ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 15 giugno 2021

L’estate di Trento è nel segno di Fede Galizia, la «mirabile pittoressa»

L’estate trentina sarà nel segno della pittura barocca. Dal prossimo 3 luglio il Castello del Buonconsiglio farà da cornice alla mostra «Fede Galizia, mirabile pittoressa», prima monografica dedicata all’artista, miniaturista di talento e pioniera del genere pittorico della natura morta con fiori e frutta, che ha contribuito a lasciare un’impronta femminile nella storia dell’arte a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento insieme ad altre pittrici quali Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentileschi e Lavinia Fontana, ma non solo, attualmente riunite nella mostra «Le signore dell’arte».
Documentata a Milano a partire almeno dal 1587, Fede Galizia (1578? -1630) vive prevalentemente nella città lombarda fino alla morte, verificatasi intorno al 1630, a causa della peste di manzoniana memoria.
Il trasferimento, dalla nativa Trento, avviene sulla scorta del padre, Nunzio, artista impegnato nel mondo della miniatura, dei costumi, degli accessori, ma anche in quello della cartografia.
Giovanissima, l’artista inizia a lavorare nella bottega paterna, prendendo confidenza con tele, pennelli e colori. La prima opera nota è il «Ritratto inciso di Gherardo Borgogni», per le edizioni del 1592 e del 1593 di due raccolte di rime.
Entro il 1595 la pittrice realizza un numero considerevole di disegni e vari ritratti degni di nota, tra i quali quelli del padre, della madre, di due nobildonne milanesi (tutti perduti) e quello di «Paolo Morigia allo scrittoio», oggi conservato alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano. Di questa tela colpisce la forte caratterizzazione fisiognomica e la resa ai dettagli. Straordinaria è, per esempio, la precisa attenzione che l'artista rivolge al riflesso delle finestre sulle lenti degli occhiali che lo storico tiene in mano.
Porta, invece, la data del 1601 un altro suo lavoro celebre: la tela «Giuditta con la testa di Oloferne», conservata alla Galleria Borghese di Roma e attualmente in mostra a Milano, nelle sale di Palazzo Reale. Negli anni a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento l’artista si confronta più volte con questo tema biblico, come prova l'omonima tela conservata a Sarasota, al Ringling Museum of Art, realizzata nel 1596, che rappresenta la prima opera documentata su questo soggetto da parte di una donna pittrice. Nel lavoro l'interesse verte più sulla perfetta resa delle vesti e dei gioielli, trattati con cura meticolosa, piuttosto che sulle potenzialità drammatiche della scena. Viene, infatti, escluso dalla rappresentazione il momento violento della decapitazione, che sarà, invece, centrale nella successiva raffigurazione di Artemisia Gentileschi.
All’epoca Fede Galizia, coeva di Caravaggio, è già un’artista conosciuta tra i più importanti committenti, tanto che sue opere raggiungono, prima del 1593, tramite la mediazione di Giuseppe Arcimboldi, la corte imperiale di Rodolfo II d’Asburgo.
Negli anni successivi vengono realizzate alcune nature morte di straordinaria bellezza: rappresentazioni «attente» e «contristate» - per usare un'espressione del critico Roberto Longhi - di gelsomini, pesche pallide e voluttuose, ciliegie dal rosso viscerale, melograni, pere e grappoli d’uva, che s’affacciano sulla scena sbucando dal buio alla luce, mostrando tutta la loro poesia malinconica.
Nonostante il successo in vita, il ricordo di Fede Galizia sbiadisce nel tempo, anche per via della difficoltà nel catalogare e attribuire correttamente tutte le sue opere, in molti casi ascritte al contemporaneo e concittadino Panfilo Nuvolone. Solo negli ultimi decenni del Novecento la sua figura viene rivalutata e studiata, ma le ricerche pongono l’attenzione principalmente sul suo ruolo di pioniera del genere della natura morta autonoma, in cui suggestioni fiamminghe si fondono alla tradizione del naturalismo lombardo, come mostrano l'«Alzata con pesche e gelsomini» della collezione Campagnano di Firenze o la tavola «Mele, cesto con castagne e coniglio» del Museo civico di Cremona.
Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa – i curatori della mostra di Trento – pensano che sia giunto il momento di tracciare un ritratto più veritiero e più completo dell’artista, che realizzò anche numerosi ritratti, ultimo dei quali quello dell'anziano Ludovico Settala alla Pinacoteca Ambrosiana, e svariate pale d’altare, presenti in sedi tutt’altro che periferiche come, solo per fare un esempio, la città di Napoli, dove si trova il «San Carlo in estasi davanti alla reliquia del Santo Chiodo» della chiesa di San Carlo alle Mortelle.
«A tutt’oggi – si legge nella presentazione della rassegna - non esiste un repertorio completo delle numerose testimonianze letterarie che celebrano, in versi e in prosa, le doti di Fede Galizia, da intrecciare con un completo regesto documentario, che sarà approntato per l’occasione».
Le opere esposte saranno in tutto un’ottantina tra dipinti, disegni, incisioni, medaglie e libri antichi. Oltre a lavori di Fede Galizia, Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Barbara Longhi, ci saranno opere di Arcimboldi, Bartholomeus Spranger, Giovanni Ambrogio Figino, Jan Brueghel e Daniele Crespi, provenienti da importanti musei italiani come la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco di Milano, gli Uffizi di Firenze, l’Accademia Carrara di Bergamo, Palazzo Rosso di Genova, la Fondazione Cini di Venezia, la Galleria Borghese di Roma. Saranno presenti anche alcuni prestiti internazionali, dal Muzeum Narodowe di Varsavia, dal Ringling Museum of Art di Sarasota, dal Palacio Real de la Granja di San Ildefonso, oltre che da alcuni collezionisti privati.
Il percorso espositivo proverà così a rispondere ad alcune domande rimaste per lungo tempo senza risposta: perché Fede Galizia piaceva tanto ai suoi contemporanei? Quali sono le ragioni del suo successo nell’epoca in cui visse? Quanto ha pesato, in questo, il suo essere donna? Come cambia l’apprezzamento di un’opera d’arte tra il lungo crepuscolo del Rinascimento e il mondo di oggi?

