ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
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lunedì 4 agosto 2025

Non sono Biennale e architettura, mostre e progetti artistici da vedere a Venezia nell'estate 2025

 Cosa succede quando l’architettura incontra l’intelligenza artificiale, naturale e collettiva? È questa la domanda che anima la diciannovesima edizione della Mostra internazionale d'architettura, uno dei progetti della Biennale di Venezia, in calendario fino al prossimo 23 novembre.

Oltre 750 partecipanti tra architetti, ingegneri, scienziati e artisti presentano, negli spazi dell'Arsenale e dei Giardini, ma anche in vari luoghi del centro storico, circa trecento progetti che intendono raccontare un futuro più sostenibile, adattivo e umano.
Il curatore di quest’anno è Carlo Ratti, architetto e innovatore con base al MIT, che ha trasformato l’intera mostra in un «laboratorio vivente», dove interrogarsi sulle grandi sfide del nostro tempo, dalla crisi climatica al problema delle migrazioni.
«Intelligens. Natural. Artificial. Collective.», questo il titolo della rassegna, ci sfida, dunque, a ripensare il nostro modo di abitare il mondo, anche sfruttando le potenzialità della robotica e dell’intelligenza artificiale o usando materiali circolari come il legno riciclato, il vetro di recupero, le bioplastiche.
Tra le installazioni più sorprendenti di questa edizione, ci sono la «Cool Forest», una foresta multisensoriale che simula il clima futuro della Laguna veneziana, e il «Rolex Pavilon», una struttura, elegante e minimalista, progettata dalla nigeriana Mariam Issoufou con materiali naturali e a basso impatto ambientale, pensata per essere smontata e riutilizzata altrove.
Interessante è anche «Canicola» di Andrea Faraguna, il progetto del Regno del Bahrain, premiato con il Leone d’oro per la miglior partecipazione nazionale, che riflette sull’aumento delle temperature globali attraverso un’installazione capace di combattere il caldo, avvalendosi di tecniche tradizionali di raffrescamento passivo come le torri del vento e i cortili ombreggiati.
Merita, infine, una segnalazione il Padiglione della Santa Sede, premiato con una Menzione speciale dalla giuria della Biennale di architettura, presieduta da Hans Ulrich Obrist. Il progetto, intitolato «Opera aperta», trasforma, sotto la curatela di Marina Otero Verzier e Giovanna Zabotti, il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice di Castello in «un laboratorio vivente di riparazione collettiva», in un cantiere di restauro aperto alla comunità.

Tutto intorno c’è una città che indossa il suo abito migliore. I Musei civici propongono, per esempio, una ricca offerta espositiva, tra cui spiccano le mostre «L’oro dipinto. El Greco e la pittura tra Creta e Venezia», con centocinquanta opere che, negli Appartamenti del Doge a Palazzo Ducale, propongono un raffinato confronto tra l’Oriente bizantino e l’Occidente latino seguendo il filo rosso delle icone cristiane, e «Poema della vita umana» di Giulio Aristide Sartorio Ca’ Pesaro, una narrazione monumentale e visionaria sul nostro vivere, di impronta simbolista, nata per il Salone centrale dell’Esposizione Internazionale del 1907. 
Mentre al Museo Correr c'è un significativo omaggio a Carlo Scarpa, artigiano della materia e poeta del dettaglio, del quale vengono ricordati i due interventi di restyling alle Procuratie nuove, il nobile edificio rinascimentale che domina il lato sud di piazza San Marco, avvenuti nel 1952-53 e nel 1959-60 (dei quali vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), ancora oggi considerati un modello esemplare della linea italiana nella museografia, elegante e innovativa, ispirata al razionalismo internazionale.
Per gli amanti della fotografia sarà, invece, imperdibile la grande retrospettiva «Robert Mapplethorpe. Le forme del classico», che porta sull’Isola di San Giorgio Maggiore oltre duecento immagini, alcune delle quali presentate in Italia per la prima volta, che pongono l’attenzione sulla perfezione aulica che permea le composizioni del maestro statunitense (New York, 1946 - Boston, 1989), assente dalla scena artistica veneziana da circa trent’anni, spaziando tra i tanti soggetti esplorati, dalla sensualità del corpo umano alla bellezza dei fiori, dalla statuaria antica ai ritratti di grandi protagonisti del Novecento.
Sempre sull’isola di San Giorgio è visitabile la mostra «1932-1942. Il vetro di Murano e la Biennale di Venezia» (della quale vi abbiamo già parlato nei giorni scorsi), idealmente collegata alla rassegna muranese proposta dai Musei civici sulla produzione vetraria dei Fratelli Toso.
Mentre la Pinault Collection, le cui esposizioni sono sempre amate dagli art addicted, presenta, a Punta Dogana, la prima grande retrospettiva in Italia di Thomas Schütte (Oldenburg, Germania, 1954), con opere realizzate a partire dagli anni Settanta che gettano uno sguardo inquieto e ironico sulla condizione umana, e, a Palazzo Grassi, «La strana vita delle cose», una personale della cosentina Tatiana Trouvé, classe 1968, con sculture, disegni e installazioni site-specific che invitano i visitatori ad ampliare la propria conoscenza fisica e mentale, a guardare al di là della superficie.

Accanto alle cosiddette «grandi mostre», quelle che tutti i turisti in visita a Venezia hanno sul loro taccuino delle vacanze, alcune volte più attratti dal contenitore che dal contenuto, ci sono anche progetti artistici colti come i cantieri di restauro aperti al pubblico della Peggy Guggenheim e delle Gallerie dell’Accademia, ma anche eventi incentrati su un’unica opera, come quelli in corso a Palazzo Cini a San Vio (con Antoon Van Dyck) e alla Querini Stampalia (con Giovanni Bellini), o rassegne che profumano di buono e che, come in una macchina del tempo, ci trasportano in una Venezia di trine e merletti, di divertimenti raffinati e momenti conviviali, quella degli anni d’oro della Serenissima.

Per #Notizieinpillole, la rubrica collegata alla nostra pagina Facebook, abbiamo scelto di raccontarvi nove progetti artistici che si possono vedere a Venezia in questi caldi giorni estivi. 

#  «DI STORIE E DI ARTE», UNA MOSTRA RACCONTA TRE SECOLI DI VITA A PALAZZO VENDRAMIN GRIMANI
A Venezia ogni pietra racconta una storia. Palazzi, piazze e calli custodiscono, silenziosamente, la memoria di un passato glorioso che parla di commerci con l’Oriente, Dogi e intrighi politici, sfarzose feste di Carnevale, civettuole chiacchiere da salotto, trine e merletti, scoperte scientifiche, amori appassionati e libertini. 

Questa estate, sul Canal Grande, nel sestiere di San Polo, un’antica dimora nobiliare, a mezza via fra il ponte di Rialto e la Volta de Canal, apre le proprie porte al pubblico per mostrare la bellezza delle sue sale e far rivivere le storie di chi quegli ambienti li ha pensati, li ha vissuti, li ha amati. Si tratta di Palazzo Vendramin Grimani, simbolo di potere, cultura e mondanità nella Venezia aristocratica, oggi sede della Fondazione dell’Albero d’Oro, dove è allestita la mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.

Frutto di una ricerca iniziata nel 2020, pubblicata in un corposo volume, l’esposizione ha l’ambizione di farci varcare la soglia del tempo e di immergerci nelle emozioni, nei riti e nei ritmi della Serenissima, tra giochi e svaghi colti come il teatro e la musica, tra ricevimenti conviviali e passioni collezionistiche.

Nelle sale del piano nobile e del pianoterra trovano posto documenti d’archivio, libri, mobili, argenti, ceramiche, porcellane, vetri, tessuti, abiti originali, fotografie storiche, antichi menù e opere d’arte inedite, tra le quali quattro pastelli di Rosalba Carriera (Venezia, 1673-1757) e un dipinto di Angelica Kauffmann (Coira, 1741 - Roma, 1807).

«Di storie e di arte» è, inoltre, arricchita da una selezione di video e animazioni, che intensificano il coinvolgimento del visitatore, fornendo la possibilità di incontrare «redivivi» i protagonisti della storia del palazzo, a cominciare dal doge Pietro Grimani (1677-1752), letterato di respiro internazionale, conferendo loro voce e corpo virtuali.

I Vendramin, i Grimani Giustinian e i Marcello - le famiglie che, nell’arco di tre secoli, hanno abitato queste stanze – si raccontano, dunque, e ci svelano come, attraverso una costante sedimentazione, risultato dei mutamenti del gusto proprio di ogni epoca, hanno trasformato un elegante edificio veneziano, con la facciata in pietra d’Istria lambita dall’acqua salmastrata, in uno scrigno colmo di storia, arte e alto artigianato.

Per saperne di più: https://www.fondazionealberodoro.org

Didascalie delle foto: Allestimento della mostra «Di storie e di arte», per la curatela di Massimo Favilla e Ruggero Rugolo, e con l’allestimento di Daniela Ferretti.. Palazzo Vendramin Grimani a Venezia, sede della Fondazione dell'Albero d'Oro. Foto: © Ugo Carmeni, 2025

# A PALAZZO CINI IL «CRISTO CROCIFISSO» DI ANTOON VAN DYCK
Un altro ospite illustre anima il percorso espositivo della Galleria di Palazzo Cini a San Vio, straordinaria casa-museo veneziana, un tempo dimora dell’industriale e politico Vittorio Cini (Ferrara, 1885-Venezia, 1977), «un vero raccoglitore di pittura antica», per usare una felice espressione di Federico Zeri, la cui collezione vanta mirabili testimonianze del Rinascimento toscano e ferrarese, tra cui il «San Giorgio» di Cosmè Tura.

