ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 28 marzo 2018

Da Amelia a Montone, arte e cibo nei borghi dell’Umbria

Terra di arte e spiritualità, ma anche di prelibatezze enogastronomiche come l’olio e il Sagrantino: l’Umbria è una regione dai mille volti, che vale la pena di scoprire durante le vacanze pasquali, magari andando a visitare uno dei suoi tanti borghi fortificati.
Il viaggio può avere inizio da Amelia, dove proprio nei giorni della Settimana santa, o meglio nella giornata di sabato 31 marzo, inaugurerà «Sentieri», un festival di arte contemporanea, alla sua prima edizione, che porterà nei palazzi nobiliari e nelle note cisterne sotterranee della bella cittadina, di origine romana, una trentina di giovani artisti e poeti di varie nazionalità, invitati da Claudio Pieroni del Centro ricerca arte contemporanea.
L’esposizione, realizzata con la consulenza dell’associazione culturale «Feng Huang», che vede alla guida Luo Guixia, «immagina -a detta degli organizzatori- le tappe di un percorso visivo e simbolico che accomuna, sfiorandole, la memoria e la metafora di viaggi lontani, tra «La Via della seta» e la «Via Francigena», che in questo territorio di orizzonti a perdita d’occhio, si sono incrociate secoli addietro».
Dipinti, fotografie, video e installazioni racconteranno, dunque, quel ricco tessuto di scambi culturali che si costruiva durante i lunghi viaggi di pellegrini e mercanti tra Oriente e Occidente, dando vita a feconde commistioni di lingue, abitudini, riti e comportamenti.
La mostra, che rimarrà aperta nei giorni di Pasqua, Pasquetta e tutti i sabati e le domeniche fino al 29 aprile (dalle ore 11.30 alle ore 19; sono possibili aperture straordinarie chiamando i numeri 335.7077948 o 3487595963), offrirà anche l’occasione per visitare spazi solitamente chiusi al pubblico, da antiche dimore come il prestigioso e rinascimentale Palazzo Venturelli, riqualificato in elegante residenza d’epoca con annessa osteria, a luoghi in abbandono che popolano le vie del centro storico come botteghe chiuse, officine in disuso e magazzini dimenticati, ma abitati ancora da oggetti, strumenti e suppellettili che ne conservano la memoria.
Per l’occasione saranno visitabili anche gli spazi monumentali delle cisterne romane, risalenti al II secolo a.C.. Questo sito, di grande suggestione, è ubicato sotto piazza Matteotti ed è costituito da un sistema di dieci locali deputati alla raccolte delle acque piovane per dissetare gli antichi abitanti della città di Amelia, conosciuta anche per essere la patria dei fichi girotti.
Spostandoci verso il nord dell’Umbria, una visita nei giorni di Pasqua la merita anche il borgo di Montone. Qui, lunedì 2 aprile è in programma la prima ostensione della Santa Spina, una festa ricca di spiritualità, fortemente legata alla storia del borgo. La festa si svolge in due tappe, una di un giorno, il lunedì dell’Angelo, e la seconda nella settimana di ferragosto, con un programma incentrato su una rievocazione storica fedelissima che richiama a Montone migliaia di visitatori.
I documenti storici narrano che proprio il Lunedì dell’Angelo Carlo Fortebracci, figlio del celebre condottiero Braccio, donò a Montone la Spina della corona di Cristo ricevuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia, per i suoi servigi militari. C’è anche una leggenda secondo la quale questa Spina, oggi conservata nel convento di Sant’Agnese, sarebbe fiorita il Venerdì Santo, emanando un dolcissimo profumo.
La Pro Loco e il Comune di Montone predispongono ogni anno un programma di eventi molto ricco che si apre la mattina con la lettura del Proclama del Gran Gonfaloniero e con l’arrivo del conte Carlo Fortebracci e dei suoi soldati a cavallo, seguito dal corteo storico della Donazione della Santa Spina con i rappresentanti dei tre rioni, accompagnato dai tamburi e dalle chiarine del Castello.
Il reliquiario della Santa Spina sarà visitabile per l’intero pomeriggio nella chiesa della Collegiata. Oltre ai riti religiosi sono previsti diversi appuntamenti ricreativi, dal mercato medievale dei mestieranti del contado di Montone e dei castelli vicini, ai giochi in piazza e agli spettacoli di burattini per i bambini. In programma, infine, l’omaggio alla corte degli «Arcieri Malatesta» di Montone e l’esibizione dei locali sbandieratori.
Punta, invece, sulle sue specialità enogastronomiche il borgo di Montefalco, la patria del Sagrantrino e degli affreschi di Benozzo Gozzoli sulla vita di San Francesco, per i giorni pasquali. Dal 31 marzo al 2 aprile ci sarà, infatti, nella cittadina umbra la manifestazione «Terre del Sagrantino», una rassegna dove sarà possibile trovare anche formaggi, salumi, ceramiche e tessuti, i protagonisti per eccellenza del territorio umbro nel magnifico Chiostro di Sant'Agostino.
In questi primi giorni di primavera merita una visita anche Trevi, dove il 21 e il 22 aprile andrà in scena l’undicesima edizione di «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi», che offrirà l’occasione per conoscere una parte di quel suggestivo paesaggio della Fascia Olivata Assisi-Spoleto, recentemente premiato come Paesaggio rurale storico dal Ministero delle Politiche agricole. 

Didascalie delle immagini 
[Figg. 1 e 2] Amelia; [figg. 3 e 4] Montone; [fig. 5] Trevi, una scena della festa «Pic & Nic. Arte, musica e merende tra gli ulivi» [Si ringrazia per le immagini Michela Federici di www.addcomunicazione.it

Informazioni utili 
www.sentieriartecontemporanea.com 
www.comunemontone.it 
www.treviturismo.it
www.picnicatrevi.it

lunedì 26 marzo 2018

«Marie Antoinette», a Prato «i costumi di una regina da Oscar»

