ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

domenica 29 giugno 2025

Una mostra e una nuova edizione facsimilare per il «Très Riches Heures du duc de Berry»

«Questo libro occupa un posto importante nella storia dell'arte: io posso dire che non ha rivali». Con queste parole l’aristocratico, politico e generale Enrico d’Orléans (Parigi, 16 gennaio 1822 – Lo Zucco, 7 maggio 1897), quinto figlio del re Luigi Filippo I di Francia e duca d’Aumale, parlava di un prezioso codice miniato medioevale che aveva acquistato a Genova, il 20 gennaio 1856, per 18mila franchi. Quel libro - che è oggi uno dei gioielli più preziosi del Musée Condé, allestito all’interno del Castello di Chantilly (donato nel 1886, insieme a circa 14.500 libri antichi e quasi mille dipinti, all’Institut de France) – era «la Gioconda dei manoscritti»: il «Très Riches Heures du duc de Berry», capolavoro della pittura franco-fiamminga del XV secolo e opera fondante per la storia della cultura occidentale, tanto che si dice essere stata fonte di ispirazione per i disegni preparatori del cartoon «La bella addormentata» (1959) di Walt Disney, per la sceneggiatura del film «L'amore e il diavolo» (1942) di Jacques Prévert e per le scenografie dell’«Enrico V» (1944) di Laurence Olivier.

Commissionato intorno al 1411 dal raffinato e facoltoso mecenate e collezionista Jean de Valois (Vincennes, 30 novembre 1340 – Parigi, 15 giugno 1416), duca di Berry, terzo figlio di Giovanni II il Buono e fratello di re Carlo V di Francia, questo pregiato codice miniato è un «Libro d’Ore» destinato alla devozione privata. È cioè una forma semplificata di breviario per l’utilizzo da parte dei laici, contenente salmi, preghiere e, in apertura, un pregevole calendario, oggi considerato uno dei più alti esempi di rappresentazione della vita quotidiana e della natura nell’arte medievale. Tra le sue pagine rivivono, infatti, «gli svaghi dei ceti aristocratici e l’umile fatica dei campi, la struggente bellezza del paesaggio rurale e la poderosa presenza di castelli e città murate, gli sfarzosi costumi dell’alta società francese e gli abiti semplici e dimessi dei contadini».

Nella fase iniziale, il libro vide all’opera i celebri fratelli Limbourg (Nimega, 1380-1390 circa – Digione, 1416)- Pol, Jehannequin e Hermant -, miniatori olandesi dall’acuto spirito di osservazione, nipoti del pittore Jean Malouel (1370-1415 circa) e autori anche delle illustrazioni per «Les Très Belles Heures de Notre-Dame» e per la «Bibbia moralizzata» di Filippo l’Ardito, oggi alla Biblioteca nazionale di Francia, conosciuti per le loro creazioni dai colori brillanti, dal minuzioso naturalismo, dal sereno equilibrio compositivo e dall’incredibile freschezza narrativa, tutti elementi che ben raccontano quel periodo storico segnato dal crepuscolo del Gotico e dall’alba del Rinascimento.

Nel 1416, alla morte del Duca di Berry e dei fratelli Limbourg, probabilmente per un’epidemia di peste, i lavori per il codice miniato rimasero incompiuti e vennero ripresi una trentina di anni dopo, negli anni Quaranta del Quattrocento, su commissione della famiglia reale francese dal pittore fiammingo Barthélemy d’Eyck (? - + post 1470), per poi essere completati tra il 1485 e il 1489 da un altro eccellente maestro della miniatura, Jean Colombe di Bourges (? - + Bourges, 1529), su invito di Carlo I di Savoia, che aveva ereditato il manoscritto intorno al 1480.

Composto da 206 fogli di pergamena, pari a 412 pagine, con all’interno più di tremila iniziali dorate e ben 131 miniature (66 grandi e 65 piccole) in oro e in argento di stupefacente ricchezza e varietà, il «Très Riches Heures du duc de Berry», del quale si è persa la legatura originaria (sostituita da una in marocchino rosso del XVIII secolo di fattura italiana), non è solo un libro prezioso, ma è anche un oggetto fragile da conservare al riparo della luce (come avviene per la maggior parte dei manoscritti).

Nell’ultima campagna diagnostica, risalente al biennio 2023-2024 e realizzata dagli esperti del Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France (C2rmf), su 36 delle principali miniature, il manoscritto ha mostrato diversi segni di degrado, distorsioni dei fogli, instabilità dei pigmenti e alterazioni della rilegatura, tanto da rendere urgente un intervento conservativo.