Iniziata nel 2014 con l’«Adorazione dei pastori» di Lorenzo Lotto, in arrivo dai Musei civici di Brescia, la serie espositiva «L’ospite a Palazzo» ha portato in Laguna, anno dopo anno, capolavori come la «Madonna di Pontassieve» del Beato Angelico (2015), il «San Marco» di Andrea Mantegna (2016), il «San Giorgio e il drago di Paolo Uccello (2021) e la veduta di «Santa Croce» del Bellotto (2023), provenienti rispettivamente dagli Uffizi di Firenze, dallo Städel Museum di Francoforte, dal Musée Jacquemart-André di Parigi e dal Castello di Varsavia.
Quest’anno a intrecciare inedite relazioni dialogiche e contenutistiche con la collezione della casa-museo veneziana, uno dei gioielli del Dorsoduro Museum Mile, è il «Cristo crocifisso» di Antoon van Dyck (Anversa 1599 - Londra 1641), proveniente dal Palazzo Reale di Genova, che a sua volta ospiterà, questo autunno, una coppia di dipinti ferraresi della raccolta Cini, nell’ambito di una mostra su San Giorgio.

Dipinta nel 1627, la tela raffigura il corpo di Gesù inchiodato sulla croce, che si si staglia contro un cielo cupo addensato di nubi livide, spezzate da guizzi di luce abbacinante, appena addolciti da venature rosate. Un voluminoso, quasi ingombrante, drappo bianco copre la vita, accartocciandosi sinuosamente al vento ed esaltando la figura ancora viva del Cristo che volge lo sguardo, intenso e dolente, verso il cielo.
Ad oggi non sono state trovate notizie, sulla committenza e sulla storia del dipinto, antecedenti al 1821, l’anno dell’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia insieme ai dipinti di Andrea Caerlo Gabaldoni. Venne pagato mille lire, contro le duemila che pretendeva l’antico proprietario.
Buona parte della critica considera questo lavoro, dove è chiara l’influenza di Peter Paul Rubens nella struttura compositiva e la fascinazione per il colorismo veneto nella stesura della pittura, l’unico Crocifisso autografo del maestro anversano sopravvissuto tra quelli eseguiti nei suoi anni italiani, ovvero nel periodo tra il 1621 e il 1627.

In contemporanea, e sempre fino all’8 settembre, la Galleria di Palazzo Cini a San Vio ospita l’esposizione «Spazi, soglie, luci» di Ljubodrag Andric: un’indagine fotografica su luoghi e architetture, a cura di Francesco Tedeschi, con diciassette lavori dal carattere enigmatico e sospeso, dove luce, materia e colore dialogano elegantemente tra di loro, raccontando, in un gioco di rimandi e risonanze, le corrispondenze tra le architetture veneziane e quelle indiane, conosciute dall’artista durante una serie di viaggi compiuti tra il 2021 e il 2024.

Per saperne di più: https://www.palazzocini.it/

# ALLA QUERINI STAMPALIA UN ALLESTIMENTO IMMERSIVO E SENSORIALE PER GIOVANNI BELLINI 
Si intitola «How to deal with a masterpiece. A tribune» l’omaggio che la Fondazione Querini Stampalia di Venezia fa a una delle opere più famose della sua collezione: la «Presentazione di Gesù al Tempio» (1460 ca) di Giovanni Bellini (1433 ca-1516), capolavoro del Rinascimento che ritorna a casa dopo essere stato esposto per quattro mesi a Forlì, al Museo civico di San Domenico, nella mostra «Il ritratto dell’artista. Nello specchio di Narciso. Il volto, la maschera, il selfie».

Non è la prima volta che questa preziosa tempera su tavola (80 x 105 centimetri), dai colori morbidi e dal taglio narrativo intimo, lascia la sua sede storica: negli ultimi anni è stata esposta alla National Gallery di Londra, alla Gemäldegalerie di Berlino e alle Scuderie del Quirinale. Ma è la prima volta che, al suo ritorno, trova ad accoglierla, nel Salotto verde, un'architettura effimera e colorata, una sorta di guscio protettivo, che ne esalta l'importanza all'interno del percorso espositivo del museo, da poco diretto da Cristiana Collu, e consente anche una modalità di visita più riservata e avvolgente.

A firmare l’allestimento è la madrilena Izaskun Chinchilla, progettista che ha fatto del colore, della sperimentazione materica e del gusto per il dettaglio gli elementi distintivi della sua poetica visiva. Il suo stile – riconoscibile per le forme sinuose, i materiali leggeri e l’uso sorprendente della luce – trova espressione a Venezia e dà origine a uno spazio quasi fiabesco: una struttura rigida in legno di betulla, dalle curvature bombate, contiene un feltro acustico, ottenuto da bottiglie di plastica riciclate. Il tutto è circondato da tende in velluto, omaggio ai quadri di Gabriel Bella, esposti in una sala vicina, che documentano come in Laguna, ai tempi della Serenissima, «le costruzioni tessili – si legge nella presentazione - fossero funzionali a colmare, e talvolta a sfidare, gli spazi progettati per restare immutabili, trasformandoli con teatralità e imprevedibilità».

L'esperienza di visita è resa, inoltre, multidisciplinare e sensoriale, restituendo al dipinto anche i suoni e gli odori del suo tempo. L’ambiente è, infatti, pervaso da una composizione sonora originale ideata da Gavino Murgia, con ritmi arcaici che vogliono evocare «echi di spiritualità e memorie ancestrali». Mentre un profumo caldo e avvolgente, il «Mystic Incense di The Merchant of Venice – Murano Collection», ricrea suggestioni orientali e offre informazioni sulle spezie e le essenze comuni nella Venezia del XV secolo.

Per saperne di più: https://www.querinistampalia.org/it/mostre-eventi/how-to-deal-with-a-masterpiece/.

Nella foto:  Giovanni Bellini, Presentazione di Gesù al Tempio, 1475 ca. Fondazione Querini Stampalia, Venezia. Photo Adriano Mura

# A CA’ PESARO LE GEOGRAFIE EVANESCENTI DI ANTONELLO VIOLA E ELEONORA RINALDI
È Venezia, con la sua luce e la sua acqua, la protagonista della mostra «L’oro della Laguna», per la curatela di Elisabetta Barisoni, che Antonello Viola (Roma, 1966) presenta, fino al 28 settembre, nelle sale Dom Pérignon, al secondo piano di Ca’ Pesaro a Venezia. Una selezione di dipinti ad olio su vetro e su carta giapponese, realizzati negli ultimi quattro anni, molti dei quali esposti per la prima volta, compongono una geografia astratta e interiore, dai confini incerti e mutevoli, frutto di una pratica lenta e meditativa.
Antonello Viola lavora, infatti, per sovrapposizione e sottrazione, costruendo per strati e poi riducendo all’essenziale. Ne scaturisce una pittura che non descrive, ma suggerisce, abitata da immagini interiori, aperte all’interpretazione di chi guarda. Le superfici sono così luoghi sospesi e silenziosi, dove si intrecciano pigmenti, foglia d’oro, trasparenze e cancellature.
«Le fondamenta – elemento architettonico e urbanistico che argina e ridefinisce la dimensione liquida di Venezia – sono evocate – da linee essenziali che affiorano e si immergono tra le velature pittoriche, come strutture sommerse trattenute dalla memoria del colore».
Alessandro Viola instaura così un dialogo silenzioso con Giulio Aristide Sartorio, maestro simbolista in mostra in questi giorni nel museo veneziano con «Il poema della vita umana», del quale condivide l’idea dell’arte come esperienza spirituale, che trasforma la materia in veicolo di trascendenza.

Una natura sospesa tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile, è al centro anche di «Órama», la personale di Eleonora Rinaldi (Udine, 1994) allestita, fino al 27 settembre, nella Project Room di Ca’ Pesaro. La mostra, per la curatela di Francesco Liggieri e Christian Palazzo, presenta sette opere realizzate dall’artista friulana a Parigi nel 2025, con visioni evanescenti nelle quali «la vegetazione si fa protagonista attiva, avvolgendo le figure umane e dissolvendone i contorni in un intreccio cromatico ipnotico».

Per saperne di più: https://capesaro.visitmuve.it/. 

Didascalie delle immagini: 1. Veduta dell'allestimento della mostra «L'oro della Laguna» di Antonello Viola, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. 2.Veduta dell'allestimento della mostra «Órama» di Eleonora Rinaldi,, Venezia, Ca' Pesaro, 2025. Foto: Matteo De Fina

# «VENEZIA E LE EPIDEMIE», UNA MOSTRA ALLA FONDAZIONE CINI
È riconosciuto dagli storici come la Serenissima fosse uno stato all’avanguardia in molti campi della vita economica, istituzionale, sociale e culturale. Uno degli esempi più importanti, il cui lascito è arrivato sino ai giorni nostri, è stata la sua capacità di risposta di fronte alle epidemie, principalmente quelle di peste, che hanno colpito a più riprese la città tra la metà del Trecento e la metà del Seicento, con situazioni particolarmente drammatiche nei periodi 1348-49, 1575-77 e 1630-31.

