ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 18 aprile 2014

Da Picasso a Fontana, in un museo l’arte amata da Paolo VI

«Noi abbiamo bisogno di voi»: con queste parole papa Paolo VI si rivolgeva il 7 maggio 1964 a una delegazione di artisti riuniti nella Cappella Sistina per la solennità dell’Ascensione, consegnando loro il capitolo VII della costituzione sulla sacra liturgia «Sacrosanctum Concilium» (4 dicembre 1963), nel quale venivano tracciate le coordinate per ripensare il rapporto tra arte e vita della Chiesa.
In questo modo il pontefice intendeva ristabilire un rapporto con gli artisti, «creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità», rinnovando un’amicizia che, per secoli, era stata «veicolo, tramite, interprete, ponte» tra il mondo religioso e la società e che, agli inizi del Novecento, si era «guastata» da entrambe le parti, sia col ricorrere a un’arte staccata dalla vita, sia con il pretendere l’assuefazione a cliché e modelli che Paolo VI aveva definito «di pochi pregi e di poca spesa».
«Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci!» era l’accorato appello che papa Giovanni Battista Montini rivolgeva ai pittori e agli scultori riuniti nella Cappella Sistina, la cui opera poteva essere «segno e simbolo della realtà soprannaturale».
Iniziava con questa omelia, dagli accenti commossi e dal grande pathos, un rinnovato dialogo tra Chiesa e arte. Un dialogo che il pontefice avrebbe sollecitato in molte altre occasioni, a partire dalla «Gaudium et spes» (1965) fino all’inaugurazione della collezione d’arte moderna dei Musei vaticani (1973), come ricorda il libro «Paolo VI. Su l’arte e agli artisti. Discorsi, messaggi e scritti (1963-1978)» delle edizioni Studium.
Il prezioso rapporto tra Giovanni Battista Montini e i pittori e gli scultori contemporanei diede origine, negli anni dell’episcopato e del pontificato, a una ricca collezione privata formata da oltre settemila opere tra dipinti, incisioni, stampe, sculture e medaglie, della cui conservazione e esposizione si occupa, dal 1987, l’associazione «Arte e Spiritualità» di Brescia.
Henri Matisse, Marc Chagall, Pablo Picasso, Salvador Dalí, René Magritte, Gino Severini, Mario Sironi, Giorgio Morandi, Felice Casorati, Georges Rouault ed Emilio Vedova sono solo alcuni degli artisti presenti nella raccolta, di proprietà dell’Opera per l’educazione cristiana, alla quale è giunta attraverso vari lasciti disposti prevalentemente da monsignor Pasquale Macchi, segretario del pontefice, e della quale sono stati pubblicati nel 1995 e nel 2006 due cataloghi generali a cura di Cecilia De Carli. Dal 2011 la collezione si è, inoltre, arricchita di circa duecento lavori conferiti in comodato dalla Cei e realizzati da artisti contemporanei per illustrare i volumi del nuovo lezionario da messa.
Aperta al pubblico dal 1988 nella cittadina di Concesio, nel Bresciano, e ospitata dal 2009 in una nuova realtà espositiva, ubicata nelle vicinanze della casa natale di papa Montini, la raccolta è visibile dallo scorso febbraio con un regolare orario di visita, dal martedì al sabato, dopo che per lungo tempo era stato possibile garantirne l’accesso esclusivamente a gruppi su prenotazione. Si tratta di una prima tappa di un piano di rilancio triennale che prevede incontri, conferenze, visite guidate, laboratori per bambini, collaborazioni e scambi con i musei più prestigiosi del mondo, e che, recentemente, ha visto la struttura diventare punto Fai (Fondo per l’ambiente italiano).
Articolato su due piani, per un totale di quasi mille metri quadrati di superficie espositiva, il museo allinea circa duecentosettantacinque opere, che testimoniano «il grande impegno profuso da Paolo VI –scrive Paolo Bolpagni, nella guida breve alla collezione- per la promozione dell’arte contemporanea nelle sue più varie manifestazioni, nella ricerca di un dialogo – talvolta anche tormentato, difficile, contrastato – e di una reciproca comprensione». La raccolta non sposa, dunque, uno stile e non indica nemmeno una via allo sviluppo di una pittura e di una scultura «sacra», ma mostra tutte quelle forme di espressione artistica intrise di domande profonde, escatologiche e di ricerca di senso che hanno caratterizzato il Novecento. Ecco così esposte opere dalla componente aniconica che rimandano a una prospettiva altra, quella del divino e dell’ultraterreno, come la tela «T 1966 – E 9» (1966) di Hans Hartung, e lavori legati alla dimensione liturgica come le due tempere su carta del giapponese Kengiro Azuma per il progetto della «Santa Croce» nel convento dei frati cappuccini di Sion (in Svizzera), o ancora la piccola «Croce» (1942) in terracotta dipinta di Mirko Basaldella e la «Crocifissione» (1955-1960) in ceramica di Lucio Fontana per il concorso della Quinta Porta del Duomo di Milano, nella quale «il Cristo -scrive Paolo Bolpagni- sembra contemporaneamente patiens e triumphans, inchiodato alla Croce ma già proiettato verso la Resurrezione».
Uno spazio importante del museo è dedicato alla grafica, per la quale è stato studiato un piccolo «Gabinetto delle stampe», un ambiente intimo e raccolto nel quale trovano posto, tra l’altro, alcune opere di soggetto biblico di Marc Chagall, un’acquaforte della serie «Miserere» di Georges Rouault e nove litografie di Henri Matisse, riferite al suo intervento decorativo nella Cappella del Rosario delle suore domenicane di Vence, in Provenza. Un museo, dunque, interessante quello di Concesio per scoprire come papa Paolo VI fosse riuscito a riannodare i fili tra il mondo dell’arte e la Chiesa, a farsi rispondere affermativamente a quella domanda, franca e sentita, che rivolse ai presenti nella Cappella Sistina il 7 maggio 1964: «Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti?».

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Ernst Günter Hansing, «Paolo VI raccolto in preghiera», 1969, tempera su carta, inv. 2314; [fig. 2] Entrata della Collezione Paolo VI di Concesio (Brescia); [figg. 3 e 4] Vista interna della Collezione Paolo VI di Concesio (Brescia); [fig. 5] Lucio Fontana, «Crocifissione», 1955-1960, ceramica colorata e riflessata, inv. S81

Informazioni utili

Collezione Paolo VI, via Marconi,15 - Concesio (Brescia). Orari: martedì-venerdì, ore 9-00-12.00 e ore 15.00-17.00; sabato, ore 14.00-19.00. Ingresso: € 5,00. Visita guidata: € 30,00 + il biglietto di ingresso. Agevolazioni soci Fai: sconto del 50% sul biglietto d’ingresso al museo, e riduzione del 20% sull’acquisto dei libri in vendita nel bookshop. Informazioni: tel. 030.2180817 o info@artespiritualita.org. Sito internet: www.collezionepaolovi.it


