Leonardo da Vinci ci ha lasciato un tesoro di oltre seimila pagine di quaderni, appunti e semplici fogli sparsi, in cui sono contenuti circa centomila tra schizzi, diagrammi e disegni. Questi lavori testimoniano in modo eccellente la vastità dei suoi interessi e l’inesauribile ricchezza delle sue scoperte. Alla sua opera grafica guarda la mostra «Leonardo, anatomia dei disegni», promossa dalla Biblioteca universitaria di Bologna in occasione del quinto centenario dalla morte dell’artista.
Al Museo di Palazzo Poggi sono esposti fino al prossimo 19 gennaio, per la curatela di Pietro Marani, cinque fondamentali disegni del maestro toscano, tra cui il celeberrimo «Uomo Vitruviano» della Gallerie dell’Accademia di Venezia e il noto «Paesaggio, 5 agosto 1473» degli Uffizi di Firenze.
Questi lavori sono mostrati non in originale ma tramite l'applicativo ISLe, «un artefatto comunicativo digitale elaborato -spiegano dall’ateneo bolognese- per surrogare, indagare, descrivere e comunicare i disegni originali, i loro metodi di rappresentazione e i loro contenuti, riproducendone accuratamente forma, caratteri e aspetto».
Ad elaborare l’applicativo è stato un team del Dipartimento di Architettura dell’Università di Bologna, guidato da Marco Gaiani e Fabrizio Ivan Apollonio, che ha iniziato i suoi studi nel 2010 con l’intento di ideare uno strumento capace di oltrepassare i limiti odierni nella conservazione e comunicazione dei disegni antichi.
Il visitatore ha così modo di vedere i disegni in modo nuovo. ISLe propone, infatti, la trasposizione delle opere in forma digitale come replica fotorealistica tridimensionale interattiva che -raccontano dall’Alma Mater- usa due paradigmi: «disegno come tra le mani» e «mostrare ciò che non vedi ad occhio nudo».
L’applicativo viene presentato su tavoli touchscreen da 55 pollici con risoluzione 4K, conducendo il visitatore in una dimensione virtuale che gli permette di vedere i disegni in 3D, mostrandone i più piccoli particolari.
«ISLe – spiega, a tal proposito, Marco Gaiani - è una soluzione che mira a ricostruire tridimensionalmente l’intera riflettanza spaziale degli artefatti, al fine di assicurare la visualizzazione dinamica multiscala ad alta fedeltà, in modo da rendere apprezzabili non solo i caratteri grafici dell’elaborato (segni e impressione della punta metallica per tracciare i segni), ma anche le ondulazioni e i movimenti della carta, oltre alle criticità conservative del foglio, come la corrosione dovuta all’acidità degli inchiostri. Il principale vantaggio di ISLe quindi è consentire una visualizzazione fedele che non si limita ad una semplice vista ortogonale, ma fornisce la capacità di documentare, visualizzare e analizzare i dettagli fini della superficie. Infine, il sistema è in grado di garantire, sia al semplice visitatore sia allo studioso, la possibilità non solo di vedere apparire i tanti straordinari particolari del disegno, ma anche di poterli collegare agli studi già fatti e arrivare a scoprire caratteri che fino a quel momento non erano stati resi visibili».
Applicare questa idea ai disegni di Leonardo non è certo stato semplice. «Le difficoltà che abbiamo incontrato durante il delicato lavoro di acquisizione sono soprattutto di natura dimensionale», aggiunge Fabrizio Apollonio. «Leonardo -spiega ancora lo studioso- utilizza spesso fogli assai piccoli, ad esempio il celeberrimo «Uomo Vitruviano» è realizzato su un foglio poco più grande di un comune A4, mentre il foglio 117 del Codice Atlantico, raffigurante una «Fortezza a pianta quadrata» è in un inusuale formato trapezoidale. Inoltre Leonardo utilizza un tratto straordinariamente fine, che va oltre il normale limite dell’occhio umano nel percepire i dettagli. In anni di lunga esperienza a contatto con disegni antichi non abbiamo mai riscontrato spessori grafici così sottili».
Le applicazioni multimediali sono accompagnate, oltre che da didascalie illustrative, anche da facsimili dei disegni originali, presentando inoltre il contesto storico e culturale in cui le opere sono nate.
Un’occasione, dunque, in più quella offerta da Bologna per conoscere Leonardo e capire come egli abbia trasferito nella prassi il suo «adunque è necessario figurare e descrivere», costruendo una tecnica per formare sistemi conoscitivi a tutt’oggi ineguagliata.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Disegno di Fabrizio I. Apollonio su originale per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo - Le Gallerie degli Uffizi; [fig. 2] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Studio di proporzioni del corpo umano detto Uomo vitruviano da originali per concessione del Ministero dei beni e le attività culturali e per il Turismo – Gallerie dell’Accademia di Venezia; [fig. 3] Elaborazione creativa tramite applicativo ISLe (InSight Leonardo) di Due mortai che lanciano palle esplosive da originali per concessione della Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Mondadori Portfolio; [fig. 4 e seguenti] Allestimento della mostra Leonardo, anatomia dei disegni
Informazioni utili
«Leonardo, anatomia dei disegni».Museo di Palazzo Poggi, via Zamboni, 33 - Bologna. Orari: dal martedì al venerdì dalle 10 alle 16; sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 18; chiusure 24 e 25 dicembre, 1 gennaio. Ingresso: intero € 5,00, ridotto € 3,00. Informazioni: tel. 051.2099610. Sito web: https://eventi.unibo.it/smamostre-leonardoanatomiadeidisegni/informazioni-per-la-visita. Fino al 19 gennaio 2020
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
venerdì 29 novembre 2019
giovedì 28 novembre 2019
«U.mano», arte e scienza alla Fondazione Golinelli di Bologna
Indicano, benedicono, sorreggono, pregano, toccano, giocano: le mani, elemento di raccordo tra la dimensione del fare e quella del pensare, sono al centro del nuovo progetto espositivo della Fondazione Golinelli di Bologna, ente privato che si occupa in maniera integrata di educazione, formazione e cultura per favorire la crescita intellettuale ed etica dei giovani e dei giovanissimi con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo sostenibile del nostro Paese.
Lo spazio del Centro Arti e Scienze, progettato da Mario Cucinella Architects, è stato trasformato per l’occasione in un tempio classico, omaggio all’insegnamento degli antichi. Al suo interno sono collocate fino al prossimo 9 aprile le opere selezionate da Andrea Zanotti con Silvia Evangelisti, Carlo Fiorini e Stefano Zuffi, in un percorso che spazio dal Rinascimento ai giorni nostri.
«U.Mano», questo il titolo dell’esposizione, si apre con due grandi installazioni centrali, sviluppate a partire dalla digitalizzazione della mano destra del fondatore Marino Golinelli: in una le mani sono chiuse, diventando così emblema della riflessione sulla propria origine e interiorità, nell’altra sono aperte, a rappresentare la nostra voglia di esplorazione e di conoscenza del mondo circostante.
Tra i pezzi storici che è possibile ammirare c’è il «De Symmetria partium in rectis formis humanorum corporum libri» di Albrecht Dürer, un trattato sul disegno della figura umana le cui istruzioni sono state interpretate come uno dei primi algoritmi di arte generativa.
Si potranno anche vedere due atlanti anatomici straordinari -il «De humani corporis fabrica» di Andrea Vesalio e i «Deux Livres de chirurgie» di Ambroise Paré- e le cere di Anna Morandi Manzolini, strumento di conoscenza e di riproduzione mimetica della realtà, ma anche straordinaria opera scultorea del Settecento.
Riannodare i fili della memoria passata permette all’uomo di restare legato alla sua origine e, quindi, di procedere verso il futuro con più certezza. Pertanto, nel percorso della mostra sono collocati anche alcuni dipinti realizzati tra Cinquecento e Seicento: la «Madonna col Bambino» attribuita a Caravaggio, «Giuditta e Oloferne» di Giovan Battista Crespi, «Il Cristo della moneta» di Mattia Preti, la «Madonna col Bambino» di Ludovico Carracci, il «San Giovanni Battista» di Guercino e il «Ritratto di Francesco Arsilli» di Sebastiano del Piombo.
Il Medioevo che lascia definitivamente spazio a nuove e inedite imprese umane coincide con uno spostamento dell’asse antropologico, con l’uomo che diviene progressivamente padrone della propria fortuna.
Il percorso conduce, quindi, il visitatore a un indice puntato verso il cielo, a ricordare il destino di grandezza che attende l'uomo e che è tutto iscritto nel «Giudizio universale» della Cappella Sistina.
Quel dito, reinterpretato da Pistoletto nel «quadro specchiante» che ripropone la «Creazione di Adamo» di Michelangelo nella contemporaneità, indica un’idea della creazione diversa da quella della tradizione antica, in cui il tocco della mano rappresenta l’elemento di raccordo tra Creatore e creato, tra la pura capacità creativa e il mondo delle cose, avviando l’uomo alla conoscenza, invitandolo a sviluppare le proprie potenzialità.
Non manca lungo il percorso espositivo un riferimento a Leonardo da Vinci, di cui si ricordano quest’anno i cinquecento anni dalla morte. La perduta «Battaglia di Anghiari» è restituita al pubblico attraverso sofisticate rielaborazioni digitali di giovanissimi ricercatori.
L’ultimo passo nell’evoluzione della mano conduce a un presente avveniristico, nel quale è protagonista un arto bionico, un’opera di ingegneria avanzata realizzata dai giovani ricercatori di BionIt Labs srl –una delle start-up che operano nell’incubatore-acceleratore G-Factor– che hanno progettato un arto innovativo e adattabile a ogni paziente.
La dimensione del bello e del fruibile si incontrano, dunque, alla Fondazione Golinelli, perché, come afferma il curatore Andrea Zanotti nel suo testo in catalogo: «Le cose che creiamo non possono essere solo utili ma devono anche riflettere quella bellezza senza la quale il genere umano rischia di perdere la sua parte immateriale, la più preziosa: lo spirito».
Informazioni utili
U.mano. Centro Arti e Scienze Golinelli | Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa, 14 – Bologna. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-19.00; sabato e domenica ore 11.00-20.00. Ingresso: 10,00 € intero, 8,00 € ridotto, 10,00 € biglietto attività + visita per bambini e ragazzi (non applicabile riduzione). Catalogo: BUP - Bononia University Press – 24,00 €. Informazioni su: www.mostraumano.it | www.fondazionegolinelli.it. Ufficio stampa: Delos, info@delosrp.it - 02.8052151/335.5204067. Fino al 9 aprile 2020.
Lo spazio del Centro Arti e Scienze, progettato da Mario Cucinella Architects, è stato trasformato per l’occasione in un tempio classico, omaggio all’insegnamento degli antichi. Al suo interno sono collocate fino al prossimo 9 aprile le opere selezionate da Andrea Zanotti con Silvia Evangelisti, Carlo Fiorini e Stefano Zuffi, in un percorso che spazio dal Rinascimento ai giorni nostri.
«U.Mano», questo il titolo dell’esposizione, si apre con due grandi installazioni centrali, sviluppate a partire dalla digitalizzazione della mano destra del fondatore Marino Golinelli: in una le mani sono chiuse, diventando così emblema della riflessione sulla propria origine e interiorità, nell’altra sono aperte, a rappresentare la nostra voglia di esplorazione e di conoscenza del mondo circostante.
Tra i pezzi storici che è possibile ammirare c’è il «De Symmetria partium in rectis formis humanorum corporum libri» di Albrecht Dürer, un trattato sul disegno della figura umana le cui istruzioni sono state interpretate come uno dei primi algoritmi di arte generativa.
Si potranno anche vedere due atlanti anatomici straordinari -il «De humani corporis fabrica» di Andrea Vesalio e i «Deux Livres de chirurgie» di Ambroise Paré- e le cere di Anna Morandi Manzolini, strumento di conoscenza e di riproduzione mimetica della realtà, ma anche straordinaria opera scultorea del Settecento.
Riannodare i fili della memoria passata permette all’uomo di restare legato alla sua origine e, quindi, di procedere verso il futuro con più certezza. Pertanto, nel percorso della mostra sono collocati anche alcuni dipinti realizzati tra Cinquecento e Seicento: la «Madonna col Bambino» attribuita a Caravaggio, «Giuditta e Oloferne» di Giovan Battista Crespi, «Il Cristo della moneta» di Mattia Preti, la «Madonna col Bambino» di Ludovico Carracci, il «San Giovanni Battista» di Guercino e il «Ritratto di Francesco Arsilli» di Sebastiano del Piombo.
Il Medioevo che lascia definitivamente spazio a nuove e inedite imprese umane coincide con uno spostamento dell’asse antropologico, con l’uomo che diviene progressivamente padrone della propria fortuna.
Il percorso conduce, quindi, il visitatore a un indice puntato verso il cielo, a ricordare il destino di grandezza che attende l'uomo e che è tutto iscritto nel «Giudizio universale» della Cappella Sistina.
Quel dito, reinterpretato da Pistoletto nel «quadro specchiante» che ripropone la «Creazione di Adamo» di Michelangelo nella contemporaneità, indica un’idea della creazione diversa da quella della tradizione antica, in cui il tocco della mano rappresenta l’elemento di raccordo tra Creatore e creato, tra la pura capacità creativa e il mondo delle cose, avviando l’uomo alla conoscenza, invitandolo a sviluppare le proprie potenzialità.
Non manca lungo il percorso espositivo un riferimento a Leonardo da Vinci, di cui si ricordano quest’anno i cinquecento anni dalla morte. La perduta «Battaglia di Anghiari» è restituita al pubblico attraverso sofisticate rielaborazioni digitali di giovanissimi ricercatori.
L’ultimo passo nell’evoluzione della mano conduce a un presente avveniristico, nel quale è protagonista un arto bionico, un’opera di ingegneria avanzata realizzata dai giovani ricercatori di BionIt Labs srl –una delle start-up che operano nell’incubatore-acceleratore G-Factor– che hanno progettato un arto innovativo e adattabile a ogni paziente.
La dimensione del bello e del fruibile si incontrano, dunque, alla Fondazione Golinelli, perché, come afferma il curatore Andrea Zanotti nel suo testo in catalogo: «Le cose che creiamo non possono essere solo utili ma devono anche riflettere quella bellezza senza la quale il genere umano rischia di perdere la sua parte immateriale, la più preziosa: lo spirito».