A questa storia guarda la nuova mostra della Fondazione Giorgio Cini, allestita fino al 19 dicembre sull'isola di San Giorgio Maggiore, negli spazi della Biblioteca del Longhena, per iniziativa dell'Istituto di Storia della società e dello Stato veneziano (che quest’anno festeggia i settant’anni di attività).
«Venezia e le epidemie» (catalogo Marsilio editore), questo il titolo della rassegna, allinea, nello specifico, rari esemplari di testi e libri d’epoca, disegni e incisioni, eccezionali «fedi sanità» (i pass sanitari del tempo), oltre a editti e carteggi dei Provveditori alla sanità della Repubblica veneta.

La mostra include anche un'installazione multimediale interattiva dello studio camerAnebbia, collettivo di tre artisti - Lorenzo SartiMarco Barsottini e Matteo Tora Cellini - con sede a Milano, cresciuti nel contesto dello storico Studio Azzurro. Dai materiali digitalizzati, grazie al lavoro del Centro Digitale – ARCHiVe della Fondazione Cini, sono stati realizzati libri interattivi, che permettono non solo di sfogliare digitalmente documenti storici, ma anche di esplorare gli interni dei palazzi, immergersi nei dipinti, percorrere calli e campi della città.
Inoltre, grazie al progetto Venice Long Data, l'intelligenza artificiale ha permesso di trasformare tracce d'archivio in storie vive di veneziani vissuti durante la peste.
La mostra è aperta tutti i giorni dalle 11:00 alle 17:00, eccetto il mercoledì. Per informazioni: veneziaepidemie@cini.it | https://www.cini.it.


# ALLE GALLERIE DELL’ACCADEMIA UNO SPAZIO MULTIMEDIALE PER CONOSCERE I RESTAURI E GLI STUDI SCIENTIFICI DEI LABORATORI DELLA MISERICORDIA 
È uno sguardo inedito sulle alacri attività delle Gallerie dell’Accademia di Venezia quello che offre il nuovo Spazio multimediale, una vetrina per conoscere i Laboratori della Misericordia, moderne strutture dedicate allo studio scientifico e al restauro, con un team interno dipendente dal museo lagunare e performanti strumenti di diagnostica a disposizione, come il moderno microscopio 3D-Hirox.

All’interno di questa stanza sono presentati alcuni interventi conservativi in corso e le tecniche utilizzate per la salvaguardia delle opere d’arte.
I visitatori avranno, per esempio, l’opportunità di esplorare da vicino, anche grazie a immagini ad alta definizione, uno tra i più straordinari disegni di Leonardo da Vinci: lo «Studio di proporzioni del corpo umano», universalmente noto come «Uomo vitruviano» (1490-1497 circa). Le recenti ricerche, frutto di preziosi e inediti ingrandimenti, hanno svelato curiosi dettagli mai notati, come il foro visibile nell’ombelico, testimone dell’utilizzo di un compasso, o il piccolo timbro circolare, presente nel bordo inferiore del foglio, in cui è possibile distinguere le lettere maiuscole AV (Accademia Veneta), il marchio apposto nel XIX secolo, quando il disegno entrò nelle collezioni lagunari.

Lo Spazio multimediale permette anche di mostrare immagini e dati relativi a opere d’arte estremamente delicate, che talvolta non possono essere esposte per motivi conservativi. È il caso del pastello su carta azzurra «Ritratto di bambina con ciambella» di Rosalba Carriera, che giunse alle Gallerie dell’Accademia nel 1888 con il legato di Vincenzo Omoboni Astori. Il lavoro, prezioso e fragilissimo, raffigura una bambina in posa, vestita di trine e stoffe leziose, che trattiene a sé un biscotto a forma di ciambella, un Bussolà, dolce tipico veneziano. A questa capacità descrittiva si accosta una predisposizione all’introspezione psicologica.
 
Parallelamente, la nuova sala offre la possibilità di scoprire un’altra opera del museo, «L’Allegoria della Prudenza o della Vanità» di Giovanni Bellini, che è stata recentemente esposta nella grande mostra «Corpi moderni. «La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione», a cura di Guido Beltramini, Francesca Borgo e Giulio Manieri Eli. La tavoletta, che ritrae una donna nuda, in piedi su un piedistallo, mentre addita con una mano uno specchio, è analizzabile nel dettaglio grazie agli ingrandimenti digitali del microscopio 3D. 

Per maggiori informazioni: https://www.gallerieaccademia.it

Nelle fotografie: Laboratorio muldimediale delle Gallerie dell'Accademia di Venezia. © Foto di Matteo Panciera 2025

# ALLA COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM APRE UN LABORATORIO PER LO STUDIO E LA CONSERVAZIONE DELLE OPERE 
Il restauro rappresenta un tassello importante per la storia dell’arte perché è quella disciplina ponte tra passato e futuro che consente di conservare nel tempo un’opera, riparandone le ferite e, contemporaneamente, ampliando la conoscenza su un artista e il suo lavoro. Forte di questo pensiero, la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha aperto, negli spazi di Palazzo Venier dei Leoni, un Conservation Lab, uno spazio innovativo che segna una svolta nel percorso di studio, manutenzione e cura delle opere collezionate nel corso di oltre trent’anni dalla lungimirante mecenate Peggy Guggenheim.

Concepito come centro di eccellenza dove rigore scientifico e innovazione tecnologica dialogano con una forte vocazione alla divulgazione, con l’intento di formare soprattutto le nuove generazioni, il nuovo laboratorio è il risultato di oltre un decennio di impegno da parte del Dipartimento di conservazione del museo, diventato oggi un punto di riferimento internazionale per lo studio delle tecniche artistiche e dei materiali utilizzati dai più importanti artisti del Novecento.

Il progetto - realizzato con il sostegno di Efg, che in passato ha affiancato l’ente culturale lagunare nel restauro di opere come «Lo studio» (1928) di Pablo Picasso, «La ragazza con il bavero alla marinara» (1916) di Amedeo Modigliani e «Scatola in una valigia» (1935–41) di Marcel Duchamp - si distingue per il suo duplice carattere di «open lab» e «open storage». Parte delle attività del laboratorio è, infatti, visibile al pubblico, offrendo ai visitatori l’opportunità di osservare da vicino il rigoroso e delicato lavoro quotidiano di conservazione. In questo luogo trovano, inoltre, spazio anche alcune sculture della collezione, attualmente non esposte, che diventano così accessibili in un contesto che unisce studio, conservazione e narrazione museale.

Tra gli interventi attualmente in corso nel nuovo spazio figurano i restauri di capolavori come «Finestre aperte simultaneamente 1° parte, 3° motivo» (1912) di Robert Delaunay, «Composizione n. 1 con grigio e rosso 1938 / Composizione con rosso» (1938–39) di Piet Mondrian, «Movimento gracidante» (1946) di Jackson Pollock. Queste opere, emblematiche del linguaggio e delle sperimentazioni dei rispettivi autori, saranno oggetto di interventi altamente specializzati, riflettendo il desiderio del museo di diventare un interlocutore autorevole a livello internazionale anche nel campo della ricerca della scienza d’avanguardia applicata alla conservazione.

Il laboratorio sarà, inoltre, un centro di formazione e innovazione, aperto a giovani conservatori e studiosi che potranno apprendere le tecniche più avanzate e contribuire a progetti di ricerca, anche in collaborazione con enti accademici e partner europei. Il Dipartimento di conservazione partecipa, infatti, da anni a numerosi progetti sperimentali su materiali green e approcci sostenibili alla conservazione, contribuendo allo sviluppo di pratiche sempre più responsabili e consapevoli.

Questa estate la Collezione Peggy Guggenheim accoglie, nei suoi spazi di Palazzo Venier dei Leoni, anche la mostra «Maria Helena Vieira da Silva. Anatomia di uno spazio», a cura di Flavia Frigeri. Settanta opere (provenienti dal Centre Pompidou di Parigi, dal Guggenheim di New York e dalla Tate Modern di Londra, ma non solo) ripercorrono l’intera carriera dell'artista portoghese, naturalizzata francese, nel periodo compreso tra gli anni Trenta e la fine degli anni Ottanta, raccontando la maturazione di un linguaggio creativo, influenzato da Paul Cézanne e dai movimenti d’avanguardia del Novecento, nel quale si ravvisa un'alternanza tra astrazione e figurazione. 

 Le composizioni di Maria Helena Vieira da Silva, caratterizzate da strutture labirintiche, ritmi cromatici e prospettive frammentate, catturano l’essenza di un mondo in perenne trasformazione. Opere come «La camera piastrellata» o «Figura di balletto» riflettono il suo interesse per l’architettura e il movimento, dove la distinzione tra figura e sfondo si dissolve, lasciando emergere una visione profondamente personale dello spazio. 


Nelle foto: Il Conservation Lab della Peggy Guggenheim Collection a Venezia. © Photo Matteo De Fina. Didascalia dell'ultima immagine: Maria Helena Vieira da Silva, Il gioco delle carte (Le Jeu de cartes), 1937. Olio e grafite su tela, 73 x 92 cm. Francia-Portogallo, Collezione privata. Courtesy Galerie Jeanne Bucher Jaeger, Parigi-Lisbona. © Maria Helena Vieira da Silva

# «ILLUSTRE SIGNORA DUSE»: ALLA FONDAZIONE CINI UNA STANZA DI LETTERE E CARTEGGI TRA ELEONORA DUSE E GLI INTELLETTUALI DELL’EPOCA 
Luigi Pirandello
 e Grazia DeleddaMariano Fortuny e Sibilla AleramoAda Negri e Giovanni PapiniIsadora Duncan e Margherita Sarfatti: sono, questi, alcuni degli artisti, scrittori e intellettuali del Novecento, con cui, nel corso della sua vita, Eleonora Duse ha avuto un intenso scambio epistolare. Questi carteggi, custoditi dall’archivio dell'attrice all’Istituto per il teatro e il melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, sono al centro del libro «Illustre Signora Duse» (Marsilio, 2024), curato da Marianna Zannoni, che accoglie una selezione di cento voci che hanno intrattenuto rapporti artistici e amicali con l'artista veneta. Ricordi di incontri, scambi di opinioni, condivisione di progetti e visioni creative rivivono tra queste pagine, spunto per il nuovo allestimento della Stanza Duse, lo spazio espositivo e di ricerca che da quindici anni è aperto nell’area monumentale della Fondazione Cini, sull'isola di San Giorgio Maggiore, proprio davanti a piazza San Marco.