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Fede Galizia, «Natura morta», 1610, Collezione privata; [fig. 2] Fede Galizia, «Alzata con prugne pere e una rosa», collezione privata, Bassano del Grappa; [fig. 3] Fede Galizia, «Cherubino seduto», Biblioteca ambrosiana, Milano; [fig. 4] Fede Galizia, «Ritratto di Paolo Morigia», Pinacoteca Ambrosiana, Milano; [fig. 5] Fede Galizia, «Giuditta e Oloferne», 1596 ca, olio su tela, Courtesy of Ringling Museum of Art Sarasota, Usa

Informazioni utili 
www.buonconsiglio.it

lunedì 14 giugno 2021

Dal dengaku al noh, viaggio nel teatro giapponese

La storia del teatro in Giappone ha radici antiche, seppure più recenti di quelle del teatro occidentale, e, rispetto a questo, ha avuto nei secoli uno sviluppo completamente differente, fatto di sovrapposizioni e parallelismi, che hanno permesso la convivenza di diversi teatri tradizionali, sino a oggi, con l’avvento del teatro d’ispirazione occidentale. Nella cosmopolita Tokyo gli abitanti possono così partecipare a spettacoli della tradizione giapponese, ma anche a rappresentazioni di drammaturgia classica e moderna, europea e americana, spesso eseguite dai gruppi internazionali più noti d’avanguardia e non.
Le prime importanti esperienze di spettacolo, musica, danza e canto, che sorgono nel Giappone vengono fatte risalire al dengaku, oggi scomparso e riconoscibile solo attraverso tracce che ne sono rimaste all'interno delle festività popolari in alcune parti del paese. Si trattava di rappresentazioni più che altro musicali (percussioni e flauti) e di danza, che accompagnavano nei villaggi a scopo propiziatorio eventi fondamentali dei riti stagionali legati all’agricoltura.
Altre forme molto antiche sono il sarugaku, rappresentazioni con elementi di giocoleria, acrobatica e mimica, il gigaku, teatro con maschere, il gagaku, genere più musicale, tutte forme oggi non più praticate ma che sono per alcuni versi, confluiti in quello che oggi conosciamo del teatro tradizionale giapponese: per esempio al sarugaku, molto devono il teatro noh, il kabuki e il bunraku.
Il bunraku è il tradizionale teatro dei burattini giapponese, con marionette grandi quanto i due terzi di una persona, manovrati da burattinai completamente vestiti di nero, in silenzio. La storia è raccontata da un narratore seduto, che dà la voce ai personaggi attraverso un canto narrativo accompagnato dallo shamisen. La sincronizzazione dei movimenti, della voce narrante e dell’accompagnamento musicale è incredibile, frutto della rara maestria e dell’altissima specializzazione che caratterizza tutte le forme teatrali giapponesi. Per assistere a uno spettacolo di bunraku l’Ente nazionale del turismo giapponese consiglia Osaka, dove il Teatro Nazionale del Bunraku rimane uno dei migliori per fare questa esperienza (per maggiori informazioni è possibile consultare la pagina www.ntj.jac.go.jp/english.html).
Gli amanti del monologo possono, invece, scegliere di assistere alla rappresentazione di un rakugo negli yose, teatri di varietà, come ad esempio l’Asakusa Engei Hall di Tokyo (www.gotokyo.org/it/spot/156/index.html). Kimono, ventaglio e fazzoletto sono gli unici ‘strumenti’ utilizzati dall’attore per fare divertire il suo pubblico.