In seguito al recente restauro, il Musée Condé ha deciso di organizzare una mostra, allestita fino al prossimo 5 ottobre nella sala del Jeu de Paume, con 26 pagine miniate, compresi i primi 12 fogli del manoscritto, quelli del «leggendario calendario», che, grazie a un delicato processo di separazione dalla rilegatura, vengono presentati verticalmente, all’interno di apposite scatole climatiche, così da essere leggibili su entrambi i lati. Il manoscritto è a sua volta esposto in una teca speciale e verrà aperto a rotazione su una doppia pagina diversa, rinnovata ogni quindici giorni.

L’esposizione, curata da Mathieu Deldicque, si configura, dunque, come un'occasione più unica che rara per i bibliofili e gli amanti dell’arte, considerato anche che questo straordinario capolavoro è stato esposto al pubblico soltanto due volte dalla fine del XIX secolo, nel 1954 e nel 2000, e che, per rispetto al lascito testamentario di Enrico d’Orléans, non può lasciare il Castello di Chantilly per essere dato in prestito ad altri enti culturali.
 
La mostra, con un centinaio di opere provenienti da tutto il mondo che indagano anche il contesto storico nel quale nacque il codice miniato e ne svelano la sua fortuna nel corso dei secoli, permette, inoltre, di scoprire alcune curiosità sui fratelli Limbourg: la loro fascinazione per l’arte italiana, principalmente quella di Simone Martini e del suo entourage senese, presente nelle collezioni dei principi francesi e della corte di Avignone, e l’attenzione all’uso dei materiali usati, pigmenti preziosi come lapislazzuli di alta qualità e lacche rosse pregiate, che rendono ancora più incantato e vivido il mondo ritratto.

In questa sontuosa cornice, la Franco Cosimo Panini di Modena ha recentemente presentato uno dei suoi ultimi progetti editoriali: la pubblicazione di un nuovo facsimile de «Le Très Riches Heures del Duca di Berry», realizzato in collaborazione con l’Universal Art Group, la cui uscita è prevista per il 2026.
 
La nuova riproduzione, che fa seguito a quella del 2010, è stata eseguita con la fedeltà filologica e l'attenzione al dettaglio che da sempre contraddistinguono la casa editrice emiliana, specializzata in facsimili di codici miniati con il progetto «La biblioteca dell’impossibile».
 
Il volume è il frutto di un lungo processo che coniuga tecnologie avanzate di acquisizione digitale, stampa di altissima qualità e un'accurata legatura artigianale. Non si tratta, dunque, di una ristampa della precedente edizione, ma di una novità che sfrutta i progressi fondamentali compiuti dall’editoria negli ultimi anni. 

«Pigmenti più brillanti, nuovi ori, e, per la prima volta, l’impiego della carta pergamenata caratterizzeranno la pubblicazione», che – racconta Lucia Panini - rappresenta «un salto qualitativo che ci consente di avvicinarci come mai prima alla materia viva delle miniature». Un’occasione importante, dunque, questa nuova edizione per scoprire o riscoprire un codice miniato, considerato il manoscritto medioevale più famoso al mondo, di cui anche Umberto Eco sottolineò la preziosità con queste parole: «Le «Très Riches Heures» sono un documento cinematografico, una macchina visiva che ci racconta la vita di un’epoca. Nessun film potrà mai eguagliare la fedeltà, il fulgore, la toccante bellezza di questa ricostruzione».

Per saperne di più

venerdì 27 giugno 2025

Un nuovo museo a cielo aperto sul Lago Maggiore: aprono i Castelli di Cannero

«Per anni siamo stati solo rovine tra le onde. Una fortezza difensiva. Ma ascoltateci bene: le nostre pietre parlano. E la nostra storia è più viva che mai. (…) Siamo stati presidio, passaggio, confine. Abbiamo attraversato guerre, silenzi, oblio. Oggi, dopo oltre cinquecento anni, torniamo a parlarvi. Non con effetti, ma con la voce della memoria. (…) Potrete camminare tra le nostre mura e ascoltare il nostro racconto (…). Vi aspettiamo». A prendere idealmente la parola, in un video promozionale diffuso sui suoi canali social dal circuito Terre Borromeo (il brand che riunisce le principali attrazioni turistiche del Lago Maggiore, dalla Rocca di Angera alle isole Madre e Bella), sono i Castelli di Cannero, o meglio le rovine del complesso fortificato di origine quattrocentesca, conosciuto anche con il nome di «Malpaga», edificato a pelo d’acqua su due isolotti rocciosi dell’Alto Verbano, nel Comune di Cannobio, a pochi chilometri dal confine svizzero.