Fino al 6 gennaio 2026, in questo luogo, carico di fascino, viene proposto un percorso attorno a lettere, fotografie, copioni, documenti amministrativi, locandine e materiali d’epoca. Attraverso le parole di scrittori, artisti e intellettuali, l’esposizione restituisce «un omaggio intimo e corale alla grande attrice, figura centrale del teatro europeo tra Otto e Novecento», come lo definisce Maria Ida Biggi, direttrice dell’Istituto e docente di Storia del teatro all’Università Ca’ Foscari Venezia. Il nuovo allestimento si presenta, quindi, come un viaggio tra parole, immagini e documenti.

L'Archivio Eleonora Duse, custodito dalla Fondazione Giorgio Cini, rappresenta la collezione più ampia e completa di documenti sulla vita e sull'arte della grande attrice italiana. La raccolta comprende diverse tipologie di materiali: autografi, tra cui lettere e copioni, fotografie, documenti amministrativi, abiti e oggetti.

Per visitare la Stanza Duse: visitcini.com

# DALL’ANTICO EGITTO AI GIORNI NOSTRI: A VENEZIA «UN VIAGGIO NELLA STORIA DEL PROFUMO»
Era al 1911 quando Bruno Storp e sua moglie Dora, entrambi appassionati di flaconi di profumo, iniziarono a creare una delle collezioni più belle e significative mai viste. Quella raccolta, oggi custodita dai Musei civici di Venezia, comprende oltre 3.000 pezzi rari, alcuni dei quali risalenti a quasi 6.000 anni fa.
In questi mesi estivi, Palazzo Mocenigo, elegante dimora nobiliare di impronta settecentesca, con annesso un Centro studi di storia del tessuto e del costume, presenta una selezione significativa di questi preziosi oggetti nella mostra «Viaggio nella storia del profumo», prodotta da Mavive Parfums e Zignago Vetro, con il supporto di Givaudan e la collaborazione dell’Università degli Studi di Padova.

In un viaggio nella memoria estetica e olfattiva dell’umanità, che spazia dall’antico Egitto alla modernità industriale, il visitatore può scoprire oltre cinquecento manufatti, custoditi come scrigni sotto campane di vetro.
Reperti rarissimi, dagli unguentari ai flaconi in porcellana di Meissen, fino ai capolavori d’oreficeria ottocenteschi e ai contenitori industriali del Dopoguerra, raccontano come la profumeria rifletta le civiltà che l’hanno prodotta e come questa abbia accompagnato ogni sfera della vita, trasformando essenze ora in rimedi medicinali ora in gesti estetici.
Ai reperti originali è affiancata la ricostruzione contemporanea di sette fragranze storiche realizzate partendo dalle formule originali dalla casa essenziera Givaudan.
Non manca in mostra, poi, un videomapping immersivo che attraverso proiezioni suggestive e paesaggi sonori, racconta la storia millenaria del vetro, quella «pietra liquida» che ha da sempre custodito fragranze e memorie.

Il filo rosso che collega tutto l’allestimento, di grande impatto scenografico, è un messaggio specifico: «il profumo può svanire, ma il flacone ne conserva la memoria».

Per saperne di più: https://mocenigo.visitmuve.it/.

Didascalie delle immagini: 1. Jean Paul Gaultier Le Male. Flacone a forma di torso maschile. Francia, 1995. Vetro trasparente con dettagli a rilievo; 2. Flacone a bulbo appuntito dipinto con decoro floreale. Francia, ca.1850. Porcellana e metallo. Foto: Andrea Morucchio

* [Didascalie delle immagini di copertina sulla Mostra internazionale di architettura - La Biennale di Venezia:1. AVZ. photo by Andrea Avezzù, courtesy of La Biennale di Venezia; 2. AVZ-LA LIBRERIA. Photo by Andrea Avezzù, courtesy La Biennale di Venezia; 3. LC-Underground climate change. Photo by Luca Capuano, courtesy La Biennale di Venezia; 4. MZO-Deserta Ecofolie. Photo by Marco Zorzanello, courtesy of La Biennale di Venezia; 5. MZO-Elephant Chapel. Photo by Marco Zorzanello, courtesy La Biennale di Venezia; MZO-The Third Paradise Perspective. Photo by Marco Zorzanello, Courtesy La Biennale di Venezia] 



giovedì 12 giugno 2025

#Notizieinpillole, quando l'arte contemporanea onora il passato e racconta un restauro

Tra Roma, Venezia e Milano, tre importanti realtà imprenditoriali - la maison della nautica Sanlorenzo, la società di consulenza Deloitte e l'azienda di costruzioni Ghella - condividono una visione comune: l'arte contemporanea può dare nuova linfa al restauro dell'antico. In quest'ottica sono stati concepiti i progetti di riqualificazione della Loggia dei Vini nella capitolina Villa Borghese, dell'ex chiesa meneghina di San Paolo Converso e di un edificio degli anni Quaranta a Venezia, nel quartiere di Dorsoduro, all'ombra della Basilica di Santa Maria della Salute. 
Una medesima visione conservativa ha mosso il progetto pluriennale «Restituire l’incanto a Villa Medici»,  promosso dall'Accademia di Francia a Roma, che, questo fine settimana, apre eccezionalmente le porte al pubblico per mostrare i recenti interventi di restauro che hanno interessato sei camere per gli ospiti e il Giardino dei Limoni, nuovo scrigno di natura e design.  

A VENEZIA UN NUOVO CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA. APRE CASA SANLORENZO

Venezia ha un nuovo centro dedicato all’arte contemporanea. Nei giorni della Venice Climate Week e nell’ambito della Biennale di architettura, la maison Sanlorenzo, leader internazionale nella nautica di lusso, ha inaugurato, all’interno di una dimora degli anni Quaranta, ubicata all’ombra della Basilica di santa Maria della Salute, in una zona artisticamente ricca del quartiere di Dorsoduro (quella tra Punta Dogana e la Peggy Guggenheim Collection), il suo nuovo laboratorio culturale e creativo: Casa Sanlorenzo.

Restaurato dall’architetto Piero Lissoni con lo studio Lissoni & Partners, il nuovo hub vuole essere «uno spazio di ricerca, dove l’arte non decora, ma interroga. Dove il design non impressiona, ma accompagna. Dove la bellezza non è mai fine a sé stessa, ma portatrice di un’etica». In queste parole di Massimo Perotti, Executive Chairman di Sanlorenzo, c’è tutto il senso di un’operazione culturale - lungimirante e visionaria - che guarda all’arte come motore per il cambiamento della società e che, nel contempo, intende stimolare l’incontro tra gli individui, promuovere le diversità di idee, prestare attenzione alla sostenibilità ambientale.

Il restauro dell’edificio, che era abbandonato dagli anni Quaranta e che ora ospita la collezione d’arte contemporanea del brand Sanlorenzo (con opere che spaziano dagli anni Sessanta ai giorni nostri), ha onorato la sua anima storica: le facciate in mattoni sono state valorizzate e si è provveduto alla conservazione di alcuni elementi originali, come parte dei pavimenti. Materiali della tradizione veneziana, come la palladiana, dialogano, ora, con superfici in cemento, acciaio e vetro creando un elegante equilibrio tra memoria storica e linguaggio contemporaneo. Un sistema di illuminazione adattiva permette di modulare la luce in base alle esigenze delle mostre che verranno ospitate nei mesi a venire, migliorando l’esperienza dei visitatori.

Un elemento chiave della ristrutturazione è, infine, il ponte che collega Casa Sanlorenzo all'area circostante. Realizzata interamente in metallo prefabbricato e già assemblato, la struttura, la cui forma “a schiena d’asino” ricorda i ponti medioevali, presenta una superficie in pietra d’Istria, tipica della città lagunare, e un corrimano in legno lavorato come se fosse un remo, per evidenziare il legame, di Venezia e di Sanlorenzo, con l'acqua.

Per maggiori informazioni: https://www.sanlorenzoyacht.com/

Foto di Federico Cedrone. Courtesy: Sanlorenzo Arts

# MILANO, NELL’EX CHIESA DI SAN PAOLO CONVERSO PRENDE VITA LA GALLERIA DELOITTE 

Ha da poco aperto i battenti a Milano la Galleria Deloitte, un nuovo spazio dedicato all’arte e alla cultura nato dalla riqualificazione della chiesa sconsacrata di San Paolo Converso, in piazza Sant’Eufemia. A tenere a battesimo la neonata realtà culturale è stato Giuseppe Lo Schiavo, ultimo vincitore del prestigioso Premio Cairo, che ha presentato «Liturgica». Si tratta di un’opera creata con l’intelligenza artificiale generativa, che «non celebra – spiega l’artista - l’autonomia della macchina, ma la responsabilità e il potere dell’essere umano nel darle forma, nel dirigerne la rotta, nell’assumersi la paternità del proprio stesso futuro».
L’installazione artistica – racconta ancora il suo autore – si configura come «un viaggio visivo che si sviluppa come un’allucinazione: sequenze che scorrono, si trasformano, si dissolvono, senza inizio né fine. Corpi, animali, materia. Tutto è immerso in un flusso che somiglia all’acqua: viva, imprevedibile, sacra».