giovedì 17 aprile 2014

La grande bellezza di Roma nelle incisioni di Luigi Rossini

È una mostra preziosa, forse di nicchia, quella che il m.a.x. di Chiasso -museo svizzero nato nel 2005 con l’intento di divulgare la conoscenza dell’arte grafica, del design, della fotografia e dell’architettura- dedica a Luigi Rossini (Ravenna, 1790-Roma, 1857), incisore di talento, cugino del più famoso Gioachino, che per la critica è stato l’ultimo grande illustratore delle meraviglie di Roma dopo Giuseppe Vasi e Giovan Battista Piranesi e prima dell’avvento della fotografia, che sostituì l’acquaforte tra i souvenir della Città eterna preferiti dai viaggiatori del Grand tour.
La rassegna, curata da Nicoletta Ossanna Cavadini e Maria Antonella Fusco, espone per la prima volta al pubblico opere provenienti da collezioni private e della famiglia come suggestivi disegni acquerellati, schizzi, lettere e appunti di viaggio, oltre a preziosi rami e a rare incisioni provenienti dall’Istituto nazionale per la grafica di Roma, una delle tre principali raccolte pubbliche di matrici al mondo, dove la rassegna sull’artista ravennate verrà proposta il prossimo autunno.
Attraverso le oltre centocinquanta opere in mostra, riunite sotto il titolo «Luigi Rossini (1790-1857), incisore. Il viaggio segreto», sarà possibile ripercorrere il percorso artistico e biografico del maestro romagnolo, caro amico dello scultore Adamo Tadolini e collaboratore di Bartolomeo Pinelli, che nella sua vita beneficiò anche della stima e della protezione di Antonio Canova e Vincenzo Camuccini.
La preziosità dell’esposizione svizzera, corredata da un catalogo bilingue (in italiano e in inglese) pubblicato da Silvana editoriale, consiste nella possibilità di veder raffrontati l’acquarello preparatorio, la matrice e, infine, la stampa di molti lavori di Luigi Rossini, così da poter studiare tutti le sue volute variazioni e i suoi leggeri spostamenti di punti di vista.
Attraverso opere di elegante fattura come «Il monte Quirinale preso in cima al Palazzo Caligola» (1827) o «Puteale di Pompei» (1830 ca.), la mostra al m.a.x. di Chiasso documenta le varie fasi del lavoro dell’artista che, partito dalla «visionarietà» tipica di Giovan Battista Piranesi, approda a una cultura dell’antico aperta alle prime espressioni del Romanticismo e del Pittoresco. Lungo il percorso ci sono anche una sezione libraria contenente i preziosi in folio e la collezione di gemme antiche e impronte in ceralacca, ma ciò che cattura lo sguardo del visitatore sono soprattutto le fantasie architettoniche acquerellate e le splendide incisioni (in alcuni casi addirittura editio princeps), realizzate dagli anni Venti agli anni Cinquanta dell’Ottocento.
Nato a Ravenna nel 1790 da «famiglia oscura ma onestissima» originaria di Lugo di Romagna, Luigi Rossini studia all’Accademia di Bologna ed ha come maestri Leandro Marconi nell'ornato e il celebre Giovanni Antonio Antolini nell'architettura. Nel 1813 viene insignito del «Premio del regno Italico», poi ottiene l'alunnato all'Accademia italiana di palazzo Venezia a Roma. Data al 1817 una prima serie di cinquanta «prospettive di Roma incise a contorno, e colorate», stampata con il nome di Giovanni Rossini. Segue la pubblicazione, tra il 1823 e il 1829, della serie «Le antichità romane», ben centouno vedute dell'Urbe che inaugurano la ricca produzione grafica dell’artista dedicata alla Città eterna e riunita nelle raccolte «Le antichità dei contorni di Roma» (1826-'29), «I sette colli» (1829), «Le porte antiche e moderne» (1829) e «I monumenti più interessanti» (1830). Si tratta di lavori che portano serenità economica a Luigi Rossini, dopo gli anni giovanili di ristrettezze, tanto è vero che lo stesso artista in una lettera del 1830 a Carlo Emanuele Muzzarelli, pubblicata a Torino nel 1853 da Diamillo Müller nelle «Biografie autografe e inedite di illustri italiani di questo secolo», si definisce «ben agiato e contento».
Seguono le lastre «Archi trionfali, onorarii e funebri» (1836), «Viaggio pittoresco da Roma a Napoli» (1839), «Scenografia degl'interni delle più belle chiese e basiliche antiche» (1839-'43), «Scenografia di Roma moderna» (1850) e «I principali fori di Roma antica» (1850): un ricco gruppo di opere che racconta la Città eterna come meta turistica e che, finalmente, con questa mostra in Svizzera, nel vicino Canton Ticino, ottiene la giusta consacrazione.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Luigi Rossini, Disegno preparatorio - Parte del foro romano e monte Capitolino col tempio di Giove, 1827-1829, acquarello; [fig. 2] Luigi Rossini, Il Monte Capitolino e parte del Foro Romano coll’incendio nel Tempio di Giove Capitolino e col saccheggio dato da Genserico a Roma, 1827, matita e inchiostro color seppia acquerellato su carta vergata con cornice riquadrata, 60,5 x 83 cm, Collezione privata; [fig. 3] Luigi Rossini, Schizzo di Piazza Navona o Circo Agonale col Mercato, 1839, penna e acquerello color seppia su carta vergata, 45 x 64,5 cm, Courtesy Gian Enzo Sperone Switzerland; [fig. 4] Luigi Rossini, Puteale in Pompei, senza data (ca. 1830), matita e inchiostro color seppia acquerellato su carta vergata, 46 x 57,5 cm, Collezione privata

Informazioni utili
«Luigi Rossini (1790-1857), incisore. Il viaggio segreto». m.a.x. museo, via Dante Alighieri, 4 -  Chiasso (Svizzera). Orari: martedì-domenica, ore 10.00-12.00 e ore 15.00-18.00; lunedì chiuso. Intero: ChF 10; ridotto ChF 7. Informazioni: tel. +41.91.6825656 o info@maxmuseo.ch. Sito internet: www.maxmuseo.ch. Fino al 4 maggio 2014. 

mercoledì 16 aprile 2014

Da Palazzo Ducale a Ca’ Pesaro: è Venezia la città italiana più presente nel Google Art Project


È Venezia la città italiana più presente nel Art Poject di Google, la piattaforma sviluppata per preservare e ammirare on-line le opere d'arte e gli interni dei più importanti musei al mondo.
Dopo la prima fase di collaborazione, che ha visto, nel mese di novembre 2013, il lancio sul portale di oltre centocinquanta opere raccolte in tre gallery dedicate a Ca’ Pesaro, al Correr e al Museo del vetro di Murano, la Fondazione musei civici veneziani propone, da qualche giorno, un viaggio virtuale in altre tre realtà afferenti alla sua rete: Palazzo Ducale, Ca’ Rezzonico e il Centro studi di storia del tessuto e del costume. Trecentosettanta le immagini ad alta definizione inserite sul sito, nato nel febbraio 2011 con l’obiettivo di «democratizzare» l'accesso alla cultura e di promuovere la sua conservazione per le generazioni future.
Di Palazzo Ducale, vero e proprio simbolo millenario della storia, della cultura e dell’arte veneziana, sarà possibile ammirare capolavori straordinari come il celebre affresco di Tiziano raffigurante il «San Cristoforo», l’opera «Nettuno offre a Venezia le ricchezze del mare» di Giambattista Tiepolo, tre meravigliosi lavori di Paolo Veronese che decorano le sale istituzionali dell’edificio -ovvero «Vecchio orientale e giovane donna», «Giunone offre a Venezia il corno dogale» e «L’apoteosi di Venezia»- e, ultimo ma non ultimo, una stupefacente tela di Jacopo e Domenico Tintoretto, «Paradiso», considerata, con i suoi ventidue metri di larghezza per sette metri in altezza, la più grande al mondo.
Navigando tra le opere di Ca’ Rezzonico ci si potrà, invece, immergere nell’atmosfera e nel gusto del Settecento veneziano attraverso le celebri scene di genere di Pietro Longhi, le splendide decorazioni a soffitto «La Nobiltà e la Virtù che abbattono l’ignoranza» e «Il Trionfo di Zefiro e Flora» a firma di Giambattista Tiepolo, e gli affreschi staccati da villa Zianigo, con il suggestivo «Mondo Novo» e le scene della vita di «Pulcinella», realizzati da Giandomenico Tiepolo. Nella gallery on-line sono state inserite anche due magnifiche vedute giovanili del Canaletto: la «Veduta del Rio dei Mendicanti» e il «Canal Grande da Ca’ Balbi verso Rialto».
Di Palazzo Mocenigo a San Stae, recentemente riaperto al pubblico dopo un radicale intervento di restyling, sarà, infine, possibile ammirare le importanti collezioni di rari tessuti e costumi, tra cui originali e sfarzosi abiti del Settecento, di particolare pregio.
Ma le novità non finiscono qui. Per Palazzo Ducale e Ca’ Rezzonico sono state ideate anche due speciali visite virtuali agli straordinari ambienti interni, che consentono di apprezzare ulteriormente la bellezza dei percorsi espositivi delle due sedi, soffermandosi su particolari aspetti o opere come il «Leone marciano andante» del Carpaccio o la veduta del «Canal Grande da Ca’ Balbi verso Rialto» del Canaletto, eccezionalmente disponibili in risoluzione Gigapixel.
Si arricchisce, dunque, di un tassello interessante la sezione italiana del Google Art Project, che vanta già tra i suoi partner le Gallerie degli Uffizi e Palazzo Vecchio a Firenze, i Musei capitolini, il Museo Poldi Pezzoli e il Museo diocesano di Milano, il Museo archeologico di Ferrara, i Musei di Strada nuova a Genova, la Fondazione musei senesi, la Venaria Reale di Torino e Palazzo Grassi a Venezia.
I visitatori della piattaforma Art Project possono sfogliare le opere in base al nome dell'artista, al titolo illustrativo, al tipo di arte, al museo, al paese, alla collezioni e al periodo temporale.
Facebook, Twitter, Google+ e video sono integrati nella piattaforma, consentendo agli utenti di invitare gli amici a vedere e discutere le loro opere preferite.
Tra le altre funzioni a disposizione dei visitatori virtuali, ci sono «Le mie Gallerie» che permettono di salvare viste specifiche delle opere d'arte selezionate e di costruire un proprio museo personale.
I commenti possono essere aggiunti a ogni dipinto e l'intera galleria può essere condivisa con gli amici. Inoltre, la funzione «Confronta» consente di esaminare due opere d'arte «fianco a fianco», nella stessa schermata, per vedere più da vicino come lo stile di un artista si è evoluto nel tempo, collegare le tendenze artistiche, o osservare in profondità due particolari di un’opera.
Google Art Project si qualifica, quindi, come un tool digitale che permette agli utenti collegati da ogni parte del mondo di avvicinarsi alle opere d’arte, ai reperti storici e ai manufatti artistici, con un semplice click, scoprendone i dettagli più nascosti.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Schermata dedicata al Palazzo Ducale di Venezia su Google Art Project; [fig. 2] Carrellata delle opere conservata al Palazzo Ducale di Venezia su Google Art Project; [fig. 3] Street View del Palazzo Ducale di Venezia su Google Art Project; [fig. 4] Dettaglio su Google Art Project dell'opera «Canal  Grande da Ca’ Balbi verso Rialto» del Canaletto, conservata a Ca' Rezzonico di Venezia; [fig. 5] Dettaglio del «Leone marciano andante» del Carpaccio su Google Art Project 