Informazioni utili
U.mano. Centro Arti e Scienze Golinelli | Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa, 14 – Bologna. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00-19.00; sabato e domenica ore 11.00-20.00. Ingresso: 10,00 € intero, 8,00 € ridotto, 10,00 € biglietto attività + visita per bambini e ragazzi (non applicabile riduzione). Catalogo: BUP - Bononia University Press – 24,00 €. Informazioni su: www.mostraumano.it | www.fondazionegolinelli.it. Ufficio stampa: Delos, info@delosrp.it - 02.8052151/335.5204067. Fino al 9 aprile 2020.
mercoledì 27 novembre 2019
«BilBOlbul», Il fumetto racconta lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente»
L'arte può essere un importante veicolo di riflessioni sul nostro presente. Lo prova chiaramente la nuova edizione di BilBOlbul, il festival internazionale di fumetto che dal 29 novembre al 1° dicembre animerà la città di Bologna.
La nuova edizione, la numero tredici, concentra, infatti, la propria attenzione su un tema attuale e di grande interesse come lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente», palesata sotto diverse forme: «la perdita di memoria storica, la disarmonia coi territori che abitiamo o attraversiamo, una crisi generale dell’immaginario che rende difficile pensare al futuro».
Cuore pulsante del festival, organizzato come consuetudine dall’associazione culturale Hamelin, sarà la Biblioteca Salaborsa, dove si potranno anche acquistare alcune delle più interessanti autoproduzioni internazionali e i libri della quattro giorni bolognese, oltre a partecipare ai firmacopie con gli autori. Ma la manifestazione coinvolgerà tutta la città -dal Mambo all’Accademia di Belle arti, passando per Palazzo Fava, l’Alma Mater, la libreria per ragazzi «Giannino Stoppani» e molti altri luoghi-, portando tra le loro sale mostre, incontri, presentazioni di novità editoriali, laboratori per ragazzi, attività dedicate alle scuole.
A firmare il manifesto di questa edizione è il franco-beninese Yvan Alagbé, che ha realizzato per l’occasione una rielaborazione del «Marron inconnu de Saint- Domingue», la statua raffigurante uno schiavo in fuga, che ha deposto a terra l’arma e lancia un richiamo, realizzata dall’architetto Albert Mangonès nel 1967 per celebrare la liberazione di Santo Domingo dai francesi. Per l’artista il concetto di spaesamento passa, infatti, attraverso la questione del colonialismo e delle migrazioni.
Yvan Alagbé sarà protagonista di BilBOlbul anche con due mostre.
All’Accademia di Belle arti si terrà, dal 30 novembre al 20 dicembre, «Una storia dell’amore», che ripercorre l’excursus creativo e politico dell’artista dal realismo spiazzante di «Negri gialli e altre creature immaginarie» (in uscita per Canicola nei giorni del festival), che tratteggia un ritratto profondamente umano della vita di una famiglia di sans-papier africani in Francia, fino alle tavole inedite di «Apocalypse des oiseaux», un libro in lavorazione da otto anni che racconta l’amore con un percorso visivo che attraversa i secoli, i simboli e l’immaginario collettivo, dove compaiono i film di Hollywood, le statuette del Neolitico, i mistici persiani, i drammi di Aristofane, il Vangelo, il Corano, le sculture classiche.
Yvan Alagbé sarà in mostra, dal 30 novembre al 7 dicembre, anche allo Squadro Stamperia Galleria d'arte (via Nazario Sauro, 27), dove esporrà, sotto il titolo di «Eros mostro», una serie di serigrafie che raccontano la storia di una valigia misteriosa dimenticata su un treno, a partire dal racconto inedito pubblicato nell’edizione italiana di «Negri gialli e altre creature immaginarie».
La riflessione sullo spaesamento connota anche il lavoro di Chris Reynolds, uno dei più importanti autori del fumetto contemporaneo, che proprio in occasione di BilBOlbul torna sulle scene, dopo un’assenza durata quasi trent’anni.
La mostra «Giorni nuovi… e migliori?», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre allo Spazio B5 (vicolo Cattani, 5/b), allinea le tavole originali di «Un mondo nuovo», la raccolta dei suoi principali racconti (la cui edizione italiana esce nei giorni del festival per Tunué), che porta il lettore in un mondo simile al nostro ma deformato da un conflitto interplanetario mai narrato direttamente.
Nei giorni di BilBOlBul esce anche «L’età d’oro», un volume prodotto in tiratura limitata da Banana Oil, portale dedicato al fumetto a cura di Matteo Gaspari, che raccoglie cinque racconti inediti di Chris Reynolds e un saggio.
Il concetto di «spaesamento quale condizione costitutiva del presente» sarà raccontato anche da Nora Krug, il cui graphic novel «Heimat» (Einaudi, 2019) è stato accolto dalla critica internazionale come uno dei più importanti libri degli ultimi anni.
Dopo vent'anni negli Stati Uniti, l’autrice è tornata nella sua patria, la Germania, per ricostruire la storia della sua famiglia e il suo ruolo durante il nazismo. Attraverso cimeli, documenti, foto, ha composto un’enciclopedia visiva che traccia il ritratto di una famiglia e insieme quello di una nazione intera, e riflette sulle impronte che la Seconda guerra mondiale ha lasciato su generazioni di persone, nel tentativo di superare il senso di colpa che è insieme personale e collettivo.
Nora Krug sarà protagonista di due mostre: la prima, intitolata appunto «Heimat», si terrà dal 30 novembre al 6 gennaio al Museo internazionale e biblioteca della musica, dove saranno visibili le tavole originali, ma anche le fotografie, i manoscritti, gli oggetti e i documenti che l'artista ha raccolto durante le sue ricerche in Germania. Nelle stesse settimane la Galleria d’arte Portanova12 (via Portanova, 12) ospiterà, invece, una personale dell'artista, che ne ripercorre la carriera a partire dagli esordi.
Negli stessi giorni di BilBOlbul si terrà anche la mostra «Alberto Breccia. Il signore delle immagini», a cura di Daniele Brolli: un grande omaggio al maestro del fumetto seriale e di quello autoriale, amato da intellettuali italiani come Oreste del Buono, Umberto Eco e Fruttero & Lucentini.
Dal 30 novembre al 7 gennaio, negli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (via delle Donzelle, 2) sarà possibile accostarsi al linguaggio di questo grande sperimentatore delle forme, che -si legge nella presentazione- «ha realizzato graphic novel quando ancora non esistevano. Ha usato la china e la pittura, il collage e il fotoritocco e ha vaticinato storie leggendo nella casualità del colore abbandonato ad asciugare sul cartoncino».
Sono circa centocinquanta i lavori selezionati, molti dei quali mai esposti prima, che ripercorrono l'intera carriera dell'artista, dalle illustrazioni per il libro «Il nome della rosa» a quelle per i racconti di Borges, senza dimenticare i riadattamenti delle opere di Edgar Allan Poe.
Il festival darà spazio anche alle giovani generazioni con la mostra «8x15 Quindici anni di fumetto e illustrazione in Accademia», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre, che presenta i lavori di otto studenti e studentesse del Corso di fumetto e illustrazione che sono riusciti a trasformare i loro progetti di tesi in libri pubblicati.
Altro giovane talento in mostra nei giorni del festival sarà Ida Cordaro, che a IGOR Libreria / Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/abc) presenterà, dal 29 novembre al 7 dicembre, il progetto «Lara», incentrata sull’omonimo fumetto d’esordio: un racconto intimo in cui una violenza consumata nello spazio domestico si propaga all’esterno.
Due autrici under 30 sono, poi, le protagoniste della trasformazione dell’albergo «Al Cappello Rosso», quartier generale degli ospiti del festival.
La BBB Room 2019 sarà curata da Mariachiara Di Giorgio, illustratrice per l’infanzia e autrice di «Professione coccodrillo» (Topipittori, 2017), vincitore del Premio Andersen come miglior libro senza parole.
Una seconda camera raccoglierà, invece, le illustrazioni dedicate all’hotel realizzate dagli ospiti dell’edizione 2018, in un set creato ad hoc da Kalina Muhova.
Ricco sarà anche il cartellone di incontri studiato per questa tredicesima edizione di BilBOlbul: un’occasione in più per riflettere su come la crisi che stiamo vivendo, la realtà del nostro presente, sia anche una singolare condizione germinativa, una possibilità straordinaria per l’immaginario degli artisti, chiamati a raccontare il mondo, nostro e loro, con matite, colori e occhi sensibili.
Didascalie delle immagini
[Fig 1] Manifesto di Yvan Alagbé per BilBOlBul; [fig. 2] Yvan Alagbé, Una storia dell'amore; [fig. 3] Yvan Alagbé, «Negri gialli e altre creature immaginarie» ; [fig. 4] Chris Reynolds, cover del libro «Un mondo nuovo»; [fig. 5] Nora Krug, cover del libro «Heimat»; [fig. 6] Nora Krug alla Galleria d’arte Portanova12 di Bologna; [fig. 6] Ida Cordaro, «Lara»
Informazioni utili
BilBOlbul – Festival internazionale del fumetto di Bologna. Informazioni: Hamelin associazione culturale info@bilbolbul.net | 051.233401 | www.bilbolbul.net. Ufficio stampa: Luciana Apicella | m. 335.7534485 | press@bilbolbul.net. Dal 29 novembre al 1° dicembre 2019
La nuova edizione, la numero tredici, concentra, infatti, la propria attenzione su un tema attuale e di grande interesse come lo «spaesamento quale condizione costitutiva del presente», palesata sotto diverse forme: «la perdita di memoria storica, la disarmonia coi territori che abitiamo o attraversiamo, una crisi generale dell’immaginario che rende difficile pensare al futuro».
Cuore pulsante del festival, organizzato come consuetudine dall’associazione culturale Hamelin, sarà la Biblioteca Salaborsa, dove si potranno anche acquistare alcune delle più interessanti autoproduzioni internazionali e i libri della quattro giorni bolognese, oltre a partecipare ai firmacopie con gli autori. Ma la manifestazione coinvolgerà tutta la città -dal Mambo all’Accademia di Belle arti, passando per Palazzo Fava, l’Alma Mater, la libreria per ragazzi «Giannino Stoppani» e molti altri luoghi-, portando tra le loro sale mostre, incontri, presentazioni di novità editoriali, laboratori per ragazzi, attività dedicate alle scuole.
A firmare il manifesto di questa edizione è il franco-beninese Yvan Alagbé, che ha realizzato per l’occasione una rielaborazione del «Marron inconnu de Saint- Domingue», la statua raffigurante uno schiavo in fuga, che ha deposto a terra l’arma e lancia un richiamo, realizzata dall’architetto Albert Mangonès nel 1967 per celebrare la liberazione di Santo Domingo dai francesi. Per l’artista il concetto di spaesamento passa, infatti, attraverso la questione del colonialismo e delle migrazioni.
Yvan Alagbé sarà protagonista di BilBOlbul anche con due mostre.
All’Accademia di Belle arti si terrà, dal 30 novembre al 20 dicembre, «Una storia dell’amore», che ripercorre l’excursus creativo e politico dell’artista dal realismo spiazzante di «Negri gialli e altre creature immaginarie» (in uscita per Canicola nei giorni del festival), che tratteggia un ritratto profondamente umano della vita di una famiglia di sans-papier africani in Francia, fino alle tavole inedite di «Apocalypse des oiseaux», un libro in lavorazione da otto anni che racconta l’amore con un percorso visivo che attraversa i secoli, i simboli e l’immaginario collettivo, dove compaiono i film di Hollywood, le statuette del Neolitico, i mistici persiani, i drammi di Aristofane, il Vangelo, il Corano, le sculture classiche.
Yvan Alagbé sarà in mostra, dal 30 novembre al 7 dicembre, anche allo Squadro Stamperia Galleria d'arte (via Nazario Sauro, 27), dove esporrà, sotto il titolo di «Eros mostro», una serie di serigrafie che raccontano la storia di una valigia misteriosa dimenticata su un treno, a partire dal racconto inedito pubblicato nell’edizione italiana di «Negri gialli e altre creature immaginarie».
La riflessione sullo spaesamento connota anche il lavoro di Chris Reynolds, uno dei più importanti autori del fumetto contemporaneo, che proprio in occasione di BilBOlbul torna sulle scene, dopo un’assenza durata quasi trent’anni.
La mostra «Giorni nuovi… e migliori?», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre allo Spazio B5 (vicolo Cattani, 5/b), allinea le tavole originali di «Un mondo nuovo», la raccolta dei suoi principali racconti (la cui edizione italiana esce nei giorni del festival per Tunué), che porta il lettore in un mondo simile al nostro ma deformato da un conflitto interplanetario mai narrato direttamente.
Nei giorni di BilBOlBul esce anche «L’età d’oro», un volume prodotto in tiratura limitata da Banana Oil, portale dedicato al fumetto a cura di Matteo Gaspari, che raccoglie cinque racconti inediti di Chris Reynolds e un saggio.
Il concetto di «spaesamento quale condizione costitutiva del presente» sarà raccontato anche da Nora Krug, il cui graphic novel «Heimat» (Einaudi, 2019) è stato accolto dalla critica internazionale come uno dei più importanti libri degli ultimi anni.
Dopo vent'anni negli Stati Uniti, l’autrice è tornata nella sua patria, la Germania, per ricostruire la storia della sua famiglia e il suo ruolo durante il nazismo. Attraverso cimeli, documenti, foto, ha composto un’enciclopedia visiva che traccia il ritratto di una famiglia e insieme quello di una nazione intera, e riflette sulle impronte che la Seconda guerra mondiale ha lasciato su generazioni di persone, nel tentativo di superare il senso di colpa che è insieme personale e collettivo.
Nora Krug sarà protagonista di due mostre: la prima, intitolata appunto «Heimat», si terrà dal 30 novembre al 6 gennaio al Museo internazionale e biblioteca della musica, dove saranno visibili le tavole originali, ma anche le fotografie, i manoscritti, gli oggetti e i documenti che l'artista ha raccolto durante le sue ricerche in Germania. Nelle stesse settimane la Galleria d’arte Portanova12 (via Portanova, 12) ospiterà, invece, una personale dell'artista, che ne ripercorre la carriera a partire dagli esordi.
Negli stessi giorni di BilBOlbul si terrà anche la mostra «Alberto Breccia. Il signore delle immagini», a cura di Daniele Brolli: un grande omaggio al maestro del fumetto seriale e di quello autoriale, amato da intellettuali italiani come Oreste del Buono, Umberto Eco e Fruttero & Lucentini.
Dal 30 novembre al 7 gennaio, negli spazi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (via delle Donzelle, 2) sarà possibile accostarsi al linguaggio di questo grande sperimentatore delle forme, che -si legge nella presentazione- «ha realizzato graphic novel quando ancora non esistevano. Ha usato la china e la pittura, il collage e il fotoritocco e ha vaticinato storie leggendo nella casualità del colore abbandonato ad asciugare sul cartoncino».
Sono circa centocinquanta i lavori selezionati, molti dei quali mai esposti prima, che ripercorrono l'intera carriera dell'artista, dalle illustrazioni per il libro «Il nome della rosa» a quelle per i racconti di Borges, senza dimenticare i riadattamenti delle opere di Edgar Allan Poe.