Abbandonate per secoli, queste antiche mura in pietra, testimoni silenziose di una storia dal sapore romantico e romanzesco che intreccia leggendarie avventure piratesche con spericolate vicende di contrabbando, si svelano per la prima volta al pubblico, dopo un lungo e ambizioso intervento di restauro conservativo e di valorizzazione, curato dallo Studio Simonetti Architettura di Torino per conto del principe Vitaliano Borromeo Arese e di sua moglie Marina, discendenti di quel Ludovico Borromeo che, a partire dal 6 ottobre 1519 ridisegnò il volto della fortezza, utilizzata in precedenza per scopi bellici dalla potente famiglia Mazzardi (i temibili pirati «Mazzarditi» sconfitti, nel 1414, dal duca di Milano Filippo Maria Visconti), facendo costruire la Torre Vitaliana.

L’appuntamento è per sabato 28 giugno, quando i visitatori, dopo un breve viaggio in barca da Cannero Riviera o da Luino (per chi proviene dalla Lombardia o si trova in vacanza sulla sponda varesina del Lago Maggiore), potranno finalmente accedere alle rovine dei bastioni di proprietà della famiglia Borromeo, un luogo sospeso nel tempo e nello spazio che affascinò anche il genio creativo di William Turner per quel suo emergere dalle acque come un miraggio. Ad attenderli ci sarà un museo a cielo aperto, dove il passato si fa contemporaneo attraverso un'esperienza immersiva che fonde ricerca storica e innovazione tecnologica, grazie all’intelligente progetto di visita ideato dallo studio milanese Dotdotdot.

L’intervento di restauro, che ha inteso conservare «l’identità materiale e immateriale» del luogo senza ricorrere ad alterazioni e ricostruzioni posticce che ne avrebbero negato il valore storico e simbolico, è stato realizzato attraverso un investimento di circa 15 milioni di euro, con il contributo del Ministero per i beni e le attività culturali per il turismo (Soprintendenza archeologica Belle arti e Paesaggio per le provincie di Biella, Novara, Verbano Cusio Ossola e Vercelli) e di Intesa Sanpaolo.

Per l’accoglienza con bookshop, la toilette e i locali tecnici, sono stati ideati nuovi elementi architettonici smontabili ispirati alle strutture lignee temporanee degli assedi, con finiture in larice, che si inseriscono con delicatezza nei resti medioevali degli antichi complessi fortificati, formati dalla rocca principale e dall'adiacente edificio delle prigioni. Mentre passerelle in acciaio e tek recuperano gli antichi cammini di ronda, grazie ai quali ci si può aggirare tra le corti, il mastio e le mura.

Alcuni numeri testimoniano la portata dell’intervento conservativo, iniziato nel 2011 con un’approfondita campagna di studi documentaristici e archivistici, nonché di scavi archeologici, grazie alla quale si sono scoperte alcune curiosità sulla fortezza, dimora di Giuseppe Garibaldi dopo la battaglia di Luino del 1848 e attrazione romantica tra le onde per la regina Vittoria, che la richiese in affitto nel 1879.
Per la precisione, nella relazione dello Studio Simonetti Architettura di Torino si legge che sono stati usati «54.000 kg di malta di calce per il consolidamento delle strutture murarie del castello, 100.000 kg di carpenterie metalliche a profilo complesso per realizzare le strutture interne dedicate al percorso di visita», «70 mc di legname di larice per le pavimentazioni e i rivestimenti delle nuove strutture, circa 37 km di cavi di varia tipologia per gli impianti elettrici e antincendi», «500 metri di cavo subacqueo di media tensione e fibra ottica integrata e per la realizzazione dei pontili di sbarco».

Il progetto espositivo è, invece, firmato dallo studio milanese Dotdotdot che ha ideato per l’occasione il «Cannero Walking Tales», un «percorso esperienziale immersivo, dal carattere narrativo ma non didascalico» che si snoda tra installazioni multimediali, realtà aumentata e un gioco interattivo per i più piccoli.