Informazioni utili 
www.google.com/culturalinstitute/project/art-project?hl=it

martedì 15 aprile 2014

Da Torino a Roma, quando l’arte incontra il calcio

L’arte contemporanea incontra il mondo del calcio. Succede a Torino, dove sta prendendo il via il progetto «Invasione di campo», nato dalla partnership tra la Gam e lo Juventus Museum.
In attesa del 2015, quando il capoluogo piemontese sarà Capitale europea dello sport, quattro artisti contemporanei rivisitano gli spazi del museo di via Druento, dove sono raccontati centoquindici anni di storia bianconera attraverso memorabilia di vario genere, come le maglie di grandi leggende del club o i trofei vinti in Italia e all’estero, e nel quale un’installazione multimediale di grande impatto scenografico permette al pubblico di vivere l’emozione di scendere in campo con la propria squadra del cuore.
L’appuntamento espositivo, in programma da venerdì 18 aprile a domenica 27 luglio, nasce nel segno della cosiddetta audience development, ossia con l’intento di mescolare i pubblici per creare una «contaminazione positiva» tra due mondi apparentemente distanti come il calcio e l’arte.
Lo Juventus Museum si trasforma così per la prima volta in uno scenario di sperimentazione artistica contemporanea, grazie alle installazioni site specific di Francesco Barocco, Gianni Caravaggio, Rä di Martino e Sissi, quattro artisti presenti nelle collezioni della Gam e con all’attivo numerose mostre sia in Italia che all’estero.
Grandi disegni, incisioni, xilografie assemblate assieme per tracciare una mappa del corpo, dei suoi movimenti e dei suoi sforzi è quanto propone Sissi per il progetto «Invasione di campo». Con sguardo medico, che si diluisce poi in una dimensione poetica, l’artista mette in mostra una visionarietà anatomica fatta di fasci muscolari, ossa, nervi e vasi sanguigni capaci di tracciare un sconvolgente panorama interiore. Alla fisicità degli atleti guarda anche Rä Di Martino, che espone allo Juventus Museum due scatti fotografici in cui il corpo del calciatore è ripreso nel momento dell’atterraggio, frontale e laterale.
L’«Ercole» di Francesco Barocco è, invece, un altare improvvisato alla divinità della forza sul quale si accatastano gli ex-voto dei giornali sportivi; mentre Gianni Caravaggio presenta un lavoro più spirituale: «una grossa pietra –si legge nella nota stampa- che squarcia il cielo, un rettangolo di paesaggio lacerato dalla forza dirompente di un cuneo di materia. Il campo da gioco è un ritaglio dell’Universo, è lo specchio capovolto del rettangolo verde, un prato stellare dove il vigore e la forza strappano il terreno».
Mentre la Juventus sposa l’arte contemporanea, la AS Roma celebra gli ottantasette anni della sua storia con una mostra alla Factory Pelanda, uno degli spazi espositivi più suggestivi dell’ex Mattatoio di Testaccio. L’esposizione, intitolata «Roma Ti Amo», è organizzata da Arthemisia group, società leader a livello nazionale nell’organizzazione e produzione di grandi mostre d’arte, con il sostegno dell’assessorato alla Politiche giovanili di Roma Capitale.
In uno spazio di oltre milletrecento metri quadrati sono esposti tutti i trofei della società, le maglie storiche, i documenti più significativi e molto altro materiale grazie al quale il tifoso romanista o l’appassionato di calcio potrà rivivere l’intera avventura della squadra giallorossa, da quando nel 1927 la fusione di tre formazioni (Alba-Audace, Fortitudo-ProRoma e Foot Ball Club di Roma) diede vita all'Associazione sportiva Roma. Scorrono così davanti agli occhi del visitatore non solo i trionfi (e le immancabili delusioni) di uno dei club più longevi d'Italia, ma anche i volti dei tanti uomini che hanno fatto la sua storia: Attilio Ferraris IV, il Core de Roma Giacomo Losi, Piedone Manfredini, il fornaretto Amadei, il divino Falcao, Agostino Di Bartolomei, Bruno Conti, il bomber Pruzzo, fino al capitano Francesco Totti.
La mostra -all’interno della quale sono esposte centinaia di prime pagine del «Corriere dello Sport», partner speciale dell’iniziativa espositiva, prossimo a festeggiare i suoi novant’anni- ha anche un’ottima componente di interattività, con schermi e monitor che trasmetteranno partite storiche, interviste, video inediti, racconti tra i più particolari e suggestivi. Non mancano installazioni sensazionali, come il calcio balilla con ‘omìni’ alti più di due metri, suddivisi in due squadre romaniste: una indossa le maglie della rosa attuale, l’altra quelle della celebre «Hall of Fame», composta da grandissimi atleti della storia della squadra come Aldair Nascimento Santos, Amedeo Amadei, Fulvio Bernardini, Marcos Evangelista de Moraes ‘Cafu’, Bruno Conti, Agostino Di Bartolomei, Paulo Roberto Falcao, Giacomo Losi, Roberto Pruzzo, Francesco Rocca, Franco Tancredi, Attilio Ferraris IV, Vincenzo Montella, Sebino Nela e Giuseppe Giannini. Un’occasione, questa, per ricordare divertendosi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Opera di Francesco Barocco per la mostra «Invasione di campo» allo Juventus Museum. Foto: La Presse; [Fig.2] Opera di Rä di Martino per la mostra «Invasione di campo» allo Juventus Museum. Foto: La Presse; [fig. 3] Opera di Sissi per la mostra «Invasione di campo» allo Juventus Museum. Foto: La Presse; [fig. 4] Opera di Gianni Caravaggio per per la mostra «Invasione di campo» allo Juventus Museum. Foto: La Presse; [fig. 5] Scultura Calcio Balilla Franco Tancredi (cm 65x185x40). Opera di Cesare Inzerillo per la mostra «Roma ti amo»; [fig. 6] Brivido Pop, «Magica Erre - la sistina giallorossa», 2014. Alluminio, cm 286x193

Informazioni utili
«Invasione di campo». Juventus Museum, via Druento, 153/42 – Torino. Orari: lunedì-venerdì, ore 10.30-19.00; sabato, domenica e festivi, ore 10.30-19.30; chiuso il martedì. Ingresso: €18,00 museo+stadium tour, € 12,00 solo museo, € 5,00 solo mostra, € 15,00 museo+stadium tour per possessori del biglietto della Gam di Torino; € 10,00 solo museo per possessori del biglietto della Gam di Torino. Informazioni:  juventus.museum@juventus.com. Fino a domenica 27 luglio 2014. 