Il festival darà spazio anche alle giovani generazioni con la mostra «8x15 Quindici anni di fumetto e illustrazione in Accademia», in programma dal 30 novembre al 20 dicembre, che presenta i lavori di otto studenti e studentesse del Corso di fumetto e illustrazione che sono riusciti a trasformare i loro progetti di tesi in libri pubblicati.
Altro giovane talento in mostra nei giorni del festival sarà Ida Cordaro, che a IGOR Libreria / Senape Vivaio Urbano (via Santa Croce 10/abc) presenterà, dal 29 novembre al 7 dicembre, il progetto «Lara», incentrata sull’omonimo fumetto d’esordio: un racconto intimo in cui una violenza consumata nello spazio domestico si propaga all’esterno.
Due autrici under 30 sono, poi, le protagoniste della trasformazione dell’albergo «Al Cappello Rosso», quartier generale degli ospiti del festival.
La BBB Room 2019 sarà curata da Mariachiara Di Giorgio, illustratrice per l’infanzia e autrice di «Professione coccodrillo» (Topipittori, 2017), vincitore del Premio Andersen come miglior libro senza parole.
Una seconda camera raccoglierà, invece, le illustrazioni dedicate all’hotel realizzate dagli ospiti dell’edizione 2018, in un set creato ad hoc da Kalina Muhova.
Ricco sarà anche il cartellone di incontri studiato per questa tredicesima edizione di BilBOlbul: un’occasione in più per riflettere su come la crisi che stiamo vivendo, la realtà del nostro presente, sia anche una singolare condizione germinativa, una possibilità straordinaria per l’immaginario degli artisti, chiamati a raccontare il mondo, nostro e loro, con matite, colori e occhi sensibili.
Didascalie delle immagini
[Fig 1] Manifesto di Yvan Alagbé per BilBOlBul; [fig. 2] Yvan Alagbé, Una storia dell'amore; [fig. 3] Yvan Alagbé, «Negri gialli e altre creature immaginarie» ; [fig. 4] Chris Reynolds, cover del libro «Un mondo nuovo»; [fig. 5] Nora Krug, cover del libro «Heimat»; [fig. 6] Nora Krug alla Galleria d’arte Portanova12 di Bologna; [fig. 6] Ida Cordaro, «Lara»
Informazioni utili
BilBOlbul – Festival internazionale del fumetto di Bologna. Informazioni: Hamelin associazione culturale info@bilbolbul.net | 051.233401 | www.bilbolbul.net. Ufficio stampa: Luciana Apicella | m. 335.7534485 | press@bilbolbul.net. Dal 29 novembre al 1° dicembre 2019
martedì 26 novembre 2019
«Resistere e creare», a Genova la danza racconta il «Materiale umano»
Danza, balli della tradizione, teatro, circo, ma anche meditazione, cinema, arti visive, musica e letteratura: il Teatro della Tosse di Genova, nei suoi spazi storici in centro e in quelli nuovi a Voltri, diventa, per dodici giorni, scenario di «Resistere e creare», rassegna internazionale di danza con la direzione artistica di Michela Lucenti e Marina Petrillo.
La quinta edizione, in programma dal 27 novembre all’8 dicembre, ha come sottotitolo «Materiale umano», a sottolineare l’importanza data alle tematiche sociali da parte di alcuni spettacoli in cartellone, a partire dall’atteso «Versus nel nome del padre del figlio e della libertà» della compagnia «Balletto civile», che sarà presentato in forma di primo studio nelle serate di sabato 30 novembre e domenica 1° dicembre.
A tenere a battesimo la rassegna, che si propone di gettare «uno sguardo femminile non remissivo e non compassionevole sul mondo», sarà, nella serata di mercoledì 27 novembre, l’inaugurazione, nel foyer del Teatro della Tosse, della mostra «Sorelle» di Marta Moretto, fotografa genovese che firma anche l’immagine guida di questa edizione di «Resistere e creare». «Rinascita» è il titolo dello scatto selezionato, «emblematico -spiegano gli organizzatori- non solo del femminile e delle relazioni che il femminile porta con sé, ma anche di un tema di urgente attualità: la relazione tra Europa e Africa».
Nella stessa giornata, quella di mercoledì 27 novembre, il festival ospiterà anche il concerto di strumenti ad arco «La pienezza del vuoto», con Corinna Canzian (violino), Riccardo Pes (violoncello) e Valentina Messa (pianoforte).
Il giorno successivo il cartellone si aprirà, invece, con la prima delle tre «Pillole Performative» di Vallebona/Blanchut, in programma anche nelle serate del 30 novembre e del 1° dicembre. Si tratta -raccontano gli organizzatori- di «format brevi di personaggi in movimento ispirati a caratteri della società contemporanea», intitolati «Kris e le conseguenze della Brexit», «Barbie & Ken. Uno spaccato sull’amore di plastica» e «Barbara una bestia vergine».
A seguire è prevista la prima regionale di «Carnet erotico», progetto di Francesca Zaccaria che, con ironia a tratti sottile, a tratti ferina e dissacrante, ci invita a riflettere sull’erotismo attraverso una serie di quadri icastici contraddistinti da connotazioni comiche, grottesche o persino conturbanti.
Il 29 novembre sarà, invece, la volta di una prima nazionale: al teatro di Ponente andrà in scena «Le Marin Perdu» di Natalia Vallebona e Faustino Blanchut, spettacolo selezionato nell’ambito del progetto di residenza artistica «Essere Creativo 2019». La pièce -ispirata al capitolo «Il marinaio perduto», tratto dal libro «L’uomo che scambiò la sua moglie per un cappello» di Oliver Sacks- mette in scena il presente di un uomo perso che fluttua tra i pezzi sparsi del puzzle della sua memoria. Alternando momenti di lucidità ad altri di oblio, il protagonista viaggia senza conoscere né la sua destinazione né il punto di partenza.
Nella stessa giornata si terrà anche una masterclass per under 20 dal titolo «Danza e meditazione studio con i movimenti di Gurdjeff».
Mentre il giorno seguente andrà in scena un appuntamento per i più piccoli: «Granelli», che affronta con il giovane pubblico il tema dell’inquinamento e dell’ecosostenibilità. Si tratta di «una fiaba di circo contemporaneo -si legge nella sinossi- che attraverso l’uso di giocoleria, acrobatica, equilibrismi e clownerie racconta la storia di un bambino, Martino, che scava nel suo immaginario e porta alla luce un castello di sabbia meraviglioso».
La seconda settimana di festival si aprirà con la presentazione del volume «Altri corpi/Nuove Danze» del critico Andrea Porcheddu.
Nella stessa giornata, quella del 2 dicembre, Emanuela Serra sarà in scena con l’anteprima nazionale di «Loose dogs» (repliche in cartellone il 4 e il 6 dicembre): un atto poetico dedicato a chi dissente, che unisce scrittura e parola a una ricerca quotidiana sull’azione danzata e la scomposizione fisica.
Il sipario si aprirà, quindi, nella stessa giornata su Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, protagonisti dello spettacolo «La morte e la fanciulla», che si concentra su tre differenti quadri scenici che raccontano di giovani figure femminili sul crinale di un confine oscuro tra sessualità e fine: «uno musicale – l’omonimo quartetto in re minore di Schubert-, uno fisico -l'essere umano nell'eccellenza delle sue dinamiche-, e uno spirituale-filosofico -il mistero della fine e il suo continuo sguardo su di noi-».
A chiudere la serata del 2 dicembre sarà, in Sala Agorà, la prima nazionale di «Chibani» di Aziz El Youssoufi.
Martedì 3 dicembre «Resistere e creare» si sposterà, quindi, a Casa Paganini con il laboratorio «Body Perfomance Variations». Mentre in Sala Agorà si terrà l’anteprima nazionale dello spettacolo «Frammenti Liquidi», ideato e coreografato da Paolo Rosini, in collaborazione con Chiara Tosti. A seguire, nella stessa giornata, è previsto l’incontro «Materiale Umano», una conversazione condotta da Andrea Porcheddu con Roberto Castello e Michela Lucenti. Chiuderà la programmazione del 3 dicembre la messa in scena, in Sala Aldo Trionfo, di «Mbira», spettacolo di Roberto Castello: un concerto per due danzatrici, due musicisti e un regista che -utilizzando musica, danza e parola- tenta di fare il punto sul complesso rapporto fra la nostra cultura e quella africana.
Mercoledì 4 dicembre ci sarà la prima nazionale di «Her-on l’inizio di qualcosa avviene sempre dopo la morte di qualcos’altro», spettacolo di Giulia Spattini, che si configura come un dialogo solitario tra quello che siamo e quello che potremmo diventare, una lotta alla scoperta della forma nuova.
Il giorno successivo la programmazione prevede gli spettacoli «Impronte» (in replica anche sabato 7 e domenica 8 dicembre) e «Concerto fisico», un solo di Michela Lucenti che racconta la storia di Balletto Civile, compagnia nata all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di Udine.
Nel pomeriggio del 6 dicembre inizierà la selezione per la «Call Resistere e Creare», che continuerà anche nei due giorni successivi. Dei quarantuno progetti arrivati da tutta Italia sono quattordici quelli che verranno presentati nel corso delle tre giornate di lavoro. Tre verranno selezionati per la prossima edizione del festival e riceveranno un sostegno alla produzione di 2000 euro e due settimane di residenza creativa negli spazi del Teatro della Tosse. A valutare i lavori saranno Michela Lucenti, Marina Petrillo e Ivana Folle della Bogliasco Foundation.
Sempre il 6 dicembre ci sarà una masterclass di danza contemporanea over 50 e la proiezione del film «Una gioia segreta», per la regia di Jérôme Cassou, sulla coreografa e danzatrice Nadia Vadori Gauthier.
Sabato 7 dicembre sarà possibile assistere a «Uroboro», di e con Simona Ceccobelli e Sebastian O’Hea Suarez. Lo spettacolo racconta la frenesia nel continuare a correre inseguendo una verità che abbiamo davanti piuttosto che allungare semplicemente la mano, ma anche la nostra testardaggine e il nostro coraggio, il prezioso momento in cui riusciamo finalmente a fermarci.
Seguirà la prima nazionale di «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019. In questo lavoro la compagnia elvetica Linga -fondata a Losanna nel 1992 da Katarzyna Gdaniec e Marco Cantalupo– si ispira alla natura selvaggia, al movimento degli stormi di uccelli, degli sciami di insetti, dei banchi di pesci: formazioni flessibili e fluide in grado di modificare istantaneamente la velocità e la direzione senza perdere coerenza.
A chiudere il programma sarà nella serata di domenica 8 dicembre «Tutto ricomincia, sempre», omaggio all’opera di Vitaliano Marchetto. Tre diversi linguaggi -la danza, l’arte visiva e l’Aikido- si fondono in un parlare comune, in una rappresentazione che prende spunto dalle opere create dallo scultore milanese. Non cambia, dunque, il filo rosso che unisce i vari spettacoli in agenda al festival internazionale genovese: «resistere» per non farsi sedurre dalle pieghe più scontate del contemporaneo e «creare» per tornare all'atto puro, alla dinamica sociale e autentica. La danza racconta così il «materiale umano», l'uomo in relazione con gli altri uomini.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine guida di «Resistere e creare»; [fig. 2] «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019; [fig. 3] «Uroboro», di e con Simona Ceccobelli e Sebastian O’Hea Suarez; [fig. 4] «Granelli»; [fig. 5] «Mbira», spettacolo di Roberto Castello; [fig. 6] «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019; [fig. 7] «Concerto fisico», con Balletto civile
Informazioni utili
Resistere e creare – V edizione. Genova, sedi varie. Ingresso: abbonamento € 60,00, costo dei biglietti singoli e programma su http://www.teatrodellatosse.it/. Informazioni: promozione@teatrodellatosse.it, tel 010.2470793. Ufficio stampa: Davide Bressanin - ufficiostampa@teatrodellatosse.it, resisterecreare@teatrodellatosse.it, elisasirianni@gmail.com. Dal 27 novembre all’8 dicembre 2019
La quinta edizione, in programma dal 27 novembre all’8 dicembre, ha come sottotitolo «Materiale umano», a sottolineare l’importanza data alle tematiche sociali da parte di alcuni spettacoli in cartellone, a partire dall’atteso «Versus nel nome del padre del figlio e della libertà» della compagnia «Balletto civile», che sarà presentato in forma di primo studio nelle serate di sabato 30 novembre e domenica 1° dicembre.
A tenere a battesimo la rassegna, che si propone di gettare «uno sguardo femminile non remissivo e non compassionevole sul mondo», sarà, nella serata di mercoledì 27 novembre, l’inaugurazione, nel foyer del Teatro della Tosse, della mostra «Sorelle» di Marta Moretto, fotografa genovese che firma anche l’immagine guida di questa edizione di «Resistere e creare». «Rinascita» è il titolo dello scatto selezionato, «emblematico -spiegano gli organizzatori- non solo del femminile e delle relazioni che il femminile porta con sé, ma anche di un tema di urgente attualità: la relazione tra Europa e Africa».
Nella stessa giornata, quella di mercoledì 27 novembre, il festival ospiterà anche il concerto di strumenti ad arco «La pienezza del vuoto», con Corinna Canzian (violino), Riccardo Pes (violoncello) e Valentina Messa (pianoforte).
Il giorno successivo il cartellone si aprirà, invece, con la prima delle tre «Pillole Performative» di Vallebona/Blanchut, in programma anche nelle serate del 30 novembre e del 1° dicembre. Si tratta -raccontano gli organizzatori- di «format brevi di personaggi in movimento ispirati a caratteri della società contemporanea», intitolati «Kris e le conseguenze della Brexit», «Barbie & Ken. Uno spaccato sull’amore di plastica» e «Barbara una bestia vergine».
A seguire è prevista la prima regionale di «Carnet erotico», progetto di Francesca Zaccaria che, con ironia a tratti sottile, a tratti ferina e dissacrante, ci invita a riflettere sull’erotismo attraverso una serie di quadri icastici contraddistinti da connotazioni comiche, grottesche o persino conturbanti.
Il 29 novembre sarà, invece, la volta di una prima nazionale: al teatro di Ponente andrà in scena «Le Marin Perdu» di Natalia Vallebona e Faustino Blanchut, spettacolo selezionato nell’ambito del progetto di residenza artistica «Essere Creativo 2019». La pièce -ispirata al capitolo «Il marinaio perduto», tratto dal libro «L’uomo che scambiò la sua moglie per un cappello» di Oliver Sacks- mette in scena il presente di un uomo perso che fluttua tra i pezzi sparsi del puzzle della sua memoria. Alternando momenti di lucidità ad altri di oblio, il protagonista viaggia senza conoscere né la sua destinazione né il punto di partenza.