Una app di visita location-based accompagna i visitatori alla scoperta dei luoghi più significativi della fortezza: dalla Corte d’ingresso alla Sala della Guardia, dalla Stanza della Contessa alla Torre del Belvedere. La narrazione è affidata direttamente ai Castelli, che diventano voce di una storia, filologicamente attenta, resa «inclusiva e coinvolgente per un pubblico il più ampio possibile», attraverso il racconto di aneddoti, battaglie e personaggi storici rielaborati in chiave poetica. Grazie a un sistema di beacon, i contenuti audio della guida si attivano automaticamente durante la passeggiata, senza richiedere interazioni.

Con questo utile strumento, una sorta di «audio-libro che si svela passo dopo passo», il viaggio tra le rovine di Cannero, cullati dallo sciabordio delle onde e dal fischio leggero del vento, con negli occhi il riverbero della luce sull’acqua del lago, non può che partire dalla lapide che ricorda la missione difensiva di queste mura, apparse anche nel film giallo «La stanza del vescovo» di Dino Risi (1977), e la vitalità di un’eredità più culturale che materiale: «Il mio nome è Torre Vitaliana, eretta tra le onde del Verbano e battezzata dal nome della stirpe primitiva. Ludovico Borromeo mi volle così alta, affinché diffondessi la gloria dei Vitaliani, aperta agli amici, ma inaccessibile ai nemici».

Didascalie delle immagini
1., 2.,  ,3. e . 4. Terre Borromeo, Castelli di Cannero, Cannero Walking Tales by Dotdotdot, photo by Andrea Martiradonna; 5. e 6. T
erre Borromeo, Castelli di Cannero, Cannero Walking Tales by Dotdotdot, photo by Susy Mezzanotte

Informazioni utili
Per visitare i Castelli di Cannero, i titoli d'ingresso sono disponibili sul sito
https://terreborromeo.it/ticket oppure nelle biglietterie dei siti museali di Terre Borromeo e all'infopoint di Stresa. Il costo dell'ingresso adulti è di 25 euro, incluso il tour in barca da Cannero e l'audioguida del percorso museale.

giovedì 26 giugno 2025

«Attorno al museo», Bologna ricorda la strage di Ustica

Quella del 27 giugno 1980 era una sera d’estate come tante altre. All’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, nel Bolognese, c'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all’atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico o un esame andato bene. In attesa della partenza di un aereo in ritardo a causa di un violento temporale - l’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia, diretto a Palermo - c'erano ottantuno persone con le loro vicende straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche.

Le loro storie erano destinate a intrecciarsi per sempre nella nostra memoria alle 20:59 di quella sera, quando il velivolo su cui erano partiti un’ora prima, dopo più di due ore d’attesa, spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.

Su quell’aereo, i cui detriti furono trovati la mattina dopo, c’erano 64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio. Morirono tutti, inghiottiti dalle onde del mare con le loro speranze e i loro sogni.

Quella stessa sera, allo scalo di Punta Raisi, a Palermo, chi guardava il tabellone degli arrivi, in attesa che il volo da Bologna atterrasse finalmente alle 21:13, non si sarebbe mai aspettato che l’iniziale nervosismo per la prolungata attesa si sarebbe trasformato prima in angoscia e, poi, in silenzio stupito e dolore. Un dolore che, con il passare delle settimane, si sarebbe frammisto alla rabbia e alla voglia di giustizia perché quella di Ustica è, ancora oggi, una strage carica di domande senza risposta, uno dei tanti misteri della storia italiana del Secondo Dopoguerra.

Dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, la tesi più accreditata è che il volo di linea Itavia IH870 si sia inabissato nel mare per errore, durante una battaglia in cielo tra un Mig libico, su cui ci sarebbe stato Gheddafi, e alcuni velivoli delle forze Nato. Il problema è che mancano le prove per poter mettere un punto definitivo alle ricostruzioni di questa storia che, quarantacinque anni dopo, ha visto scrivere una nuova pagina dolorosa: la richiesta della Procura della Repubblica di Roma di archiviazione per le indagini, aperte nel 2008, dopo che il presidente emerito Francesco Cossiga aveva indicato i francesi come responsabili dell’abbattimento dell’aereo a Ustica, accadimento del quale ancora oggi non conosciamo i colpevoli.