«Roma ti amo». Factory Pelanda (Ex Mattatoio di Testaccio), piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma. Orari: martedì - venerdì, ore 16.00-22.00, sabato e domenica, ore 10.00-22.00 (la biglietteria chiude un'ora prima); aperture straordinarie: 20 aprile, ore 10.00–22.00, 21 aprile, ore 10.00–22.00, 25 aprile, ore 16.00–22.00, 1° maggio, ore 16.00–22.00, 2 giugno, ore 16.00–22.00, 29 giugno, ore 10.00–22.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto gruppi € 8,00, ridotto bambini € 5,00. Catalogo: 24 Ore Cultura, gruppo Il Sole 24 Ore. Informazioni: tel. 06.98373340. Sito internet:  
www.mostraromatiamo.it  o www.asroma.it/romatiamo. Fino al 20 luglio 2014.

lunedì 14 aprile 2014

«A piccoli passi», scatti della Settimana Santa in Puglia

Il Venerdì santo la Puglia si veste di dolore. La Chiesa ricorda la passione e la morte di Gesù Cristo e, da Foggia a Taranto, è un pullulare di processioni di statue, di cortei di donne velate e di uomini incappucciati, di ali di folla silenziose e commosse, di musiche funebri e solenni suonate dalle bande musicali.
Fede e folklore si mescolano in riti che proseguono fino al giorno di Pasqua: passioni teatrali, pellegrinaggi penitenziali al Sepolcro, processioni per rinnovare la gioia della Resurrezione. A queste tradizioni millenarie che animano la Settimana Santa è dedicato il progetto fotografico «A piccoli passi» firmato da Carlos Solito, fotoreporter e scrittore pugliese che vanta collaborazioni con importanti giornali italiani e che firma il blog «Tachicardia» per la rivista «Vanity Fair». Quarantacinque gli scatti in bianco e nero che compongono il lavoro, in mostra fino a martedì 6 maggio al MuDi - Museo diocesano di Taranto per iniziativa della Oz Film, produttore che ha al proprio attivo collaborazioni per pellicole come «Io non ho paura» di Gabriele Salvatores, «La Terra» di Sergio Rubini, «Il passato è una terra straniera» di Daniele Vicari e la fiction televisiva «Braccialetti rossi».
L’esposizione, patrocinata dall’agenzia regionale per il turismo Puglia Promozione e dalla Società geografica italiana nell’ambito dell’Ente Premio Sele d’Oro Mezzogiorno, racconta le fasi salienti della Settimana Santa, dalla vestizione degli incappucciati, che s’incamminano per il viaggio della penitenza, fino alla fotografia finale di Cristo Risorto. Timidi gesti di fede, sguardi ammirati, veglie e preghiere costruiscono un reportage in bianco e nero carico di pathos che ripercorre le nuance e i chiaroscuri di un neorealismo tutto meridionale.
Fotografia dopo fotografia, il visitatore percorre un viaggio lentissimo, senza tempo: una sorta di Via Crucis che tocca le città di Taranto, Grottaglie, Pulsano, Castellaneta e Francavilla Fontana. Ogni centro, unicum di tradizioni, ha proposto, in sostanza, i tasselli che compongono il puzzle d’insieme per la lettura dei rituali della Settimana Santa in terra pugliese, un momento dell’anno in cui –si legge nella nota stampa- «devoti, addolorate, penitenti, incappucciati rallentano il loro metabolismo, per dedicarsi, anima e corpo, lentamente, a piccoli passi (da qui il titolo della mostra fotografica) al millenario sentimento di fede».
In considerazione della scelta stilistica del suo lavoro, Carlos Solito ha prediletto la bicromia bianco e nero che rende bene quel clima di fede, di devozione e di folklore in bilico tra antico e presente che caratterizza le tradizioni del Sud Italia.
In occasione della rassegna, il nuovo, e già diffuso, settimanale «Credere», diretto da don Antonio Rizzolo, pubblica un reportage all’interno del numero in edicola da giovedì 10 aprile. Un’occasione, questa, per scoprire tutti i segreti di un lavoro che la nota photo editor Giovanna Calvenzi ha descritto con queste parole: «Carlos Solito ci accompagna in un lungo viaggio in bianco e nero, intenso, drammatico, magistralmente composto. Un viaggio nella profondità delle emozioni, nella rappresentazione della spiritualità. Ogni sua immagine è una costruzione di equilibri fatti da forza narrativa e lirica».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2, 3 e 4] Uno scatto del progetto «A piccoli passi» di Carlos Solito

Informazioni utili 
«A piccoli passi». MuDi - Museo diocesano, vico Seminario, 1 - Taranto. Orari: fino al 20 aprile, ore 10.00-12.00 e ore 17.00-21.00; dal 21 aprile al 6 maggio, giovedì, ore 9.30-12.00 e ore 16.30-19.30; sabato e domenica, ore 9-30-12.00. Ingresso libero. Supporto editoriale alla mostra: brochure, totem, striscione microforato, reportage pubblicato sul numero di Credere del 10 aprile 2014. Informazioni: tel. 099.4709636. Sito internet: www.carlossolito.com o www.facebook.com/pages/Carlos-Solito/319205728214357?ref=hl. Fino al 6 maggio 2014. 

venerdì 11 aprile 2014

«Mex Pro», l’arte messicana si mostra a Trieste

L’arte contemporanea del Messico trova casa a Trieste. In occasione del centoquarantesimo anniversario dall’apertura delle prime relazioni diplomatiche tra l’Italia e il Paese sudamericano, l’associazione culturale Gruppo 78 lancia il progetto «Mex Pro». Due i segmenti principali nei quali l’iniziativa espositiva si articola: la mostra «Circa 2000» e l’installazione «2.501 Migrantes» dell’artista Alejandro Santiago.
La prima rassegna -curata da Maria Campitelli, con la collaborazione di Manolop Cocho, Fernando Galvez de Aguinaga e Gerardo Traeguez- porterà ottantasette artisti messicani provenienti dalla collezione di Josè Pinto Mazal nella splendida location delle Scuderie del Castello di Miramare, luogo particolarmente significativo per quanto riguarda le relazioni tra Trieste e il Paese sudamericano relativamente alla vicenda di Massimiliano d'Austria che andò a morire oltre oceano dopo essersi costruito a Chapultepec, nel cuore di Città del Messico, una dimora sul modello della magione friulana.
La collezione di Mazal, composta da una ricca selezione di opere realizzate tra il 1980 e il 2013, si attiene a una pluralità di tendenze. Appaiono, infatti, tutti i generi consacrati, secondo un paradigma messicano che tende di preferenza al racconto complesso, prediligendo in ogni caso un’intensa, debordante figuratività. Si spazia così dal paesaggio al ritratto, dal nudo al realismo sociale, dalla tendenza primitiva a tematiche sacre come il citazionismo arcaico e surreale.
Molti degli artisti che esporranno a Trieste a partire da lunedì 14 aprile, e per tutta la primavera e l’estate, vantano curricula internazionali e hanno frequentato la prestigiosa Scuola nazionale d’arte Esmeralda di Città del Messico. Va detto che su tutte le tendenze artistiche esplose in Europa e approdate, poi, nel Paese latinoamericano, s’inserisce -ineludibile, sotteso o dichiarato- un imprinting tipicamente messicano, un legame con le culture passate, con le civiltà precolombiane degli Aztechi e dei Maya, che incombono con le loro straordinarie vestigia e che parlano di grandezza, di tempi favolosi e di incessante produttività.
Vero e proprio perno portante dell’intera iniziativa triestina, che prevede anche numerosi eventi collaterali, sarà l’installazione «2.501 Migrantes» dell’artista Alejandro Santiago: un popolo di statue di terracotta, delle misure variabili dai 120 ai 180 centimetri, che sarà esposto in piazza Unità d’Italia. L’opera, che sarà poi in mostra anche al Berengo Center di Venezia, evoca il dramma eterno della migrazione dei popoli, di cui lo stesso artista si sentiva di far parte.
Alejandro Santiago fu, infatti, egli stesso migrante (quell'uno aggiunto ai duemilacinquecento lo rappresenta) e, una volta ritornato al suo piccolo paese arroccato sulle montagne, lo trovò spogliato di vita umana. La comunità che lo abitava era andata a vivere negli Stati Uniti per garantire la sopravvivenza ai propri congiunti. Erano rimaste solo le donne, i bambini e i vecchi. Mancavano duemilacinquecento persone all’appello: uomini costretti ad abbandonare la propria terra con il sogno di un futuro migliore. Un vero e proprio esercito della disperazione e, allo stesso tempo, della volontà incrollabile, della speranza.
Le duemilacinquecentouno statue di Alejandro Santiago, con la loro presenza e il loro assordante silenzio, vogliono invitare le persone a prendere coscienza di un problema, come quello della migrazione, che interessa sempre più persone e che la politica sembra incapace di risolvere. Basti pensare ai recenti scandali legati ai luoghi d’accoglienza, dove ci sono conclamati casi di violazione dei diritti umani, o alla difficile situazione che sta vivendo Lampedusa.
Il progetto espositivo sarà corredato da una schiera di eventi collaterali, distribuiti in spazi pubblici come il Museo Revoltella o in gallerie private, e tesi a restituire un’immagine a tutto tondo della cultura messicana, anche in settori come la cucina, la lettura e il cinema. Tra le iniziative più interessanti si segnala la mostra «Rostros de la fiesta», che porterà negli spazi del Castello di Miramare una selezione di maschere messicane provenienti dal museo nazionale della maschera di San Luis. Sono, poi, in programma una rassegna di video-arte alla DoubleRoom Gallery, una mostra di Luciana Esqueda alla Stazione Rogers, una rassegna di Alejandro Echeverria alla Lux Art, un omaggio all’arte grafica messicana e, per chiudere, una personale di German Venegas, che unirà opere di pittura con lavori in vetro e che prevede anche una sezione al Berengo Center for Art and Glass di Venezia. Un omaggio, dunque, a tutto tondo nei confronti di una cultura artistica che affascinerà il pubblico con i suoi colori squillanti e con le sue tematiche esotiche.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Graciela Iturbide, «Un Ángel en el Desierto Plata». Gelatina in B/N. 53,3 x 53,5 cm; [fig. 2]Marco Arce, «Cuento de los pájaros» (polittico di quattro parti), 2003. Olio, cm 58 x 58 x ; [figg. 3 e 4] Alejandro Santiago, installazione «2.501 Migrantes»