Una forma di teatro più giovane, risalente al 1600, è il kabuki, letteralmente «essere fuori dall’ordinario». Secondo la leggenda questo tipo di spettacolo deriva dalle danze eseguite sulle rive del fiume Kamo a Kyoto.
Inizialmente le attrici erano solo donne, successivamente, come per tutte le forme teatrali tradizionali giapponesi, gli attori dovettero essere esclusivamente uomini, anche per le parti femminili, gli onnagata. Si può parlare di kabuki come una sorta di teatro globale, dove a trame più o meno stereotipate si accompagnano danze, canti ed esecuzioni musicali dei tipici strumenti giapponesi. Dai secoli XVIII e XIX le trame iniziano a ispirarsi a eventi storici e fatti di cronaca più eclatanti.
Il dramma kabuki, spesso dotato di una prosa divertente, si avvale, già dal XVII secolo, così, sempre più di effetti speciali, come il palcoscenico rotante, botole e montacarichi; oltre a saltimbanchi ed acrobati per evocare le scene di battaglia o le più epocali, tutti escamotage che rendono la narrazione più divertente.
Tokyo, Osaka e Kyoto hanno tutte teatri importanti con fitti cartelloni di spettacoli di kabuki.
Il noh è, invece, un genere teatrale sviluppatosi intorno alla fine del XIV secolo. Elemento fondamentale di questo spettacolo sono le maschere, che coprono interamente il volto degli attori e hanno il compito di veicolare un’ampia gamma di emozioni. Per questo, la loro realizzazione - che può richiedere fino a un anno - è affidata ad abilissimi artigiani che, con l’uso di strumenti tradizionali, pigmenti minerali e polvere di guscio d’ostrica lavorano e dipingono il legno per conferirgli l’espressività che le contraddistingue. Unisce musica, danza, rappresentazione teatrale: un’arte complessa e perfetta nel suo accordo di parti, tanto da valerle la nomina da parte dell’Unesco di Patrimonio immateriale dell’umanità.
È possibile assistere a rappresentazioni di noh in molti luoghi del Giappone, ma per regalare una cornice sofisticata all’altezza di questa esperienza, l’Ente nazionale del turismo giapponese consiglia i cartelloni dei teatri di Kanazawa.
Oltre i luoghi tradizionali del teatro giapponese, appena sarà possibile riprendere a viaggiare ci sono altri luoghi che vale la pena visitare. Al Suigian di Tokyo (https://suigian.jp/en/) è possibile, per esempio, assistere a rappresentazioni teatrali tra cui noh, bunraku e gagaku mentre si degustano deliziosi piatti di cucina giapponese a base di ingredienti freschi e ricercati.
A Kanazawa esiste un museo interamente dedicato al noh presso il quale è possibile indossare il kimono da attore e la relativa maschera (https://www.kanazawa-noh-museum.gr.jp/english/).

Passando al kabuki, il Kabuki-za di Tokyo è l’antico teatro sito nel quartiere di Ginza, dove è possibile assistere a spettacoli di questa arte teatrale, al quale è annesso anche un museo che racconta la storia di questo teatro nello specifico (https://www.kabuki-za.co.jp/). Sempre a Tokyo ma nel quartiere di Ueno, il Tokyo National Museum (https://www.tnm.jp) ospita una rara e preziosa collezione di maschere e vesti da scena del teatro noh appartenenti alla scuola Konparu del XV – XVI secolo.
Per chi ama davvero il teatro il Giappone è, dunque, una delle mete imprescindibili. Il panorama teatrale del Giappone oggi è, infatti, vastissimo, frutto di una tradizione che ha saputo mantenere le sue radici e i propri stilemi pur assorbendo codici giunti dall’esterno.