Costruita a partire dal 1549 per volere della contessa di Guastalla Paola Lodovica Torelli, la chiesa di san Paolo Converso ospitava originariamente le Madri Angeliche, un ordine religioso voluto da Antonio Maria Zaccaria e dalla stessa contessa Torelli, che venne approvato nel 1535 da papa Paolo III. Nella seconda metà del ’700 il monastero venne chiuso a causa delle soppressioni ordinate dall’Imperatore Giuseppe II. La chiesa, oggi di proprietà della parrocchia di Sant’Eufemia, venne così ridotta a deposito e da allora non fu più adibita al culto. Il suo recupero strutturale risale agli anni Trenta quando il celebre architetto milanese Paolo Mezzanotte compì una completa ristrutturazione comprensiva del restauro degli affreschi.

La galleria è l’ultimo tassello - insieme con Solaria Space, il nuovo hub dedicato all’intelligenza artificiale generativa (GenAI) - a essere stato inaugurato all’interno nuovo Campus Deloitte, 48 mila metri quadri, di cui oltre mille di verde situati, tra via Santa Sofia e Corso Italia, nel complesso immobiliare di proprietà di Allianz che fu progettato negli anni ’50 da Gio Ponti, Antonio Fornaroli e Piero Portaluppi.

Per saperne di più: https://www.deloitte.com/ 

Nelle foto: Giuseppe Lo Schiavo, «Liturgica», 2025, installazione artistica realizzata con la GenAi per la nuova galleria Deloitte alla chiesa di San Paolo Converso a Milano

# ROMA, ALLA LOGGIA DEI VINI DI VILLA BORGHESE LE NUOVE OPERE DI JOHANNA GRAWUNDER E DANIEL KNORR PER «LAVINIA»

Sono Johanna Grawunder e Daniel Knorr a scrivere un nuovo capitolo della storia di «Lavinia», il programma di arte contemporanea pensato per dialogare con il restauro della Loggia dei Vini, originale ed elegante architettura realizzata tra il 1609 e il 1618 all’interno del parco di Villa Borghese a Roma, dove venivano serviti, al riparo da sguardi indiscreti, vini e sorbetti agli ospiti del cardinale Scipione Borghese.

Curato da Salvatore Lacagnina, realizzato da Ghella e promosso da Roma Capitale, con la collaborazione di Zètema, il progetto deve il suo nome a Lavinia Fontana (1552 – 1614) e si sviluppa in parallelo alle varie fasi di ristrutturazione della loggia seicentesca.

Per valorizzare le mura perimetrali che verranno restaurate il prossimo anno, la designer americana Johanna Grawunder (San Diego CA, 1961), cresciuta con i colori e le forme di Ettore Sottsass (con cui ha lavorato a lungo), ha progettato «Wiley a Roma» (2025), un’installazione con una serie di lampade da muro dai colori fluo e luce UV. L’opera vuole esaltare la «pelle» del muro, la sua texture dalle stratificazioni secolari, rispettandone completamente le condizioni e «vestendo di luce» il muro grezzo.

Mentre Daniel Knorr (Bucarest, 1968) ha portato al centro della Loggia la sua riflessione sui processi di industrializzazione e sulle cicatrici del consumismo presentando un’installazione traboccante di objet trouvé che raccontano come i rifiuti siano la «trachea» di una città; ne testimonino il respiro e la vita.

Le due nuove opere site-specific si aggiungono alle sedute di Gianni Politi, alla maniglia per il cancello di ingresso di Monika Sosnowska, alla fontana d’acqua infinita di Piero Golia e alla leggendaria lupa sulla grata di Enzo Cucchi, nonché al sentiero «Dante Desire Line Poetry Path» di Ross Birrell & David Harding, che accompagna i visitatori con le parole dell’Alighieri dentro e fuori lo spazio architettonico. Un approfondimento su queste opere è presente al link: http://bit.ly/456BTIg.

Per saperne di più sul progetto: www.laviniaroma.com.

Nella foto: Installation views, LAVINIA secondo gusto, Roma, 2025. Ph. Eleonora Cerri Pecorella e Daniele Molajoli, courtesy Ghella

# ROMA, PER UN WEEK-END VILLA MEDICI SVELA I SUOI SPAZI RESTAURATI 

Solo per due giorni, sabato 14 e domenica 15 giugno, l’Accademia di Francia a Roma apre le porte per far scoprire al pubblico gli spazi restaurati della sua sede, nell’ambito del grande progetto pluriennale «Restituire l’incanto a Villa Medici».

Nel 2025 la campagna di riqualificazione, iniziata nel 2022, ha interessato sei nuove camere per gli ospiti, che hanno visto all’opera, tra gli altri, Sébastien Kieffer e Léa Padovani, Zanellato/Bortotto e lo studio Ggsv. Ogni stanza offre, ora, un dialogo raffinato tra storia e creazione contemporanea, tra intonaci decorativi e legno intagliato, tra luce naturale e volumi armonizzati.

Nell’ultimo anno è stato completato anche il restauro del Giardino dei limoni, frutto della visione del paesaggista Bas Smets e dell’architetto dei monumenti storici Pierre-Antoine Gatier. In questo spazio segreto, tra piante di agrumi e pergolati di limoni Lunario, nasce un paesaggio che unisce storia medicea, ricerca botanica e design contemporaneo. Il giardino ospita anche la nuova collezione di arredi per esterni «Cosimo de’ Medici», ideata dal duo Muller Van Severen e prodotta da Tectona, in armonia con le geometrie del luogo e con una palette di colori che fa risplendere l’ambiente.
Davanti alla loggia della villa, il parterre ridisegnato ospita, ora, venti alberi di limone in vasi d’artista, realizzati da Natsuko Uchino con terracotta modellata e decorata con frammenti di resti romani. Le basi in peperino, scolpite da Daniele De Tomassi, recano parole incise che formano una poesia originale di Laura Vazquez, premio Goncourt per la poesia 2023.

Durante il fine settimana, i visitatori potranno anche esplorare le sale restaurate nel 2022 e nel 2023, ovvero le stanze dei ricevimenti, ridisegnate sotto la direzione artistica di Kim Jones e Silvia Venturini Fendi, e le camere reinterpretate da India Mahdavi, che ha trasformato gli appartamenti cardinalizi in spazi colorati e vibranti, tra geometrie e arredi del Mobilier National.
Un’occasione unica dunque, questa due giorni, per scoprire un vero laboratorio del presente che onora il passato.

Informazioni e prenotazioni: https://villamedici.it

 Foto di Sebastiano Luciano

giovedì 31 ottobre 2024

Berthe Morisot, Tina Modotti, Mario Merz e...: le mostre da vedere a Torino nell'autunno 2024

Torino riaccende, per il ventisettesimo anno consecutivo, le sue «Luci d’artista», uno dei progetti più longevi e rappresentativi del ruolo dell’arte contemporanea per l’identità e la vita culturale della città. Ventotto sono le installazioni di grandi autori contemporanei che ogni notte, fino al 12 gennaio 2025, trasformeranno il capoluogo piemontese in un luminoso museo a cielo aperto da guardare con il naso all'insù. Tra questi lavori ce ne sono due nuovi: «VR Man» di Andreas Angelidakis (Atene, 1968), una grande silhouette umana stilizzata arricchita da un riferimento alla statuaria antica, in piazza Vittorio Veneto (angolo lungo Po Cadorna), e «Scia’Mano» di Luigi Ontani (1943), un omaggio alla tradizione magica torinese, visibile ai Giardini Sambuy. Tutto intorno ci sono opere luminose ormai conosciute al grande pubblico, dal coloratissimo «Tappeto volante» di Daniele Buren, in piazza Palazzo di Città, alla spettacolare installazione «Piccoli spiriti blu» di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini, senza dimenticare «Il volo dei numeri» di Mario Merz sulla Mole Antonelliana, la sede del Museo del cinema. 

Sotto queste speciali luminarie natalizie c'è l'ampia offerta espositiva della città, una delle eredità più belle della trentunesima edizione di «Artissima», che nella sua tre giorni di inizio novembre ha visto musei, fondazione e gallerie private inaugurare la loro stagione autunnale, dando vita a una vera e propria festa della cultura e delle arti contemporanee, ma non solo. 

Dalla fotografia di Tina Modotti all'arte impressionista di Berthe Morisot, dai capolavori novecenteschi della Gnam di Roma alla mostra per il centenario della nascita di Mario Merz, dal bianco e nero di Mimmo Jodice al «Rabbit Inhabits the Moon» di Nam June Paik, dalla grande antologica su Salvo ai progetti espositivi sul colore di Mary Heilmann e Maria Morganti, dalle icone del cinema hollywodiano alla personale di Bekhbaatar Enkhtur (vincitore del Premio illy Present Future 2023), senza dimenticare gli interessanti progetti espositivi «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura» al Castello di Rivoli e «Crossing. Attraversare una collezione» a Palazzo Madama, ma anche le mostre al Pav - Parco Arte Vivente, alle Officine grandi riparazioni  e ai musei dell'automobile e della montagna: un percorso - o meglio un diario di viaggio (le «Notizie in pillole» pubblicate sulla pagina Facebook dal 30 ottobre e al 3 novembre 2024) - tra le mostre che coloreranno l'autunno di Torino.