Informazioni utili
«Mex Pro. Ponte internazionale di arte contemporanea Italia -Messico».  Trieste, sedi varie. 
Mostre principali: Circa 2000- 90 artisti messicani,Scuderie del Castello di Miramare - Trieste. Orari: tutti i giorni, ore 10.00-18.00. Dal 15 aprile al 15 settembre 2014; 2501 Migrantes - macro installazione di 2500 sculture di terracotta di Alejandro Santiago. Piazza Unità d'Italia, Trieste. Dal 20 novembre 2014.   
Catalogo: disponibile in mostra (edizione trilingue in italiano, spagnolo e inglese). Informazioni: Gruppo78, gruppo78trieste@gmail.com, tel./fax 040.567136, mob. +39.339.8640784. 

giovedì 10 aprile 2014

«All is New in Art», otto lezioni tra arte e nuove tecnologie

È dedicata all’analisi delle prospettive introdotte dalle nuove tecnologie in ambito culturale e imprenditoriale il progetto «All is New in Art», promosso dalla Regione Lazio e dalla Fondazione Pastificio Cerere come piattaforma di partenza per le attività di Cinta - Centro italiano nuove tecnologie e arte, un osservatorio rivolto alle nuove forme di comunicazione e alle novità in campo formativo nei settori della cultura e dell’imprenditoria.
Otto le lezioni in programma, a cura di Marcello Smarrelli, che vedranno al tavolo dei relatori, tra gli altri, Marco Delogu, Pippo Ciorra, Domenico Quaranta, Lorenzo De Rita, Alberto Iacovoni, Massimo Coen Cagli e Luigi Capello.
Ad aprire gli incontri -rivolti a studenti universitari, neolaureati e persone interessate ad ampliare la propria formazione- sarà la conferenza «Osservazione. Per una visione del ritratto in fotografia», in programma giovedì 10 aprile alla Fondazione Pastificio Cerere, realtà nata nel 2004 con l’intento di realizzare e promuovere progetti formativi e programmi di residenze dedicati a giovani artisti e curatori, insieme a un ricco programma di mostre, conferenze, workshop e studio visit.
Marco Delogu, direttore artistico di Fotografia – Festival Internazionale di Roma, parlerà ai presenti di come le nuove tecnologie abbiano modificato il nostro modo di scattare immagini.
In un momento in cui tutti fotografano, ritraggono e si auto-ritraggono, cosa rimane del genere accademico del ritratto, sviluppatosi nella seconda metà dell’Ottocento?: è la domanda che fa da filo conduttore all’incontro, al quale prenderanno parte anche lo storico dell’arte Matteo Lafranconi, la curatrice di mostre Valentina Tanni e il fotografo Alessandro Giuliani.
La lezione, a ingresso gratuito (previa prenotazione), si aprirà con un’introduzione su quei fotografi che sentono il ritratto come esigenza personale, ossia quella di fotografare il conosciuto o indagare il conoscibile: la New York di Leonard Freed, gli americani di Paul Fusco, la famiglia di Bernard Plossu, le maghe di Graciela Iturbide, la gang di Finsbury Park di Don McCullin, il cafè di Anders Petersen, il Central Park di Tod Papageorge e la Sardegna di Pablo Volta.
Questa prima parte sarà indispensabile per contestualizzare e leggere le opere di artisti che, attraverso alcune pratiche nate dall'uso quotidiano delle nuove tecnologie come ad esempio quella dello screenshot, secondo cui si fotografa quanto succede sul monitor– traducono l'attività fotografica coniugandola con il mondo digitale. Saranno, quindi, illustrati gli esempi dell’artista canadese Jon Rafman, con il progetto «The Nine Eyes of Google Street View», e dell’artista greco Miltos Manetas con «BlackBerry Paintings».
Le lezioni -che si articoleranno in laboratori e momenti di approfondimento teorico, i cui video verranno raccolti sul sito www.cintarte.it- proseguiranno con un appuntamento sull’arte contemporanea e l’impresa, a cura di Marcello Smarrelli (giovedì 8 maggio, ore 9); si continuerà, quindi, con un incontro dal titolo «Vitruvio nel XXI secolo: ars utilitas comunicatio» che vedrà Pippo Ciorra, senior curator al Maxxi, parlare delle relazioni tra architettura e nuove tecnologie (giovedì 12 giugno, ore 9). Sarà, poi, la volta di Domenico Quaranta (giovedì 10 luglio, ore 9), docente, critico, curatore e direttore artistico del Link Art Center, che racconterà come gli strumenti dell'information technology si relazionino, dagli anni Sessanta ad oggi, con il mondo dell’arte.
Lorenzo De Rita proporrà, invece, l’incontro «Una tranquilla giornata di lavoro». L’11 settembre, per il direttore del Soon Institute, sarà un giorno come un altro. Andrà al lavoro, aprirà il suo computer, farà telefonate, invierà e-mail, navigherà su internet, farà qualche chiacchierata su Skype, riceverà colleghi e amici e probabilmente s’inventerà qualcosa di nuovo. Ma, a differenza degli altri giorni, Lorenzo De Rita farà tutto questo non nella stanza del suo studio di Amsterdam, ma di fronte alla platea di «All is New in Art». Un’occasione unica, questo incontro, per capire dall’interno il mondo della comunicazione e dei new media e conoscere come lavora e pensa un inventore con interessi che vanno dall’editoria sperimentale all’educazione innovativa, dalla costruzione di nuove forme di comunicazione all’ideazione di nuovi linguaggi.
Toccherà, quindi, ad Alberto Iacovoni, coordinatore culturale di Ied Roma, raccontare la profonda trasformazione subita dagli oggetti di design con l’evoluzione delle nuove tecnologie nell’incontro «Dalla pietra alla nuvola» (giovedì 9 ottobre, ore 9). Seguirà un incontro con Massimo Coen Cagli sul fundraising culturale (giovedì 13 novembre, ore 9), mente, in chiusura del programma,  Luigi Capello parlerà delle imprese creative (giovedì 11 dicembre, ore 9). Un progetto, dunque, interessante quello della Fondazione Pastificio Cerere per comprendere quali nuove sfide attendono il sistema dell’arte e il mondo della cultura.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1, 2, 3] Fondazione Pastificio Cerere di Roma 

Informazioni utili
«All is New in Art». Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni, 7 - Roma. Ingresso gratuito. Informazioni: Fondazione Pastificio Cerere, via degli Ausoni, 7 - Roma, info@pastificiocerere.it o tel./fax 06.45422960.  
Quando: gli incontri si svolgono il secondo giovedì di ogni mese, da aprile a dicembre, dalle ore 9.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 18.00.
A chi: studenti universitari (è previsto il riconoscimento di crediti formativi per gli studenti del Dipartimento di Storia dell'arte e spettacolo della Sapienza di Roma e dello Ied – Istituto europeo di design di Roma), neolaureati, e tutti coloro che intendono ampliare la propria formazione.
Come: Ogni incontro prevede una classe di 50 persone e sarà possibile prenotarsi fino ad esaurimento posti scrivendo a info@cintarte.it
Social Media: hastag #cintarte e #allisnewinart
fb: Fondazione Pastificio Cerere
tw: @FondCerere
ig: fondazionepastificiocerere
La lezione sarà disponibile, nei giorni successivi sul sito cintarte.it.
Dal 10 aprile all'11 dicembre 2014. 