È il 2006 quando Sofia Coppola presenta sugli schermi cinematografici di tutto il mondo una versione inedita della vita della giovane regina Maria Antonietta. Partendo dalla lettura della biografia scritta nel 1932 dallo storico Stefan Zweig, la regista americana restituisce agli spettatori una versione più autentica della giovane austriaca della casata d’Asburgo-Lorena, diventata nel 1791 regina di Francia, e degli eventi che, a corte, determinarono la sua personalità.
Salita al trono a soli diciannove anni con un marito come re Luigi XVI inadeguato alla vita coniugale, Maria Antonietta, interpretata su grande schermo da Kirsten Dunst, compensa le mancanze affettive rifugiandosi nel lusso.
Il clima di leggerezza e freschezza della giovane, quasi una moderna adolescente talvolta annoiata, talaltra felice all’eccesso, viene rappresentato da Sofia Coppola con frequenti scene di balli, giochi, risate, ambientazioni caratterizzate da colori pastello, presenza di dolci e dolciumi, lussuosi abiti di seta ideati dalla costumista Milena Canonero.
Sono proprio questi vestiti al centro della nuova mostra promossa dal Museo del tessuto di Prato, in occasione della rassegna «Il Capriccio e la ragione. Eleganze del Settecento europeo», organizzata con le Gallerie degli Uffizi e il Museo Stibbert di Firenze.
«Marie Antoinette. I costumi di una regina da Oscar», questo il titolo dell’esposizione, si avvale della collaborazione di «The One», la più giovane sartoria cinematografica e teatrale di Roma, che custodisce un vastissimo patrimonio di abiti tesi a raccontare la storia dello spettacolo televisivo, teatrale e cinematografico italiano e straniero.
I costumi esposti, ritenuti dalla critica frutto della migliore reinterpretazione cinematografica mai realizzata dell’abbigliamento del XVIII secolo, sono stati premiati con un premio Oscar nel 2007. Il tutto ha concorso a fare di questa pellicola un fenomeno di costume e di moda che ha segnato un nuovo modo di interpretare il soggetto storico nel cinema: la selezione sweet candy dei colori hanno reso preziosa, contemporanea e glamour l’immagine della protagonista, osando in dettagli paradossali -le scarpe di Manolo Blahnik e le All Star Converse indossate dalla regina- la cui citazione ha generato un potente ponte mediatico con il pubblico giovanile.
Il percorso espositivo si apre con una sezione dedicata alla figura di Maria Antonietta. Un’istallazione multimediale ripercorre non solo le tappe più significative della sua vita, ma racconta anche il contesto sociale in cui è vissuta e soprattutto la sua grande passione per la moda.
La sua immagine pubblica è frutto della fantasiosa inventiva dei migliori artigiani di Francia: abiti sontuosi, accessori raffinati, parrucche stravaganti e preziosi gioielli definiscono il suo stile, imitato non solo dalle nobildonne di Versailles, ma da tutte le corti europee.
Accanto ad alcuni corsetti e sottogonne - allestiti come delle istallazioni contemporanee ad evocare le rigide e complesse sottostrutture degli abiti femminili del secolo– risalta l’abito realizzato per lo shooting che la rivista «Vogue America» ha dedicato al film e che generato, grazie all’originalità delle scene e delle immagini, spunti e suggestioni nei creativi del fashion.
Da questa presentazione storica la mostra prosegue nella grande sala che accoglie oltre venti costumi maschili e femminili indossati dai protagonisti del film: dall’abito invernale da giorno indossato dalla protagonista alla partenza dalla corte di Vienna all’abito composto da busto e doppio panier della famosa scena della vestizione alla francese; dai costumi indossati da Maria Antonietta e Luigi XVI per l’incoronazione a quelli legati agli incontri con il duca di Fersen e Madame du Barry fino a quelli delle scene della fuga da Versailles.
Tutti i pezzi esposti sono di proprietà dell’archivio di «The One», sartoria che si è occupata di dare anima alle idee della Canonero, realizzando circa centosettanta costumi, di cui più di cento solo per la protagonista Kirsten Dunst. Il lavoro ha tenuto conto del ritratto psicologico della protagonista proposto dalla regista americana ed è frutto di un’approfondita indagine iconografica sulla pittura europea del Settecento che ha permesso di studiare le fogge, i gioielli, le acconciature, i ricami e le sottostrutture.
«La ricerca dei materiali – racconta Alessandra Cinti, titolare della sartoria romana- è stata minuziosa, lunga e complessa, soprattutto per quanto riguarda le rifiniture con l’impiego di merletti, ricami e applicazioni, alcuni dei quali addirittura originali dell’epoca. Una volta cucite ai costumi, le rifiniture hanno contribuito a valorizzare la preziosità dei tessuti, come nel caso dell’abito in seta dalla mano “croccante” che Maria Antonietta indossa per l’incoronazione, uno dei più belli e complessi di tutta la produzione».
Per l’occasione la sala espositiva del Museo del tessuto di Prato è stata trasformata in un’architettura che evoca i grandi saloni di Versailles, con cornici sospese e un’imponente scalinata a gradoni, metafora della parabola di successi e drammi vissuti da Marie Antoinette.
Al centro della grande pedana una proiezione inventa uno spazio all’aperto che richiama i giardini del Trianon, ambiente tanto caro alla regina; mentre alcuni frame del film creano una relazione stringente tra i costumi e il racconto cinematografico di Sofia Coppola. Quasi a dire che, certe volte, pizzi, merletti, acconciature a puf e profumi di cipria possono trasformare un’attrice in una regina tra le più discusse della storia. In una regina per un giorno.

Didascalie delle immagini
[Figg.1,2, e 3] Veduta della mostra «Maria Antoinette. I costumi di una regina da Oscar». Foto di Leonardo Salvini; [fig. 4] Maria Antonietta riceve una lettera dalla madre. Progetto Milena Canonero. Manifattura Gabriele Mayer, 2006. Abiti di corte con doppio panier. Archivio storico Sartoria The One, Roma. Indossato da: Kirsten Dunst; [fig. 5] La toilette di Maria Antonietta. Progetto Milena Canonero. Manifattura Gabriele Mayer, 2006. Robe a l'Anglaise e sottoveste. Archivio storico Sartoria The One, Roma. Indossato da: Kirsten Dunst 

Informazioni utili
Maria Antoinette. I costumi di una regina da Oscar. Museo del Tessuto, via Puccetti, 3 – Prato. Orari: martedì – giovedì, ore 10.00-15.00; venerdì e sabato, ore 10.00-19.00; domenica, ore 15.00-19.00; chiuso il lunedì.  Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Sito web: www.museodeltessuto.it. Fin al 27 maggio 2018. 

sabato 24 marzo 2018

Lugano, un Klee a misura di bambini al «Museo in erba»

«I miei disegni possono volare! Con la mia immaginazione posso andare dove desidero senza muovermi… e quello che vedo lo disegno. La mia fantasia e la mia matita sono le mie ali». Così Paul Klee (Münchenbuchsee, Berna, 1879 - Locarno 1940) parlava della sua arte, fatta di case, strade, persone, ma anche di tanti, tantissimi colori.
La capacità dell'artista svizzero di trasformare la realtà in un mondo poetico di favole e sogni e di raccontare sulla tela i propri pensieri e le proprie emozioni, rendendo visibile ciò che non è percepibile ai nostri occhi, non può non affascinare i più piccoli e a proprio a loro è dedicato il nuovo progetto del Museo in erba di Lugano.
Nelle sale dell’edificio di Riva Caccia è, infatti, in corso fino al prossimo 31 agosto la mostra interattiva «I giochi di Klee», ideata da Marilune Aeberhard e Roland Besse, con il sostegno economico della Credit Suisse Foundation.
«Le tavole del mio piccolo Felix sono migliori delle mie, troppo spesso filtrate dal mio cervello» (Félix Klee, «Souvenir de mon père», in Klee, Fondation Pierre Gianadda, Martigny, 1985): questa citazione dell’artista spiega bene l’attrazione che su di lui ha esercitato la produzione infantile. I bambini, i giovani e tutti quelli che hanno un cuore da bambino si ritrovano così ben espressi nel suo universo creativo e ancora si meravigliano di fronte al suo mondo di linee e colori.
Paul Klee è stato un ricercatore curioso, un artista completo che ha saputo giocare con forme, suoni e tecniche sempre diverse: dal disegno al ricalco, dall’acquarello all’olio, alla vaporizzazione dei colori ad acqua. La sua opera coinvolge tutti i sensi: l’odore acre della tela di juta, la musica onnipresente, la rugosità dei materiali, la poesia dei colori, il gusto delle dolci tonalità raccontano un universo creativo caleidoscopico, che ha guardato anche alla filosofia e alle scienze naturali.
I moduli variopinti del percorso espositivo contengono riproduzioni di dipinti e invitano i bambini a interagire con originali manipolazioni che coinvolgono i sensi e l’immaginazione. Passo dopo passo, i piccoli visitatori entrano in un universo magico di emozioni e divertimento popolato da personaggi simpatici e «fuori dagli schemi», da strane invenzioni, scacchiere e paesaggi colorati. Da protagonisti, possono animare la «Macchina cinguettante», comporre personali «Armonie», sistemare gli occhi del simpatico «Senecio», illuminare «Il pesce d’oro», usare la bilancia dei colori, e tanto altro ancora.
Accanto all’animazione classica, il Museo in erba propone alle scuole e alle famiglie anche un nuovo approccio multidisciplinare, ideato in collaborazione con Lisa Monn (educatrice in campo musicale) e Francesca Sproccati (danzatrice e coreografa), che invita a comprendere l’opera attraverso i sensi, a mettersi in gioco per interpretarla con gli occhi, il corpo, la voce e le mani.
Uno spazio speciale della mostra è rappresentato dall’atelier, dove i più piccoli trovano lo spazio, gli strumenti, le tecniche e l’ispirazione per creare i loro personali capolavori e hanno la possibilità di approfondire la conoscenza di Klee e di alcuni suoi amici del Blaue Reiter. Le attività del laboratorio si arricchiscono di due nuovi progetti: «Il mio primo libro dell’arte» e «Giochi d’arte». La prima proposta invita i bambini a creare la loro personalissima raccolta di opere, aggiungendo di volta in volta una pagina dedicata a un artista diverso, da Vermeer a Lichtenstein. La seconda iniziativa prevede, invece, la sperimentazione di tecniche inusuali che stimolano la curiosità verso il mondo dell’arte.
Sono in programma anche attività ed eventi particolari come il laboratorio «Ciak, si gira» con Alessia Tamagni (24 marzo), una lezione con le matite sonore di Luca Congedo (7 aprile) e la visita guidata «Piccoli esploratori in città» (22 aprile). Il Museo in erba proporrà anche un ricco calendario di iniziative per l’estate, in cantiere dal 18 giugno al 26 luglio e dal 20 al 31 agosto.
La mostra permette, dunque, un incontro creativo tra i bambini e Klee. Scoprire l'artista di Berna attraverso il gioco permetterà ai più piccoli di ritrovare un immaginario simile alla loro interpretazione del mondo che li circonda, giocando, decorando, sperimentando, osservando e -perché no- sognando di diventare un artista famoso.

