ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 14 maggio 2020

Bologna, al Mambo nasce il Nuovo Forno del Pane

La cultura? Pane per la mente. Potrebbe essere questo lo slogan del progetto ideato dal Mambo - Museo d'arte moderna di Bologna per la sua riapertura dopo la pandemia mondiale che ha stravolto le nostre modalità consolidate di vita e di lavoro nonché la stessa possibilità di fruire l'arte. L'indispensabile riflessione sulla natura dell'istituzione museale pubblica, sulla sua funzione, sul suo ruolo per le città e le comunità di riferimento ha portato a ridefinire l'immagine identitaria e strategica dell'importante realtà museale felsinea, dando vita al Nuovo Forno del Pane.
Il nome dell'edificio che dal 2007 - dopo la riqualificazione architettonica realizzata su progetto di Aldo Rossi - ospita il museo perde così la preposizione “ex” e recupera il senso profondo della destinazione d'uso originaria: la sua costruzione venne, infatti, intrapresa nel 1915 dal sindaco di Bologna Francesco Zanardi con la funzione di panificio comunale per far fronte alle difficoltà di approvvigionamento durante la prima guerra mondiale.
Recuperando questa sua storia, il Mambo diventerà così un centro di produzione interdisciplinare che trasformerà gli spazi e la funzione della Sala delle ciminiere: non più spazio espositivo, ma spazio di produzione, comunità creativa, in cui l'arte diventa pane per la mente e il museo si trasforma in forno, incubatore della creatività, spazio che Bologna offre ai suoi artisti per ripartire, per rinascere dopo questa emergenza planetaria.
La cultura come motore della città per rispondere ed affrancarsi dalla crisi, a partire da esempi europei virtuosi quali l'esperienza di Berlino dei primi anni '90 che, attraverso la rinascita di edifici abbandonati e aree dismesse come officine di produzione e sperimentazione artistica, divenne epicentro di una scena culturale tra le più vivaci al mondo. Nel caso del Mambo sarà un edificio storico oggi sede museale, con la sua facciata lunga oltre cento metri prospiciente al portico compreso tra i tratti candidati a diventare Patrimonio dell'umanità dell'Unesco, ad aprirsi come laboratorio di sperimentazione, fucina di nuove opere, luogo di progettualità.
Con il progetto del Nuovo Forno del Pane il Comune di Bologna, l'Istituzione Bologna Musei e il MAMbo si mobilitano assumendo un ruolo di maggiore responsabilità sociale a sostegno di categorie particolarmente colpite dalla crisi legata alla pandemia: artisti, fotografi, designer, registi e creativi in genere, che nel museo hanno sempre visto un punto di riferimento con il quale confrontarsi nell'ambito delle loro pratiche, vi troveranno uno spazio di lavoro formando una vera e propria comunità creativa.
La programmazione espositiva sarà parzialmente e temporaneamente interrotta per dare un luogo di lavoro agli artisti del territorio che ne abbiano bisogno per ripartire.
Nel mese di maggio 2020 l'Istituzione Bologna Musei lancerà una open call rivolta ad artisti residenti o domiciliati a Bologna, al momento privi di uno spazio/laboratorio in cui portare avanti i propri progetti.
Il numero dei creativi selezionati dallo staff interno del museo sarà commisurato alle indicazioni sull'organizzazione degli spazi di lavoro stabiliti dalle autorità governative e locali per la gestione della Fase 2 dell'emergenza Coronavirus. Dalla selezione scaturirà una graduatoria per l'assegnazione degli spazi e di un incentivo per l'avvio della produzione di nuove opere.
Alle medesime (oltre che alle preesistenti normative) si farà riferimento anche per il riallestimento degli spazi della Sala delle Ciminiere e di altre aree del museo, che saranno suddivisi in atelier/laboratorio e potranno comprendere, oltre ai veri e propri studi, anche altre strutture aperte a diversi soggetti come, ad esempio: una sala di registrazione/montaggio video, un laboratorio fotografico e camera oscura, una piccola stamperia, un laboratorio di falegnameria, uno spazio di sperimentazione sulle nuove tecnologie di Realtà aumentata, un'emittente radiofonica (è allo studio una collaborazione Neu Radio), uno spazio per l'editoria artistica, una sala musica, un'area performativa e una dedicata a reading group di auto-formazione.