mercoledì 9 aprile 2014

Torino, Caravaggio va in visita da Ettore Spalletti

Caravaggio arriva a Torino con uno dei suoi più straordinari capolavori e la Galleria d’arte moderna gli riserva un’accoglienza speciale. Da giovedì 10 aprile il percorso espositivo della mostra «Ettore Spalletti Un giorno così bianco, così bianco» sarà arricchita da una celebre opera del maestro seicentesco della luce: la tela «Ragazzo morso dal ramarro», proveniente dalla Fondazione Longhi di Firenze.
Non è la prima volta che il museo piemontese mette in dialogo l’antico con il contemporaneo: negli ultimi cinque anni sono stati accostati, lungo il percorso espositivo, Mario Merz e Antonio Fontanesi, Giorgio Morandi e Fausto Melotti, Antonio Canova e Marina Abramović, Giorgio De Chirico e Pierre-Auguste Renoir.
Il dipinto ad olio del Caravaggio, del quale esiste anche una versione conservata alla National Gallery di Londra, è stato realizzato tra il 1595 e il 1596, e raffigura il dolore sordo e lo spavento di un giovanetto per l’inatteso morso di un ramarro, nascosto tra i fiori, i frutti e gli oggetti della natura morta raffigurata.
La forte contrazione del volto e il rigore plastico del ragazzo dipinto, accostato da alcuni al «David» di Michelangelo, attenuano il tono elegiaco proprio di altre opere giovanili caravaggesche ed evidenziano una maggiore violenza espressiva e mimetica che Mina Gregori collega «con le ricerche sulle reazioni psico-fisiche, sia del riso che del dolore», approfondite in Lombardia nel Cinquecento e sollecitate anche da Leonardo.
Punto di contatto tra l’opera di Michelangelo Merisi e quella di Ettore Spalletti è l’uso dell’elemento luminoso.
Il chiarore diffuso e intenso e le sfumature di bianco, rosa e azzurro che caratterizzano il lavoro del maestro di Cappelle sul Tavo vengono stravolte da una sorta di inversione, un coup de théâtre espositivo che si avvale di un allestimento raccolto e che enfatizza la potenza della luce fuori campo del quadro «Ragazzo morso dal ramarro», proveniente da una finestra chiaramente riflessa sulla caraffa.
La luce come espressione della quiete e della pace interiore che caratterizza l’opera di Ettore Spalletti viene, dunque, contrapposta alla visione del Merisi, per cui l’elemento luministico è un mezzo per esaltare la forza e la drammaticità delle emozioni.
La mostra torinese, parte di un ampio omaggio che coinvolge anche il Maxxi di Roma e il Madre di Napoli, si propone di ricostruire l’atmosfera dello studio del maestro pescarese. L’intento non è quello di riprodurre fisicamente lo spazio in sé quanto di trasmettere la poetica dell’artista ricreando l’energia che si respira in quell’ambiente.
Ettore Spalletti vive emotivamente i suoi luoghi: qui trascorre le sue giornate, e lo studio, al pari della sua casa, è a tutti gli effetti un rifugio protetto, un punto di osservazione privilegiato del mondo circostante, in cui nasce la sua personale riflessione e interpretazione dell’essenza delle cose che lo circondano. È il luogo che accoglie i pensieri da cui nascono le sue opere, fedeli compagne di vita. La convivenza con esse è continua e persistente: non si riduce al momento creativo o al lungo periodo di lavorazione durante il quale l’artista sceglie con cura i materiali, studia e controlla la trasformazione dei pigmenti e l’effetto finale dei colori.
Le opere che popolano lo studio abbracciano un arco temporale molto ampio che va dagli anni ’80 ad oggi, ma convivono armoniosamente abitando lo stesso spazio fisico, in una dimensione temporale sospesa. Sono loro che accolgono l’artista ogni giorno in maniera nuova, inaspettata a seconda delle luci o della collocazione, sempre diversa, con cui vengono disposte nello spazio, in una costante ricerca di ordine e di equilibrio perfetto.
Per ricreare l’atmosfera di queste stanze sono state scelte dalla Gam di Torino venticinque tele, tra le quali sarà possibile vedere un’opera proveniente da una importante collezione privata belga, «Coppa» del 1982, e un disegno a mano libera del 1981, presentato in anteprima nazionale.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Michelangelo Merisi da Caravaggio, «Ragazzo morso dal ramarro», 1595-1596. Olio su tela, cm 65,8 cm × 52,3. Fondazione Longhi, Firenze; [fig. 2]  Ettore Spalletti, «Salle des départs, Garches», 1996. Foto: Attilio Maranzano; [fig. 3] Ettore Spalletti, «Fontana», 2004. Foto: Attilio Maranzano

Informazioni utili 
«Ettore Spalletti Un giorno così bianco, così bianco». Gam, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: centralino, tel. 011 4429518; segreteria, tel. 011 4429595. Sito web: www.gamtorino.it. Fino al 15 giugno 2014.

martedì 8 aprile 2014

Tra totem africani e tarocchi, un viaggio nell’arte di Enrico Prometti

La città di Bergamo e i suoi musei si uniscono in un percorso comune per raccontare il multiforme itinerario artistico di Enrico Prometti (Bergamo, 1945-2008), artista viaggiatore che ha esplorato le culture di alti Paesi, soprattutto delle civiltà Dogon e Tuareg, durante i suoi lunghi viaggi in Africa, dando vita a una ricerca figurativa, unica nel panorama nazionale, che ha attraversato i terreni della pittura, della scultura, della grafica, della realizzazione di gioielli e di oggetti d’uso quotidiano.
L’articolato progetto espositivo, intitolato «Prometti dal mito dalla storia dalla strada», è promosso dall’Accademia Carrara di Belle arti, dalla Fondazione Bergamo nella storia, dalla Fondazione Credito bergamasco e dalla Gamec – Galleria d’arte moderna e contemporanea, in collaborazione con il Museo civico di Scienze naturali «Enrico Caffi». E nasce da un’idea di Maria Grazia Recanati, che si è avvalsa della consulenza di Serena e Vania Prometti e del fondamentale apporto organizzativo di Roberta Marchetti, Rosanna Paccanelli, Angelo Piazzoli, Maria Cristina Rodeschini, Marco Valle e Claudio Visentin.
Il risultato è una mostra diffusa sul territorio, che si propone non solo di ricordare la figura dell’artista bergamasco, ma anche di costruire un percorso di conoscenza e incontro della poetica del viaggio e della cultura africana di cui Enrico Prometti era grande estimatore e conoscitore.
Insofferente ad ogni cristallizzazione intellettuale, l’autore lombardo ha indagato con assoluta libertà le potenzialità della materia e gli sviluppi della ricerca formale contemporanea, senza cedimenti né a facili esotismi né alle mode talora imperanti del mercato, contaminando elementi naturali e artificiali per generare risultati misteriosi, potentemente espressivi nelle loro infinite combinazioni.
Enrico Prometti ha restituito al nostro immaginario un mondo popolato di fantasmi totemici, maternità ancestrali, bestiari fantastici, pianeti colorati, soli e tarocchi. È stato non solo scultore di fervidissima ispirazione, abile pittore e incisore, ma anche autore di affascinanti gioielli e oggetti d’uso come coltelli, maschere e sedie.
Il racconto del suo viaggio artistico prende il via dal Museo storico di Bergamo con una sezione che ospita grandi dipinti, tra i quali una drammatica «Crocefissone», realizzata a collage con frammenti di giornali, diari, disegni e fotografie con visioni dell’Africa e dell’arte rupestre Dogon. Si entra, poi, nel mondo delle grandi sculture fatte con materie naturali (come il legno) o con materiali di riciclo (quali il cartone, la gomma, la plastica); tra di esse colpiscono l’attenzione la serie dei «Pianeti», grandi globi scolpiti in legno di iroko e dipinti, e alcune opere in pietra e tufo.
La sezione etnografica del Museo civico di scienze naturali «Enrico Caffi» -che conserva anche la collezione di reperti africani donata nel 1989 da Aldo Perolari alla città di Bergamo, ordinata nell’attuale allestimento da Walter Barbero in collaborazione con Enrico Prometti- ospita, invece, la «Grande maternità afro». Mentre la Gamec accoglie gioielli realizzati in legno, intarsi d’ambra e madreperla, pietre dure, coltelli-scultura, maschere, ornamenti per il corpo, sedie scolpite e una serie di «Arcani Maggiori», fotolitografie colorate a mano, testimonianza di un interesse per l’elaborazione dei Tarocchi che l’artista ha coltivato per tutta la vita e che rappresenta uno dei risultati più affascinanti della sua produzione.
Contemporaneamente alla mostra, Bergamo ospiterà una serie di eventi collaterali, da un concerto del mediatore museale Dudù Kouate al ciclo di conferenze «Arte, cura, memoria: dialoghi con l’Africa», dal progetto sonoro di Francesco Crovetto a laboratori di fotografia e di scrittura sul tema del viaggio, senza dimenticare la mostra «Punti di vista: l’Africa nello sguardo di Tito e Sandro Spini, Carlo Leidi, Walter Barbero», aperta dal 19 aprile al 18 maggio e promossa dagli Amici del museo storico di Bergamo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Enrico Prometti, «Pianeta bianco», 2005. Legno di iroko intagliato e dipinto, h cm 45. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco; [fig.2] Enrico Prometti, «Tarocchi, Arcani Maggiori: La Papessa, L'Imperatrice, Il Papa, L'Eremita», 1978. Fotolitografie colorate a mano, cm 26 x 16. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco; [fig. 3] Enrico Prometti, «Sedia», anni 2000. Legno, stracci, cm 74x66. © Foto Virgilio Fidanza. Archivio Fondazione Credito Bergamasco