Informazioni utili 
www.japan.travel.it

sabato 12 giugno 2021

#notizieinpillole: cronache d'arte dal 1° al 13 giugno 2021

Dal virtual tour del Museo della musica di Bologna alle fotografie inedite di Luigi Ghirri per le ceramiche Marazzi, di seguito una selezione delle notizie di cui vi abbia parlato questa settimana sulla pagina Facebook di Fogli d'arte (@foglidarte). Buona lettura! 

SPAZI NUOVI AL CENTRO «LUIGI PECCI» DI PRATO PER L’ARCHIVIO DI LARA-VINCA MASINI
Nel 2010 con un atto di donazione, Lara-Vinca Masini, nota storica d'arte e critica militante fiorentina scomparsa il 9 gennaio scorso, lasciava al Centro Luigi Pecci di Prato, sede del Cid - Centro di informazione e documentazione arti visive, il suo archivio-biblioteca.
L’atto prevedeva che la donazione rimanesse in possesso della studiosa «vita natural durante» e che venisse da lei inventariata e ordinata, anche grazie al vitalizio concessole, negli ultimi dieci anni, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.
L’archivio-biblioteca è ora nel nuovo piano seminterrato del museo pratese, diretto da Cristiana Perrella, dove ottocento metri quadrati, sono riservati proprio ai depositi e agli archivi, e verrà collocato definitivamente negli spazi rinnovati del Cid/Arti visive, sotto la supervisione di Stefano Pezzato.
L’arrivo dell’archivio Masini sarà, infatti, occasione per una ristrutturazione delle sale del centro pratese, con settecento metri quadrati di sale di lettura e consultazione che verranno riaperti al pubblico nel prossimo anno, con la finalità di rendere sempre più accessibili i materiali raccolti e conservati, facendone materia viva, origine di nuove idee e nuovo pensiero sull’arte.
Il Cid/Arti visive incrementa così notevolmente il proprio patrimonio documentale e amplia la sua vocazione scientifica e la sua natura d’istituzione per lo studio, la ricerca e la produzione culturale. Il centro è, infatti, una risorsa unica e preziosa in Toscana, con i suoi circa 66.000 volumi e un'emeroteca con oltre 300 riviste, frutto di una serie di acquisizioni (dal fondo dell’editore Ferruccio Marchi a quello di Francesco Vincitorio, direttore della rivista Nac, dall'archivio dell'artista Mario Mariotti a quello dell'architetto Leonardo Savioli e di sua moglie Flora Wiechmann, per citarne solo alcuni).
«I materiali del lascito Masini – si legge nella nota stampa - seguono l'ordine concepito dalla studiosa fiorentina e sono articolati in sezioni tematiche: movimenti artistici, critica e pubblicistica d'arte e d'architettura. Sono incluse le mostre d’arte con pubblicazioni e documenti di oltre 8000 artisti e più di 2000 titoli di collettive e le grandi rassegne; architettura e arti applicate, con materiali di oltre 700 architetti, materiali e titoli di design; movimenti artistici con titoli di Art Nouveau, Futurismo, Arte Programmata, Poesia Visiva e Concreta; centinaia di pubblicazioni di storia e critica dell’arte, arte e politica; riviste d’arte con circa 1200 numeri periodici; volumi, manifesti e documenti a corredo di mostre e pubblicazioni della stessa Masini; un migliaio di grafiche, 300 manifesti, 180 piccole opere e oggetti d’autore».

