco e interattivo del precedente: si compone di centosedici pagine, quindici tavole di illustrazione, ben centododici opere d’arte da ricostruire grazie a trecentoventiquattro figurine e ventiquattro indovinelli, tra «aguzza la vista», rebus e giochi di parole, oltre a veri e propri indizi per portare avanti la caccia al tesoro e ritrovare la «Madonna di Bruges».
Venticinque coppie di Twin Cards collezionabili consentiranno ai bambini dai 7 ai 14 anni, questo il target del nuovo album, di allenare la memoria, riconoscendo le opere a partire dai dettagli.
Sarà, inoltre, possibile scoprire i luoghi dove sono conservate le tele pubblicate grazie a una mappa.
Infine per raccontare lo stretto legame tra arti visive e musica che ha caratterizzato il Novecento, sette QR code permetteranno di ascoltare altrettante proposte musicali legate a sette diversi artisti presenti nell’album.
Ma c’è di più, grazie al concorso «In viaggio con gli Artonauti» i fortunati che troveranno un Golden Ticket nei propri pacchetti di figurine, potranno godere di un’esperienza creata ad hoc con Elesta Art Travel, tour operator specializzato in viaggi culturali che ha predisposto itinerari speciali, dedicati ai vincitori: una visita a una città d’arte, a un museo o un tour esperienziale alla scoperta delle bellezze di una città italiana, per un totale di ventuno premi.
Grazie al classico gioco «ce l’ho, ce l’ho, mi manca», con le figurine di «Artonauti» l’arte diventa, dunque, un gioco da ragazzi, che conquista anche i più grandi, a partire dagli insegnanti che subito hanno intuito le sue potenzialità dell'album come stimolo culturale per i più giovani e per le famiglie.
Vedi anche
Artonauti, arrivano in edicola le figurine della storia dell'arte
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lunedì 9 dicembre 2019
Parma, alla Pilotta l’Epifania secondo Rembrandt
Il 2019 verrà ricordato in Italia come l’anno del cinquecentenario dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma il mondo dell’arte ricorda quest’autunno anche la scomparsa di un altro autore rappresentativo per la pittura europea, e più precisamente per il «secolo d’oro olandese»: Rembrandt Harmenszoon van Rijn (Leida, 15 luglio 1606 – Amsterdam, 4 ottobre 1669), artista molto prolifico con il suo catalogo di circa seicento tele, duemila disegni e quattrocento incisioni, ma poco presente nelle collezioni pubbliche del nostro Paese.
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.
Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020
Le opere di Rembrandt sono, infatti, conservate solo in quattro sedi italiane: la Galleria Sabauda di Torino, gli Uffizi di Firenze, Capodimonte a Napoli e il Museo interreligioso di Bertinoro, sulle appendici dell’Appennino forlivese, che nelle antiche segrete medioevali e nella cinquecentesca cisterna della Rocca vescovile propone un dialogo tra cristianesimo, ebraismo e islam.
Si rivela, dunque, prezioso l’appuntamento promosso dalla città di Parma, grazie a un accordo con il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, che ricorda l’anniversario rembrandtiano dei trecentocinquanta anni dalla morte, con l’esposizione dell’«Adorazione dei Magi» (1632), vero e proprio manifesto del fare pittorico del maestro di Leida.
A ospitare la tela è, fino al prossimo 26 gennaio, il Complesso monumentale della Pilotta, imponente palazzo simbolo del potere ducale dei Farnese, la cui Galleria nazionale è un vero e proprio scrigno di tesori con opere significative come, per esempio, «La scapigliata» di Leonardo (attualmente al Louvre), la «Madonna dell’umiltà» del Beato Angelico, la «Guarigione del nato cieco» di El Greco, la «Schiava turca» del Parmigianino, l’«Incoronazione della Vergine» del Correggio, il «Ritratto di Maria Luigia d’Asburgo in veste di Concordia» di Antonio Canova e «La spiaggia» di Renato Guttuso.
L’«Adorazione dei Magi», dipinta intorno al 1632, è un olio su carta incollato su tela di piccole dimensioni (45 x 39 centimetri), che si rifà a un passaggio del Vangelo secondo San Matteo, nel quale è scritto: «udito il re, essi [i magi], partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. / Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. / Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra».
L’opera appartiene a una fase di emancipazione creativa di Rembrandt, uscito da poco dalla bottega del maestro Pieter Lastman, pittore celebre per le sue scene bibliche, mitologiche e storiche, che aveva studiato e lavorato in Italia esportando nel suo Paese alcune delle caratteristiche principali della pittura barocca, a partire dalla lezione di Caravaggio sull’uso della luce e da quella della famiglia Carracci sullo studio rigoroso del vero, fondamento imprescindibile per le loro scene costruite con una grande ricchezza e varietà di dettagli e personaggi.