Nella stessa giornata si terrà anche una masterclass per under 20 dal titolo «Danza e meditazione studio con i movimenti di Gurdjeff».
Mentre il giorno seguente andrà in scena un appuntamento per i più piccoli: «Granelli», che affronta con il giovane pubblico il tema dell’inquinamento e dell’ecosostenibilità. Si tratta di «una fiaba di circo contemporaneo -si legge nella sinossi- che attraverso l’uso di giocoleria, acrobatica, equilibrismi e clownerie racconta la storia di un bambino, Martino, che scava nel suo immaginario e porta alla luce un castello di sabbia meraviglioso».
La seconda settimana di festival si aprirà con la presentazione del volume «Altri corpi/Nuove Danze» del critico Andrea Porcheddu.
Nella stessa giornata, quella del 2 dicembre, Emanuela Serra sarà in scena con l’anteprima nazionale di «Loose dogs» (repliche in cartellone il 4 e il 6 dicembre): un atto poetico dedicato a chi dissente, che unisce scrittura e parola a una ricerca quotidiana sull’azione danzata e la scomposizione fisica.
Il sipario si aprirà, quindi, nella stessa giornata su Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, protagonisti dello spettacolo «La morte e la fanciulla», che si concentra su tre differenti quadri scenici che raccontano di giovani figure femminili sul crinale di un confine oscuro tra sessualità e fine: «uno musicale – l’omonimo quartetto in re minore di Schubert-, uno fisico -l'essere umano nell'eccellenza delle sue dinamiche-, e uno spirituale-filosofico -il mistero della fine e il suo continuo sguardo su di noi-».
A chiudere la serata del 2 dicembre sarà, in Sala Agorà, la prima nazionale di «Chibani» di Aziz El Youssoufi.
Martedì 3 dicembre «Resistere e creare» si sposterà, quindi, a Casa Paganini con il laboratorio «Body Perfomance Variations». Mentre in Sala Agorà si terrà l’anteprima nazionale dello spettacolo «Frammenti Liquidi», ideato e coreografato da Paolo Rosini, in collaborazione con Chiara Tosti. A seguire, nella stessa giornata, è previsto l’incontro «Materiale Umano», una conversazione condotta da Andrea Porcheddu con Roberto Castello e Michela Lucenti. Chiuderà la programmazione del 3 dicembre la messa in scena, in Sala Aldo Trionfo, di «Mbira», spettacolo di Roberto Castello: un concerto per due danzatrici, due musicisti e un regista che -utilizzando musica, danza e parola- tenta di fare il punto sul complesso rapporto fra la nostra cultura e quella africana.
Mercoledì 4 dicembre ci sarà la prima nazionale di «Her-on l’inizio di qualcosa avviene sempre dopo la morte di qualcos’altro», spettacolo di Giulia Spattini, che si configura come un dialogo solitario tra quello che siamo e quello che potremmo diventare, una lotta alla scoperta della forma nuova.
Il giorno successivo la programmazione prevede gli spettacoli «Impronte» (in replica anche sabato 7 e domenica 8 dicembre) e «Concerto fisico», un solo di Michela Lucenti che racconta la storia di Balletto Civile, compagnia nata all’interno dell’ex Ospedale Psichiatrico di Udine.
Nel pomeriggio del 6 dicembre inizierà la selezione per la «Call Resistere e Creare», che continuerà anche nei due giorni successivi. Dei quarantuno progetti arrivati da tutta Italia sono quattordici quelli che verranno presentati nel corso delle tre giornate di lavoro. Tre verranno selezionati per la prossima edizione del festival e riceveranno un sostegno alla produzione di 2000 euro e due settimane di residenza creativa negli spazi del Teatro della Tosse. A valutare i lavori saranno Michela Lucenti, Marina Petrillo e Ivana Folle della Bogliasco Foundation.
Sempre il 6 dicembre ci sarà una masterclass di danza contemporanea over 50 e la proiezione del film «Una gioia segreta», per la regia di Jérôme Cassou, sulla coreografa e danzatrice Nadia Vadori Gauthier.
Sabato 7 dicembre sarà possibile assistere a «Uroboro», di e con Simona Ceccobelli e Sebastian O’Hea Suarez. Lo spettacolo racconta la frenesia nel continuare a correre inseguendo una verità che abbiamo davanti piuttosto che allungare semplicemente la mano, ma anche la nostra testardaggine e il nostro coraggio, il prezioso momento in cui riusciamo finalmente a fermarci.
Seguirà la prima nazionale di «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019. In questo lavoro la compagnia elvetica Linga -fondata a Losanna nel 1992 da Katarzyna Gdaniec e Marco Cantalupo– si ispira alla natura selvaggia, al movimento degli stormi di uccelli, degli sciami di insetti, dei banchi di pesci: formazioni flessibili e fluide in grado di modificare istantaneamente la velocità e la direzione senza perdere coerenza.
A chiudere il programma sarà nella serata di domenica 8 dicembre «Tutto ricomincia, sempre», omaggio all’opera di Vitaliano Marchetto. Tre diversi linguaggi -la danza, l’arte visiva e l’Aikido- si fondono in un parlare comune, in una rappresentazione che prende spunto dalle opere create dallo scultore milanese. Non cambia, dunque, il filo rosso che unisce i vari spettacoli in agenda al festival internazionale genovese: «resistere» per non farsi sedurre dalle pieghe più scontate del contemporaneo e «creare» per tornare all'atto puro, alla dinamica sociale e autentica. La danza racconta così il «materiale umano», l'uomo in relazione con gli altri uomini.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine guida di «Resistere e creare»; [fig. 2] «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019; [fig. 3] «Uroboro», di e con Simona Ceccobelli e Sebastian O’Hea Suarez; [fig. 4] «Granelli»; [fig. 5] «Mbira», spettacolo di Roberto Castello; [fig. 6] «Flow», spettacolo vincitore del Swiss Dance Award 2019; [fig. 7] «Concerto fisico», con Balletto civile
Informazioni utili
Resistere e creare – V edizione. Genova, sedi varie. Ingresso: abbonamento € 60,00, costo dei biglietti singoli e programma su http://www.teatrodellatosse.it/. Informazioni: promozione@teatrodellatosse.it, tel 010.2470793. Ufficio stampa: Davide Bressanin - ufficiostampa@teatrodellatosse.it, resisterecreare@teatrodellatosse.it, elisasirianni@gmail.com. Dal 27 novembre all’8 dicembre 2019
lunedì 25 novembre 2019
«Similiter in pictura», Leonardo e l’arte contemporanea a Mantova
Isabella d’Este era testarda. Voleva a tutti i costi un quadro di Leonardo da Vinci e voleva che quel quadro battesse in bellezza quello di Cecilia Gallerani, «La dama con l’ermellino».
L’occasione arrivò. Stava per nascere un nuovo secolo, il Cinquecento. L’artista fu costretto a fuggire da Milano, appena conquistata dal re di Francia Luigi XII. Mantova gli aprì le porte e la carismatica e acculturata moglie di Francesco II Gonzaga realizzò, in parte, il suo sogno. Posò per il maestro, di profilo e quindi all’antica, nel suo Studiolo.
Di quei giorni rimane uno schizzo preparatorio, un bel disegno a carboncino, sanguigna e pastello giallo, conservato oggi al Louvre di Parigi. È questa l’opera più importante firmata da Leonardo nei suoi soli tre mesi a Mantova, tra il dicembre 1499 e il febbraio o marzo 1500.
Appena poté, infatti, il maestro scappò dalle rive del Mincio alla volta di Venezia, dove era stato invitato per progettare una struttura difensiva contro la minaccia turca.
Quel disegno non si trasformò mai in un ritratto finito, malgrado le continue richieste di Isabella d’Este che inseguì l'artista per tutta Italia con lettere ed emissari.
Lei, la primadonna del Rinascimento, non voleva sentirsi dire di no. Lui era uno spirito troppo libero, perso tra calcoli matematici, pigmenti e invenzioni ingegnose. Non avrebbe mai accettato ordini da quella donna «equalmente et in ogni parte bella», la cui effige è stata consegnata a futura memoria da Andrea Mantegna, Tiziano e molti altri artisti.
Questa storia, degna di un romanzo, è rimasta senza lieto fine, ma è ancora un vanto per Mantova.
A quei tre mesi di Leonardo sul Mincio guarda il programma ideato dalla città lombarda in occasione dei cinquecento anni dalla morte dell’artista toscano.
L'omaggio trova, in questi giorni, forma concreta nella mostra «Similiter in pictura» alla Casa del Mantegna. Il percorso espositivo -progettato da Container Lab Association, con la collaborazione e il coordinamento di Cristina Renso- presenta, attraverso sessanta lavori, la riflessione, l’approfondimento e la rilettura in chiave contemporanea della poliedrica figura del genio vinciano da parte degli artisti Luca Bonfanti, Enzo Rizzo e Togo, rispettivamente accompagnati dalla lettura critica di Matteo Galbiati, Alberto Moioli ed Elena Pontiggia.
Accanto alle opere pittoriche sono esposte trenta riproduzioni di macchine vinciane, realizzate da Giorgio Mascheroni, e installazioni video e touch screen che integrano l’osservazione con contenuti didattici, tra cui merita una segnalazione il filmato «Leonardo racconta ‘Il Cenacolo’», firmato da Maurizio Sangalli con Massimiliano Loizzi, Marco Ballerini, Alberto Patrucco e Alfredo Colina.
Di Leonardo i tre artisti in mostra colgono ciascuno una sfumatura differente e propria.
Luca Bonfanti ne condivide, come sottolinea Matteo Galbiati, la sete di scoperta, un’infaticabile voglia di sperimentazione e ricerca, «una costante curiosità di dover scoprire il ‘funzionare’ del mondo». Nascono così universi surreali e onirici, nei quali il colore si fa «voce narrante» e «il continuo rimpasto delle cromie» diventa «metafora del nostro sentire».
Emblematica in tal senso è l’imponente opera «L’ultima cena» (2015, tecnica mista, acrilico su tela, cm 165x300), che attraverso la croce, il germoglio-spermatozoo, la luce divina, la stanza prospettica svela svariate fonti e suggestioni indagate dall’artista: dalla Bibbia ai Vangeli apocrifi, dai misteri templari alla massoneria, dalla teoria degli Anunnaki fino alla celebre opera leonardesca.
Astratto è anche il linguaggio di Enzo Rizzo, che mette al centro del suo lavoro i temi dell’unità degli opposti, della trasformazione della materia e del divenire dell’essere, oltre a simbologie legate alla vita e alla morte, come ben documenta l’olio «In principio era l’Uno» (2015, olio e resina su tavola, cm 160x100). L’opera, tutta giocata sull’uso del colore blu in una tonalità scelta per la sua forte vibrazione spirituale, è incentrata sul tema dell’unità degli opposti e dell’Uno, il principio primo della manifestazione, in riferimento esplicito al neoplatonismo che influenzò anche Leonardo.
Togo omaggia, invece, il genio vinciano attraverso i temi del volo e dell’acqua, entrambi rielaborati con un segno personalissimo. L’artista sembra così ricercare l’ordine nello spettacolo della natura, lontano dal caos primigenio, restituendolo con colori accesi, propri di un espressionismo mediterraneo che comunica la violenza dei sentimenti, dove il blu fa a gara con il rosso per catturare la luce e il nero diventa il più brillante dei colori. In Togo, come sostiene Pontiggia, «il fantasma vinciano non è altro che un nobile pretesto per un esercizio alto, intenso, e soprattutto autonomo, di pittura».
Per scoprire nel dettaglio tutti i lavori in mostra è stata ideata un’applicazione smartphone interattiva, che permette anche di condividere i contenuti sui social network nell’ottica di promuovere e incentivare la 'viralizzazione' della cultura. Leonardo diventa così nostro contemporaneo, facendoci rileggere con occhi nuovi la sua curiosità, la sua versatilità nei diversi campi del sapere, le sue invenzioni modernissime, le sue visioni utopiche che, nel corso dei secoli, sono diventate realtà.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giorgio Mascheroni, Barca a pale (propulsione a pedali); [fig. 2] Giorgio Mascheroni, Cinque poliedri platonici; [fig. 3] Luca Bonfanti, L'ultima cena, 2015. Tecnica mista, acrilico su tela, cm 165x300; [fig. 4] Enzo Rizzo, In principio era l'Uno, 2015. Olio e resina su tavola, cm 160x100; [fig. 5] Togo, Il sogno si avvera (Per Leonardo), 2016. Olio e acrilico su tela, cm 60x80
Informazioni utili
«Similiter in pictura». Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 – Mantova. Orari: mercoledì-sabato, ore 10-12.30 e ore 14-18.30 | domenica, ore 10-12.30 e ore 14-19 | chiuso il lunedì e il martedì, il 24 e il 25 dicembre 2019, il 1° gennaio 2020 | aperture straordinarie: l’8, il 26, il 31 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020. Ingresso: € 5,00 adulti | € 3,00 ridotto (docenti, militari e forze dell’ordine non in servizio, gruppi di almeno 15 adulti, possessori Mantova Card, gruppi di scolaresche di ogni ordine e grado e possessori della Mantova card junior) | gratuito (under 6, accompagnatori e/o famigliari, membri I.C.O.M., guide turistiche, 1 accompagnatore per gruppo di adulti, max 2 accompagnatori per gruppi scolaresche, giornalisti). Informazioni: Casa del Mantegna, tel. 0376.360506, info@casadelmantegna.it. Sito web: www.casadelmantegna.it. Fino al 6 gennaio 2020
L’occasione arrivò. Stava per nascere un nuovo secolo, il Cinquecento. L’artista fu costretto a fuggire da Milano, appena conquistata dal re di Francia Luigi XII. Mantova gli aprì le porte e la carismatica e acculturata moglie di Francesco II Gonzaga realizzò, in parte, il suo sogno. Posò per il maestro, di profilo e quindi all’antica, nel suo Studiolo.
Di quei giorni rimane uno schizzo preparatorio, un bel disegno a carboncino, sanguigna e pastello giallo, conservato oggi al Louvre di Parigi. È questa l’opera più importante firmata da Leonardo nei suoi soli tre mesi a Mantova, tra il dicembre 1499 e il febbraio o marzo 1500.
Appena poté, infatti, il maestro scappò dalle rive del Mincio alla volta di Venezia, dove era stato invitato per progettare una struttura difensiva contro la minaccia turca.
Quel disegno non si trasformò mai in un ritratto finito, malgrado le continue richieste di Isabella d’Este che inseguì l'artista per tutta Italia con lettere ed emissari.
