C’è stato un tempo in cui a documentare visivamente la guerra c’erano solo gli artisti. Come non ricordare, per esempio, «La Battaglia di San Romano» (1438 circa), un grande trittico dipinto da Paolo Uccello, con le sue geometrie cristalline, per commemorare lo scontro armato tra fiorentini e senesi del giugno 1432, oggi smembrato e diviso tra gli Uffizi di Firenze, la National Gallery di Londra e il Louvre di Parigi. Non meno celebri sono il «Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi» (1330), affresco di Simone Martini per il Palazzo pubblico di Siena, il quadro «Gli orrori della guerra» (1638) di Peter Paul Rubens, oggi conservato alla Galleria Palatina di Firenze, o ancora il Napoleone condottiero che valica le Alpi (1880) di Jacques-Louis David.
Poi, con la guerra di Crimea del 1853 e la guerra civile americana del 1861-‘65, i soldati, la vita di trincea, la brutalità dei massacri e gli orrori dei conflitti bellici trovarono nuovi testimoni, fotoreporter come lo scozzese Mathew B. Brady e il britannico Roger Fenton, presenti sul campo di battaglia con le loro camere oscure da viaggio.
L’invenzione della fotografia, con la sua capacità di cogliere quello che Henri Cartier-Bresson ha definito il «momento decisivo», cambiò, dunque, radicalmente la rappresentazione della guerra: il racconto diventò soprattutto immagine, prima statica e poi in movimento, con una diffusione planetaria prima inimmaginabile. Il miliziano spagnolo colto da Robert Capa nel momento della morte, il ragazzino albino raffigurato da Don McCullin in Biafra e Kim Phúc, la bambina che Nick Ut ritrasse in una disperata corsa per sfuggire alle bombe al napalm sganciate sul suo villaggio durante il conflitto vietnamita, sono, per esempio, entrati nella memoria di tutti.
Ma la fotografia di guerra non è solo cronaca, dovere di testimoniare la realtà. Porta sempre con sé il cuore e il cervello di chi scatta o, per usare le parole di Roland Barthes, «autentica il reale attraverso la soggettività di un uomo» che ha scelto di «essere –diceva Robert Capa- abbastanza vicino» ai principali teatri della Storia da comprendere sulla propria pelle come un conflitto cambi per sempre il volto di un paese, da immedesimarsi nel dolore delle persone tanto da rendere palpabile la loro paura e il loro sconcerto. Ecco quanto si legge tra le pieghe della mostra «Questa è guerra!», in agenda dal 28 febbraio al 31 maggio a Padova, nelle sale del Palazzo del Monte di Pietà, per iniziativa della Fondazione Cassa di risparmio di Padova e Rovigo.
Centoventi fotografie, selezionate da Walter Guadagnini, insieme con giornali del tempo e documentari, raccontano al visitatore i principali scenari bellici degli ultimi cento anni, dalla Grande guerra ai più recenti focolai in Ucraina e in Medio Oriente, passando per i conflitti in Vietnam, Rwanda, Congo, Afghanistan, Iraq, ex Jugoslavia e Palestina, l'attacco alle Torri gemelle e la più datata guerra civile spagnola.
Lungo il percorso sono stati individuati punti di vista particolari e si è dato ampio spazio anche a immagini di amatori, per dimostrare come la fotografia sia stata davvero a tutti gli effetti il mezzo preferito di espressione e di racconto degli eventi nel corso del secolo.
Per quanto riguarda la Prima guerra mondiale si è posto, per esempio, l'accento sulle incredibili novità tecnologiche che quel conflitto sperimentò per la prima volta, mettendo in mostra fotografie aeree, che trasformano il territorio in una composizione quasi astratta, e immagini di carri armati, nuovi strumenti di combattimento che fecero la loro prima comparsa nella battaglia della Somme del 15 settembre 1916. La rassegna patavina allinea, inoltre, una ventina di fotografie scattate dalla principessa Anna Maria Borghese, nobildonna romana al fronte con la Croce rossa italiana, che ha raccontato la vita quotidiana dei soldati con la vera istantaneità delle prime macchine Kodak.
La guerra civile spagnola è, invece, vista attraverso gli occhi dei miliziani di entrambe le fazioni e i numerosi giornali che hanno coperto fotograficamente l'evento come mai prima era successo. Da queste pagine è tratto il celebre e discusso ritratto del soldato repubblicano colpito a morte da un proiettile sparato dai franchisti, autentica icona del XX secolo a firma di Robert Capa, qui presentato accanto a un'altra immagine nota, quella scattata da Gerda Taro a una miliziana che si stava addestrando a sparare.
Ma la vera guerra dei fotografi in divisa, i cosidetti «armed with cameras», è la seconda. Sono loro a raccontare le battaglie, ma soprattutto le conseguenze che il conflitto ha avuto sulla popolazione civile. Ecco così le immagini di Colonia prima e dopo i bombardamenti realizzate da August Sander, le commoventi fotografie di Ernst Haas che documentano il rientro a casa dei soldati austriaci in una Vienna in rovina, gli scatti di Henri Cartier-Bresson nei campi profughi, con la vibrante sequenza del processo popolare allestito nei confronti di un collaborazionista nazista additato da una sua vittima, o i soldati sul fronte ritratti da Eugene Smith.
Le distruzioni della guerra sono esemplificate anche dagli scatti realizzati ad Hiroshima dopo i bombardamenti e da una parete di funghi atomici, prove fotografiche degli esperimenti continuati per tutti gli anni Cinquanta.
Lungo il percorso espositivo si incontrano, poi, gli sguardi di Don Mc Cullin, Eve Arnold e Philip Jones Griffiths sul conflitto del Vietnam.
I reportage lasciano, quindi, spazio a immagini di grande potenza e incisività, frutto del cambiamento che la televisione ha portato nel mondo della fotografia. Ecco così la Beirut martoriata di Gabriele Basilico, i colori allucinati di Richard Mosse che raccontano la guerra in Congo, l'esperienza multimediale di Gilles Perress, le torri di avvistamento israeliane raffigurate da Taysir Batnjj quasi come delle opere d'arte concettuale.
Si possono, infine, vedere le immagini sulle rivolte ucraine di Boris Mikhailov e il progetto di Adam Broomberg & Oliver Chanarin che si interroga sui cliché in gioco all’interno della rappresentazione visiva della guerra e che mette in luce come anche nel dramma di un conflitto possano esistere momenti in cui il caso può far accadere un lieto fine.(sam)
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Ernst Haas, Vienna, 1946-48. Museum der Moderne di Salisburgo; [fig. 2] Gabriele Basilico, Beirut 1991; [fig. 3] Unknown Photographer, The italian Magnis Freedom Fighters, 1944. Silver, gelatine print on glossy fibre paper Printed by December 1944. ©Daniel Blau Munich/ London; [fig. 4] Gruppo fotoelettrici in esplorazione notturna, Museo Terza armata di Padova; [fig. 5] Luc Delahaye, US Bombing on Taliban Positions, 2001. Courtesy Galerie Nathalie Obadia
Informazioni utili
«Questa è guerra!». Palazzo del Monte di Pietà, piazza Duomo, 14 - Padova. Orari: feriali, ore 9.00-19.00; festivi, ore 9.00-20.00; chiuso i lunedì non festivi. Ingresso: intero € 11,00, ridotto € 9,00, scuole € 2,00. Informazioni: tel. 0425.460093 o mostre@fondazionecariparo.it. Sito web: www.fondazionecariparo.net. Sito web dedicato: www.questaeguerra.it. Dal 28 febbraio al 31 maggio 2015.
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