Ma all'ombra della Mole le sorprese non sono ancora finite. Già nei prossimi giorni apriranno due nuove esposizioni: al Museo Accorsi-Ometto i riflettori saranno puntati su Giorgio De Chirico (dall'8 novembre 2024 al 2 marzo 2025), in occasione del centenario del Surrealismo; all'Accademia Albertina si terrà la mostra personale «Reborn – Through India To My Soul» (dal 7 novembre all'8 dicembre 2024) della fotografa Ivana Sunjic, che è stata anche assistente del fotoreporter e ritrattista Steve McCurry. Mentre a metà novembre il Mauto - Museo dell'automobile inaugurerà «125 volte Fiat»: opere d’arte, bozzetti d’artista e manifesti pubblicitari, documenti d’archivio, materiali grafici, fotografici e audiovisivi d’eccezione, oltre a otto vetture, racconteranno la storia della celebre casa automobilistica, nata nel 1899 con il nome di Fabbrica Italiana Automobili Torino. 

Buona lettura! 

AI MUSEI REALI «LA GRANDE ARTE» DELLA GNAM DI ROMA
[2 novembre 2024] Il ventennio fra il 1950 e il 1970 rappresenta una stagione unica per l’arte italiana, un eccezionale laboratorio di rinnovamento stilistico e tematico che non può fare a meno di guardare al passato, ovvero alle ancora laceranti ferite della Seconda guerra mondiale, e di riflettere sul presente, dominato dal necessario entusiasmo per la «ricostruzione» del Paese. A questa straordinaria stagione guarda la mostra «1950-1970. La grande arte italiana», a cura di Renata Cristina Mazzantini e Luca Massimo Barbero, allestita fino al 2 marzo 2025 ai Musei Reali di Torino.

Nelle Sale Chiablese sfilano settantanove opere provenienti dalla Gnam - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, riunite insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza, che evidenziano il trentennale rapporto dell’allora soprintendente Palma Bucarelli con gli artisti più significativi e innovativi di quegli anni, protagonisti, per usare le parole di Luca Massimo Barbero, di un vero e proprio «movimento tellurico». Si tratta di ventuno autori, che si muovono tra il linguaggio astratto e informale e il tema della materialità, di cui l’Arte povera, che nasce proprio a Torino, rappresenta l’apice.

Il percorso espositivo, articolato in dodici sale, inizia con Ettore Colla («Rilievo con bulloni», 1958/59) e Pino Pascali («L’arco di Ulisse», 1968), per proseguire con gli ideogrammi di Capogrossi, i raffinati «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, le opere germinali (e ancora astratte) di Mimmo Rotella, i polimaterici di Bice Lazzari e lo straordinario «Gobbo» (1950) di Alberto Burri. Entrano, quindi, in scena Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo Dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti. Si giunge così al cuore della mostra: un inedito dialogo tra Lucio Fontana e Alberto Burri, con undici opere, tra cui il «Concetto spaziale. Teatrino» (1965) del primo e il «Nero cretto G5» (1975) del secondo.

Roma, con il fermento creativo che la caratterizzò tra gli anni ’50 e ’60, è la protagonista del passo successivo. Ecco così le opere di Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Tano Festa, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli e Toti Scialoja.

La mostra ricorda, quindi, che la Gnam, prima di qualsiasi museo nazionale, fece entrare nelle sue sale i «Quadri specchianti» di Michelangelo Pistoletto, le corrosive critiche al potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni, le «Cancellature» di Emilio Isgrò e, a meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di Pino Pascali, che, nella mostra torinese, è messa in dialogo con quella di Mario Schifano, per raccontare una stagione capace di smentire e invalidare il «culto reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità».


Per maggiori informazioni: https://museireali.beniculturali.it/

TINA MODOTTI A CAMERA – CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA
[2 novembre 2024] Libera, audace, determinata e con una biografia più avvincente di un romanzo, che la vide non solo fotografare, ma anche recitare nel cinema muto con Rodolfo Valentino, avere una storia d’amore (finita tragicamente) con l’attivista cubano Julio Antonio Mella, essere animatrice del Soccorso rosso internazionale e lottare strenuamente per i diritti delle donne e di chi vive ai margini della storia: Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), fa parte di quella schiera di intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Frida Kahlo, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda, che spesso ha finito per oscurarne l’ampia produzione fotografica caratterizzata da oltre cinquecento scatti realizzati in soli 46 anni di vita.
Alla fotografa messicana, con natali friulani, è dedicata la mostra autunnale di Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino con trecento immagini, selezionate da Riccardo Costantini, che provengono da ben trentadue archivi di tutto il mondo (da Honolulu a San Francisco, da Città del Messico a Mosca, da Udine a Canberra).

Dagli anni della formazione come assistente di Edward Weston fino agli ultimi scatti, dalle prime nature morte alle conosciute immagini di documentazione sociale e antropologica dai forti rimandi politici, l’esposizione offre un ritratto integrale e completo di Tina Modotti, che spazia dalla nascita a Udine fino all’esilio in Messico, passando per i viaggi in Austria, Stati Uniti, Germania, Russia, Francia e Spagna.
Sotto i riflettori ci sono le sue «fotografie oneste», libere da virtuosismi e caratterizzate da un’immediatezza che non rinuncia alla sperimentazione, nelle quali vengono raccontati il lavoro, l’attivismo politico, la povertà, le contraddizioni del progresso e del passaggio alla modernità, ma anche il folklore messicano e l’arte muralista di Rivera, Siquieros, Orozco, Guerrero, Pacheco.

La mostra «Tina Modotti. L’opera», aperta fino al 2 febbraio 2025, è importante anche dal punto di vista documentale, perché raccoglie materiali inediti, video, riviste, documenti, ritagli di quotidiani, ritratti dell’artista e fotografie che riscostruiscono la sua prima e unica esposizione, tenutasi dal 3 al 14 dicembre 1929 nell’atrio dell’Università nazionale del Messico. La rassegna include, inoltre, un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni.

In contemporanea, la Project Room di Camera ospita l’esposizione «Mimmo Jodice. Oasi», curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Barbara Bergaglio, che allinea quaranta immagini, realizzate tra il 2007 e il 2008 per una committenza ricevuta da Fondazione Zegna, nelle quali è possibile ritrovare – si legge nella nota stampa - tutta la poetica del fotografo napoletano, «la sua capacità di trasformare la realtà naturale o artificiale in una visione metafisica, sospesa nel tempo e nello spazio».

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista della mostra «Tina Modotti. Opera», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani; 3. Vista della mostra «Mimmo Jodice. Oasi», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani]

Galleria fotografica sulla pagina Facebook

Per maggiori informazioni: www.camera.to

DAGLI IGLOO ALLA «LEGGEREZZA DELLE FAVOLE»: CENTO ANNI DI MARIO MERZ
[1° novembre 2024] Metafora dell’habitat ideale, nel suo rievocare un mondo in cui l’uomo vive in simbiosi con la natura, la forma dell’igloo segna il percorso creativo di Mario Merz (1925-2003), uno dei maestri dell’Arte povera, a partire dal 1968 fino alla sua morte. In occasione del centenario della nascita, la fondazione torinese che porta il nome dell’artista riunisce alcune di queste strutture iconiche, prodotte con vari materiali e in differenti dimensioni, nella mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola».

Nello specifico, sono esposti tre igloo: uno in foglie d’oro («Senza titolo», 1997), che con i suoi riflessi luminosi irradia lo spazio circostante; uno del diametro di cinque metri, ricoperto di lastre di pietre rosa provenienti da una cava argentina («Senza titolo», 2002); e un altro («Senza titolo», 1989), realizzato per l’esposizione personale dell’artista al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel settembre 1989, sulla cui struttura in rete metallica si susseguono fittamente delle forme di pane.

La mostra, curata dalla figlia Marisa Merz, propone anche altri lavori: installazioni, tavoli, tele e opere su carta, tutti ispirati alle teorie dell'antropologo Claude Lévi-Strauss sui modelli culturali a fondamento del pensiero umano.
Il titolo dell’esposizione, tratto da uno scritto dello stesso Mario Merz, evoca il concetto di «leggerezza
» concettuale presente nell’intera produzione del maestro, in cui l'«assurdità» si mescola alla poesia della «favola».
A dialogare con i numeri di Fibonacci, antica presenza negli spazi della fondazione torinese, ci sono i vasi luminescenti del progetto «L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour» (1995), l’imponente lavoro pittorico «Geco in casa» (1983), il grande tavolo in cera «Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia» (1985), esposto per la prima volta in Europa, e grandi disegni di forme organiche che potrebbero essere radici, fiori o esseri invertebrati, le cui forme sono ritratte con rapidi e sicuri segni a carboncino, pastello, inchiostri o vernice.

Chiude idealmente il percorso espositivo il video-documentario «Che fare? / Mario Merz» di Roberto Cuzzillo, con una selezione di interviste d'epoca, accompagnate da immagini di mostre passate e recenti, che offrono una riflessione su cosa significasse essere artisti negli anni dell’Avanguardia poverista, quando materiali umili come prodotti industriali (cemento, eternit, ferro) ed elementi naturali (terra, acqua, legno) diventavano opere d’arte.

[Immagini:Veduta della mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola» di Mario Merz, allestita fino al 2 febbraio 2025 alla Fondazione Mario Merz di Torino. Courtesy Fondazione Merz]

Galleria fotografica sulla pagina Facebook 

Per saperne di più: https://www.fondazionemerz.org.