Lei, la primadonna del Rinascimento, non voleva sentirsi dire di no. Lui era uno spirito troppo libero, perso tra calcoli matematici, pigmenti e invenzioni ingegnose. Non avrebbe mai accettato ordini da quella donna «equalmente et in ogni parte bella», la cui effige è stata consegnata a futura memoria da Andrea Mantegna, Tiziano e molti altri artisti.
Questa storia, degna di un romanzo, è rimasta senza lieto fine, ma è ancora un vanto per Mantova.
A quei tre mesi di Leonardo sul Mincio guarda il programma ideato dalla città lombarda in occasione dei cinquecento anni dalla morte dell’artista toscano.
L'omaggio trova, in questi giorni, forma concreta nella mostra «Similiter in pictura» alla Casa del Mantegna. Il percorso espositivo -progettato da Container Lab Association, con la collaborazione e il coordinamento di Cristina Renso- presenta, attraverso sessanta lavori, la riflessione, l’approfondimento e la rilettura in chiave contemporanea della poliedrica figura del genio vinciano da parte degli artisti Luca Bonfanti, Enzo Rizzo e Togo, rispettivamente accompagnati dalla lettura critica di Matteo Galbiati, Alberto Moioli ed Elena Pontiggia.
Accanto alle opere pittoriche sono esposte trenta riproduzioni di macchine vinciane, realizzate da Giorgio Mascheroni, e installazioni video e touch screen che integrano l’osservazione con contenuti didattici, tra cui merita una segnalazione il filmato «Leonardo racconta ‘Il Cenacolo’», firmato da Maurizio Sangalli con Massimiliano Loizzi, Marco Ballerini, Alberto Patrucco e Alfredo Colina.
Di Leonardo i tre artisti in mostra colgono ciascuno una sfumatura differente e propria.
Luca Bonfanti ne condivide, come sottolinea Matteo Galbiati, la sete di scoperta, un’infaticabile voglia di sperimentazione e ricerca, «una costante curiosità di dover scoprire il ‘funzionare’ del mondo». Nascono così universi surreali e onirici, nei quali il colore si fa «voce narrante» e «il continuo rimpasto delle cromie» diventa «metafora del nostro sentire».
Emblematica in tal senso è l’imponente opera «L’ultima cena» (2015, tecnica mista, acrilico su tela, cm 165x300), che attraverso la croce, il germoglio-spermatozoo, la luce divina, la stanza prospettica svela svariate fonti e suggestioni indagate dall’artista: dalla Bibbia ai Vangeli apocrifi, dai misteri templari alla massoneria, dalla teoria degli Anunnaki fino alla celebre opera leonardesca.
Astratto è anche il linguaggio di Enzo Rizzo, che mette al centro del suo lavoro i temi dell’unità degli opposti, della trasformazione della materia e del divenire dell’essere, oltre a simbologie legate alla vita e alla morte, come ben documenta l’olio «In principio era l’Uno» (2015, olio e resina su tavola, cm 160x100). L’opera, tutta giocata sull’uso del colore blu in una tonalità scelta per la sua forte vibrazione spirituale, è incentrata sul tema dell’unità degli opposti e dell’Uno, il principio primo della manifestazione, in riferimento esplicito al neoplatonismo che influenzò anche Leonardo.
Togo omaggia, invece, il genio vinciano attraverso i temi del volo e dell’acqua, entrambi rielaborati con un segno personalissimo. L’artista sembra così ricercare l’ordine nello spettacolo della natura, lontano dal caos primigenio, restituendolo con colori accesi, propri di un espressionismo mediterraneo che comunica la violenza dei sentimenti, dove il blu fa a gara con il rosso per catturare la luce e il nero diventa il più brillante dei colori. In Togo, come sostiene Pontiggia, «il fantasma vinciano non è altro che un nobile pretesto per un esercizio alto, intenso, e soprattutto autonomo, di pittura».
Per scoprire nel dettaglio tutti i lavori in mostra è stata ideata un’applicazione smartphone interattiva, che permette anche di condividere i contenuti sui social network nell’ottica di promuovere e incentivare la 'viralizzazione' della cultura. Leonardo diventa così nostro contemporaneo, facendoci rileggere con occhi nuovi la sua curiosità, la sua versatilità nei diversi campi del sapere, le sue invenzioni modernissime, le sue visioni utopiche che, nel corso dei secoli, sono diventate realtà.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giorgio Mascheroni, Barca a pale (propulsione a pedali); [fig. 2] Giorgio Mascheroni, Cinque poliedri platonici; [fig. 3] Luca Bonfanti, L'ultima cena, 2015. Tecnica mista, acrilico su tela, cm 165x300; [fig. 4] Enzo Rizzo, In principio era l'Uno, 2015. Olio e resina su tavola, cm 160x100; [fig. 5] Togo, Il sogno si avvera (Per Leonardo), 2016. Olio e acrilico su tela, cm 60x80
Informazioni utili
«Similiter in pictura». Casa del Mantegna, via Acerbi, 47 – Mantova. Orari: mercoledì-sabato, ore 10-12.30 e ore 14-18.30 | domenica, ore 10-12.30 e ore 14-19 | chiuso il lunedì e il martedì, il 24 e il 25 dicembre 2019, il 1° gennaio 2020 | aperture straordinarie: l’8, il 26, il 31 dicembre 2019 e il 6 gennaio 2020. Ingresso: € 5,00 adulti | € 3,00 ridotto (docenti, militari e forze dell’ordine non in servizio, gruppi di almeno 15 adulti, possessori Mantova Card, gruppi di scolaresche di ogni ordine e grado e possessori della Mantova card junior) | gratuito (under 6, accompagnatori e/o famigliari, membri I.C.O.M., guide turistiche, 1 accompagnatore per gruppo di adulti, max 2 accompagnatori per gruppi scolaresche, giornalisti). Informazioni: Casa del Mantegna, tel. 0376.360506, info@casadelmantegna.it. Sito web: www.casadelmantegna.it. Fino al 6 gennaio 2020
venerdì 22 novembre 2019
Dall'India al Perù, a Lucca i grandi reportage di Werner Bischof
Ha raccontato la bellezza degli angoli più lontani del mondo: dall’India al Giappone, dalla Corea all’Indocina, fino ad arrivare a Panama, in Cile e in Perù. Lo svizzero Werner Bischof (Zurigo, 26 aprile 1916 – Trujillo, 16 maggio 1954), il cui nome è legato alla fondazione dell'agenzia internazionale Magnum Photos, è stato uno dei più importanti fotoreporter del Novecento, un vero e proprio maestro del reportage per tanti giovani che, dopo di lui, hanno voluto raccontare il mondo e le persone che lo abitano, il rapporto dell’uomo con la natura e con se stesso.
Centocinque scatti, con immagini che vanno dal 1934 al 1954, ripercorrono la sua parabola creativa nella mostra «Werner Bischof. Classics», allestita negli spazi del Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art, per la curatela di Maurizio Vanni e Alessandro Luigi Perna.
Otto sono le sezioni espositive in cui si articola la rassegna toscana, aperta fino al prossimo 7 gennaio, grazie alla quale è possibile ripercorrere la storia di un uomo e di un fotografo, che è stato instancabile «ricercatore di verità», raffinato «archeologo dei sentimenti umani», attento «narratore dello straordinario quotidiano», «appassionato di vita profonda e vera», esperita e raccontata con grande empatia fino all’incidente mortale in Perù.
La mostra offre anche la possibilità di vedere alcune immagini «scartate» perché ritenute allora prevedibili e prive di originalità –di fatto perché non esaltano la «cronaca di guerra» e sono meno sensazionalistiche–, ma che, poi, aprono all’artista svizzero la porta a riconoscimenti, mostre e pubblicazioni.
Nudi femminili, studi di luce, indagini sulla natura e sulla spirale dei gusci della lumaca, ritratti che mostrano un primordiale interesse per i temi del sociale come «Bambini sordomuti» del 1944 sono i soggetti dei primi scatti, documenti di quanto sia stata fondamentale nella formazione di Werner Bischof l’incontro con Hans Finsler e Alfred Willimann, docenti alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, oggi Zürcher Hochschule der Künste, che gli trasmettono un approccio al mestiere legato alla consapevolezza tecnica, alla continua ricerca, a un atteggiamento etico unito a una disciplinata impostazione professionale.
Nel 1945 la rivista «Du» mette a disposizione del fotografo svizzero un’automobile per girare nei Paesi d’Europa deflagrati dalla Seconda guerra mondiale. Ha inizio così un viaggio che dura tutta la vita: «Da quel momento in poi -racconta l’artista- la mia attenzione si concentrò sul volto dell'essere umano che soffre. Volevo comprendere quale fosse il volto vero del mondo».
Del post-conflitto bellico Werner Bischof racconta i segni di ripresa e ciò che dà speranza all’uomo: il volto sorridente dei bambini, la preghiera e la fede (di cui sono una bella testimonianza le foto «Ex voto di Castel di Sangro» o «L’ultimo libro» della Biblioteca di Montecassino), il tentativo di riprendere una parvenza di vita sociale (come documentano le immagini «Contadini nei pressi di Debracen» o «Locanda nella Puszta»).
Nel 1949 arriva la collaborazione con Magnum Photos. Il primo incarico ufficiale è nel 1951 come inviato in India per documentare la terribile carestia in corso. La sensibilità, il desiderio di aiutare gli altri, la predisposizione a documentare i problemi sociali portano il fotografo a ritrarre la difficile situazione che ha di fronte a sé per informare e sensibilizzare i politici occidentali a fornire aiuti concreti.
Quelle immagini, con madri alla disperata ricerca di cibo e corpi scheletrici riversi sul terreno, arrivano dirette al cuore delle persone e gli valgono importanti riconoscimenti internazionali.
Da questo momento in poi, Bischof non si sente più un reporter, ma -racconta Maurizio Vanni- «un traduttore di coloro che non potevano parlare, che non avevano possibilità di trasmettere la propria condizione e i propri stati d'animo, dando loro voce con immagini che avrebbero sensibilizzato il mondo».
È, poi, la volta del Giappone, dove il fotografo si reca tra il 1951 e il 1952. Nel Sol Levante rimane colpito dalla filosofia di vita dei nipponici, dal loro legame con la natura, dal loro senso di equilibrio dell'immagine, dal rapporto con le iconografie dell'universo. Templi, giardini zen, monaci diventano protagonisti dei suoi scatti, riuniti in uno splendido libro, che gli vale, seppur postumo, il premio Nadar del 1955.
Dello stesso biennio sono le fotografie che raccontano la guerra in Corea e quella in Indocina. Il fotografo si discosta dal concetto di «documentazione sensazionalistica». È più interessato a mostrare le conseguenze emotive, psicologiche e pratiche del conflitto sulla popolazione civile. Vuole essere «un divulgatore di valori e di umanità». Nascono così servizi come quello nel villaggio di pescatori sull'isola giapponese di Kau Sai o quello a Barau, un piccolo villaggio dell’Indocina fuori mano, abitato dalla popolazione Moi, o ancora quello nell’isola di Koje-Do, in Corea del Sud, per documentare il campo di rieducazione delle Nazioni Unite per prigionieri comunisti nordcoreani e cinesi.
Il 1954 è il suo ultimo anno di vita. Werner Bischof è in Sud America. Visita il Messico, Lima, il Cile e il Perù. A Cuzco, il fotografo svizzero produce una serie di «immagini che evidenziano -racconta ancora Maurizio Vanni- la grande sintonia tra uomo e natura, quella sostenibile leggerezza dell'essere che permette di vivere con disinvoltura, di arrivare all'anima delle cose senza pesi sul cuore, di essere veloci, delicati, ma non superficiali».Tra queste immagini c’è lo «scatto perfetto»: «Sulla strada per Cuzco», in cui è ritratto un bambino peruviano che cammina con un grande sacco sulle spalle, mentre suona un flauto.
Poco tempo dopo, il 16 maggio del 1954, l’auto di Werner Bischof, diretta verso una miniera a quattro mila metri sul livello del mare, perde il controllo e precipita nel vuoto. Il fotografo muore. Ma le sue immagini lo rendono eterno. Perché lì dentro c’è tutto e il contrario di tutto: estetica e profondità di pensiero, ricerca e valori etici e morali, stupore e disagio, finito e infinito, bianco e nero, vita e morte. Luce.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Werner Bischof, On the road to Cuzco, near Pisac, Peru, May 1954. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 2] Werner Bischof, Nude, Zurich, Switzerland, 1942. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 3] Werner Bischof, Courtyard of the Meiji shrine, Tokyo, Japan, 1951. © Werner Bischof / Magnum Photos
Informazioni utili
Werner Bischof. Classics. Lucca Center of Contemporary Art, via della Fratta, 36 – Lucca. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 0583.492180, info@luccamuseum.com. Sito internet: www.luccamuseum.com. Ufficio stampa: Ufficio Stampa: simonettacarbone@simocarbone.it - francescadapisa@gmail.com - m.cicchine@luccamuseum.com. Fino al 7 gennaio 2020
Centocinque scatti, con immagini che vanno dal 1934 al 1954, ripercorrono la sua parabola creativa nella mostra «Werner Bischof. Classics», allestita negli spazi del Lu.C.C.A. - Lucca Center of Contemporary Art, per la curatela di Maurizio Vanni e Alessandro Luigi Perna.
Otto sono le sezioni espositive in cui si articola la rassegna toscana, aperta fino al prossimo 7 gennaio, grazie alla quale è possibile ripercorrere la storia di un uomo e di un fotografo, che è stato instancabile «ricercatore di verità», raffinato «archeologo dei sentimenti umani», attento «narratore dello straordinario quotidiano», «appassionato di vita profonda e vera», esperita e raccontata con grande empatia fino all’incidente mortale in Perù.
La mostra offre anche la possibilità di vedere alcune immagini «scartate» perché ritenute allora prevedibili e prive di originalità –di fatto perché non esaltano la «cronaca di guerra» e sono meno sensazionalistiche–, ma che, poi, aprono all’artista svizzero la porta a riconoscimenti, mostre e pubblicazioni.
Nudi femminili, studi di luce, indagini sulla natura e sulla spirale dei gusci della lumaca, ritratti che mostrano un primordiale interesse per i temi del sociale come «Bambini sordomuti» del 1944 sono i soggetti dei primi scatti, documenti di quanto sia stata fondamentale nella formazione di Werner Bischof l’incontro con Hans Finsler e Alfred Willimann, docenti alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, oggi Zürcher Hochschule der Künste, che gli trasmettono un approccio al mestiere legato alla consapevolezza tecnica, alla continua ricerca, a un atteggiamento etico unito a una disciplinata impostazione professionale.