KUNST.STÜCK: CINQUE ETICHETTE D’AUTORE PER UN PINOT. IL PUBBLICO SCEGLIE L’OPERA VINCITRICE
Si può votare on-line la propria etichetta preferita per il Pinot Grigio 2019 della Cantina Kaltern, una delle aziende vitivinicole più importanti dell'Alto Adige con i suoi 450 ettari e circa 1.200 vigneti. Terminata la prima fase del corso «kunst.stück» (in italiano: «opera d'arte»), che ha visto arrivare centinaia di proposte da tutto il mondo, ora la passa palla al pubblico.
Fino al 15 giugno, al link https://www.kellereikaltern.com/it/frontend/LabelVoting si può scegliere una tra le cinque etichette d’artista arrivate in finale. I lavori selezionati, incentrati sul tema «Il grande momento di Cenerentola», portano la firma di Alessandra De Laurentis, Carlo Gentile, Clara Imperiale, Federico Petrolito e Maria Sannicola.
Tra abiti fatti di foglie e chicchi d’uva, orologi pronti a scoccare la mezzanotte e scarpette, i cinque finalisti hanno dato voce a tutti gli elementi che hanno reso celebre nel mondo la favola di Cenerentola.
Il Kunst.stück Pinot Grigio 2019 di Cantina Kaltern sarà presentato sul mercato, nella consueta tiratura limitata e con l’etichetta vincitrice, il prossimo anno.
Mentre si vota la propria opera preferita, si può anche dare un’occhiata alle altre etichette d’arte della collezione Kunst.stück (Pinot Bianco 2014, Cabernet Sauvignon 2015, Kalterersee 2016 e Merlot 2018), visibili nella sezione apposita del sito aziendale: https://www.kellereikaltern.com/it/vini/kunst.stueck/.  

VN 360°: IL MUSEO DELLA MUSICA DI BOLOGNA SI VISITA ON-LINE
Le sale del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna si aprono agli utenti del Web. Lo studio di comunicazione italo-giapponese Veronesi Namioka ha ideato e realizzato un percorso virtuale immersivo VN 360°, che permette di scoprire l'intero percorso espositivo dello spazio felsineo, al cui interno sono conservati un centinaio di ritratti di personaggi illustri, più di ottanta strumenti musicali antichi e un’ampia selezione di documenti storici di enorme valore come trattati, volumi, libretti d’opera, lettere, manoscritti, partiture autografe.
Con questa nuova esperienza virtuale immersiva, una novità per i musei civici bolognesi, gli utenti possono compiere una vera e propria visita all'interno del primo piano di Palazzo Sanguinetti, splendido edificio di origine cinquecentesca situato in Strada Maggiore 34.
Il percorso, per il quale sono state realizzate foto panoramiche interattive da esplorare a 360 gradi, parte dallo spazio di accoglienza, adibito a biglietteria e bookshop, per terminare con uno sguardo sul secondo cortile interno, celebre per il paesaggio ad affresco realizzato da Luigi Busatti nell’Ottocento e per l'aiuola quadrata con piante di banano.
Se fino a ieri si visitava il Museo della musica per pezzi come il manoscritto «Quaerite primum regnum dei» che un Wolfgang Amadeus Mozart quattordicenne presentò per l'esame di ammissione all'Accademia Filarmonica nel 1770 o la vestaglia da camera appartenuta a Gioachino Rossini, oggi, grazie al percorso VN 360°, si possono scoprire tante altre curiosità. Cliccando su uno strumento storico, si potrà, per esempio, ascoltarne la sua musica. Il percorso virtuale permette, inoltre, di entrare in spazi normalmente inaccessibili durante la visita fisica, come la lanterna che illumina le arcate illusive dello scenografico scalone o i dettagli architettonici delle sale e dei soffitti affrescati tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo per mano di Vincenzo Martinelli, Pelagio Pelagi, Serafino Barozzi e Antonio Basoli, tra degli esempi più alti del periodo napoleonico e neoclassico a Bologna.
«Ogni aspetto – spiegano gli ideatori - è stato progettato con l’obiettivo di creare sinergia tra il museo fisico e il museo virtuale, fruibile da ogni angolo del mondo con un comune browser e accessibile da ogni tipo di dispositivo collegato a Internet». Il pubblico potrà così pianificare da remoto una visita al museo o ritornare virtualmente tra le sale bolognesi comodamente seduto sul divino di casa. Ovunque, in qualsiasi momento.
Per accedere al Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna basta cliccare sul sito www.museibologna.it/musica