In questo contesto, le collezioni permanenti del Mambo e del Museo Morandi e la biblioteca (con le sezioni dedicate alla storia della Gam, all'attività espositiva, a Giorgio Morandi e al Fondo Concetto Pozzati), con le modalità di gradualità nella riapertura dei musei definite dall'Istituzione Bologna Musei, proseguiranno nelle loro funzioni fondamentali di valorizzazione del patrimonio, di testimonianza dell'identità dell'istituzione e delle urgenze del presente, ma diventeranno al contempo luoghi in cui sperimentare la museologia più radicale, proponendo piccoli focus temporanei che attingeranno alle opere non esposte, riflettendo sui temi della contemporaneità.
È previsto inoltre, a fronte di una minore attività espositiva causata dalle particolari circostanze, un incremento della ricerca scientifica e della produzione di schede delle opere, destinato sia a piattaforme digitali e App che a nuove produzioni editoriali, con un impegno dello staff museale secondo una modalità organizzativa di tipo redazionale. Una riconfigurazione museale come quella proposta dal Nuovo Forno del Pane non può prescindere da una rimodulazione delle attività di mediazione, che saranno elemento fondante di un nuovo rapporto con il pubblico, più che in passato: in un probabile scenario di orari di apertura ridotti e stringenti norme di sicurezza, si supererà la tradizionale dinamica guardasala/visitatore per andare verso la relazione mediatore/persona. Attraverso lo sviluppo dei progetti già avviati dal Comune di Bologna grazie ai fondi europei Pon Metro e intensificando le partnership con Accademia di belle arti e Università di Bologna si svilupperanno attività di formazione di mediatori museali qualificati che interagiranno con il pubblico.
Nel contesto del centro di produzione e degli studi d'artista che vedranno la luce nel museo, l'attività del Dipartimento educativo sarà ulteriormente valorizzata in termini progettuali, lavorando a proposte basate sul fare arte, con il coinvolgimento diretto degli artisti, dei professionisti e degli addetti del settore in un approccio non esclusivamente basato sulle opere ma anche e soprattutto sulle pratiche, sul processo, sulla relazione e sull'uso di laboratori e materiali a disposizione.
Anche sul piano delle nuove acquisizioni, la trasformazione del Mambo da luogo di esposizione e valorizzazione di collezioni esistenti a luogo di produzione potrà avere positive ricadute sulla possibilità di incrementare il patrimonio: se da un lato gli artisti emergenti potranno avere un spazio in cui produrre nuove opere da immettere nel mercato dell’arte, dall'altra, in una seconda fase del progetto, gli artisti senior, già dotati di studio in cui lavorare, potranno presentare dei progetti per opere da realizzare usando i laboratori del Nuovo Forno del Pane, destinati ad essere acquisite tramite fondi pubblici o di privati sensibilizzati a nuove forme di mecenatismo.
La comunicazione del progetto del Nuovo Forno del Pane sarà anch'essa improntata a un diverso paradigma rispetto al passato, assumendo come target non più e non solo il visitatore abituale o potenziale ma una nuova figura di conoscitore che esperisce personalmente il museo.
L'artista Aldo Giannotti ha sviluppato un logo che rappresenterà visivamente la nuova vocazione produttiva del museo enfatizzandone gli elementi formali e architettonici che più rimandano alla sua identità storica. Credendo fermamente nell'insostituibilità della fruizione dell'arte in presenza, i principali canali di comunicazione del Nuovo Forno del Pane saranno non solo il web e i social media, ma soprattutto un'intensa attività relazionale attraverso studio visit, dialoghi, giornate di open studio con gli artisti, restituzioni pubbliche delle opere prodotte e dei progetti portati a termine e un public program di incontri, lezioni e presentazioni nelle modalità che saranno consentite durante la fase post-emergenziale.