Informazioni utili
I giochi di Paul Klee. Museo in erba, Riva Caccia, 1A - Galleria Central Park 1° piano - Lugano. Orari: lunedì - venerdì, ore 8.30 - 11.30 e ore 13.30 - 16.30; sabato, domenica, ore 14.00 - 17.00 | aperture straordinarie: 19 marzo, 2 aprile e 21 maggio | dal 18 giugno al 26 luglio, martedì-mercoledì-giovedì, ore 9.00 – 12.00 (e su appuntamento per gruppi). Ingresso:Fr. 5.-. Informazioni: tel. + 41 91 835.52.54;  ilmuseoinerba@bluewin.ch. Sito internet: www.museoinerba.com. Fino al 31 agosto 2018. 

giovedì 22 marzo 2018

Venezia, con un touch alla scoperta di San Giorgio Maggiore e della Fondazione Cini

Accessibilità, valorizzazione e conservazione: sono queste tre parole a tessere la trama della politica culturale della Fondazione Giorgio Cini. In quest’ottica si inserisce il nuovo programma di visite guidate all’istituzione veneziana, ubicata sull’isola di San Giorgio Maggiore, in programma fino al prossimo 15 luglio, anche grazie alla collaborazione della società D’Uva di Firenze. L’azienda toscana ha, infatti, progettato un apposito percorso videoguidato, con tecnologia touch e un’interfaccia semplice e intuitiva, ideale anche per i più piccini.
Il progetto, realizzato grazie alla preziosa partnership di Assicurazioni Generali, è in cinque lingue (italiano, inglese, spagnolo, francese e tedesco) e comprende diciassette punti d’interesse più tre approfondimenti multimediali, per circa un’ora complessiva di ascolto.
In questo modo il complesso monumentale veneziano rimarrà aperto sette giorni su sette, dalle ore 10 alle ore 17, attivando così anche un meccanismo sostenibile e duraturo di recupero delle risorse da destinare al restauro conservativo dei beni di proprietà dell’istituzione veneziana.
Per organizzare al meglio l’accoglienza dei visitatori la Fondazione Cini ha aperto contestualmente anche un nuovo punto informativo di circa cento metri quadrati, sede della biglietteria e del bookshop, nella quale è possibile prenotare la visita guidata, chiedere informazioni sulle sue iniziative e acquistare prodotti di merchandising dedicati.
Allo scoccare di ogni ora i visitatori vengono raccolti in gruppi di venticinque persone e accompagnati da un operatore lungo il percorso.
La tecnologia progettata dalla società D’Uva permette di vivere un’esperienza unica, che grazie a foto, video e interviste può costruire una memoria personale dell’esperienza di visita.
Le videoguide sono, inoltre, dotate del sistema groupguide, che consente al dispositivo dell’accompagnatore di avviare contemporaneamente un certo numero di guide multimediali nello stesso punto di ascolto per rendere il gruppo compatto nello spostamento, permettendo così la visita in contemporanea di gruppi di nazionalità e lingue diverse.
L’esperienza di visita sarà ulteriormente arricchita in una seconda fase da nuove funzionalità: la tecnologia beacon, che permette ai visitatori di individuare la propria posizione e visualizzare automaticamente sul proprio dispositivo il contenuto legato all’ambiente in cui si trovano, e la realtà aumentata, per scoprire, attraverso la videocamera del dispositivo, il panorama visibile dall’Isola di San Giorgio.
Il tour inizia con il Chiostro Palladiano, seguito dal Chiostro Buora o dei Cipressi, che dei due è quello più antico. Si passa allo spazio del refettorio che si sviluppa attraverso tre ambienti: i due vestiboli e l’aula del Cenacolo vero e proprio, dove si può ammirare il facsimile de «Le Nozze di Cana», realizzato da Factum Arte. Un approfondimento viene dato alla boiserie creata e disegnata da Michele De Lucchi nel 2011. La visita prosegue nella Sala delle Fotografie, dove si può vedere lo stato del complesso monumentale di San Giorgio prima dell’avvio dei restauri intrapresi da Vittorio Cini nel 1951.
Seguendo il percorso indicato dalla nuova segnaletica di orientamento, che è stata progettata per l’occasione, si giunge quindi allo Scalone del Longhena, che porta al primo piano. Da qui si visitano le due biblioteche: la Biblioteca del Longhena, senza dubbio uno degli ambienti più interessanti della Venezia barocca, e la Nuova Manica Lunga, ex dormitorio dei benedettini trasformato in biblioteca dall’intervento di Michele De Lucchi. L’itinerario termina con la vista del Labirinto Borges, disegnato da Randoll Coate e ispirato al racconto borgesiano «Il giardino dei sentieri che si biforcano».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiostro del Palladio - Venezia, Fondazione Cini. Foto di Davide Repetto per D'Uva; [fig. 2] - Venezia, Fondazione Cini. Foto di Davide Repetto per D'Uva; [fig. 3] Scalone del Longhena - - Venezia, Fondazione Cini. Foto di Davide Repetto per D'Uva; [fig. 4] Servizio videoguide di D'Uva

Informazioni utili 
D'Uva - Call center, tel. +39.366.4202181 o visitcini@duva.eu (lunedì – venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 17.00)  