PARMA, RIAPRE LA CAMERA DELLA BADESSA 
Tra gli eventi che hanno segnato la ripresa delle attività per Parma Capitale italiana della cultura 2020 + 2021 c’è la riapertura della splendida Camera della Badessa, affrescata dal Correggio.
La stanza, la cui gestione è stata affidata al Comune di Parma, è uno degli ambienti del monastero benedettino di San Paolo, fondato verso l'anno 1000 dal vescovo Sigefredo II e giunto al suo massimo splendore negli anni in cui fu badessa Giovanna da Piacenza, dal 1507 al 1524.
Donna di vasta cultura, la religiosa emiliana resse per diciassette anni il convento come una grande corte rinascimentale, aprendo il suo appartamento ad artisti e letterati. Costruì spazi nuovi, come i chiostri, l’«horto» claustrale, l’oratorio di Santa Caterina e un grande appartamento per se stessa, con un ampio salone e cinque stanze per gli ospiti, al cui progetto lavorò l’architetto Giorgio Erba.
Una delle stanze fu decorata nel 1514 da Alessandro Araldi, pittore tra i più attivi e noti a Parma negli anni che precedettero l'arrivo in città del Correggio. La sua decorazione è ricca di citazioni bibliche e leggende pagane: una sorta di percorso iniziatico, con un complesso programma iconografico che vuole rendere omaggio alle virtù e alla dignità della committente.
Nel 1519, per affrescare un’altra delle sue camere «alla maniera moderna», la badessa chiamò Antonio Allegri, in arte Correggio, che introdusse a Parma un linguaggio pittorico compiutamente umanistico. Per l’originalità dell’invenzione artistica e la raffinatezza dei motivi decorativi, questo ambiente è riconosciuto oggi come un capolavoro assoluto del Rinascimento italiano.
La Camera, di forma quasi cubica, è decorata con affreschi solo sulla cupola: una decorazione illusionistica con un pergolato di fronde e vimini intrecciati, con gruppi di putti che si affacciano all’interno della stanza, ritratti in atteggiamenti giocosi, alcuni dei quali allusivi al tema della caccia. La Camera è anche un inno al potere femminile: sul camino è raffigurata Diana, dea della castità, evidente riferimento alla badessa, la cui insegna araldica si trova al centro del soffitto.
Questo capolavoro del giovane Correggio venne completamente dimenticato dopo il 1524, quando il monastero di San Paolo fu trasformato in un convento di clausura: fu riscoperto, dopo due secoli di oblio, solo nel Settecento, dal pittore tedesco Anton Raphael Mengs.
In tempi recenti la Camera è stata a lungo chiusa, ma ora sarà accessibile con continuità per tutti gli appassionati, segnando una sorta di nuovo Rinascimento per Parma e per l’Italia tutta.
Per informazioni: www.parma2020.it.

[Le foto sono di Edoardo Fornaciari]

DA PHOTOLOGY UNA MOSTRA VIRTUALE SULLA VITA DA SPIAGGIA SECONDO MARTIN PARR
È un ritratto ironico e divertente delle stranezze che accomunano le persone di ogni latitudine in spiaggia la nuova mostra virtuale di Photology On-line Gallery: «Back to the Beach». Protagonista del progetto espositivo, per la curatela di Davide Faccioli, è Martin Parr, straordinario cronista per immagini della nostra epoca, con i suoi numerosi progetti di critica alla società moderna, al consumismo, al cibo e al turismo.
Fino al 31 luglio, sul sito https://www.photology.com/martinparr/, è possibile vedere una trentina di sue opere fotografiche, realizzate dagli anni ’90 in avanti, sulle spiagge di tutto il mondo, in un viaggio che spazia dalla Gran Bretagna, patria dell’artista, a luoghi di villeggiatura come Sorrento e Rio De Janiero.
Da diversi decenni, quasi quattro, le fotografie di Martin Parr documentano il turismo balneare, con primi piani di bagnanti intenti a prendere il sole, ma anche immagini che raccontano i tuffi in mare o l’immancabile pic-nic.
La Photology On-line Gallery ci regala così un amarcord della spiaggia come l’abbiamo vissuta fino a oggi, nell’era pre–Covid. Scorrono, infatti, sotto i nostri occhi le immagini di bagnanti, tutti appiccicati, incuranti della confusione che li circonda e della privacy sfacciatamente violata («Beach Therapy», Sorrento, Italy, 2014), ma anche fotografie di donne intente ad abbronzarsi come fossero sculture di Duane Hanson («Life’s a Beach», Knokke, Belgium 2001) e di uomini in costumi attillati («Life’s a Beach», Miami, Usa 1998).
La spiaggia si configura così come un vero e proprio «laboratorio umano», dove – secondo il racconto di Martin Parr - dimentichiamo i nostri rituali pubblici e privati e ci abbandoniamo senza paura di essere giudicati, liberi tra conchiglie, castelli di sabbia, materassini gonfiabili, sdraie e ombrelloni. 