«CROSSING. ATTRAVERSARE UNA COLLEZIONE»: QUATTRO ARTISTI CONTEMPORANEI A PALAZZO MADAMA
[1° novembre 2024] «Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale»: sono queste parole, tratte dal libro «Il mestiere di vivere» di
Cesare Pavese, a spiegare il senso del progetto espositivo «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami. Quattro artisti contemporanei differenti per età, formazione e provenienza si confrontano con la storia millenaria, la vasta collezione e i maestosi spazi di Palazzo Madama, il Museo civico d’arte antica di Torino.
Ad aprire il percorso espositivo, allestito fino all’8 dicembre, sono le «Panacée» di Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), tre figure monumentali che richiamano la statuaria antica, collocate in cima allo scalone juvarriano in omaggio alla fondazione romana dell’edificio. Il dialogo col passato si fa, qui, contemporaneo attraverso un gioco illusorio, che è anche un omaggio alle origini torinesi dell’Arte povera, grazie all’utilizzo di materiali inattesi. l’usuale marmo viene, infatti, sostituito con stoffe e sapone, quest’ultimo proveniente dal Saponificio «Fer à Cheval» di Marsiglia, fabbrica di antica tradizione con cui l’artista collabora da anni.


Nella stanza delle ceramiche, dove sono presenti anche dei manufatti a tema culinario,
RunoB (Zhang Xiaodong,1992) giovane artista cinese di nascita e veneziano d’elezione, presenta, invece, dieci vasi di grandi dimensioni realizzati durante una sua recentissima residenza a Nove (Vicenza). La tematica del cibo viene rivisitata in chiave pop, attraverso colori vivaci, chiamando in causa l’iconografia dei fast-food e della sempre più diffusa abitudine del take-away.

Il percorso espositivo prosegue con «Ritornello», un grande tondo di quasi due metri realizzato da Marta Sforni (Milano, 1966) come omaggio al monumentale lampadario, ideato nel 1928 dai fratelli Toso, al centro della sala dedicata ai vetri. Da tempo l’artista fa fatto del lampadario veneziano il soggetto prediletto della sua pittura, con una tecnica personale fatta di sottili velature che si concentrano, lambendo a tratti i confini dell’astratto, in particolare sui dettagli – le «bossette», in termine tecnico, e i «fiori» – di questi sontuosi manufatti antichi.

La mostra si chiude, nella veranda Juvarriana, con una grande installazione di
Giuseppe Lo Cascio (Baucina, Palermo, 1997), giovane artista particolarmente attento al tema della memoria, che presenta degli schedari monumentali, delle vere e proprie «torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche», che ribadiscono la ragione stessa del museo, inteso come rifugio del sapere.

Con questi quattro «momenti di inciampo» rispetto al consueto percorso di visita, «Crossing» offre, dunque, un nuovo sguardo sulle collezioni di Palazzo Madama, scrigno d’arte antica che in questi giorni, e fino al 13 gennaio, ospita anche una riflessione sul cambiamento climatico con la mostra «Change. Ieri, oggi, domani, il Po». Mentre nel giardino medioevale è allestita, fino al 9 dicembre, la personale «In ascolto», con tredici sculture in bronzo di Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) che trattano temi universali sviluppati quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza. Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione Crc, nell’ambito del progetto «Donare».

[Didascalie delle immagini: 1. Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), Panacée I,II,III, 2021. Sapone di Marsiglia, stoffa e cassaforma in legno. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 2. RunoB (Zhang Xiaodong,1992), Un'evoluzione di un delivery rider, 2024. Porcellana dipinta a mano. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 3. Marta Sforni (Milano, 1966), Ritornello, 2024. Tecnica mista su tavola. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino] 

Per maggiori informazioni: https://www.palazzomadamatorino.it.


«MUTUAL AID», ARTE E NATURA SI INCONTRANO AL CASTELLO DI RIVOLI 
[31 ottobre 2024] Sarà perché il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono diventati temi di stringente attualità. Sarà perché sono sempre più evidenti i danni, in molti casi irreversibili, che l’uomo ha fatto agli ecosistemi. Sarà perché da più parti giunge l’invito alla sostenibilità ambientale. Sta di fatto che, negli ultimi anni, è aumentato il numero di artisti che si interessano alla natura non tanto come soggetto delle proprie opere, quanto come parte vitale del proprio processo creativo. Tronchi d’albero, sterpaglie, ciottoli di fiume, piante velenose, ragni, farfalle, lombrichi sono diventati così materia d’arte al pari di un tubetto di colore o di un blocco di marmo. Tutto ha avuto negli anni Sessanta con la Land Art, corrente che in Italia ha avuto tra i suoi pionieri Giuseppe Penone (Garessio, 1947). Ed è proprio l’artista piemontese, insieme con Agnes Denes (Budapest, 1931), ad aprire idealmente il percorso espositivo della mostra «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura», a cura di Francesco Manacorda e Marianna Vecellio, allestita fino a domenica 23 marzo 2025 al Castello di Rivoli.

Il titolo della rassegna, ideata appositamente per lo spazio della Manica Lunga, si ispira alle teorie che Piotr Kropotkin (1842–1921) presentò nel suo libro «Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione», pubblicato all’inizio del secolo scorso. Ribaltando la visione evoluzionista di Charles Darwin, il filosofo e zoologo russo ipotizzò che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza fosse la collaborazione tra specie. Ed è proprio una sinergia tra uomo e mondo naturale quella che anima la mostra del Castello di Rivoli, dove espongono venti artisti internazionali con i loro differenti linguaggi creativi - dal video alla pittura, dal suono all'installazione, dalla scultura alla fotografia –, dando vita a un vero e proprio «organismo vivente» che muta, si decompone e si ricompone sotto gli occhi del visitatore.


Le ragnatele cosparse di polvere di grafite di Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973), le imponenti tele di Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) sulla foresta pluviale guatemalteca, le sculture con il fungo Trametes versicolor di Nour Mobarak (Cairo, 1985), l’installazione «Le lâcher d’escargots» («Il rilascio delle lumache» 2009), di Michel Blazy (Monaco, 1966), l’ambiente naturale ricreato da Natsuko Uchino (Kumamoto, Giappone, 1983), dove assaporare un kefir, sono solo alcune delle opere in mostra. Il percorso culmina con l’installazione immersiva «The sun eats her children» (2023) di Precious Okoyomon (Londra, 1993), in cui una serra tropicale accoglie farfalle e piante velenose in un paesaggio surreale; l’ambiente naturale è qui un potente simbolo di forza e rigenerazione. Si chiude così questo affascinante viaggio, dagli anni Sessanta a oggi, che è anche e soprattutto un invito a salvare il pianeta.

[Immagini: 1.Hubert Duprat, Larva di tricottero con il suo astuccio (veduta della mostra), 1980-1994. Oro, opale, perle. Lunghezza 2,5 cm. Photo: H. Del Olmo. © Hubert Duprat, ADAGP, 2024. Courtesy l’artista e / the artist and Art : Concept, Paris; 2. Michel Blazy, Le lâcher d'escargots (Il rilascio delle lumache / The snail release), 2009 (dettaglio).Lumache, moquette marrone, dimensioni variabili. Veduta dell’installazione- Room II, Maison Hermès, Tokyo, Japan, 2016- © Michel Blazy. Courtesy l’artista e Concept, Paris; 3. Nour Mobarak, Apollo Copy (Copia di Apollo), 2023. Micelio di Trametes versicolor, legno intonacato. 30 x 25 x 30 cm, dimensioni totali  100 x 120 x 50 cm. Courtesy l’artista e d Sylvia Kouvali, London / Piraeus] 

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Per maggiori informazioni: https://www.castellodirivoli.org/.

ALLA GAM DI TORINO IL COLORE DI MARY HEILMANN, MARIA MORGANTI E BERTHE MORISOT   
[1° novembre 2024] Colore, luce, tempo quotidiano ed essenzialità del gesto pittorico: sono questi temi a fare da filo rosso tra le mostre di Mary Heilmann (San Francisco, 1940) e Maria Morganti (Milano, 1965), in programma fino al 16 marzo 2025 negli spazi della Gam - Galleria d’arte moderna di Torino, che ha da poco riaperto i battenti con un nuovo allestimento della propria collezione, all’interno del quale Stefano Arienti (Asola, 1961) è «L’intruso», ovvero l’artista ospite invitato a creare degli «inciampi creativi» che interrompono la narrazione espositiva per destare stupore nell’osservatore.

Quella di Mary Heilmann, figura di spicco nell’astrazione contemporanea, è la sua prima grande mostra antologica in Italia. Attraverso sessanta opere, selezionate da Chiara Bertola (con la collaborazione dello Studio Heilmann di New York), vengono ripercorsi sessant’anni di carriera dell’artista americana, dai primi dipinti geometrici degli anni Settanta fino alle recenti tele sagomate in colori fluorescenti.
 
In un percorso ipnotico e gioioso che spazia da «Chinatown» (1976) a «Tube at Dusk» (2022), passando per tele come «French Screen» (1978) o «Driving at Night» (2016), rossi accesi, blu profondi, gialli intensi, verdi vivaci e rosa vibranti, tonalità miscelate a larghe campiture e spesso messe in contrasto tra di loro, si presentano come un «marcatore autobiografico», per usare le parole della stessa pittrice, la cui arte dalle geometrie minimaliste «è influenzata – si legge nella presentazione - dalla controcultura degli anni ‘70, dal movimento per la libertà di parola e dallo spirito surfistico della sua nativa California, che seppe anticipare persino la cultura beat e i successivi movimenti di contestazione del sistema».