Per saperne di più
www.mambo-bologna.org

«Piranesi Roma Basilico», una mostra sui muri delle calli veneziane

 Dalla Pinacoteca di Brera ai Musei Vaticani, Dal Met di New York all'Hermitage di San Pietroburgo, dagli Uffizi di Firenze al Prado di Madrid: in questi giorni di emergenza sanitaria per il Covid 19 i musei più importanti del mondo consentono al pubblico di ammirare le proprie bellezze attraverso visite virtuali.
Con gli spazi espositivi italiani ancora chiusi a causa delle disposizioni ministeriali per l’epidemia mondiale (la riapertura è fissata per il prossimo 19 maggio), la Fondazione Giorgio Cini sceglie un modo alternativo per stare vicina al suo pubblico: l’arte «esce in strada» e va incontro ai cittadini con il progetto speciale «Palazzo Cini per le calli di Venezia», ideato da Luca Massimo Barbero.
Fino a metà giugno le mura della città ospiteranno così, grazie all'affissione pubblica, il dialogo tra l’opera incisoria di Giambattista Piranesi (Venezia, 1720 - Roma, 1778), artista del quale si celebrano quest’anno i trecento anni dalla nascita, e la fotografia contemporanea di Gabriele Basilico.
Il progetto en plein air anticipa il tema che sarà anche al centro della mostra «Piranesi Roma Basilico», di prossima apertura a Palazzo Cini a San Vio, in partnership con Assicurazioni Generali.
I passanti potranno così vedere le riproduzioni di alcuni dei luoghi più simbolici della Città eterna, rappresentate dalla combinazione tra le stampe originali realizzate nel ‘700 dall’incisore veneziano (oggi conservate dalla Fondazione Cini) e le vedute di Roma del fotografo milanese Gabriele Basilico, realizzate con le stesse angolazioni delle incisioni piranesiane su commissione della Cini nel 2010.
Gli stessi confronti saranno, poi, visibili a San Vio in occasione della mostra «Piranesi Roma Basilico»- curata da Luca Massimo Barbero e realizzata grazie alla collaborazione dell’Archivio Gabriele Basilico - insieme a una più ampia selezione, di cui «Palazzo Cini per le calli di Venezia» rappresenta un'anticipazione speciale.
Il più importante omaggio veneziano a Giambattista Piranesi mostrerà, infatti, venticinque stampe originali e ventisei vedute di Roma del fotografo milanese, di cui dodici mai esposte prima. Le incisioni di Piranesi oggetto del dialogo con Basilico, sono state selezionate dal corpus integrale parte delle collezioni grafiche della Fondazione Cini. Il corpus Piranesi costituisce uno dei fondi di grafica più rilevanti conservati da un’istituzione privata, che in questa occasione si offe allo sguardo della città.
Il progetto en plein air – afferma Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di storia dell’arte della Cini – «è un omaggio a Venezia, città della cultura per antonomasia, e ai veneziani. In un momento storico in cui i luoghi dell’arte sono fisicamente ancora inaccessibili a causa delle restrizioni per contrastare la pandemia, un’arte nata per essere stampata come le incisioni di Piranesi e le foto di un maestro contemporaneo come Basilico, come è loro naturale si danno allo sguardo di chi cammina e si ferma per un attimo. L’arte anche in questo caso è un viaggiare senza spostarsi e travalica le barriere dei musei per incontrare e ispirare le persone anche in questo momento. E i muri labirintici della città diventano un atlante per questo possibile viaggio».