Nel 1945 la rivista «Du» mette a disposizione del fotografo svizzero un’automobile per girare nei Paesi d’Europa deflagrati dalla Seconda guerra mondiale. Ha inizio così un viaggio che dura tutta la vita: «Da quel momento in poi -racconta l’artista- la mia attenzione si concentrò sul volto dell'essere umano che soffre. Volevo comprendere quale fosse il volto vero del mondo».
Del post-conflitto bellico Werner Bischof racconta i segni di ripresa e ciò che dà speranza all’uomo: il volto sorridente dei bambini, la preghiera e la fede (di cui sono una bella testimonianza le foto «Ex voto di Castel di Sangro» o «L’ultimo libro» della Biblioteca di Montecassino), il tentativo di riprendere una parvenza di vita sociale (come documentano le immagini «Contadini nei pressi di Debracen» o «Locanda nella Puszta»).
Nel 1949 arriva la collaborazione con Magnum Photos. Il primo incarico ufficiale è nel 1951 come inviato in India per documentare la terribile carestia in corso. La sensibilità, il desiderio di aiutare gli altri, la predisposizione a documentare i problemi sociali portano il fotografo a ritrarre la difficile situazione che ha di fronte a sé per informare e sensibilizzare i politici occidentali a fornire aiuti concreti.
Quelle immagini, con madri alla disperata ricerca di cibo e corpi scheletrici riversi sul terreno, arrivano dirette al cuore delle persone e gli valgono importanti riconoscimenti internazionali.
Da questo momento in poi, Bischof non si sente più un reporter, ma -racconta Maurizio Vanni- «un traduttore di coloro che non potevano parlare, che non avevano possibilità di trasmettere la propria condizione e i propri stati d'animo, dando loro voce con immagini che avrebbero sensibilizzato il mondo».
È, poi, la volta del Giappone, dove il fotografo si reca tra il 1951 e il 1952. Nel Sol Levante rimane colpito dalla filosofia di vita dei nipponici, dal loro legame con la natura, dal loro senso di equilibrio dell'immagine, dal rapporto con le iconografie dell'universo. Templi, giardini zen, monaci diventano protagonisti dei suoi scatti, riuniti in uno splendido libro, che gli vale, seppur postumo, il premio Nadar del 1955.
Dello stesso biennio sono le fotografie che raccontano la guerra in Corea e quella in Indocina. Il fotografo si discosta dal concetto di «documentazione sensazionalistica». È più interessato a mostrare le conseguenze emotive, psicologiche e pratiche del conflitto sulla popolazione civile. Vuole essere «un divulgatore di valori e di umanità». Nascono così servizi come quello nel villaggio di pescatori sull'isola giapponese di Kau Sai o quello a Barau, un piccolo villaggio dell’Indocina fuori mano, abitato dalla popolazione Moi, o ancora quello nell’isola di Koje-Do, in Corea del Sud, per documentare il campo di rieducazione delle Nazioni Unite per prigionieri comunisti nordcoreani e cinesi.
Il 1954 è il suo ultimo anno di vita. Werner Bischof è in Sud America. Visita il Messico, Lima, il Cile e il Perù. A Cuzco, il fotografo svizzero produce una serie di «immagini che evidenziano -racconta ancora Maurizio Vanni- la grande sintonia tra uomo e natura, quella sostenibile leggerezza dell'essere che permette di vivere con disinvoltura, di arrivare all'anima delle cose senza pesi sul cuore, di essere veloci, delicati, ma non superficiali».Tra queste immagini c’è lo «scatto perfetto»: «Sulla strada per Cuzco», in cui è ritratto un bambino peruviano che cammina con un grande sacco sulle spalle, mentre suona un flauto.
Poco tempo dopo, il 16 maggio del 1954, l’auto di Werner Bischof, diretta verso una miniera a quattro mila metri sul livello del mare, perde il controllo e precipita nel vuoto. Il fotografo muore. Ma le sue immagini lo rendono eterno. Perché lì dentro c’è tutto e il contrario di tutto: estetica e profondità di pensiero, ricerca e valori etici e morali, stupore e disagio, finito e infinito, bianco e nero, vita e morte. Luce.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Werner Bischof, On the road to Cuzco, near Pisac, Peru, May 1954. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 2] Werner Bischof, Nude, Zurich, Switzerland, 1942. © Werner Bischof / Magnum Photos; [fig. 3] Werner Bischof, Courtyard of the Meiji shrine, Tokyo, Japan, 1951. © Werner Bischof / Magnum Photos
Informazioni utili
Werner Bischof. Classics. Lucca Center of Contemporary Art, via della Fratta, 36 – Lucca. Orari: dal martedì alla domenica, ore 10.00-19.00. Ingresso: intero € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 0583.492180, info@luccamuseum.com. Sito internet: www.luccamuseum.com. Ufficio stampa: Ufficio Stampa: simonettacarbone@simocarbone.it - francescadapisa@gmail.com - m.cicchine@luccamuseum.com. Fino al 7 gennaio 2020
giovedì 21 novembre 2019
«Looking for Monna Lisa», a Pavia quattro progetti espositivi per Leonardo
A distanza di cinquecento anni continua ad affascinare pubblico e critica. Il merito è senza dubbio del mistero che la circonda. «La Gioconda», forse il ritratto più celebre al mondo, ci mette, infatti, di fronte a numerosi enigmi. Ma chi è la dama dipinta da Leonardo da Vinci sullo sfondo di un paesaggio enigmatico? Dove siamo? E soprattutto, in che anni è stato realizzato il quadro? Tempo, luogo e soggetto sono ancora incerti, ma le ipotesi non mancano.
Soggiogato dai continui interrogativi sulla Gioconda lo studio milanese di multimedia design Karmachina ha ideato il progetto «Monna Lisa who?», in programma dal prossimo 24 novembre nel suggestivo spazio della chiesa sconsacrata di Santa Maria Gualtieri a Pavia.
L’ambiente narrativo, per la drammaturgia e sceneggiatura di Giuliano Corti e con la colonna sonora di Alberto Modignani, sposa l’ipotesi che l’opera ritragga Isabella D’Aragona, duchessa di Milano alla fine del Quattrocento, che, relegata a Pavia in un esilio dorato quanto infelice, incontrò Leonardo durante il suo soggiorno nella città, datato tra il 1490 e il 1513, dando vita a un sodalizio spirituale fra due anime inquiete.
Le proiezioni, i suoni e la narrazione, uniti all’allestimento progettato da Studio Dune, sono tante componenti di un racconto immersivo, suggestivo e ammaliante, che rielabora digitalmente l’immagine della Gioconda del Louvre, le altre versioni della Monna Lisa sparse per il mondo, nonché i disegni e le opere pittoriche di Leonardo, conservati ai Musei civici di Pavia, spiegando come mai dietro a quel dipinto si possa celare Isabella d’Aragona. La somiglianza del volto con i ritratti della donna, lo sfondo che ricorda altri paesaggi dipinti dell’artista in terra di Lombardia, i simboli degli Sforza, ricamati sull’orlo della scollatura, la foggia della zimarra, che rimanda a un periodo di lutto, sono i tanti indizi che avvalorano questa tesi.
«Monna Lisa who?» è uno dei quattro progetti con cui Pavia celebra, dal 24 novembre al 29 marzo, il quinto centenario dalla morte del genio fiorentino. La città lombarda ha, infatti, ideato una mostra diffusa, che interessa altre tre realtà del territorio: lo Spazio arti contemporanee del Broletto, il Castello visconteo, la piazza del Municipio.
L’articolato progetto espositivo, intitolato «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», porta la firma del critico Valerio Dehò, docente di estetica all’Accademia di belle arti di Bologna, e offre un percorso tra vari generi, dalla pittura alla scultura, dall’installazione ai lavori multimediali, con alcune opere della collezione Carlo Palli e lavori creati per l’occasione.
Dal Concettuale al Fluxus, dalla Poesia visiva alla Neopittura, senza dimenticare la Pop art e il Dadaismo con Marcel Duchamp, sono molte le correnti artistiche contemporanee che hanno guardato alla Gioconda e alla sua riproducibilità. Lo Spazio arti contemporanee del Broletto e il Castello visconteo propongono una selezione di queste riletture: oltre quaranta lavori di trentanove artisti che hanno reinterpretato in chiave contemporanea il capolavoro della Monna Lisa, chi con l’intento di creare continuità, chi rottura.
Il panorama iconografico è, dunque, variegato. Giuseppe Veneziano, per esempio, ha vestito la dama leonardesca con i panni di Frida Kahlo. Gianni Cella l’ha trasformata in una Batwoman in terracotta policroma, con uno splendido abito dalle tonalità oltremare. Stefano Bressani l’ha abbigliata con stoffe di tutti i colori, tramutandola in una sorta di regina di cuori. L’artista concettuale Virginio Rospigliosi, poi, ha creato un corto circuito tra lo spazio interno ed esterno del quadro con l’acrilico su tavola «Frammento del paesaggio retrostante». Gian Marco Montesano si è, invece, concentrato con il suo lavoro sullo storico furto della Gioconda del 1911.
A queste opere, realizzate per l'occasione, se ne affiancano altre, ormai storicizzate, di grande interesse. È il caso del collage «Bijoconde» (1963-1983) di Jean Margat o della «Monna Lisa» (2015) di Fabio de Poli, che presenta una figura oscurata, luttuosa, con richiami espliciti all’opera di Leonardo. Mentre Jiri Kolar, esponente della poesia visuale mitteleuropea, ha inserito l’icona del genio vinciano su una fattura contabile, rivelandone il lato mercantile e lo sfruttamento dell’immagine.
La tecnica del collage è usata anche da Lucia Marcucci, fondatrice del Gruppo 70, che in «Lisa» (1997) ha affiancato ritagli di testi a immagini di donne musulmane e a simboli di fecondità, quasi a volerne riscattare un ruolo. Significativi, poi, sono i due lavori di Vettor Pisani in mostra: «Concerto invisibile di Gino De Dominicis» (2007), in cui la Gioconda diviene una sorta di paradigma del capolavoro che salva dalla mortalità, e «Il ventre della Gioconda» (2007), in cui la dama leonardesca è rappresentata come una mamma con un bambino, una moderna Madonna.
Al Castello visconteo la mostra prosegue con «La visione di Leonardo a Pavia», progetto sviluppato dalla start-up milanese Way Experience, che porta il visitatore nella città rinascimentale, quella vissuta dall'artista tra il 1490 e il 1513. Grazie ai visori Oculus e alla narrazione del giornalista e scrittore Massimo Polidoro, il pubblico è proiettato nelle strade, nei paesaggi e nei luoghi che il maestro vinciano ha visto e vissuto, in quell’ambiente che fu per lui fonte di riflessioni per i suoi studi di anatomia umana, matematica e architettura, ma soprattutto per l'ideazione della Gioconda.
Il percorso si chiude idealmente in piazza Municipio, dove è esposta la giant sculpture in idroresina e marmo (di cinque metri di altezza e quattro di diametro) realizzata dagli artisti Eleonora Francioni e Antonio Mastromarino, raffigurante il genio vinciano in età senile.
Un progetto, dunque, interessante e ben articolato quello proposto da Pavia per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo, che focalizza l’attenzione su quella che è forse la sua opera più celebre: la Gioconda. Un’opera capace ancora oggi di affascinare con il suo sorriso misterioso ed enigmatico. Un’opera di cui Giorgio Vasari scrisse: «era una cosa più divina che umana a guardare».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Frame del video; [fig. 2] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Frame del video; [fig. 3] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Render del progetto; [fig. 4] Stefano Bressani, Giokonda, 2019. Sculture vestite-scultura e stoffe di abbigliamento, cm 135x115x15; [fig. 5] Fabio De Poli, Monnalisa, 2015. Acrilici su legno sagomato in cassetta di legno, cm 36x28x10, collezione Carlo Palli, Prato; [fig. 6] Gianni Cella, Bat Lisa, 2019. Terracotta policroma, cm 45x25x25, Proprietà dell'artista; [fig. 7]Eleonora Francioni e Antonio Mastromarino, Leonardo, 2012. Idroresina e marmo, cm 580x400x380
Informazioni utili
«Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop». Sedi Castello Visconteo (piazza Castello), Spazio arti contemporanee del Broletto (piazza della Vittoria), Santa Maria Gualtieri (piazza della Vittoria), piazza del Municipio. Ingresso: intero € 15,00 |ridotto (under 26, over 65 e gruppi di minimo 15 massimo 30 persone) € 10,00 | ridotto scuole e under 18 € 5,00 |gratuito under 6, possessori Abbonamento Musei Lombardia Milano, soci ICOM, guide turistiche e giornalisti dotati di tesserino professionale, disabili con un accompagnatore | La biglietteria unica è ubicata allo Spazio SaperePavia del Broletto in Piazza della Vittoria, aperto tutti i giorni di apertura della mostra fino alle ore 16.45. Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo. Informazioni: leonardopavia@comune.pv.it – mob. +39.331.6422303. Sito internet: www.vivipavia.it. Ufficio stampa: info@irmabianchi.it | francescamasci@andstudio.it | andreapilastro@andstudio.it. Dal 24 novembre 2019 al 29 marzo 2020.
Soggiogato dai continui interrogativi sulla Gioconda lo studio milanese di multimedia design Karmachina ha ideato il progetto «Monna Lisa who?», in programma dal prossimo 24 novembre nel suggestivo spazio della chiesa sconsacrata di Santa Maria Gualtieri a Pavia.
L’ambiente narrativo, per la drammaturgia e sceneggiatura di Giuliano Corti e con la colonna sonora di Alberto Modignani, sposa l’ipotesi che l’opera ritragga Isabella D’Aragona, duchessa di Milano alla fine del Quattrocento, che, relegata a Pavia in un esilio dorato quanto infelice, incontrò Leonardo durante il suo soggiorno nella città, datato tra il 1490 e il 1513, dando vita a un sodalizio spirituale fra due anime inquiete.
Le proiezioni, i suoni e la narrazione, uniti all’allestimento progettato da Studio Dune, sono tante componenti di un racconto immersivo, suggestivo e ammaliante, che rielabora digitalmente l’immagine della Gioconda del Louvre, le altre versioni della Monna Lisa sparse per il mondo, nonché i disegni e le opere pittoriche di Leonardo, conservati ai Musei civici di Pavia, spiegando come mai dietro a quel dipinto si possa celare Isabella d’Aragona. La somiglianza del volto con i ritratti della donna, lo sfondo che ricorda altri paesaggi dipinti dell’artista in terra di Lombardia, i simboli degli Sforza, ricamati sull’orlo della scollatura, la foggia della zimarra, che rimanda a un periodo di lutto, sono i tanti indizi che avvalorano questa tesi.
«Monna Lisa who?» è uno dei quattro progetti con cui Pavia celebra, dal 24 novembre al 29 marzo, il quinto centenario dalla morte del genio fiorentino. La città lombarda ha, infatti, ideato una mostra diffusa, che interessa altre tre realtà del territorio: lo Spazio arti contemporanee del Broletto, il Castello visconteo, la piazza del Municipio.