Informazioni utili 
Enrico Prometti (1945-2008). Dal mito dalla storia dalla strada. 
- Museo storico di Bergamo - Convento di San Francesco, piazza Mercato del Fieno 6/a – Bergamo Alta. Orari: martedì-domenica, ore 9.30-13.00 e ore 14.30-18.00; chiuso il lunedì non festivo. Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 035.247116. Sito internet: www.bergamoestoria.it
- Gamec - Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo, via San Tomaso 53 – Bergamo. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-13.00 e ore 15.00-19.00; chiuso lunedì. . Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra. Informazioni: tel. 035.270272. Sito internet: www.gamec.it
- Museo civico di scienze naturali «Enrico Caffi», piazza Cittadella, 10 – Bergamo Alta. Orari: ore 9.00-12.30 e ore 14.30-18.00; sab e festivi 9.00-19.00; chiuso il lunedì. . Ingresso libero: Catalogo: disponibile in mostra.Informazioni: tel. 035.286011. Sito internet:  www.museoscienzebergamo.it
Fino al 2 giugno 2014. 

lunedì 7 aprile 2014

«Solide Senses»: cinque artisti, un pianoforte e il marmo di Carrara. Robot City si presenta al Salone del Mobile

Una mostra come biglietto da visita: è questa la scelta compiuta da Robot City - Italian Art Factory, nuova realtà imprenditoriale creativa nel settore del marmo, guidata da Gualtiero Vanelli, che ha scelto di presentarsi al palcoscenico internazionale del design, durante i giorni del Salone internazionale del mobile di Milano, con il progetto espositivo «Solide Senses».
Quattro grandi protagonisti dell’architettura e della progettazione sono stati invitati a cimentarsi con il marmo di Carrara, per dar vita a oggetti unici, in grado di esaltare le potenzialità espressive e funzionali di questo materiale antico e affascinante che ha reso famoso il territorio apuano sin dai tempi di Michelangelo, traducendolo nella più avanzata contemporaneità, ognuno secondo il proprio stile e linguaggio.
Stefano Boeri, Stefano Giovannoni, Alessandro Mendini e Paolo Ulian, questi i quattro artisti invitati, hanno realizzato appositamente per Robot City- Italian Art Factory una serie di opere inedite in tiratura limitata: preziosi oggetti d’arredo, che fanno dialogare, spesso in modo imprevedibile, forma e funzione, estetica ed ergonomia, tradizione e innovazione.
Stefano Boeri presenta, per esempio, il «Tavolo onda», firmato boeridesign: un monolite in marmo paonazzo, sagomato secondo il disegno da una macchina a controllo numerico, a sostenere un piano in cristallo.
Mentre Alessandro Mendini ha scritto un nuovo capitolo nella storia della sua opera più iconica, la poltrona «Proust» del 1978, realizzata per l’occasione in marmo; il candore e il peso di questo materiale conferiscono all’ oggetto un aspetto iper-realista e un’aura quasi surreale con un tocco di contemporaneità estetica.
Stefano Giovannoni ha, invece, progettato un tavolo in marmo fitomorfo con sedie zoomorfe: «Tree Table». Un oggetto, questo, che unisce funzionalità e dimensione ludica, coniugando l’elemento narrativo e una raffinata e innovativa ingegneria strutturale con lo stile che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Infine, Paolo Ulian ha realizzato, con l’aiuto di Moreno Ratti, due oggetti che ben esprimono la sua poetica basata sull’eco-sostenibilità: «Land», una seduta ottenuta da due lastre piane di marmo tagliate in modo concentrico, e «Comb», un oggetto multifunzionale, panca e libreria componibile.
Ad inaugurare la mostra, nella serata di martedì 8 aprile (a partire dalle ore 20.30 e solo per gli invitati), sarà il concerto-performance «Carrara Idol», che vedrà in scena David Bryan, cofondatore della band Bon Jovi di cui è a tutt’oggi tastierista. L'artista si esibirà in esclusiva suonando alcuni dei suoi brani più famosi con  l'M-Piano, lo straordinario Steinway & Sons a coda intorno al quale è stata creata una silhouette in marmo pregiato che lo contiene interamente.
Accanto al musicista ci sarà una band d’eccezione, formata per l’occasione e composta dal chitarrista Matt O'Ree, dal tastierista Eric Safka, dal batterista John Hummel, dal basso Scott Bennert e dal sassofonista Michael Ghegan.
Il concerto, che sarà introdotto dal gruppo toscano Vice, è la seconda edizione di «Carrara Idol», uno special tour internazionale di sole tre tappe, ideato dallo stesso David Bryan con Gualtiero Vanelli, che è andato in scena a Carrara nel 2012, nella suggestiva scenografia di una cava, e che animerà ora il FuoriSalone di Milano, prima di essere presentato a New York.
L'M-Piano, frutto di una raffinata e innovativa ingegnerizzazione che sfrutta tecnologia all’avanguardia e altissimo artigianato, rimarrà esposto al pubblico in una sala adiacente al percorso espositivo della mostra «Solide Senses», visitabile fino al 13 aprile nella living room dello Spazio Ventura di Milano.

Didascalie delle immagini
 [Figg. 1 e 2]  M-piano; [fig. 3] Alessandro Mendini, rivisitazione in marmo di Carrara della poltrona «Proust» del 1978

Informazioni utili 
«Solide Senses». Opere di Stefano Boeri, Stefano Giovannoni, Alessandro Mendini, Paolo Ulian / «Carrara Idol». Concerto di David Bryan. Ventura Lambrate,  via Giovanni Ventura, 14 (ingresso da via Massimiano, 23 o da via Giovanni Ventura, 6) - Milano. Orari: da martedì 8 a sabato 12 aprile, ore 10.00–20.00; domenica 13 aprile, ore 10.00 – 18.00; giovedì 9 aprile, aperto anche dalle ore 20.00 alle ore 22.00. Ingresso libero. Sito internet: www.venturaprojects.com. Dall' 8 al 13 aprile 2014. 