«Diritto alla verità»
è così il titolo scelto dall’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica, presieduta da Daria Bonfietti, per il cartellone di appuntamenti promosso in occasione del quarantacinquesimo anniversario, la cui immagine guida è stata realizzata da Mauro Biani. L’illustrazione, che fino al 10 agosto viaggerà per Bologna su un autobus allestito da Tper, raffigura un bambino su un relitto galleggiante che guarda il cielo attendendo forse risposte con l’incrollabile fiducia dell’infanzia.

Ad aprire il programma sarà il consueto momento commemorativo con il sindaco di Bologna, in agenda alle ore 11:30 di venerdì 27 giugno a Palazzo D’Accursio. Seguirà, in serata, al Parco della Zucca, davanti al Museo per la Memoria che ospita i resti recuperati dell’aereo e la commovente installazione permanente di Christian Boltanski, una grande tavolata con i «Piatti della solidarietà», preparati dalle Cucine popolari di Bologna. Si aprirà così il programma della sedicesima edizione di «Attorno al Museo», la rassegna nata con l’intento di promuovere la ricerca della verità e la cura della memoria attraverso la sperimentazione di differenti linguaggi artistici contemporanei, dal teatro alla danza, dalla musica all’arte.

Il programma proseguirà, nella serata di mercoledì 2 luglio, con «Ustica, una storia che non fa ridere», un monologo di e con Niccolò Fettarappa, giovanissimo attore e autore romano già noto al pubblico per la sua capacità di trattare temi sociali e politici con ironia e profondità.
Si rinnoverà, quindi, la collaborazione con il Bologna Jazz Festival, che giovedì 10 luglio presenterà il concerto del collettivo «Istantanea». Nove musicisti e compositori provenienti da diversi percorsi artistici, uniti dall’esplorazione delle intersezioni tra musica d’avanguardia, improvvisazione e tradizione jazzistica, proporranno un programma di composizioni originali ispirate alla memoria della tragedia di Ustica. A seguire, lunedì 14 luglio, in occasione dell’anniversario della scomparsa di Christian Boltanski, è in programma la performance «Duedinoi» con l’illustratore Stefano Ricci e il saxofonista Dan Kinzelman.

Sarà, quindi, la volta di un’altra storica collaborazione, quella con il Conservatorio G. B. Martini di Bologna, che mercoledì 23 luglio darà vita allo spettacolo «Vocodìa», nel quale i testi della tragedia classica diventano specchio della strage di Ustica, abisso che si manifesta senza apparente ragione e in cui ogni differenza si scioglie in un unico respiro eterno, il respiro del mare. Il live electronics di un giovane quartetto di musicisti si insinua dove la parola fallisce, diviene di volta in volta interferenza, mezzo e surrogato della parola, in uno spazio sonoro che si increspa, si frammenta e che infine diviene eco del ricordo.

Mercoledì 30 luglio toccherà, invece, allo spettacolo di danza «Gli Anni» del giovane ma già affermato coreografo Marco D’Agostin, interpretato dalla danzatrice Marta Ciappina, Premio Ubu 2023. L’artista porta in un contesto di bellezza, fuori dalle aule giudiziarie, il ricordo dell’omicidio del padre Vincenzo, avvocato civilista, ucciso a colpi di lupara nel cortile di casa nel 1991, il cui colpevole non è ancora stato trovato. Danza, parole, musica e immagini accompagneranno il pubblico in una riflessione sul senso della memoria e sul rapporto con il passato, tra grande Storia e piccole storie.

La rassegna si chiuderà domenica 10 agosto con la tradizionale serata poetica «La Notte di San Lorenzo», affidata quest’anno all’attore Edoardo Purgatori, figlio di Andrea. Le poesie scelte, che parlano di memoria, assenza, resistenza, silenzi non detti e vite spezzate, dialogheranno con l’accompagnamento musicale dal vivo di Stefan Larsen.
Il reading è costruito partendo da un’immagine iconica dell’Eneide - la fuga di Enea da Troia in fiamme con il padre Anchise sulle spalle - a voler ribadire la continuità del lavoro di Edoardo con l’impegno di suo padre che tanta parte del suo lavoro ha dedicato alla strage di Ustica, cercando di dare risposte alle tante domande che ancora affollano la nostra mente: Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? Chi era il reale bersaglio di quella «guerra in tempo di pace»?

Didascalie delle immagini
1 Immagine di Mauro Bani; 2. Niccolò Fettarappa;3. Edoardo Purgatori; 4. Istantanea. Bologna Jazz Festival; 5. Marta Ciappinia. Foto di Michelle Davis

Informazioni utili