L’articolato progetto espositivo, intitolato «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», porta la firma del critico Valerio Dehò, docente di estetica all’Accademia di belle arti di Bologna, e offre un percorso tra vari generi, dalla pittura alla scultura, dall’installazione ai lavori multimediali, con alcune opere della collezione Carlo Palli e lavori creati per l’occasione.
Dal Concettuale al Fluxus, dalla Poesia visiva alla Neopittura, senza dimenticare la Pop art e il Dadaismo con Marcel Duchamp, sono molte le correnti artistiche contemporanee che hanno guardato alla Gioconda e alla sua riproducibilità. Lo Spazio arti contemporanee del Broletto e il Castello visconteo propongono una selezione di queste riletture: oltre quaranta lavori di trentanove artisti che hanno reinterpretato in chiave contemporanea il capolavoro della Monna Lisa, chi con l’intento di creare continuità, chi rottura.
Il panorama iconografico è, dunque, variegato. Giuseppe Veneziano, per esempio, ha vestito la dama leonardesca con i panni di Frida Kahlo. Gianni Cella l’ha trasformata in una Batwoman in terracotta policroma, con uno splendido abito dalle tonalità oltremare. Stefano Bressani l’ha abbigliata con stoffe di tutti i colori, tramutandola in una sorta di regina di cuori. L’artista concettuale Virginio Rospigliosi, poi, ha creato un corto circuito tra lo spazio interno ed esterno del quadro con l’acrilico su tavola «Frammento del paesaggio retrostante». Gian Marco Montesano si è, invece, concentrato con il suo lavoro sullo storico furto della Gioconda del 1911.
A queste opere, realizzate per l'occasione, se ne affiancano altre, ormai storicizzate, di grande interesse. È il caso del collage «Bijoconde» (1963-1983) di Jean Margat o della «Monna Lisa» (2015) di Fabio de Poli, che presenta una figura oscurata, luttuosa, con richiami espliciti all’opera di Leonardo. Mentre Jiri Kolar, esponente della poesia visuale mitteleuropea, ha inserito l’icona del genio vinciano su una fattura contabile, rivelandone il lato mercantile e lo sfruttamento dell’immagine.
La tecnica del collage è usata anche da Lucia Marcucci, fondatrice del Gruppo 70, che in «Lisa» (1997) ha affiancato ritagli di testi a immagini di donne musulmane e a simboli di fecondità, quasi a volerne riscattare un ruolo. Significativi, poi, sono i due lavori di Vettor Pisani in mostra: «Concerto invisibile di Gino De Dominicis» (2007), in cui la Gioconda diviene una sorta di paradigma del capolavoro che salva dalla mortalità, e «Il ventre della Gioconda» (2007), in cui la dama leonardesca è rappresentata come una mamma con un bambino, una moderna Madonna.
Al Castello visconteo la mostra prosegue con «La visione di Leonardo a Pavia», progetto sviluppato dalla start-up milanese Way Experience, che porta il visitatore nella città rinascimentale, quella vissuta dall'artista tra il 1490 e il 1513. Grazie ai visori Oculus e alla narrazione del giornalista e scrittore Massimo Polidoro, il pubblico è proiettato nelle strade, nei paesaggi e nei luoghi che il maestro vinciano ha visto e vissuto, in quell’ambiente che fu per lui fonte di riflessioni per i suoi studi di anatomia umana, matematica e architettura, ma soprattutto per l'ideazione della Gioconda.
Il percorso si chiude idealmente in piazza Municipio, dove è esposta la giant sculpture in idroresina e marmo (di cinque metri di altezza e quattro di diametro) realizzata dagli artisti Eleonora Francioni e Antonio Mastromarino, raffigurante il genio vinciano in età senile.
Un progetto, dunque, interessante e ben articolato quello proposto da Pavia per i cinquecento anni dalla morte di Leonardo, che focalizza l’attenzione su quella che è forse la sua opera più celebre: la Gioconda. Un’opera capace ancora oggi di affascinare con il suo sorriso misterioso ed enigmatico. Un’opera di cui Giorgio Vasari scrisse: «era una cosa più divina che umana a guardare».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Frame del video; [fig. 2] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Frame del video; [fig. 3] «Monna Lisa who?». Progetto di karmachina per «Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop», Pavia, novembre 2019. Render del progetto; [fig. 4] Stefano Bressani, Giokonda, 2019. Sculture vestite-scultura e stoffe di abbigliamento, cm 135x115x15; [fig. 5] Fabio De Poli, Monnalisa, 2015. Acrilici su legno sagomato in cassetta di legno, cm 36x28x10, collezione Carlo Palli, Prato; [fig. 6] Gianni Cella, Bat Lisa, 2019. Terracotta policroma, cm 45x25x25, Proprietà dell'artista; [fig. 7]Eleonora Francioni e Antonio Mastromarino, Leonardo, 2012. Idroresina e marmo, cm 580x400x380
Informazioni utili
«Looking for Monna Lisa. Misteri e ironie attorno alla più celebre icona Pop». Sedi Castello Visconteo (piazza Castello), Spazio arti contemporanee del Broletto (piazza della Vittoria), Santa Maria Gualtieri (piazza della Vittoria), piazza del Municipio. Ingresso: intero € 15,00 |ridotto (under 26, over 65 e gruppi di minimo 15 massimo 30 persone) € 10,00 | ridotto scuole e under 18 € 5,00 |gratuito under 6, possessori Abbonamento Musei Lombardia Milano, soci ICOM, guide turistiche e giornalisti dotati di tesserino professionale, disabili con un accompagnatore | La biglietteria unica è ubicata allo Spazio SaperePavia del Broletto in Piazza della Vittoria, aperto tutti i giorni di apertura della mostra fino alle ore 16.45. Catalogo: Silvana editoriale, Cinisello Balsamo. Informazioni: leonardopavia@comune.pv.it – mob. +39.331.6422303. Sito internet: www.vivipavia.it. Ufficio stampa: info@irmabianchi.it | francescamasci@andstudio.it | andreapilastro@andstudio.it. Dal 24 novembre 2019 al 29 marzo 2020.
Location:
27100 Pavia PV, Italia
mercoledì 20 novembre 2019
Dai maestri del Trecento a Lucio Fontana, quando l’arte incontra l’oro
L’oro è considerato da sempre uno dei metalli più preziosi. Emana luce e trasmette calore. Per questo motivo è stato utilizzato sin dall’antichità, e più precisamente dall’epoca degli antichi egizi, nel mondo dell’arte ora come simbolo di regalità ora come metafora di una dimensione sacra e ultraterrena, priva di tempo.
Con il Medioevo si diffonde l’utilizzo della foglia oro, secondo quella che era la tecnica del «gold ground», per illuminare di luce solare il cielo dei dipinti sacri e per esaltare l’effetto visivo delle aureole dei santi. A questa stagione guarda anche l’incipit della mostra «Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo», in programma dal 22 novembre al 31 gennaio a Milano, nei prestigiosi spazi di Palazzo Cicogna, per iniziativa di Matteo Salamon.
È Cennino Cennini, verso la fine del XIV secolo, a mettere nero su bianco le tecniche di doratura delle tavole in dodici capitoli del suo «Libro dell’arte», un documento storico essenziale nel quale si parla organicamente del funzionamento della bottega di un pittore, dilungandosi sulla centralità del disegno, sulle ricette per la preparazione dei pigmenti, sulle varietà dei pennelli e sui differenti supporti.
A questo modello di lavoro sono riconducibili tutte le opere antiche presenti in mostra, che documentano un arco di tempo che spazia dalla tradizione giottesca al Gotico internazionale a Firenze e in Italia centrale. Si rifanno alla lezione di Cennino Cennini le tavole di Giovanni Gaddi – maestro di scuola giottesca attivo insieme al padre Taddeo nella prima metà del Trecento –, di Andrea di Bonaiuto, di Antonio Veneziano e dell’anonimo pittore noto come Maestro dell’Incoronazione della Christ Church Gallery di Oxford. Mentre i dipinti quattrocenteschi di Mariotto di Nardo (nella mostra è esposta la «Madonna col Bambino e quattro santi», ritenuta uno dei capolavori della sua tarda attività), di Ventura di Moro e del marchigiano Giovanni Antonio da Pesaro attestano la continuità e la vitalità di questa tradizione –e non solo a Firenze– fino al 1430 circa.
La lettura di Cennino Cennini, e in generale lo studio delle tecniche usate dagli antichi maestri, è fondamentale anche per approcciarsi alla sezione espositiva dedicata all’arte contemporanea, nella quale sono esposti artisti degli ultimi cinquant’anni come Lucio Fontana, Paolo Londero e Maurizio Bottoni.
Un filo rosso unisce, dunque, due momenti distanti della storia culturale del nostro Paese, accomunati dai segni tangibili di una unica tradizione che guarda all’uso dell’oro come un pigmento che allude a qualcosa di altro, irraggiungibile e distante. È il caso del lavoro di Lucio Fontana esposto, un «Concetto spaziale in oro» del 1960.
Paolo Londero, artista eclettico la cui formazione da restauratore tradisce la centralità della materia nella sua arte, ci fa, invece, sorridere con la sua «Gallina dalle uova d’oro», opera in realtà non puramente giocosa, ma densa di significato. «A essere d’oro -spiegano, infatti, dalla galleria di Matteo Salamon- è la gallina stessa e il pulcino che schiude un uovo di lacca bianca, segno che la preziosità sta nella vita e non nel guscio, in un gioco di tesi ed antitesi dal sapore hegeliano, ma con rimandi di forme e contenuti addirittura al neoplatonismo michelangiolesco».
L’utilizzo simbolico dei materiali si ripete in un'altra opera di Londero in mostra: la «Verza d’oro». In questo lavoro alcune formiche di lacca nera sono pronte a nutrirsi delle foglie dorate dell’ortaggio, emblema delle illusioni, senza tuttavia giungere al cuore della brassica (che è reale e difatti non è d’oro), vero nocciolo tematico della composizione.
Portavoce del recupero di tecniche antiche, dalla preparazione delle tavole e delle tele a quella dei colori, è anche Maurizio Bottoni, artista lombardo definito da Federico Zeri, nel 1997, «uno dei pochi maestri della penisola che sanno dare ancora vita alle cose». Sua l’espressione «Tutto ciò che è creato è divino», che ben «presuppone -spiegano sempre dalla galleria di Matteo Salomon- l’uso del fondo oro, forma visibile e simbolica della divinità stessa, e di conseguenza contesto esemplare per uno sguardo commosso verso gli aspetti minuti del mondo naturale».
La mostra milanese presenta una sua preziosa tavola dallo spirito surrealista: «Oggi riposo», digressione al tempo stesso ammirata e divertita sul tema della Vanitas.
Su fondo oro sono trasposte anche le «Rose di Volpedo», sentito omaggio al naturalismo sincero e appassionato della poetica di Giuseppe Pellizza.
Nel loro studio meticoloso di materiali e tecniche, risposta coraggiosa all’odierno proliferare di mezzi tecnologici e multimediali nell’arte, Bottoni e Londero guardano, dunque, al passato e a quell’idea già espressa quattro secoli fa da Annibale Carracci che «i pittori abbiano a parlar con le mani». L’uso della foglia d’oro diventa così una tradizione che si rinnova, rendendo la pittura (ma anche la scultura) più preziosa, per trasformarla in un linguaggio che parla di metafisica ed eternità, di splendore ultraterreno e di spiritualità divina.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Londero, La gallina dalle uova d'oro , Papier machè; [fig. 2] Maurizio Bottoni, Oggi riposo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 12 x 28; [fig. 3] Antonio Veneziano, Angelo Annunciante, tempera su tavola, fondo oro, cm 40,5 x 23,2; [fig.4] Giovanni Antonio da Pesaro: Crocifissione, tempera su tavola, fondo oro, cm 42 x 28,5; [fig. 5] Giovanni Bottoni, Col tempo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 32 x 27
Informazioni utili
«Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo». Galleria Salamon - Palazzo Cicogna, I° piano, via San Damiano 2, Milano. Orario: dal lunedì al venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.76024638; info@salamongallery.com. Dal 22 novembre al 31 gennaio 2020.
Con il Medioevo si diffonde l’utilizzo della foglia oro, secondo quella che era la tecnica del «gold ground», per illuminare di luce solare il cielo dei dipinti sacri e per esaltare l’effetto visivo delle aureole dei santi. A questa stagione guarda anche l’incipit della mostra «Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo», in programma dal 22 novembre al 31 gennaio a Milano, nei prestigiosi spazi di Palazzo Cicogna, per iniziativa di Matteo Salamon.
È Cennino Cennini, verso la fine del XIV secolo, a mettere nero su bianco le tecniche di doratura delle tavole in dodici capitoli del suo «Libro dell’arte», un documento storico essenziale nel quale si parla organicamente del funzionamento della bottega di un pittore, dilungandosi sulla centralità del disegno, sulle ricette per la preparazione dei pigmenti, sulle varietà dei pennelli e sui differenti supporti.
A questo modello di lavoro sono riconducibili tutte le opere antiche presenti in mostra, che documentano un arco di tempo che spazia dalla tradizione giottesca al Gotico internazionale a Firenze e in Italia centrale. Si rifanno alla lezione di Cennino Cennini le tavole di Giovanni Gaddi – maestro di scuola giottesca attivo insieme al padre Taddeo nella prima metà del Trecento –, di Andrea di Bonaiuto, di Antonio Veneziano e dell’anonimo pittore noto come Maestro dell’Incoronazione della Christ Church Gallery di Oxford. Mentre i dipinti quattrocenteschi di Mariotto di Nardo (nella mostra è esposta la «Madonna col Bambino e quattro santi», ritenuta uno dei capolavori della sua tarda attività), di Ventura di Moro e del marchigiano Giovanni Antonio da Pesaro attestano la continuità e la vitalità di questa tradizione –e non solo a Firenze– fino al 1430 circa.
La lettura di Cennino Cennini, e in generale lo studio delle tecniche usate dagli antichi maestri, è fondamentale anche per approcciarsi alla sezione espositiva dedicata all’arte contemporanea, nella quale sono esposti artisti degli ultimi cinquant’anni come Lucio Fontana, Paolo Londero e Maurizio Bottoni.
Un filo rosso unisce, dunque, due momenti distanti della storia culturale del nostro Paese, accomunati dai segni tangibili di una unica tradizione che guarda all’uso dell’oro come un pigmento che allude a qualcosa di altro, irraggiungibile e distante. È il caso del lavoro di Lucio Fontana esposto, un «Concetto spaziale in oro» del 1960.
