Documentata a Milano a partire almeno dal 1587, Fede Galizia (1578? -1630) vive prevalentemente nella città lombarda fino alla morte, verificatasi intorno al 1630, a causa della peste di manzoniana memoria.
Il trasferimento, dalla nativa Trento, avviene sulla scorta del padre, Nunzio, artista impegnato nel mondo della miniatura, dei costumi, degli accessori, ma anche in quello della cartografia.
Giovanissima, l’artista inizia a lavorare nella bottega paterna, prendendo confidenza con tele, pennelli e colori. La prima opera nota è il «Ritratto inciso di Gherardo Borgogni», per le edizioni del 1592 e del 1593 di due raccolte di rime.
Entro il 1595 la pittrice realizza un numero considerevole di disegni e vari ritratti degni di nota, tra i quali quelli del padre, della madre, di due nobildonne milanesi (tutti perduti) e quello di «Paolo Morigia allo scrittoio», oggi conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Di questa tela colpisce la forte caratterizzazione fisiognomica e la resa ai dettagli. Straordinaria è, per esempio, la precisa attenzione che l'artista rivolge al riflesso delle finestre sulle lenti degli occhiali che lo storico tiene in mano.
Porta, invece, la data del 1601 un altro suo lavoro celebre: la tela «Giuditta con la testa di Oloferne», conservata alla Galleria Borghese di Roma e attualmente in mostra a Milano, nelle sale di Palazzo Reale. Negli anni a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento l’artista si confronta più volte con questo tema biblico, come prova l'omonima tela conservata a Sarasota, al Ringling Museum of Art, realizzata nel 1596, che rappresenta la prima opera documentata su questo soggetto da parte di una donna pittrice. Nel lavoro l'interesse verte più sulla perfetta resa delle vesti e dei gioielli, trattati con cura meticolosa, piuttosto che sulle potenzialità drammatiche della scena. Viene, infatti, escluso dalla rappresentazione il momento violento della decapitazione, che sarà, invece, centrale nella successiva raffigurazione di Artemisia Gentileschi.
All’epoca Fede Galizia, coeva di Caravaggio, è già un’artista conosciuta tra i più importanti committenti, tanto che sue opere raggiungono, prima del 1593, tramite la mediazione di Giuseppe Arcimboldi, la corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo.
Negli anni successivi vengono realizzate alcune nature morte di straordinaria bellezza: rappresentazioni «attente» e «contristate» - per usare un'espressione del critico Roberto Longhi - di gelsomini, pesche pallide e voluttuose, ciliegie dal rosso viscerale, melograni, pere e grappoli d’uva, che s’affacciano sulla scena sbucando dal buio alla luce, mostrando tutta la loro poesia malinconica.
Nonostante il successo in vita, il ricordo di Fede Galizia sbiadisce nel tempo, anche per via della difficoltà nel catalogare e attribuire correttamente tutte le sue opere, in molti casi ascritte al contemporaneo e concittadino Panfilo Nuvolone. Solo negli ultimi decenni del Novecento la sua figura viene rivalutata e studiata, ma le ricerche pongono l’attenzione principalmente sul suo ruolo di pioniera del genere della natura morta autonoma, in cui suggestioni fiamminghe si fondono alla tradizione del naturalismo lombardo, come mostrano l'«Alzata con pesche e gelsomini» della collezione Campagnano di Firenze o la tavola «Mele, cesto con castagne e coniglio» del Museo civico di Cremona.
Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa – i curatori della mostra di Trento – pensano che sia giunto il momento di tracciare un ritratto più veritiero e più completo dell’artista, che realizzò anche numerosi ritratti, ultimo dei quali quello dell'anziano Ludovico Settala alla Pinacoteca Ambrosiana, e svariate pale d’altare, presenti in sedi tutt’altro che periferiche come, solo per fare un esempio, la città di Napoli, dove si trova il «San Carlo in estasi davanti alla reliquia del Santo Chiodo» della chiesa di San Carlo alle Mortelle.
«A tutt’oggi – si legge nella presentazione della rassegna - non esiste un repertorio completo delle numerose testimonianze letterarie che celebrano, in versi e in prosa, le doti di Fede Galizia, da intrecciare con un completo regesto documentario, che sarà approntato per l’occasione».
Le opere esposte saranno in tutto un’ottantina tra dipinti, disegni, incisioni, medaglie e libri antichi. Oltre a lavori di Fede Galizia, Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Barbara Longhi, ci saranno opere di Arcimboldi, Bartholomeus Spranger, Giovanni Ambrogio Figino, Jan Brueghel e Daniele Crespi, provenienti da importanti musei italiani come la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco di Milano, gli Uffizi di Firenze, l’Accademia Carrara di Bergamo, Palazzo Rosso di Genova, la Fondazione Cini di Venezia, la Galleria Borghese di Roma. Saranno presenti anche alcuni prestiti internazionali, dal Muzeum Narodowe di Varsavia, dal Ringling Museum of Art di Sarasota, dal Palacio Real de la Granja di San Ildefonso, oltre che da alcuni collezionisti privati.
Il percorso espositivo proverà così a rispondere ad alcune domande rimaste per lungo tempo senza risposta: perché Fede Galizia piaceva tanto ai suoi contemporanei? Quali sono le ragioni del suo successo nell’epoca in cui visse? Quanto ha pesato, in questo, il suo essere donna? Come cambia l’apprezzamento di un’opera d’arte tra il lungo crepuscolo del Rinascimento e il mondo di oggi?
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Fede Galizia, «Natura morta», 1610, Collezione privata; [fig. 2] Fede Galizia, «Alzata con prugne pere e una rosa», collezione privata, Bassano del Grappa; [fig. 3] Fede Galizia, «Cherubino seduto», Biblioteca ambrosiana, Milano; [fig. 4] Fede Galizia, «Ritratto di Paolo Morigia», Pinacoteca Ambrosiana, Milano; [fig. 5] Fede Galizia, «Giuditta e Oloferne», 1596 ca, olio su tela, Courtesy of Ringling Museum of Art Sarasota, Usa
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