martedì 20 marzo 2018

Roma, la Rigoni di Asiago restaura la fontana di Palazzo Venezia

Il lato dolce del restauro ha il volto di Rigoni di Asiago. Dal 2015 la famosa azienda veneta leader nella produzione biologica del miele e delle confetture di qualità, da sempre attenta ai valori legati alla tradizione e alla cultura, si occupa anche di dare nuova vita a importanti monumenti del nostro Paese. Dopo aver sostenuto, nel 2015, l’importante intervento di recupero dell’Atrio dei Gesuiti, l’entrata storica del prestigioso Palazzo di Brera a Milano, e, nel 2017, il restauro dell’originale della statua di San Teodoro al Palazzo Ducale di Venezia, Rigoni di Asiago ha deciso di proseguire il proprio percorso della valorizzazione dei beni culturali approdando nella capitale.
«La natura nel cuore di Roma» è la frase identificativa del progetto, promosso da Fondaco che, con l’occasione festeggia il settantesimo restauro della sua decennale storia. Al centro del progetto di riqualificazione c’è la fontana «Venezia sposa il mare», opera d’arte collocata nello splendido giardino di Palazzo Venezia, che rappresenta uno dei momenti più importanti della città lagunare: la festa della Sènsa, la cui celebrazione si tiene ogni anno da oltre mille nel bacino di San Marco, a ricordo della conquista della Dalmazia da parte delle navi capeggiate dal Doge Pietro Orseolo, evento che segna la liberazione del mar Adriatico dalla pirateria.
La scelta di restaurare questa fontana da parte di Fondaco e Rigoni di Asiago, due aziende che hanno il proprio cuore operativo in Veneto, rappresenta il collegamento perfetto di storie e contenuti tra la città lagunare e Roma. «Lo stesso Palazzo Venezia -ricordano Enrico Bressan, presidente di Fondaco, e Andrea Rigoni, amministratore delegato della Rigoni di Asiago- fu voluto dal cardinale veneziano Pietro Barbo, che fu anche vescovo di Vicenza e che divenne papa, con il nome di Paolo II, nel settembre del 1464. Questo magnifico luogo è stato per decenni il riferimento, il punto d’incontro sia per i veneti che risiedevano a Roma sia per quelli che soltanto vi transitavano, rappresentando così l’espressione di una comunità che, pur lontana dalla sua terra, poteva trovare una casa nella capitale».
L’intervento conservativo sulla fontana -operato di concerto con il Polo museale del Lazio, diretto da Edith Gabrielli- fa parte di un ben più ampio progetto di riqualificazione di Palazzo Venezia, che nel giugno 2016 ha visto il restauro del giardino, da tempo ridotto a parcheggio, e che, l’anno successivo, ha restituito alla sua funzione principale l'accesso su piazza Venezia, presentando anche itinerari inediti grazie ai quali è possibile comprendere la profonda relazione che sussiste tra il monumento e la sua collocazione all’interno della città di Roma. Si rileggono così immediatamente le prospettive rinascimentali e il rapporto con la chiesa di San Marco che era andato perduto nei secoli. Per chi attraversa il giardino, la fontana rappresenta, inoltre, un perno compositivo, visibile da tutti gli ingressi, un punto di attrazione che accoglie durante il giorno centinaia di visitatori e per molti significa una sosta, un momento inaspettato di pace che si presenta nel cuore più caotico della città.
Costruita nel 1730 dallo scultore stuccatore Carlo Monaldi per l'incarico dell'allora ambasciatore della repubblica veneta Barbon Morosini, la fontana di Palazzo Venezia è formata da una grande vasca ellittica, con bordo a fior di terra, fiancheggiata da un corridoio con due lunghi sedili in pietra ingentiliti da quattro graziosi puttini, aggiunti nel 1930 dal Prini, che sostengono gli stemmi dei territori d'oltremare conquistati da Venezia: Cipro, Dalmazia, Morea e Candia.
Nella vasca numerosi pesci in travertino gettano sottili zampilli d'acqua mentre al centro, su una doppia conchiglia sostenuta da tre robusti tritoni, si erge una statua marmorea raffigurante Venezia, in fiero atteggiamento, con il corno dogale sul capo e in atto di gettare l'anello nuziale per lo sposalizio del mare.
Ai sui piedi figura da una parte il leone alato di San Marco con un libro aperto, dall'altra un sorridente puttino che svolge un rotolo con un’iscrizione in latino.
Le operazioni di riqualificazione della fontana, eseguite dalla ditta Pantone Restauri di Roma, avranno inizio con lo svuotamento dalla vasca e una serie di indagini diagnostiche, documentate attraverso immagini fotografiche ad alta risoluzione, che ne evidenzieranno il degrado e i fattori inquinanti.
Il substrato lapideo che presenta diffuse decoesioni, prevalentemente sulle zone usurate dal passaggio dell’acqua, sarà temporaneamente stuccato con malta composta da minor legante aereo rispetto alla carica.
Dopo aver messo in sicurezza le parti pericolanti si potrà procedere alla pulitura meccanica con pennellesse e specifici aspiratori.
Le superfici in cui è presente guano saranno disinfestate; sarà, quindi, effettuato un trattamento per l’eliminazione di muschi, licheni, funghi, muffe, alghe e piante superiori.
Prima dei lavaggi tutti gli elementi in ferro verranno trattati per evitare la dispersione di ruggine e il rischio di macchiare la superficie del marmo con l’ossido di ferro.
Le malte cementizie delle connessure tra gli elementi lapidei e delle stuccature saranno rimosse mediante scalpelli e microscalpelli pneumatici.
Per le nuove stuccature sarà impiegata la calce idraulica naturale caratterizzata da compattezza, buon potere legante, ottima dilatazione termica.
Per equilibrare le stuccature alle superfici lapidee circostanti verranno aggiunte le polveri di marmo. Per le stuccature maggiori che prevedono anche ricostruzioni di piccoli porzioni di modellato sarà impiegato il Traver Stuc, che verrà idoneamente pigmentato a somiglianza della superficie limitrofa da reintegrare.
L’intervento all’interno della vasca prevedrà la rimozione degli strati di malta aggiunti negli anni, in arte sconnessi e localmente fessurati, e la nuova impermeabilizzazione previa rinzaffatura e sigillatura delle sottostanti superfici lapidee. Il nuovo rivestimento impermeabilizzante sarà effettuato impiegando speciale malta idraulica composta da leganti ad alta resistenza chimico-meccanica.
«Per il restauro della fontana «Venezia sposa il mare», la cui conclusione è prevista per l’estate 2018, si è pensato -racconta, infine, Sonia Martone, direttore di Palazzo Venezia- a un cantiere aperto, che permetterà di apprezzare la progressione delle attività e di organizzare visite guidate di approfondimento e divulgazione. Sarà inoltre possibile seguire in diretta le varie fasi del restauro grazie ad una webcam per la ripresa delle operazioni che sarà pubblicata in tempo reale sulla piattaforma web skylinewebcams.com in una pagina creata appositamente».
Ma in questi mesi di restauro sono in programma anche altri eventi, tra cui golose merende Rigoni per avvicinare le famiglie a questo bel luogo che permette di vivere naturalmente l’arte.

Informazioni utili
Museo nazionale di Palazzo Venezia, via del Plebiscito, 118 - Roma. Informazioni: tel. 06.69994284. Sito internet: www.museopalazzovenezia.beniculturali.it


domenica 18 marzo 2018

Shio Kusaka e le sue ceramiche in mostra a Roma

Sono strutture delicate e minimaliste, con lievi incisioni sulla superficie che ne danno un aspetto irregolare, quelle che Shio Kusaka, artista nipponica con base a Los Angeles, presenta per la sua prima mostra italiana, allestita dal 28 marzo al 26 maggio a Roma, negli spazi della galleria Gagosian, che da dieci anni vede alla sua guida Pepi Marchetti Franchi .
Nota per i suoi lavori in continua tensione tra astratto e figurativo, Shio Kusaka, classe 1972, ha sviluppato per la rassegna nella capitale un progetto fortemente incentrato sulle geometrie dell’astrazione.
Le ceramiche in mostra, variazioni sulla forma del vaso, sono disegnate e incise con linee geodetiche continue tramite un processo contemporaneamente sistematico e intuitivo.
Ripetizioni minimaliste si estendono lungo i volumi stondati riecheggiando le griglie di Agnes Martin o i disegni a muro di Sol LeWitt, e rivelando le irregolarità della linea disegnata a mano per creare terreni sinuosi oscillanti.
Nella sua opera l'artista nipponica fonde la raffinata lavorazione tradizionale della ceramica con dettagli e soggetti giocosi quali palloni da basket, frutta, dinosauri, gocce di pioggia e venature del legno.
I lavori geometrici offrono una dimostrazione più immediata della sua padronanza tecnica, che, concentrandosi sull’elaborazione di un singolo processo, ne scopre le infinite varianti.
Nei precedenti lavori astratti Shio Kusaka spesso “terminava” una linea o un motivo a griglia appena questi venivano distorti dalla curvatura del vaso, producendo motivi frammentati, come dei disegni sovrapposti, che contraddicevano il volume tridimensionale dello stesso.
In queste nuove opere, invece, l’artista assume un approccio quasi topografico, sviluppando la manualità tattile necessaria per lavorare al tornio intagliando o disegnando linee intricate lungo ogni superficie del vaso.
Lasciando che la tridimensionalità di ciascun vaso determini le curve concentriche delle linee, Shio Kusaka fonde i primordiali atti creativi del disegno e della scultura. Mentre alcune linee appaiono sottili e parallele, altre assomigliano a delle onde e a schemi topografici.
Saranno presenti in mostra i vasi più grandi mai realizzati dall'artista disposti su un piedistallo lungo e curvo, e smaltati in vari colori, dal blu pallido, al rosa, al giallo fino ad un placido bianco sporco. Il liquido denso si ferma al di sopra della base di ognuno: una precauzione necessaria per la cottura a fuoco, e un sottile ricordo delle trasformazioni alchemiche tipiche di questa tecnica.
In una selezione di vasi più piccoli, l'artista giapponese ripropone molti dei motivi a incisione come disegni a matita su fondo bianco, creando echi più intimi, quasi degli schizzi, dei lavori più grandi. Shio Kusaka ribadisce così la tecnica dei Minimalisti basata sul metodo, e sottolinea anche l’infinito potenziale della forma stessa che varia da grande a piccola, da liquida a solida, da due a tre dimensioni.