Paolo Londero, artista eclettico la cui formazione da restauratore tradisce la centralità della materia nella sua arte, ci fa, invece, sorridere con la sua «Gallina dalle uova d’oro», opera in realtà non puramente giocosa, ma densa di significato. «A essere d’oro -spiegano, infatti, dalla galleria di Matteo Salamon- è la gallina stessa e il pulcino che schiude un uovo di lacca bianca, segno che la preziosità sta nella vita e non nel guscio, in un gioco di tesi ed antitesi dal sapore hegeliano, ma con rimandi di forme e contenuti addirittura al neoplatonismo michelangiolesco».
L’utilizzo simbolico dei materiali si ripete in un'altra opera di Londero in mostra: la «Verza d’oro». In questo lavoro alcune formiche di lacca nera sono pronte a nutrirsi delle foglie dorate dell’ortaggio, emblema delle illusioni, senza tuttavia giungere al cuore della brassica (che è reale e difatti non è d’oro), vero nocciolo tematico della composizione.
Portavoce del recupero di tecniche antiche, dalla preparazione delle tavole e delle tele a quella dei colori, è anche Maurizio Bottoni, artista lombardo definito da Federico Zeri, nel 1997, «uno dei pochi maestri della penisola che sanno dare ancora vita alle cose». Sua l’espressione «Tutto ciò che è creato è divino», che ben «presuppone -spiegano sempre dalla galleria di Matteo Salomon- l’uso del fondo oro, forma visibile e simbolica della divinità stessa, e di conseguenza contesto esemplare per uno sguardo commosso verso gli aspetti minuti del mondo naturale».
La mostra milanese presenta una sua preziosa tavola dallo spirito surrealista: «Oggi riposo», digressione al tempo stesso ammirata e divertita sul tema della Vanitas.
Su fondo oro sono trasposte anche le «Rose di Volpedo», sentito omaggio al naturalismo sincero e appassionato della poetica di Giuseppe Pellizza.
Nel loro studio meticoloso di materiali e tecniche, risposta coraggiosa all’odierno proliferare di mezzi tecnologici e multimediali nell’arte, Bottoni e Londero guardano, dunque, al passato e a quell’idea già espressa quattro secoli fa da Annibale Carracci che «i pittori abbiano a parlar con le mani». L’uso della foglia d’oro diventa così una tradizione che si rinnova, rendendo la pittura (ma anche la scultura) più preziosa, per trasformarla in un linguaggio che parla di metafisica ed eternità, di splendore ultraterreno e di spiritualità divina.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Londero, La gallina dalle uova d'oro , Papier machè; [fig. 2] Maurizio Bottoni, Oggi riposo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 12 x 28; [fig. 3] Antonio Veneziano, Angelo Annunciante, tempera su tavola, fondo oro, cm 40,5 x 23,2; [fig.4] Giovanni Antonio da Pesaro: Crocifissione, tempera su tavola, fondo oro, cm 42 x 28,5; [fig. 5] Giovanni Bottoni, Col tempo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 32 x 27
Informazioni utili
«Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo». Galleria Salamon - Palazzo Cicogna, I° piano, via San Damiano 2, Milano. Orario: dal lunedì al venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.76024638; info@salamongallery.com. Dal 22 novembre al 31 gennaio 2020.
martedì 19 novembre 2019
«Dodici storie sul cibo», quando la buona tavola incontra l’arte
Compie sei anni «Far da mangiare», festival di cucina che sabato 23 e domenica 24 novembre, in concomitanza con la Settimana della cucina italiana nel mondo, animerà lo Spazio MIL, centro multifunzionale di circa tremila metri quadrati ubicato nel Comune milanese di Sesto San Giovanni, all’interno del parco archeologico industriale dell’ex fabbrica Breda.
Tema della manifestazione sarà la convivialità, quale elemento comune a tutte le culture del mondo in ogni epoca e in ogni luogo. Da sempre, infatti, il riunirsi intorno al cibo è momento di ritrovo e di condivisione, che ogni popolazione ha arricchito con le proprie usanze e tradizioni, con le proprie materie prime e tecniche di preparazione. Asia e Sud America sono i due Paesi al centro di questa edizione del festival, che proporrà una serie di attività gratuite come workshop di cucina, degustazioni, cooking show, incontri con i produttori, laboratori per bambini, il tutto con l’obiettivo di far conoscere profumi speziati e sapori esotici di un linguaggio universale, quello della buona tavola, capace di creare un ponte tra le varie culture.
A «Far da mangiare» -il cui cartellone sarà arricchito dal sempre gradito Spazio Meal, area dedicata allo street food italiano e internazionale- la cucina incontra anche il mondo dell’arte. In occasione della fiera sarà, infatti, possibile vedere la mostra «Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello», a cura di Andrea Tomasetig. L’esposizione, la cui inaugurazione è programmata per la sera del 21 novembre (ore 18.30), propone una selezione di carte e documenti d’epoca, databili dal 1865 a oggi e provenienti dalla vasta collezione dello studioso milanese Michele Rapisarda.
L’allestimento presenta sia i materiali originali sia la loro riproduzione ingrandita a parete, corredati da brevi testi per approfondirne il contesto storico e sociale.
Di particolare interesse sono le copertine di varie riviste illustrate, dalla storica «Domenica del Corriere», disegnate da Achille Beltrame e Walter Molino, alle attuali pagine d’autore di «Toiletpaper», il magazine bolognese creato da Maurizio Cattelan e dal fotografo Pierpaolo Ferrari, oltre a pagine pubblicitarie con grafiche firmate da Leonetto Cappiello, Antonio Rubino e Benito Jacovitti. Ci sono, inoltre, in mostra cartoline, calendari, ricevute di pasti all’osteria, gadget e pieghevoli.
La rassegna prende le mosse dal periodo in cui la ricca borghesia lombarda andava a mangiare fuori porta in carrozza, provvedendo anche al pasto per il cocchiere e il cavallo, come documentano due ricevute: una dell’Osteria del Giardino di Cassano d’Adda (1865), l’altra della Trattoria del Risorgimento di Fino Mornasco (1900 ca.), che si chiude con le voci «biada, fieno e stallazzo».
Tra le carte in mostra è possibile, poi, imbattersi in una illustrazione di Achille Beltrame dedicata al pranzo di Ferragosto del 1904 sotto le guglie del Duomo di Milano e negli scugnizzi napoletani «mangiamaccheroni», sempre del primo Novecento, immortalati in una cartolina a uso dei turisti italiani e stranieri.
Si toccano, quindi, gli anni Trenta con la pubblicità del modernissimo frigorifero Algidus, firmata da Antonio Rubino, e con quella dell’innovativo Caffè Cirio sottovuoto, il cui manifesto porta la firma di Leonetto Cappiello.
Si assiste, quindi, all’avvento della televisione nel 1954, raccontato da una copertina della rivista «Il Vittorioso» a cura di Benito Jacovitti. Tre anni dopo, nel 1957, con «Carosello», trasmissione che prosegue fino al 1977, la reclame arriva in televisione. L’azienda Invernizzi, produttrice di latticini e salumi, inventa due dei più famosi pupazzi pubblicitari: la Mucca Carolina e Susanna Tutta Panna, della quale è in mostra un giocattolo con stampato datato 1970.
La mostra si chiude, quindi, con un omaggio a Gualtiero Marchesi, del quale è esposto l’opuscolo stampato da Giorgio Lucini nel 2010 per i suoi ottant’anni.
Grande spazio viene, inoltre, dato alla stagione che vede la nascita e l’affermarsi dei supermercati e del carrello della spesa. Nel 1956 la Standa apre a Napoli il primo reparto self-service di generi alimentari. Il 27 novembre 1957 la Supermarkets Italiani -sorta per iniziativa di Nelson Rockefeller, Bernardo Caprotti e Marco Brunelli- inaugura a Milano il primo supermercato di una catena poi nota come Esselunga. Di quest’ultima è esposto il catalogo del novembre-dicembre 1967 con una sorridente Raffaella Carrà che augura buon Natale ai clienti. Un viaggio, dunque, interessante quello proposto alla Spazio MIL, che permette al visitatore di scoprire come il cibo sia cultura, pane non solo per il corpo ma anche per la mente.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cartolina napoletana illustrata, Mangiamaccheroni, inizio 900; [fig, 2] Achille Beltrame, Controcopertina de La Domenica del Corriere, 21.8.1904, Millano; [fig. 3] Benito Jacovitti, Copertina Il vittorioso, 25.9.1955, Roma; [fig. 4] Copertina catalogo "Esse Lunga", Milano, novembre-dicembre 1967
Informazioni utili
«Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello. Carte dalla collezione Rapisarda». Spazio MIL, via Luigi Granelli, 1 - Sesto San Giovanni (Milano). Inaugurazione: giovedì 21 novembre, ore 18.30. Orari giovedì, ore 14.00-22.00 | venerdì, ore 14.00-19.00 | sabato, ore 11.00-23.00 | domenica, ore 11.00-21.00. Ingresso: gratuito. Informazioni: tel. 02.36682271, info@spaziomil.org. Come arrivare: M1 Sesto Marelli/Sesto Rondò, M5 Bignami, tram 31 Parco Nord/viale Fulvio Testi, autobus 727 viale Sarca/via Milanese. Dal 21 al 24 novembre 2019.
Tema della manifestazione sarà la convivialità, quale elemento comune a tutte le culture del mondo in ogni epoca e in ogni luogo. Da sempre, infatti, il riunirsi intorno al cibo è momento di ritrovo e di condivisione, che ogni popolazione ha arricchito con le proprie usanze e tradizioni, con le proprie materie prime e tecniche di preparazione. Asia e Sud America sono i due Paesi al centro di questa edizione del festival, che proporrà una serie di attività gratuite come workshop di cucina, degustazioni, cooking show, incontri con i produttori, laboratori per bambini, il tutto con l’obiettivo di far conoscere profumi speziati e sapori esotici di un linguaggio universale, quello della buona tavola, capace di creare un ponte tra le varie culture.
A «Far da mangiare» -il cui cartellone sarà arricchito dal sempre gradito Spazio Meal, area dedicata allo street food italiano e internazionale- la cucina incontra anche il mondo dell’arte. In occasione della fiera sarà, infatti, possibile vedere la mostra «Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello», a cura di Andrea Tomasetig. L’esposizione, la cui inaugurazione è programmata per la sera del 21 novembre (ore 18.30), propone una selezione di carte e documenti d’epoca, databili dal 1865 a oggi e provenienti dalla vasta collezione dello studioso milanese Michele Rapisarda.
L’allestimento presenta sia i materiali originali sia la loro riproduzione ingrandita a parete, corredati da brevi testi per approfondirne il contesto storico e sociale.
Di particolare interesse sono le copertine di varie riviste illustrate, dalla storica «Domenica del Corriere», disegnate da Achille Beltrame e Walter Molino, alle attuali pagine d’autore di «Toiletpaper», il magazine bolognese creato da Maurizio Cattelan e dal fotografo Pierpaolo Ferrari, oltre a pagine pubblicitarie con grafiche firmate da Leonetto Cappiello, Antonio Rubino e Benito Jacovitti. Ci sono, inoltre, in mostra cartoline, calendari, ricevute di pasti all’osteria, gadget e pieghevoli.
La rassegna prende le mosse dal periodo in cui la ricca borghesia lombarda andava a mangiare fuori porta in carrozza, provvedendo anche al pasto per il cocchiere e il cavallo, come documentano due ricevute: una dell’Osteria del Giardino di Cassano d’Adda (1865), l’altra della Trattoria del Risorgimento di Fino Mornasco (1900 ca.), che si chiude con le voci «biada, fieno e stallazzo».
Tra le carte in mostra è possibile, poi, imbattersi in una illustrazione di Achille Beltrame dedicata al pranzo di Ferragosto del 1904 sotto le guglie del Duomo di Milano e negli scugnizzi napoletani «mangiamaccheroni», sempre del primo Novecento, immortalati in una cartolina a uso dei turisti italiani e stranieri.
Si toccano, quindi, gli anni Trenta con la pubblicità del modernissimo frigorifero Algidus, firmata da Antonio Rubino, e con quella dell’innovativo Caffè Cirio sottovuoto, il cui manifesto porta la firma di Leonetto Cappiello.
Si assiste, quindi, all’avvento della televisione nel 1954, raccontato da una copertina della rivista «Il Vittorioso» a cura di Benito Jacovitti. Tre anni dopo, nel 1957, con «Carosello», trasmissione che prosegue fino al 1977, la reclame arriva in televisione. L’azienda Invernizzi, produttrice di latticini e salumi, inventa due dei più famosi pupazzi pubblicitari: la Mucca Carolina e Susanna Tutta Panna, della quale è in mostra un giocattolo con stampato datato 1970.
La mostra si chiude, quindi, con un omaggio a Gualtiero Marchesi, del quale è esposto l’opuscolo stampato da Giorgio Lucini nel 2010 per i suoi ottant’anni.
Grande spazio viene, inoltre, dato alla stagione che vede la nascita e l’affermarsi dei supermercati e del carrello della spesa. Nel 1956 la Standa apre a Napoli il primo reparto self-service di generi alimentari. Il 27 novembre 1957 la Supermarkets Italiani -sorta per iniziativa di Nelson Rockefeller, Bernardo Caprotti e Marco Brunelli- inaugura a Milano il primo supermercato di una catena poi nota come Esselunga. Di quest’ultima è esposto il catalogo del novembre-dicembre 1967 con una sorridente Raffaella Carrà che augura buon Natale ai clienti. Un viaggio, dunque, interessante quello proposto alla Spazio MIL, che permette al visitatore di scoprire come il cibo sia cultura, pane non solo per il corpo ma anche per la mente.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cartolina napoletana illustrata, Mangiamaccheroni, inizio 900; [fig, 2] Achille Beltrame, Controcopertina de La Domenica del Corriere, 21.8.1904, Millano; [fig. 3] Benito Jacovitti, Copertina Il vittorioso, 25.9.1955, Roma; [fig. 4] Copertina catalogo "Esse Lunga", Milano, novembre-dicembre 1967
Informazioni utili
«Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello. Carte dalla collezione Rapisarda». Spazio MIL, via Luigi Granelli, 1 - Sesto San Giovanni (Milano). Inaugurazione: giovedì 21 novembre, ore 18.30. Orari giovedì, ore 14.00-22.00 | venerdì, ore 14.00-19.00 | sabato, ore 11.00-23.00 | domenica, ore 11.00-21.00. Ingresso: gratuito. Informazioni: tel. 02.36682271, info@spaziomil.org. Come arrivare: M1 Sesto Marelli/Sesto Rondò, M5 Bignami, tram 31 Parco Nord/viale Fulvio Testi, autobus 727 viale Sarca/via Milanese. Dal 21 al 24 novembre 2019.
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