In risposta ai codici formali del tardo-manierismo italiano, l’artista fiammingo riprende, infatti, iconografie provenienti da Oriente, meta in quegli anni dei viaggi commerciali della Compagnia delle Indie e oggetto di crescente attenzione, che con il loro esotismo sembrano perfetti per evocare un mondo lontano e sconosciuto come quello della Terra Santa narrato nell’antico Testamento e nei Vangeli. Turbanti, mantelli preziosi, armature, gioielli e, al centro della scena, un grosso ombrello parasole sono gli accessori insoliti che Rembrandt sceglie per animare la sua composizione a più figure, con vari personaggi in abiti orientali e sul lato destro la Madonna e il Bambino, due figure, queste, che presentano legami non totalmente recisi con l’arte italiana del tempo.
La struttura della scena è caratterizzata da un attento gioco focale e da un’esaltazione illusionistica del dettaglio tale da rivelare, attraverso la pittura, la tessitura teologica della storia: la luce si concentra sulla figura del saggio con la barba bianca inginocchiato, che china il suo capo davanti al Cristo tenuto in braccio da Maria, mentre al centro della rappresentazione appare un altro Re magio con gli occhi rivolti verso chi guarda e il braccio teso a benedire il Bambino. L’interesse di Rembrandt sta, dunque, tutto nel tributo che gli antichi saperi magici e astronomici d’Oriente riservano a un Principe divino più potente di tutti, quindi destinato a superare e a sussumere a sé la parzialità dei poteri pagani che lo hanno preceduto.
La tela è stata realizzata in parallelo a una serie di incisioni preparatorie riferite a episodi della vita e della passione di Cristo, mai portate a termine, ed è dipinta in grisaille, chiaroscuro quasi privo di colore introdotto per la prima volta a Roma nella prima metà del Cinquecento.
Un tono prevalentemente marrone si combina con il grigio o l’azzurro: in primo piano domina un morbido color seppia, mentre in secondo piano e in profondità prevale un freddo color grigio precisamente calcolato per essere confrontato con la morbidezza del resto del soggetto. Le tenui gradazioni di colore che avvolgono dalla penombra i singoli dettagli danno alla rappresentazione una sfumatura drammatica, anche questa tipica del linguaggio rembrandtiano.
Le elevate qualità pittoriche della grisaille dell’Ermitage hanno portato i soprintendenti del museo russo ad attribuire la tela all’artista di Leida, dopo una prima fase di incertezza: all’epoca dell’acquisizione, nel 1932, l’opera era, infatti, stata considerata una copia di un dipinto pressoché identico, ma di dimensioni maggiori, che si trova al Museo d’arte di Göteborg (71 x 65,8 cm.).
L’attribuzione è stata confermata dall’analisi della tela ai raggi X, che ha evidenziato correzioni da parte dell’autore, pentimenti che costituiscono, dunque, una prova della sua autenticità. Un’autenticità che si ravvisa anche nei colori autunnali dell’«Adorazione dei Magi», avvolti da forti effetti di chiaroscuro, che ci parlano del recupero di una lettura diretta delle Sacre Scritture caratterizzate da un confronto spesso mistico con il divino, più in linea con la spiritualità popolare e borghese dei paesi del Nord di area protestante.
Didascalia del quadro
Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606-1669), Adorazione dei Magi, 1632. Olio su carta incollato su tela, 45x39 cm. Courtesy Museo dell’Hermitage, San Pietroburgo
Informazioni utili
«Un Rembrandt dall’Ermitage 1669 - 2019: 350 anni dalla morte del maestro». Complesso monumentale della Pilotta, Strada alla Pilotta, 15 – Parma. Orari: da martedì a domenica, ore 8.30 – 19.00; domenica e festivi, ore 13.00-19.00 . Ingresso: la visita alla sala dedicata all’Adorazione dei Magi di Rembrabdt è compresa nel biglietto di ingresso alla Galleria nazionale | intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotti dai 18 ai 25 anni € 2,00 | fino ai 18 anni gratuito. Informazioni per il pubblico: tel. 0521.233309, cm-pil.info@beniculturali.it. Ufficio stampa: Carla Campanini, carla.campanini@beniculturali.it, tel. 0521.233309 | Lara Facco press@larafacco.com. Fino al 26 gennaio 2020
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