Informazioni utili
 Shio Kusaka - mostra personale. Gagosian Gallery, via Francesco Crispi, 16 - Roma. Orari: dal martedì al sabato, dalle ore 10.30 alle ore 19.00; domenica e lunedì chiuso. Informazioni: tel. 06.42086498. Sito internet:  www.gagosian.com. Dal 28 marzo (inaugurazione dalle ore 18 alle ore 20) al 26 maggio 2018.

venerdì 16 marzo 2018

Milano, Arturo Martini e il monumento per il Palazzo di Giustizia in una mostra del Fai

«Di Martini apprezzo il fatto che abbia cambiato il linguaggio della scultura». Così Claudia Gian Ferrari (1946-2010), gallerista e collezionista che per anni è stata un personaggio chiave del mercato e della storia dell’arte italiana del Novecento, raccontava il suo amore per l’opera dello scultore trevigiano, la cui produzione si è avvicinata all’esperienza del movimento «Valori plastici», con un’attenzione particolare alla purezza delle forme e alle suggestioni del mondo arcaico.
Figlia di Ettore Gian Ferrari, anima di una delle gallerie più dinamiche della Milano del Dopoguerra e direttore per oltre venticinque anni dell’ufficio vendite della Biennale di Venezia, Claudia Gian Ferrari è riuscita a coniugare nell’arco della sua vita appassionata l’eredità lavorativa del padre, caratterizzata dal successo mercantile, con una raffinata attività di ricerca, che l’ha vista vestire sia i panni della storica che della critica d’arte.
Parte di questo lavoro di studio, confluito nel novembre 2016 all’interno della donazione che la gallerista aveva fatto negli anni precedenti al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, riguarda proprio Arturo Martini (Treviso, 1889-Milano, 1947). La documentazione, che ha trovato collocazione nei sotterranei di Villa Necchi Campiglio a Milano, «non comprende atti quali la corrispondenza o le pratiche personali dell’artista – fanno sapere dagli uffici della onlus milanese-, ma registra pressoché sistematicamente proprio la lunga attività della galleria Gian Ferrari relativamente all’opera dello scultore, alla sua conoscenza e alla sua divulgazione».
«Dalla battaglia contro il gruppo dei falsi cosiddetti «di Anticoli Corrado», con i quali si cercò di invadere il mercato negli anni ’70 e ’80, fino alla promozione di mostre e restauri e alla scoperta e riproposizione dell’importante gruppo di gessi originali delle maggiori sculture di «Valori Plastici» della collezione Becchini, scomparsi per decenni in un deposito alle falde del Monte Amiata e ritenuti dispersi, la vita professionale di Claudia Gian Ferrari -fanno ancora sapere dal Fai- è stata scandita, come quella di un appassionato detective, dalla costante ricerca di opere che potessero sempre meglio illustrare l’attività e le conquiste di questo grande genio della scultura europea del Novecento».
La gallerista milanese fu anche un’attenta collezionista dell’opera del trevigiano. Dei quarantacinque pezzi, donati nel 2008 al Fai – Fondo per l’ambiente italiano, ben quattro portano, infatti, la firma di Arturo Martini, a partire dall’importante capolavoro «L’amante morta», realizzato nel 1921 e appartenente al periodo di «Valori Plastici». Mentre il «Dormiente», copia dell’originale tuttora conservato a Roma, è arrivato a Villa Necchi in seguito alla scomparsa di Claudia Gian Ferrari.
Ed è proprio la residenza milanese a fare da scenario a una mostra dedicata ad Arturo Martini, per la curatela di Amedeo Porro, Paolo Baldacci e Nico Stringa, che ruota attorno all’opera più rappresentativa e grandiosa dell’artista conservata a Milano: il monumentale altorilievo della «Giustizia Corporativa», eseguito nel 1937 per l’atrio al primo piano del Palazzo di Giustizia, progettato da Marcello Piacentini.
L’opera è un racconto sulla vita e le attività dell’uomo, che appaiono tutte sottoposte al giudizio della «Legge», a cui richiama la «Giustizia», qui seduta sull’albero del «Bene» e del «Male», con il volto sereno e quasi impassibile, ma nello stesso tempo sollecito e attento, e in mano gli attributi tradizionali, la bilancia e la spada. Intorno alla Giustizia, un’enciclopedia di miti, figure e immagini che vanno a comporre un coro polifonico: le «Ambizioni» («Amore», «Arte» e «Bellezza»), affiancate dalla «Vanità», gli «Eroi», a cui si contrappone la «Viltà», la «Famiglia», la «Dottrina» (incarnata dagli «Intellettuali») e le «Opere assistenziali».
Martini modellava in creta e non scolpiva direttamente la pietra, lavoro che poi commissionava a figure intermediarie da lui dirette. Per la realizzazione della «Giustizia Corporativa» fu necessaria una grandiosa opera di montaggio: un basamento a gradoni di legno, sul quale venivano appoggiati e fissati i calchi in gesso delle colossali crete ad altezza umana uscite dalle mani dell’artista. Ogni gruppo, grazie a strutture e sostegni lignei retrostanti, veniva incastrato al suo posto e il tutto unificato da passaggi di gesso liquido su piedistalli e gradini, e infine chiuso da una cornice di legno gessato, come in una scatola. Una volta realizzati, i blocchi in gesso furono inviati a Carrara dove i marmisti, sotto il controllo e la direzione dell’artista, tradussero l’intera opera in marmo, creando blocchi e incastri di pietra che potessero quindi essere montati a Milano nell’atrio dell’edificio, cosa che avvenne nel 1940.
A Villa Necchi Campiglio sono esposti, per la prima volta riuniti, il bozzetto originale in gesso, due grandi altorilievi in gesso a grandezza naturale serviti come modelli per il gruppo degli «Intellettuali» e della «Famiglia», il grande marmo di «Dedalo e Icaro» e un bozzetto in bronzo del gruppo della «Famiglia». Insieme a questi pezzi è possibile seguire, attraverso la riproduzione di tutti gli ingrandimenti, l’interpretazione fotografica che Martini stesso volle dare della sua opera, dirigendo personalmente l’illuminazione e gli scatti per il libro a essa dedicato con la prefazione di Riccardo Bacchelli (edizioni del Milione, 1937).
In occasione della mostra, viene, inoltre, proposto un itinerario martiniano per conoscere e approfondire le opere del maestro che arricchiscono Milano, dall’Arengario al Museo del Novecento e all’Ospedale Maggiore. Un modo per riannodare le fila del complesso e ambivalente rapporto di Martini con la città, dove visse dal 1919 alla fine del 1920 e, quindi, dal 1933 al 1942, producendovi molte delle sue opere maggiori.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1 e 2] Arturo Martini, Giustizia Corporativa, 1937. Particolare; [fig. 3] Arturo Martini, La famiglia - Figliol prodigo, 1937; [fig. 4] Arturo Martini, Gli intellettuali, 1937

Informazioni utili
Arturo Martini e il monumento  per il Palazzo di Giustizia a Milano. villa Necchi Campiglio, Via Mozart, 14 - Milano.Orari: da mercoledì a domenica, dalle ore 10 alle 18; aperto lunedì 2 aprile e martedì 1 maggio Ingresso (con visita alla villa): intero € 12,00; ridotto (ragazzi 4-14 anni): € 4,00; iscritti FAI gratis. Per informazioni: www.villanecchicampiglio.it o www.mostramartini.it. Fino al 6 maggio 2018.   