Per saperne di più
www.cini.it

lunedì 23 dicembre 2019

Ritorno in Romagna per «La Madonna del Patrocinio» di Albrecht Dürer

È un Natale speciale quello di Bagnacavallo, piccolo centro urbano in provincia di Ravenna, che ha appena visto tornare negli spazi del suo Museo civico, situato nell’ex convento delle suore Clarisse Cappuccine di San Girolamo, un’opera che fa parte della sua storia. Stiamo parlando della tavola «La Madonna del Patrocinio», detta anche «Madonna di Bagnacavallo», probabilmente realizzata da Albrecht Dürer (Norimberga, 21 maggio 1471 – Norimberga, 6 aprile 1528) nei primi decenni del Cinquecento, al tempo del suo secondo viaggio in Italia, quello dal 1505 al 1507, che lo vide raggiungere Venezia e Bologna, anche se alcuni studiosi, tra i quali il tedesco Fedya Anzelewsky e l’italiano Vittorio Sgarbi, ne anticipano la realizzazione alla fine del Quattrocento.
L’opera -attualmente conservata in provincia di Parma, alla Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo- manca in città da cinquant’anni, ovvero dall’inizio del 1969, quando le monache romagnole la vendettero al collezionista e mecenate Luigi Magnani, incapaci di far fronte all’improvviso interesse mediatico e della comunità scientifica per quel prezioso olio, che, a memoria d’uomo, era sempre stato davanti ai loro occhi come anonimo oggetto di devozione popolare, racchiuso nel coretto del convento e visibile attraverso una grata.
Ad accendere i riflettori sul quadro era stato, solo sei anni prima, il sacerdote e studioso Antonio Savioli, che nel 1961 ne aveva dato segnalazione sul «Bollettino diocesano di Faenza», provocando sin da subito l’estasiata sorpresa di Roberto Longhi, che, basandosi su una «pallida» fotografia, l’aveva attribuito con certezza ad Albrecht Dürer.
Lo studioso aveva, quindi, pubblicato nel luglio 1961 l’immagine della tavola sulla rivista «Paragone», aggiungendo alcune osservazioni sui restauri di cui era stata fatto oggetto, prova delle sue antiche origini: «l’uno, forse inteso ad ovviare gli effetti di una vecchia bruciatura, comprende -scrive il Longhi- un’intera ciocca della chioma ricadente sulla destra del volto della Vergine e, per la notevole perizia della esecuzione, mostra di essere stato condotto da mano ‘filologicamente’ addestrata e pertanto, direi, non prima del secolo dei ‘lumi’; l’altro, più che un vero restauro, è un’aggiunta che, provvedendo a mascherare certe parti del Bimbo, mostra di essere stata indotta da scrupoli moralistici post-tridentini e infatti, anche tecnicamente, denota il tardo Cinquecento».
Indagini di archivio hanno appurato che l’opera, uno dei pochi dipinti di Dürer presenti in Italia, faceva parte dei beni del convento sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1774, e che fu salvata dalle espropriazioni napoleoniche grazie a una mediocre copia di epoca neoclassica, che le evitò così di fare -ricorda Raffaella Zama nel suo articolo del 2018 per «Romagna arte e storia»- la fine della pala dell’altare maggiore della vicina chiesa di Cotignola, con «Le Sante Chiara e Caterina» del Guercino, confiscata e confluita nel 1811 a Brera.
La mostra al Museo civico di Bagnacavallo, visibile fino al prossimo 2 febbraio, vuole, dunque, colmare una sorta di «debito» rimasto aperto nei confronti della cittadinanza, che mai vide «La Madonna del Patrocinio» prima della sua partenza cinquant’anni fa per Parma, ma vuole anche essere l’occasione per fare il punto sulle ricerche storico-artistiche e sull’intricata vicenda conservativa della tavola.
Come arrivò un dipinto di tale importanza tra le mura di un piccolo convento di provincia? Quali elementi concreti avvalorano la paternità düreriana dell’opera e ne rivelano una qualità tale da configurarla come una prova di assoluto valore dell’artista? Che cosa fece scoprire la «giusta pulitura» della tavola, realizzata nel 1970 dall’Istituto centrale del restauro? Sono queste alcune delle domande alle quali si propone di rispondere la rassegna romagnola, parte integrante di un progetto culturale ben più ampio: la grande mostra sull’attività grafica di Albrecht Dürer, «Il privilegio dell’inquietudine», curata da Diego Galizzi con Patrizia Foglia, e in programma fino al prossimo 19 gennaio al Museo civico di Bagnacavallo, uno dei centri più attivi in Italia per quanto riguarda lo studio, la valorizzazione e la conservazione del linguaggio incisorio, con la sua collezione di oltre tredicimila stampe.