[Nella foto: Martin Parr, Life's a Beach, Rio de Janeiro, Brazil, 2007. Pigment Print, printed 2016, 50x75cm. Edition 4-10. © Martin Parr  Magnum. Courtesy Rocket Gallery, London & Photo]

AD ORTIGIA NASCE UNA NUOVA GALLERIA: «MATERIARTE»
È dall’Ottocento un punto di riferimento per Ortigia, suggestiva e piccola isola di Siracusa. Ha ospitato personaggi di spicco come il celebre archeologo Paolo Orsi e lo scrittore Elio Vittorini. Conserva al suo interno un importante ritrovamento archeologico: il basamento d’ingresso del tempio di Athena, oggi inglobato nel Duomo di Siracusa, e un sito archeologico risalente al paleolitico. Stiamo parlando dell’hotel Roma, che ha da poco inaugurato, nei circa cinquecento metri quadrati della sua sala Athena, una galleria d’arte: «Materiarte» (tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 24:00; ingresso libero).
A tenere a battesimo lo spazio, curato da Marcella Damigella, è una mostra con una sessantina di opere tra pittura, scultura e fotografia, oltre a una selezione di bozzetti, disegni e altri oggetti.
Protagonisti del progetto espositivo sono Andrea Chisesi e Stefania Pennacchio. Il primo espone, per la prima volta in Sicilia, una selezione di lavori tratti dalla collezione «Pietre della memoria», che rievocano la figura di Michelangelo attraverso i versi di Gabriele d’Annunzio, oltre ad alcune grandi tele sui «fuochi d’artificio».
Stefania Pennacchio evoca, invece, con le sue sculture scudi, elmi e corazze di guerrieri, che sembrano riemergere all’interno del sito archeologico quasi si trattasse di un ritrovamento autentico.
Alle opere dei due artisti si aggiungono le fotografie dell’esordiente Emma Nica, popolate da figure androgine la cui essenza si libera dagli stereotipi e diventa immaginario puro.
Completa il percorso espositivo una proiezione di video, corti e documentari dei tre artisti.
Per informazioni: www.materiarte.com.


RINASCE LO STORICO MARCHIO LIBRI SCHEIWILLER
Rinasce e torna in libreria da giugno lo storico marchio Libri Scheiwiller, da sempre un’eccellenza nel mondo dell’editoria, che ha pubblicato, tra gli altri, Eugenio Montale, Alda Merini ed Ezra Pound. A raccoglierne e portarne avanti l’eredità è 24 ORE Cultura, con un rinnovato progetto editoriale che riguarda sia i titoli in catalogo sia la veste grafica, realizzata da Mario Piazza.
Per quanto riguarda l’immagine visiva, «mantenendo inalterata la riconoscibilità e iconicità del celebre marchio Scheiwiller, sono stati inseriti - si legge nella nota stampa - alcuni nuovi elementi, in continuità con la precedente versione storica. In particolare, i piccoli riquadri in copertina, che in origine variavano di colore a seconda della serie, diventano oggi tre grandi scacchi posti a delimitare il confine della copertina verso la costa dei libri. Proprio in costa, questi ricompaiono adattandosi ai diversi spessori dei libri, per dare vita a una sorta di «paesaggio - biblioteca architettonica» che si compone e cambia forma a seconda dei volumi che ne fanno parte».
Per l’occasione, verranno ripristinate storiche collane come «Idee» e «L’Arte e le Arti», arricchite con riflessioni dedicate a tematiche attuali, da approfondimenti filosofici, politici ed economici fino a dibattiti e a indagini sulle diverse forme di arti moderne e contemporanee. Alla produzione di queste collane e ad alcune ristampe tratte dal catalogo preesistente, sarà affiancato il lancio della nuova serie «Interviews», ispirata dall’omonimo magazine fondato da Andy Warhol negli anni Settanta. Si inizierà, nella giornata del 10 giugno, con l’uscita di «Sguardi sull’architettura contemporanea», a cura di Fulvio Irace, che vedrà la partecipazione di architetti di fama internazionale come Renzo Piano, Mario Botta, David Chipperfield, Steven Holl, Odile Decq, Tadao Ando. Nella stessa giornata uscirà anche «Sguardi sul design contemporaneo», nel quale Matteo Vercelloni ha interpellato celebri designer quali Philippe Starck, Ron Arad, Patricia Urquiola, Stefano Giovannoni, Michele de Lucchi, Antonio Citterio. Tra i primi titoli in uscita in libreria e on-line dal 10 giugno, disponibili da luglio anche in versione e-book, c’è anche, nella collana «Idee», «Vendere o farsi comprare? Un marketing gentile per la cultura» di Maurizio Luvizone, saggio che riflette sul tema della valorizzazione economica dell’arte e della cultura offrendo inediti punti di vista sul settore attraverso l’analisi di casi italiani in dialogo con modelli e suggestioni internazionali.
Di prossima pubblicazione, nell’autunno 2021, ci sono «La società dei consumi e altri saggi» di Jean Baudrillard, con prefazione di Stefano Giovannoni e Francesca Balena Arista, e «Geografie dell’arte. Mobilitas. Rinascimenti in Europa» di Bernard Aikema, un saggio che si propone di ridefinire la storia dell’arte rinascimentale attraverso gli spostamenti degli artisti, la circolazione delle incisioni e delle opere d’arte. A questo studio seguirà, nel 2022, «Curiositas. I Simboli nell’arte dei Rinascimenti», sempre a cura di Bernard Aikema, che approfondirà la complessità simbolica delle iconografie caratteristiche delle diverse scuole regionali e nazionali del Rinascimento europeo.
Per saperne di più: www.24orecultura.com.