mercoledì 14 marzo 2018

«I have a dream», i grandi discorsi della storia in uno spettacolo teatrale

Era il 28 agosto 1963 quando Martin Luther King pronunciava, al Lincoln Memorial di Washington, il celebre discorso «I have a dream», diventato simbolo della lotta contro il razzismo. Quelle parole insieme alle tante altre affermazioni che hanno segnato la nostra storia sono al centro dell’omonimo atto unico che Valentina Lodovini e Ivano Marescotti porteranno in scena nella serata di giovedì 22 marzo, alle ore 21, al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio.
A rendere ancora più prezioso lo spettacolo, che si avvale della regia di Gabriele Guidi, saranno le voci fuori campo di Gigi Proietti, Catherine Spaak, Rosario e Beppe Fiorello, Arnoldo Foà. Le musiche sono di Matteo Cremolini, il disegno luci porta la firma di Patrick Vitali. Mentre le videoproiezioni vedranno al lavoro Gianluca del Torto.
Da Demostene a Robespierre, da Pericle a Elie Wiesel, passando per Gandhi, Kennedy, Churchill, Fidel Castro, Mandela, Umberto Eco e altri ancora: con questo appuntamento di alto valore civile, lo spettatore verrà accompagnato alla scoperta di parole memorabili pronunciate, in epoche differenti, da sedici uomini e donne che, con il loro pensiero e la loro azione, hanno inciso positivamente sul loro presente e scritto pagine importanti per il nostro futuro.
Il testo, scritto da Ennio Speranza e Gabriele Guidi, prende spunto da tre domande e un assunto: «Quante volte -si legge nella presentazione- le parole hanno contribuito a segnare un’epoca, svelando ideali e aspettative di intere generazioni? Quante volte un particolare momento storico viene ricordato grazie a una frase o il frammento di un discorso che ha lasciato un segno indelebile? E quante volte ancora i grandi oratori hanno saputo accendere passioni civili individuando i traguardi sociali da conquistare trascinando milioni di persone? Le parole -alla pari degli eventi, dunque- hanno inciso sul corso della storia; anzi, diventando esse stesse eventi, hanno fatto la storia».
Democrazia, identità etnica, ruolo delle donne, eccidi, intolleranza religiosa, ma anche arte e letteratura come strumenti di protezione dell’essere umano sono solo alcune delle tematiche che verranno affrontate con questo spettacolo, inserito nel programma della stagione «Mettiamo in circolo la cultura», che vede alla direzione artistica Maria Ricucci dell’agenzia «InTeatro» di Opera (Milano) e che è stata incluso dal Comune di Busto Arsizio nel cartellone cittadino «BA Teatro».
«L’atto unico -raccontano gli organizzatori- è da poco tornato in scena, a distanza di quasi dieci anni aggiornato, rivisto e concepito per due interpreti, legati fra loro da un rapporto molto particolare. Quello tra Valentina Lodovini e Ivano Marescotti è, infatti, un legame di grandi affinità, non privo di una sottile ironia derivante dal confronto tra generazioni differenti, che rende ancora più stimolante questo loro raffronto sul valore odierno delle parole.
Dopo Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia, Gianfranco Jannuzzo e Debora Caprioglio, il cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio, la cui stagione vanta quasi trecentoquaranta abbonati, punta, dunque, ancora una volta su una coppia da palcoscenico. E una coppia, questa volta di comici, sarà in scena anche nel successivo spettacolo della stagione: «Il rompiballe» di France Veber, per la regia di Marco Rampoldi, che venerdì 13 aprile, alle ore 21, vedrà in scena Max Pisu e Claudio Batta.
L’atto unico «I have a dream», particolarmente adatto per i più giovani e per gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, è stato definito dalla critica «prezioso come un’ostrica» per la sua capacità di suggerire, grazie alla straordinaria attualità delle tematiche affrontate, come la Storia stessa possa offrire alle coscienze gli strumenti per riflettere sui problemi che affliggono anche oggi il mondo.
Il costo del biglietto per la commedia «I have a dream – Le parole che hanno cambiato la storia» è fissato ad € 33,00 per la poltronissima, € 30,00 (intero) o € 27,00 (ridotto) per la poltrona, € 28,00 (intero) o € 25,00 (ridotto) per la galleria. Le riduzioni sono previste per studenti, over 65 e per gruppi (Cral, scuole, biblioteche e associazioni) composti da minimo dieci persone. Il diritto di prevendita è di euro 1,00.
Il botteghino del cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio sarà aperto per la prevendita da giovedì 15 marzo con i seguenti orari: dal lunedì al sabato, dalle ore 17 alle ore 19. I biglietti sono già comodamente acquistabili on-line, tramite il circuito Crea Informatica, sui siti www.cinemateatromanzoni.it e www.webtic.it.
Per maggiori informazioni sulla programmazione della sala è possibile contattare il numero 339.7559644 o lo 0331.677961 (negli orari di apertura del botteghino e in orario serale, dalle ore 20.30 alle ore 21.30, tranne il martedì) o scrivere all’indirizzo info@cinemateatromanzoni.it.