La tavola düreriana esposta nell’ex convento delle suore Clarisse Cappuccine di San Girolamo presenta un’atmosfera intima e tenera. La Vergine è ritratta seduta e tiene sulle sue ginocchia il Bambino. Tra i due c’è un tenero gioco di gesti e di sguardi: la mano sinistra del Piccolo tocca quella della Madre, l’altra tiene un simbolico rametto di fragole. Alcuni particolari, come la riccia e lucente «chioma a fili brillanti di rame» di Maria e il panneggio del suo velo con la piega pesante che compie sulla testa, dimostrano un gusto tipicamente nordico, che sembra far proprio anche la lezione dell’arte rinascimentale italiana, soprattutto l’insegnamento coloristico e l’impaginazione scenica di Giovanni Bellini, ammirato dall’artista nel primo viaggio in Italia, risalente al 1494-1495.
Più che come pittore, Dürer è stato, però, apprezzato come incisore. Erasmo da Rotterdam, nel suo «Dialogus De Recta Latini Graecique Sermonis Pronunciatione» del 1528, affermò, infatti, che il maestro di Norimberga aveva addirittura superato Apelle, l’antico pittore greco esempio di artista proverbialmente inarrivabile, perché non aveva bisogno del colore per creare, ma gli bastavano delle linee nere.
La perizia incisoria del maestro norimberghese viene raccontata a Bagnacavallo attraverso centoventi opere, provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private italiane, tra le quali sono visibili capolavori come il ciclo dell’«Apocalisse», il «Sant’Eustachio», il «San Girolamo nello studio», «Il Cavaliere la morte e il diavolo» e «Melanconia», «un’opera pregna di intellettualismo fin quasi all’esoterismo, che -spiega Diego Galizzi- cela un vero e proprio autoritratto spirituale dell’artista, giunto alla melanconica presa di coscienza che un approccio razionale all’arte e al mondo non può che dare risposte insufficienti».
Attraverso dieci sezioni tematiche il visitatore si trova immerso nel visionario sogno di perfezione di un ragazzo, figlio di un umile orafo di Norimberga, che ha voluto inseguire il suo desiderio di appropriarsi dei segreti della rappresentazione della bellezza. Conosce le tante anime di Dürer, che la critica ha definito ora un umanista, ora un gotico, ora un artigiano, ora un teorico e che, come tutti i grandi artisti, portava in sé la contraddizione di avere una personalità sfaccettata, continuamente ansiosa di ricercare e produrre cose nuove. Lo riconosceva lo stesso Max Klinger: «Un’opera grafica di Dürer non si riferisce né a un quadro replicato, né traduce sensazioni di colore in forme estranee alla tecnica adottata. È compiuta in se stessa e definitiva, priva solo di quanto l’idea, eternamente inarrivabile, rifiuta alle possibilità di ogni artista».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Albrecht Dürer, Madonna del Patrocinio, s.d.. Olio su tavola, cm 47,8 x 36,5. Traversetolo (Parma), Fondazione Magnani-Rocca; [fog. 2] Albrecht Dürer, La Natività, 1504, bulino, mm. 183x118 inciso, 187x125 foglio, esemplare di unico stato. Collezione Museo civico delle Cappuccine di Bagnacavallo; [fig.3] Albrecht Dürer, Melencolia I (La Melanconia), 1514, bulino, mm. 240x186, esemplare di II stato su due. Collezione Musei civici di Pavia(Credit Musei civici di Pavia); [fig. 4] Albrecht Dürer, Sant’Eustachio, 1501 ca., bulino, mm. 360x260, esemplare di unico stato.Collezione Musei civici di Novara; [fog. 5] Albrecht Dürer, San Girolamo nello studio, 1514, bulino, mm. 245x187 inciso, 360x255 foglio, esemplare di unico stato. Collezione Museo civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Informazioni utili
Il previlegio dell’inquietudine (fino al 19 gennaio 2020) e La Madonna del Patrocinio (fino al 2 febbraio 2020) Museo Civico delle Cappuccine, via Vittorio Veneto 1/a Bagnacavallo (Ravenna). Orari: martedì e mercoledì, ore 15.00-18.00; giovedì, ore 10.00-12.00 e ore 15.00-18.00; da venerdì a domenica, ore 10.00-12.00 e ore 15.00-19.00; chiusura il lunedì e i post-festivi. Ingresso gratuito. Informazioni: tel. 0545.280911, centroculturale@comune.bagnacavallo.ra.it. Sito internet: www.museocivicobagnacavallo.it.