venerdì 4 aprile 2014

Da Stevenson a Paul Gauguin, quando l’arte incontra la leggenda di Tahiti

Isole incontaminate, spiagge deserte, acque cristalline, natura policroma e una calorosa popolazione locale: l’immagine leggendaria delle Isole di Tahiti come paradiso tropicale, iniziata con i racconti dei primi visitatori europei, è stata rafforzata nei secoli da poeti, pittori, scrittori, balenieri, commercianti, vagabondi, marinai, navigatori, esploratori e registi che contribuirono a diffonderne la fama in tutto il mondo.
L’esploratore Samuel Wallis, dopo aver scoperto l’arcipelago polinesiano, scrisse: «Tutte le donne sono belle e qualcuna di una grande bellezza». Il collega francese Louis Antoine de Bougainville, nel 1771, pubblicò il suo «Viaggio intorno al mondo», nel quale dichiarò: «Credevo di essere trasportato nei giardini dell'Eden»; anche James Cook e Joseph Banks, nei loro diari di viaggio, contribuirono ad alimentare questa visione idilliaca dell’arcipelago.
Robert Louis Stevenson, autore dei celebri libri «L'isola del tesoro» e «Dr Jekyll e Mr Hyde», rimase particolarmente colpito dalla bellezza delle Tuamotu e lo raccontò nel libro «Nei mari del sud» (1890). Mentre l’Arcipelago della Società è protagonista di ben due romanzi dello scrittore americano Herman Melville, che nel 1846 pubblicò «Taipi: uno sguardo alla vita della Polinesia», in parte ispirato a una vicenda personale. L’anno dopo è la volta di «Omoo», nel quale sono molti i riferimenti autobiografici al periodo di prigionia che l'autore trascorse tra gli indigeni polinesiani, a Tahiti e a Moorea. La cultura Maori è, invece, al centro de «Les Immémoriaux» (1907) di Victor Segalen, poeta e medico della Marina che soggiornò a Tahiti e in altre isole della Società.
Hiva Oa è conosciuta anche come l’isola di Paul Gauguin; il pittore francese vi si stabilì dal 1901 al 1903, anno della sua morte, dopo avervi già soggiornato dal 1891 al 1893. Qui l’artista, che aveva deciso di lasciare l’Europa per «vivere in questo luogo d'estasi, di calma e d'arte», realizzò circa settanta dipinti di vario genere, dai ritratti ai nudi, dai paesaggi ai soggetti simbolici ed allegorici.
Nella capitale delle Isole Marchesi, Atuona, è possibile vedere anche la ricostruzione della Maison du jouir, la casa/atelier polinesiana del pittore, con disegni, fotografie, lettere e altri oggetti personali del pittore e copie delle opere più celebri realizzate in quel periodo. Mentre chi fosse interessato a scoprire che cosa l’artista ha lasciato nella successiva generazione di pittori può visitare, al Museo delle Isole di Tahiti e fino al 24 maggio, la mostra «Après Gauguin. La peinture à Tahiti de 1903 aux années 60».
In Polinesia, di fronte alla baia di Ta'a'oa, c’è anche la tomba del pittore francese, sepolto nello stesso luogo di un altro celebre europeo, il cantautore e attore belga Jacques Brel che, spinto dalla sua grande passione per l’aviazione, trascorse in questi luoghi gli ultimi anni della sua vita, dal 1975 al 1978, continuando a comporre nonostante le difficili condizioni di salute.
Gli incomparabili scenari naturali delle Isole di Tahiti hanno ispirato anche numerosi registi e produttori cinematografici, primo fra tutti il tedesco Friedrich Wilhelm Murnau che, dopo diciotto mesi di riprese a Bora Bora, sul Motu Tapu, fece uscire il film «Tabu. Uragano» di Dino De Laurentis, remake dell’omonimo film di John Ford ispirato al romanzo di James Norman Hall e Charles Nordoff. Ma la figura cinematografica più legata alle Isole di Tahiti, dove si tiene anche il Fifo – Festival internazionale del film documentario oceanico, è Marlon Brando che, dopo il film «Gli ammutinati del Bounty» del 1962, decise di acquistare l’isola di Tetiaroa, dove visse fino al 1990. Al grande attore americano è dedicato l’ecoresort The Brando, una serie di lussuosi bungalow integrati tra la foresta. Un arcipelago, quello polinesiano, capace, dunque, di incantare anche l’arte, grazie alle sue ricchezze naturalistiche, ai sui colori favolosi, alla sua «aria -diceva Paul Gauguin- arroventata, ma soffusa, silenziosa».

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Paul Gauguin, «Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo? », olio su tela, 139 x 374,5 cm, 1897, Museum of Fine Arts, Boston; [fig. 2] Paul Gauguin, «Due donne tahitiane», 1891, olio su tela, 69 x 91 cm; Musee d'Orsay, Parigi; [fig. 3] Paul Gauguin, «Primavera sacra», 1894, olio su tela, 73 x 98 cm, Hermitage Museum, San Pietroburgo

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giovedì 3 aprile 2014

Da Ludovico Ariosto a Piero della Francesca, grandi mostre a Reggio Emilia

Reggio Emilia festeggia uno dei suoi figli più illustri. Sarà, infatti, un grande omaggio a Ludovico Ariosto (Reggio Emilia, 8 settembre 1474 – Ferrara, 6 luglio 1533), nel cinquecentoquarantesimo anniversario dalla nascita, a caratterizzare la proposta culturale della città per quest’anno. Cinquanta le istituzioni coinvolte in questo progetto di alta qualità e di notevole valore scientifico, in programma a partire dal prossimo 16 aprile, di cui è ente capofila Palazzo Magnani, dove dal prossimo autunno (dall’11 ottobre al 1° febbraio 2015) si terrà una mostra sullo scrittore emiliano e il suo «Orlando Furioso».
La rassegna, ideata e curata da Sandro Parmeggiani, si pone l’obiettivo di indagare la persistenza della fortuna dell’Ariosto e della sua opera più nota non solo nella letteratura (si pensi all’ammirazione che gli tributò Italo Calvino), ma anche in campi artistici quali la pittura, l’illustrazione, il fumetto e la fotografia, o in discipline come il cinema e il teatro.
Per raccontare come la forza dirompente dell’«Orlando Furioso» continui a influenzare l’immaginario creativo, confermando come quella stupefacente visione del mondo non possa essere consegnata agli archivi del passato, sono stati scelti artisti quali Valerio Adami, Concetto Pozzati, Tullio Pericoli, Emilio Isgrò, Omar Galliani, Lucio Del Pezzo, Elio Marchegiani, Gianluigi Toccafondo, Nino Migliori e Franco Vaccari; mentre i testi in catalogo vedranno la firma di Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni, Gino Ruozzi, Antonio Faeti e di altri studiosi, critici e storici dell’arte e dell’illustrazione coinvolti nell’imponente progetto celebrativo.
Altrettanto rilevante, e impegnativo, si configura l’appuntamento scelto per inaugurare il 2015. Dal 14 marzo al 14 giugno, a Palazzo Magnani sarà, infatti, protagonista la mostra «Piero della Francesca. Il disegno tra arte e scienza», curata da Filippo Camerota, Francesco Paolo Di Teodoro e Luigi Grasselli, coadiuvati da un comitato scientifico nel quale operano anche Piergiorgio Odifreddi, Stefano Casciu, Enrico Maria Davoli, Roberto Marcuccio e Massimo Mussini.
Anche questa rassegna, che prevede un itinerario sul territorio con tappe alla Basilica di San Prospero e in alcune piazza della città, nasce da una coralità di istituzione culturali e vede in prima linea, tra gli altri, l’Università degli studi di Modena, l’Accademia di Belle arti di Bologna, la Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla e la locale Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici.
Spunto del progetto espositivo, che allineerà un centinaio di opere provenienti da prestigiosi musei internazionali e da collezioni private, è il cosiddetto «Reggiano A 41/2», ovvero il codice del «De Prospectiva Pingendi», patrimonio della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia. Il manoscritto, realizzato da un abile copista, presenta una sessantina di notazioni e correzioni a mano di Pietro della Francesca, che nei suoi centodieci fogli lascia anche molti disegni.
Da questo volume, che di fatto inizia la grande esperienza rinascimentale, partono nove sezioni espositive, che analizzano temi quali i principi geometrici, le figure piane, i corpi geometrici, l’architettura, la figura umana, la proiezione delle ombre e l’anamorfosi.
Lungo il percorso, opere originali -tra le quali la «Predella della Pala Griffoni» di Ercole dé Roberti, la «Summa de arithmetica» di Luca Pacioli e il «San Bernardino guarisce un uomo assalito e ferito con una pala» di Pietro Perugino- saranno affiancate da un ampio apparato multimediale, da modellini che consentono di capire con immediatezza gli sviluppi tridimensionali dell’idea di Piero della Francesca.
Nel frattempo, Palazzo Magnani propone, in contemporanea con il festival «Fotografia europea 2014», la mostra «Un secolo di grande fotografia. I capolavori della collezione Fotografis Bank Austria». L’esposizione, curata da Margit Zuckriegl e Walter Guadagnini, allinea centocinquanta immagini selezionate tra le oltre seicento che compongono la collezione della nota banca austriaca, attualmente in comodato d’uso al Museo d’arte moderna di Salisburgo. Si tratta di scatti che ripercorrono la storia della fotografia dalla seconda metà dell’Ottocento alla metà del Novecento attraverso i più grandi interpreti di sempre:Man Ray, Paul Strand, André Kertész, Edward Weston e molti altri. Un appuntamento, questo, davvero imperdibile per tutti coloro che intendono ripercorrere un secolo di arte fotografica attraverso le sue massime espressioni.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Tempesta»: Antonio, «Bradamante Valorosa, [Eroi ed eroine dei romanzi cavallereschi]». Romae, Joannis Orlandi a Pasquino formis, 1597 [Un'opera presente nella mostra su Ludovico Ariosto]; [fig. 2] Michelangelo, «Progetti per la scala del ricetto della Biblioteca Laurenziana, profili di base di colonne e studi di figure», 1525 ca. Matita nera, rossa e penna. Museo Casa Buonarroti, Firenze [un'opera presente nella mostra «Piero della Francesca. Il disegno tra arte e scienza»]; [fig. 3] Man Ray, «Untitled (Gun with Alphabet Squares)», 1924, stampa 1966. © Man Ray Trust [un'opera presenta nella mostra «Un secolo di grande fotografia. I capolavori della collezione Fotografis Bank Austria»] 

Informazioni utili
Fondazione Palazzo Magnani, corso Garibaldi 31 - Reggio Emilia, tel. 0522.44 4446, fax 0522.444436, info@palazzomagnani.it