Informazioni utili
www.cinemateatromanzoni.it

lunedì 12 marzo 2018

CM, Bologna e la moto: una storia lunga trent’anni

Bologna e la moto: una storia d’amore lunga trent’anni. Va, infatti, dal 1929 al 1959 il periodo d’oro della città emiliana nel settore produttivo motociclistico. Sono questi gli anni in cui il territorio felsineo diviene un centro di importanza nazionale, grazie a una concentrazione senza eguali di piccole e medie aziende produttrici di moto finite (oltre settanta quelle attive con alterne fortune in quegli anni) e un numero ancora maggiore di ditte in grado di fornire tutto ciò che serve per assemblare qualsiasi motociclo.
In quegli stessi anni si situa l’avventurosa storia della CM, al centro di un volume fresco di stampa, edito da Giorgio Nada Editore, per la curatela di Enrico Ruffini e Antonio Campigotto.
A questa storia guarda anche la mostra allestita fino al 3 giugno al Museo del patrimonio industriale di Bologna, che presenta una quindicina di modelli della CM, tra i più significativi esemplari presenti nelle collezioni di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, insieme a un ricco apparato di immagini fotografiche e di cataloghi, in gran parte inedito, e a tre proiezioni su schermo e a video.
Mario Cavedagni, il fondatore, e il suo tecnico di fiducia, Renato Sceti, si formano come meccanici presso la GD, la prima importante marca locale, distinguendosi anche come piloti-collaudatori. Ne sono ancora dipendenti nel 1929 quando viene registrata una nuova ditta, la CM, che fin dagli esordi si avvale di prestigiose collaborazioni esterne, come quella dei fratelli Laurenti e Alfonso Drusiani. Per trent’anni, senza altre risorse che una piccola officina e pochi operai diretti con grande competenza, la CM mantiene una presenza significativa sul mercato, facendo fronte alle sue volubili richieste, ma anche alle avversità, in primo luogo la scomparsa di Mario Cavedagni, grazie alla coraggiosa gestione della moglie Irma Ginepri negli anni Quaranta.
Le macchine proposte dalla CM sono eccellenti per il turismo, lo sport e l’impiego commerciale; i modelli abbracciano tutte le cilindrate con ogni possibile variante, ma sempre con adeguati criteri costruttivi e finiture curate ed eleganti.
Il primo esemplare della casa bolognese, una 175 con distribuzione a tiges, pronta già alla fine del 1929, si impone nella Milano-Roma-Napoli del 1932 con Cavaciuti, Zini e Pagani, richiamando l’attenzione dei clienti cui sono subito proposte le versioni Turismo, Gran Turismo e Sport.
Durante il quinquennio 1935-’40 non si contano i perfezionamenti e le modifiche: teste lubrificate, tubi di scarico unici o doppi, bassi o rialzati, cambi comandati a mano o a pedale, telai rigidi o elastici, strumentazioni di bordo più o meno ricche, mozzi e freni delle migliori marche. Ancora oggi si stenta a credere come tale variatissimo listino sia potuto uscire da una fabbrica con solo venticinque operai, dieci apprendisti e cinque impiegati.
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, la vendita delle moto si riduce drasticamente per essere infine vietata, lasciando solo qualche spazio ai motocarri. Mario Cavedagni muore il 14 novembre 1940 e alla conduzione della CM subentra la vedova, Irma Ginepri, che affronta con coraggio le difficoltà del periodo bellico assistita da fedeli collaboratori. Così, già verso la fine del 1945, la ditta è nuovamente presente sul mercato con qualche moto di tipo pre-bellico prodotta con rimanenze di magazzino o avventurosi acquisti. Nel 1946 il listino offre pochi, ma aggiornati articoli: moto 250 e 500 con distribuzione a tiges, nonché un motocarro 600, utile nei cantieri della ricostruzione.
La nuova produzione inizia nel 1948 con una motoleggera 125, economica e facile da guidare, che vedrà poi le versioni Turismo, Sport, Gran Sport.
L’anno seguente è la volta della 250 bicilindrica a due tempi, massima espressione della tecnica CM, destinata a continui aggiornamenti. Aggiornato il listino, forse troppo assortito, vengono introdotte alcune novità organizzative e tecniche: gli operai, riassunti o nuovi, sono circa venti; mancando le forniture di Drusiani, vengono montati in ditta i componenti del motore e del cambio ordinati a case specializzate.
Ritorna, infine, in azienda Renato Sceti che, dando il suo apporto alla messa a punto della celebre Mondial 125 brevettata da Drusiani, fa parte dell’equipe che la segue nelle prime grandi affermazioni e nella conquista dei prestigiosi Record mondiali di velocità del 1948-’49.
Nel 1949 Franco Cavedagni, divenuto maggiorenne, condivide con la madre Irma la conduzione della ditta, con una nuova ragione sociale. Questo accordo coincide con una svolta nell'indirizzo produttivo: abbandonata la linea classica a quattro tempi di grossa o media cilindrata, viene sviluppata quella a due tempi, moderna e gradita, di cilindrata 125 e 250.
La 250, creata nel 1949 da Sceti, avrà una carriera sportiva tale da essere considerata una delle più interessanti quarto di litro fabbricate in Italia. Dai primi modelli Turismo si ricavano moto dalle caratteristiche eccezionali come la Sport e la Supersport SS.
Nel settore quattro tempi viene proposto nel 1954 il Francolino 175 nei tipi Turismo con distribuzione a tiges e Sport o Centauro con distribuzione ad albero a camme in testa.
Per il mercato dei mezzi di trasporto a tre ruote sono, infine, proposti il mototriciclo 49, il furgoncino 48, il Muletto 160 e, soprattutto, il motocarro 175 a quattro tempi.
L’aggiornamento del catalogo e l’assidua presenza nelle competizioni assicurano alla CM, fino al 1955, un costante aumento nelle vendite.
L’impiego utilitario della moto cederà spazio, di lì a poco, a quello dell’automobile, divenuta accessibile nel prezzo per larghi strati della popolazione.
Inizia una fase negativa, a danno soprattutto delle moto di grossa cilindrata o di classe, a vantaggio di ciclomotori e scooter. Ne soffre gravemente la CM, che ha spesso adottato motori veloci, ciclistica speciale, finiture impeccabili. Il crollo delle vendite nei settori alti della produzione non è compensato dal recupero con le cilindrate minori o con i motocarri.
Il marchio CM viene concesso alla Ditta Negrini di Vignola per i suoi ciclomotori. La CM vede crescere le passività, così nel 1958 viene imposta l’amministrazione controllata, seguita dalla procedura fallimentare nel 1959.
È la fine di una storia che ha dato molto anche all'attività agonistica del settore. L’esordio sportivo della CM avviene l’8 maggio 1930 al V Gran Premio Reale di Roma, dove il pilota Primo Zini, che della casa è anche meccanico collaudatore, giunge al secondo posto. Memorabile, poi, il successo nel 1932 di Celeste Cavaciuti, Primo Zini e Nello Pagani, ai primi tre posti alla Milano-Roma-Napoli. A seguire, qualche altra affermazione e diversi piazzamenti, soprattutto nelle gare di regolarità, allora molto in voga. Dal 1934, con la 250, gareggiano per la regolarità Giuseppe Boselli, poi titolare di FB e Mondial, per la velocità Guglielmo Sandri e Nino Martelli. Ma nel 1935-’36 diminuiscono le competizioni a causa delle restrizioni dei carburanti imposte dalla Società delle nazioni per la guerra d’Etiopia. La CM si fa valere nella 350 dove le grandi case italiane sono assenti, modificando il tipo monoalbero a seconda delle esigenze dei piloti, come Nino Martelli, Marino Guarnieri e Domenico Carancini.
Nel dopoguerra le moto tradizionali non ottengono grandi successi, fatta eccezione per quelli di Hugo Moradei su Gheppio 250 in Brasile, di Luigi Albertazzi su 500 nel motocross e di Guido Borri su 560 side nella Milano-Taranto. Le nuove 125, 160, 175 sono, invece, adatte alle gare di regolarità, di velocità in piano ed in salita, di gran fondo come la Milano-Taranto, la 12 Ore di Imola, il Motogiro, dove si fanno valere.
La CM non può permettersi piloti ufficiali, ma le sue moto, semplici, sicure, veloci, di prezzo ragionevole, sono utilizzate fino agli anni Sessanta da molti piloti privati nelle categorie MSDS, Cadetti e Juniores. Una storia, dunque, quella della casa bolognese che ha dato tanto allo sport, ma anche alla quotidianità delle persone.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Anselmo Ronzieri viene festeggiato dai tifosi entusiasti dopo la vittoria con la C.M nella Classe 250 sul Circuito di Melzo, il 17 luglio 1938; [fig. 2] Il titolare della C.M, Mario Cavedagni, con la 250 Corsa da poco realizzata (1934 ca.); [fig. 3] In sella ad una C.M 250, in gara nella 24 Ore di Regolarità del 1936, Giuseppe, Boselli, industriale dalle nobili origini, titolare della lombarda F.B.  A Bologna trovò i tecnici in grado di costruirgli la mitica F.B-Mondial 125 Campione del Mondo nel triennio 1949-’51; [fig. 4]  Guido Borri, alla guida della C.M side-car, ed il passeggero Italo Neri sono qui impegnati in un passaggio acrobatico nell’edizione 1956 della Milano-Taranto, una delle più prestigiose gare di regolarità italiane dell’epoca; [fig. 5]  Questi due centauri parteciparono nel 1948 alla Cronoscalata Bologna-Osservanza. Franco Cavedagni, con la C.M 350 monoalbero (n. 37), arrivò 4°; Arciso Artesani, sulla Gilera Saturno 500 (n. 101) per noie al magnete si fermò poco dopo la partenza; [fig. 6]  Sulla C.M 175 Super Sport è seduto Claudio Martelli, giovane pilota emergente, in gara a Cortemaggiore il 30 settembre 1934.

Informazioni utili 

«Moto Bolognesi C.M - Trent’anni memorabili 1929-1959». Museo del Patrimonio Industriale | Fornace Galotti, via della Beverara 123 – Bologna. Orari di apertura: fino al 28 febbraio 2018 - dal martedì al venerdì, ore 9.00 – 13.00, sabato, ore 9.00 – 18.30. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00; gratuito Card Musei Metropolitani Bologna e la prima domenica del mese. Informazioni: tel. 051.6356611 e  museopat@comune.bologna.it. Sito internet: www.museibologna.it/patrimonioindustriale. Fino al 3 giugno 2018   