LE FOTOGRAFIE INEDITE DI LUIGI GHIRRI PER MARAZZI SVELATE IN UN LIBRO, UN SITO E UNA MOSTRA

È il 1975 quando Luigi Ghirri (Scandiano – Reggio Emilia, 1943) varca le soglie dell’azienda Marazzi, fondata a Sassuolo nel 1935 e diventata in breve tempo leader nel settore della ceramica grazie al brevetto della monocottura. La ditta, che allora ha filiali in Francia e Spagna, è prossima a inaugurare un laboratorio di ricerca, il Crogiòlo, in cui artisti, designer, fotografi e architetti sono liberi di sperimentare. In questo contesto, la poetica sensibile del fotografo emiliano e l’attitudine sperimentale dell’azienda, che da sempre studia le infinite possibilità della materia, si incontrano e danno vita al Portfolio Marazzi, un progetto di ricerca fotografica in cui Luigi Ghirri coinvolge anche John Batho, Cuchi White e Charles Traub per interpretare i nuovi brevetti e le inedite collezioni della ditta di Sassuolo.
Conservate per anni nell’archivio dell’azienda emiliana, e per lo più mai esposte o pubblicate, fatta eccezione per il nucleo scelto per «Foto/Industria 2019», mostra a cura di Francesco Zanot al Mast di Bologna, le opere che il fotografo emiliano ha scattato in quel periodo sono oggi al centro di un percorso di recupero e valorizzazione.
Primo elemento di questa operazione è «Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985», prezioso volume non destinato alla vendita, con testi dello scrittore Cosimo Bizzarri e del critico fotografico Francesco Zanot, all’interno del quale è raccolta una selezione di trenta fotografie realizzate dall’artista nel corso dei suoi dieci anni di sodalizio con l’azienda di Sassuolo. Questa stessa selezione è anche il primo nucleo di opere presentate all’interno del nuovo sito www.ghirri.marazzi.it, che sarà progressivamente arricchito con apparati, testi e informazioni sulle iniziative che verranno organizzate nel tempo. Infine, le immagini sono esposte, fino al prossimo 4 luglio, a Reggio Emilia, nell’ambito del festival «Fotografia europea».
Nelle fotografe realizzate in quegli anni per Marazzi, Luigi Ghirri guarda alla piastrella in modo nuovo. A differenza dei fotografi commerciali, si interessa profondamente al soggetto e lo interpreta liberamente: la piastrella diventa sfondo per una rosa, superficie su cui posare due pastelli, palcoscenico in miniatura per un pianoforte. «La ceramica -raccontava a tal proposito l’artista - è sempre stata un oggetto su cui si vengono a posare altri oggetti. Realizzando queste immagini, ho ripensato a tutto questo e ho cercato di ricostruire, con l’aiuto di superfici di diversi colori, nella sovrapposizione degli oggetti e delle immagini, uno spazio che, invece di essere lo spazio fisico e misurabile di una stanza, fosse l’idea dello spazio mentale di un momento, di una sovrapposizione che può prodursi o si produce, in una delle numerose stanze riscoperte grazie a queste superfici. Questo lavoro, al di là di altri significati, è la ricostruzione di alcune stanze della mia memoria». 

[Crediti delle immagini: Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975 – 1985 ©Eredi Luigi Ghirri Courtesy Marazzi Ceramiche]