sabato 10 marzo 2018

«L’allegra vedova», Maddalena Crippa racconta la Belle Époque

L’atmosfera elegante e gaudente della Belle Époque. Le sontuose feste della Parigi di fine Ottocento. Le donne ammiccanti e maliziose, eteree e aristocratiche, che facevano capolino dai quadri impressionisti. La gioia di vivere, gli astuti intrecci amorosi e l’arguta ironia di un periodo storico destinato a scomparire con lo scoppio della Prima guerra mondiale. E, poi, il ritmo sfrenato del can can, la leggiadria del valzer e la bellezza di brani d'assieme come «Donne Donne, eterni dei». Il tutto avvolto in un velo di fantasia che conduce all'inevitabile lieto fine. Sono questi i connotati più evidenti di una delle operette di maggior successo sui palcoscenici di tutto il mondo: «La vedova allegra» (titolo originale «Die Lustige Witwe»), lavoro teatrale in tre atti che Victor Léon e Leo Stein, con il compositore Franz Lehàr, trassero dalla commedia «L'attaché d'ambassade» di Henri Meilhac.
Dalla data del suo debutto, il 30 dicembre 1905 al teatro An-der-Wien, la storia d’amore e di seduzione della conturbante Hanna Glavari non ha mai smesso di affascinare il pubblico e anche gli artisti. A confrontarsi ora con questo spettacolo senza tempo sarà Maddalena Crippa, attrice che, nella sua lunga carriera, ha tracciato un percorso nel teatro-musica all’insegna della qualità e della varietà, a cominciare dallo spettacolo «Canzonette vagabonde» sul repertorio italiano degli anni Venti e Trenta, per passare agli omaggi a Paolo Conte, Tenco, Jannacci, De André e Gaber, terminando con il più recente «Italia mia Italia», una dedica spassionata al nostro Paese, che mescola le parole e le musiche di Pasolini e Battisti, Leopardi e Cutugno, Fellini ed Endrigo, ma non solo.
L’artista lombarda sarà in scena al teatro Menotti di Milano dal 13 al 18 marzo con il suo spettacolo «L’allegra vedova - Café chantant», per la regia di Bruno Stori. Con lei sarà sul palco un ensemble strumentale formato da Giampaolo Bandini alla chitarra, Giovanni Mareggini al flauto e all’ottavino, Mario Pietrodarchi alla fisarmonica e Federico Marchesano al contrabbasso.
«La Vedova Allegra» - raccontano dalla produzione dello spettacolo, che vede alla guida la Compagnia Umberto Orsini, con Parmaconcerti- «è una fiaba a tempo di valzer e il valzer, si sa, provoca il rilascio delle endorfine, le molecole della gioia e, dunque, «La Vedova Allegra» è un formidabile anti-stress, che non è poco». Il pubblico abbandona così i pensieri cupi e si lascia trasportare dal racconto leggero ed elegante di una storia d’amore, promesse, sospetti e rivelazioni, ambientata in un mondo luccicante e spensierato, un’«Austria Felix» da cartolina, caratterizzata da melodie indimenticabili, che raggiungono il loro apice con il celebre valzer «Tace il labbro» o nella «Canzone di Vilja». A dir la verità tutti i valzer e galop, czardas e polke che fanno da colonna sonora al racconto hanno qualcosa di indimenticabile, capace ancora oggi di divertire e far sognare.
Al teatro Menotti di Milano sarà possibile ascoltare alcune di queste musiche in un arrangiamento firmato da Giacomo Scaramuzza; mentre la riscrittura del testo è stata fatta da Maddalena Crippa, con Bruno Stori. Ne è nato un avvincente one woman show, che evoca con leggerezza e divertimento le atmosfere dei cabaret berlinesi e dei cafè chantant parigini.
Alternando le parti recitate, frammenti di dialoghi e monologhi tradotti dal libretto originale di Leon Stein e Victor Leon, alle parti cantate, arie e duetti, l’attrice si sdoppia e dà voce e carattere sia alla bella e giovane Hanna Glavari, ricchissima vedova che deve districarsi tra la miriade di corteggiatori attratti dalla sua imponente dote, sia all’uomo che conquisterà la sua mano, il principe Danilo Danilowitsch. Il tutto avviene in uno spazio semplice ed essenziale, che rende ancora più evidente la capacità della Crippa di far rivivere sulla scena i diversi personaggi dell’immortale operetta, tra talento, virtuosismo, divertimento e tenerezza.

Informazioni utili 
Teatro Menotti, via Ciro Menotti 11 – Milano. Prezzi: intero 28.00 € + 1.50 € prevendita, ridotto over 65/under 14 - 14.00 € + 1.50 € prevendita, martedì e mercoledì posto unico 14.00 € + 1.50 € prevendita. Orari biglietteria: dal lunedì al sabato, dalle ore 15.00 alle ore 19.00; domenica (solo nei giorni di spettacolo) ore 14.30-16.30; cquisti online con carta di credito su www.teatromenotti.org. Orari spettacolo: martedì, giovedì e venerdì, ore 20.30; mercoledì e sabato ore 19.30 (eccetto le prime ore 20.30); domenica ore 16.30; lunedì riposo. Informazioni: tel. 02 36592544 o biglietteria@tieffeteatro.it

giovedì 8 marzo 2018

«Saint-Germain-des-Prés», in scena i suoni e le idealità di un angolo di Francia

Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald, Albert Camus, Jacques Prévert e Salvador Dalì, ma anche Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Boris Vian, François Truffaut e Juliette Gréco: non c’è artista e intellettuale del Novecento che, in viaggio o in residenza a Parigi, non si sia fatto ammaliare dai suoi bistrot, locali jazz e librerie. Il quartiere di Saint-Germain-des-Prés, sulla rive gauche, ha scritto così pagine importanti per la storia della cultura francese ed europea, soprattutto negli anni della Seconda guerra mondiale e nel periodo immediatamente successivo. Stando alle cronache del tempo, il Surrealismo e il Dadaismo nacquero, per esempio, tra i tavolini del «Café de Flore». Gli esistenzialisti si ritrovavano per scrivere o per discutere tra di loro a «Les Deux Magots». Mentre Pablo Picasso dipinse «Guernica», vero e proprio manifesto contro l’orrore della guerra, in una soffitta di Rue des Grands Augustins.
L’eleganza e il fascino senza tempo di questo quartiere pittoresco e bohemien di Parigi rivive, nella stagione teatrale in corso, grazie allo spettacolo «Saint-Germain-des-Prés», prodotto da France Théâtre, ente teatrale per l’apprendimento della lingua francese attraverso l’arte drammatica, fondato nel 1998 a Roma per volere dell’Ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, che vede alla guida l’attore, cantante, drammaturgo e regista Frédéric Lachkar.
Lo spettacolo, la cui tournée sta toccando le principali città italiane e che ha già maturato più di un centinaio di repliche, sarà in cartellone anche al cinema teatro Manzoni di Busto Arsizio nella giornata di giovedì 15 marzo, alle ore 9 e alle ore 11.30.
Ad organizzare le due rappresentazioni in programma, riservate principalmente agli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado, è Materlingua, centro di produzione di spettacoli con sede a Roma, che lavora anche con le compagnie España Teatro e BroadWAY to English, il cui lavoro gode del patrocinio di Agis e di Agiscuola e che è stato insignito dal Ministero della pubblica istruzione e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Label europeo.
«Saint-Germain-des-Prés» è, nelle intenzioni degli organizzatori, «uno spettacolo teatrale e musicale, motivante e divertente, che mette in luce un momento storico fondamentale per l'Europa, quello del secondo conflitto bellico, legandolo a tematiche di attualità, con lo scopo principale di sensibilizzare gli studenti all'interculturalità, alla costruzione del proprio senso civico e alla condivisione di esperienze e stimoli culturali».
La storia porta lo spettatore in un caffè nel cuore di Saint-Germain-des-Prés, da sempre punto di ritrovo di giovani artisti e personalità dall'anima eclettica. Qui lavora Gabriel un ragazzo come tanti, che serve ai tavoli, sognando di realizzarsi nel mondo della musica jazz. Una sera, stanco e demotivato, il giovane si rifugia tra le note del suo pianoforte e, come per magia, viene catapultato in un’altra dimensione, ritrovandosi in compagnia della «Bande de Zazous», un gruppo di suoi coetanei stravaganti e amanti come lui dell'arte e dell'intrattenimento. Tra danza, canto e la suggestiva melodia della fisarmonica e del pianoforte, i giovani artisti gli raccontano quanto di importante c'è da sapere del loro mondo: Saint-Germain-des-Prés settant'anni prima, nell'immediato Secondo dopoguerra.
«La loro forza, sostenuta dal dialogo, dalla cultura e dalla speranza che resta viva nonostante la brutalità della guerra, dimostra al giovane protagonista -si legge nella sinossi dello spettacolo- quanto la piena coscienza di chi si è veramente e la voglia di superare le sovrastrutture imposte dalla società siano l'essenza della felicità. Gabriel, dal canto, suo racconta ai suoi nuovi amici quanto il progresso abbia rivoluzionato i gesti più comuni della quotidianità e lo scambio tra i due periodi storici si arricchisce di dettagli emozionanti e divertenti». Un bell'appuntamento, dunque, da non perdere quello che propone il cinema teatro Manzoni per chi voglia approfondire la conoscenza della lingua in modo originale e a tempo di musica.

Informazioni utili
«Saint-Germain-des-Prés». Cinema teatro Manzoni, via Calatafimi, 5 - Busto Arsizio. Quando: giovedì 15 marzo, ore 9 e ore 11.30. Ingresso: € 12,00. Informazioni e prenotazioni: Materlingua, cell. 329.8812132 o vicky.sarnataro@materlingua.eu