Il colore è protagonista anche nell’antologica dedicata a Maria Morganti, con una selezione di lavori realizzati tra il 1988 e il 2024. La rassegna, a cura di Elena Volpato, porta nelle sale della Gam di Torino il cuore dello studio dell’artista milanese di nascita e veneziana d’adozione, «luogo fisico e mentale, dove – si legge nella presentazione - dare forma al tempo attraverso la semplicità di atti quotidiani che compongono, per lento accumulo, il complesso diario cromatico di un’esistenza».
 
Tra «Confronti» con i maestri del passato, «Diari», «Sedimentazioni» e un «Quadro infinito», realizzato ogni giorno dal 2006, c’è in mostra anche la ciotola in cui l’artista crea ogni giorno un nuovo colore, una «melma cromatica» mescolata e rimescolata da anni, erede di una gestualità che guarda alla grande tradizione pittorica lagunare.

Alla Gam di Torino è, inoltre, visibile l’esposizione «Grasso» dedicata ai primi sette numeri della rivista ideata nel 2016 da Giuseppe Gabellone e Diego Perrone. Il nome risponde alla inusuale grandezza del progetto editoriale, un vero fuori formato, che per essere letto deve potersi dispiegare nei suoi due metri di base per tre metri di altezza.

Non manca, poi, nelle sale del museo un omaggio all’arte del passato con la mostra su Berthe Morisot, l’unica pittrice del movimento impressionista francese, della quale sono esposte una cinquantina di opere, tra celebri dipinti, disegni e incisioni, provenienti dalle istituzioni più importanti d’Europa (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi e il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid) e da preziose collezioni private. «Sfera familiare», «Ritratti femminili», «Paesaggi e giardini» e «Figure nel verde» sono le quattro sezioni in cui si articola il percorso espositivo, tutte accomunate dalla luce, quella con cui la pittrice francese smaterializzava l’apparenza condensandola in un istante irripetibile. A queste sezioni si affianca una sala dedicata a un’importante raccolta di opere su carta, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi. 

Tra le opere in mostra, per la curatela di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, ci sono «Eugène Manet all’isola di Wight» (1875), «Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival» (1884), «Donna con ventaglio o Al ballo» (1875), «Il Ciliegio» (1891), «Pasie che cuce nel giardino» (1881-82) e «La ciotola del latte» (1890), dipinto, quest'ultimo, esposto per la prima volta in Italia e venduto in un’asta Sotheby’s a maggio 2022 per più di un milione di euro, a dimostrazione della costante valorizzazione che l’opera della pittrice acquista nel tempo. L’allestimento della mostra, che sarà visibile fino al 23 febbraio 2025, accoglie, poi, anche un display realizzato da Stefano Arienti. L'artista utilizza materiali differenti come ritratti di Berthe Morisot rivisitati, elementi olfattivi, nastri di stoffa in raso e organza, carte da parati, oggetti dell’epoca, per fare da sfondo ai meravigliosi e ariosi dipinti della pittrice impressionista, la cui massima espressione si ha nelle scene en plein air, sempre caratterizzate da atmosfere vibranti e cromaticamente intense. 

[Didascalie delle immagini: 1. e 3. Maria Morganti. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio; 2. Mary Heilmann. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Nicola Morittu; 4. Installazione della mostra di Berthe Morisot alla Gam di Torino. Foto: Perrottino]

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Per saperne di più: https://www.gamtorino.it/.


SALVO ALLA PINACOTECA AGNELLI 
[30 ottobre 2024] Il 1973 è convenzionalmente un anno importante per Salvo Mangione (Leonforte, 1947-Torino, 2015). L'artista incomincia a dedicarsi esclusivamente alla pittura (rimanendovi fedele per i successivi quarant’anni), sebbene sia ancora legato al linguaggio concettuale e all'Arte povera. Risalgono a quell'anno due mostre importanti che documentano la svolta, una alla John Weber Gallery di New York - con fotomontaggi di immagini tratte dalla stampa periodica sul tema dell'autorappresentazione -, l’altra alla Galleria Toselli di Milano - con due tele di grandi dimensioni come «San Giorgio e il drago» e «San Michele sconfigge Satana», dove i volti dei santi diventano autoritratti. È questo il primo capitolo della grande antologica «Arrivare in tempo», a cura di Sarah Cosulich e Lucrezia Calabrò Visconti, aperta dal 1° novembre 2024 al 25 maggio 2025 alla Pinacoteca Agnelli di Torino.

Articolata sui tre piani dello spazio espositivo, la mostra allinea più di centosettanta opere e affronta alcuni dei motivi fondamentali nella ricerca dell’artista: «il concetto di ripetizione nell’esplorazione di motivi ricorrenti, inteso sia come tecnica pittorica sia come urgenza concettuale; la riflessione sulla pittura come linguaggio e sul linguaggio come arte; il rapporto tra storia dell’arte e sguardo sulla quotidianità».

Il percorso è immaginato come una passeggiata che parte dallo studio di Salvo per uscire, poi, alla scoperta del mondo, raccontato attraverso motivi ricorrenti quali i bar con i giocatori di flipper o di biliardo, le strade illuminate dai lampioni, le fabbriche, i porti, i tetti innevati dei paesi di montagna, le rovine dell’antichità in paesaggi di un’arcadia immaginata, il mare.

Non mancano lungo il percorso espositivo i cieli incendiati dal tramonto, un tema caro all’artista. Ed è proprio a un aneddoto legato a questo soggetto che è ispirato il titolo dell’esposizione torinese: in una lettera a Giuseppe Pontiggia, presente in mostra, Salvo racconta, infatti, che, dopo un piccolo tamponamento da lui causato, si scusò con il malcapitato dicendo che cercava di arrivare in tempo per vedere il tramonto.

In occasione di «Artissima» (in programma dal 1° al 3 novembre), la Pinacoteca Agnelli inaugura anche, sulla Pista 500, due nuove opere site-specific: l’installazione neon ambientale «Come Run With Me» di Monica Bonvicini (1965) e l’immagine sul billboard «My Mother Was My First Country» di Chalisée Naamani (1995), una riflessione, quest’ultima, sulla funzione propagandistica del cartellone pubblicitario.

[Image Courtesy Pinacoteca Agnelli, Torino - Ph. Credit Sebastiano Pellion di Persano]

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Maggiori informazioni sul sito https://www.pinacoteca-agnelli.it/.


NAM JUNE PAIK AL MAO – MUSEO ARTE ORIENTALE 
[31 ottobre 2024] È il 1996 quando l’artista sudcoreano Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), uno dei pionieri della video arte e tra le voci più significative di Fluxus, posiziona un coniglietto di legno davanti a uno schermo televisivo sul quale compare la luna: nasce così «Rabbit Inhabits the Moon», un’opera iconica che vuole invitare l’osservatore a riflettere sul potere dei mass media e sui riti della società capitalistica occidentale.

Quasi trent’anni dopo quell’installazione, che si rifà a un topos letterario caro a diverse culture asiatiche, dà il titolo alla mostra, per la curatela di Davide Quadrio e Joanne Kim, con Anna Musini e Francesca Filisetti, che il Mao – Museo d’arte orientale di Torino dedica fino al prossimo 23 marzo all’artista, in occasione del 140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia.

In un allestimento che fa dialogare realtà e immaginazione, tradizione e tecnologia, e dove è centrale l’elemento sonoro e performativo, diciassette lavori di Nam June Paik – perlopiù in prestito dalla Fondazione Bonotto – sono messi a confronto con nuove produzioni degli artisti coreani Kyuchul Ahn, Jesse Chun, Shiu Jin, Young-chul Kim, Dae-sup Kwon, Chan-Ho Park, Sunmin Park ed eobchae × Sungsil Ryu.
Completa il percorso espositivo una selezione di preziosi manufatti tradizionali che forniscono il contesto storico per i riferimenti spirituali e tradizionali a cui le opere attingono. Questi lavori, tra cui spiccano uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo e una bottiglia piriforme in gres del XV secolo, sono stati dati in prestito da prestigiose istituzioni, tra le quali il Musée Guimet - Musée national des Arts asiatiques, il Museo d’arte orientale «E. Chiossone» di Genova e il Museo delle Civiltà di Roma.

In occasione della Notte del contemporaneo, in programma a Torino sabato 2 novembre, il Mao – Museo d’arte orientale presenta anche la seconda edizione di «Declinazioni contemporanee», il programma di residenze d’artista e commissioni site-specific che interpreta, rilegge e valorizza il patrimonio museale attraverso il linguaggio della creatività contemporanea.
Durante la serata verranno presentati l’installazione «Ancient Desires - Memories of Water & Earth» di Qiu Zhijie, con cento vasi votivi decorati a mano dall’artista con iscrizioni di preghiere, il progetto «Mappamundi» di Charwei Tsai e «Ultraworld» di Patrick Tuttofuoco, opera luminosa realizzata per la facciata del museo, nell’ambito del progetto «Costellazioni» di «Luci d’artista».


Per maggiori informazioni: https://www.fondazionetorinomusei.it.


DA CHRISTIAN CHIRONI ALLE «MOVIE ICONS», LE MOSTRE AI MUSEI DELL’AUTOMOBILE, DEL CINEMA E DELLA MONTAGNA
[2 novembre 2024] Torino non è solo un punto di riferimento per l'arte contemporanea grazie alle «Luci d'artista», a musei come il Castello di Rivoli e la Gam - Galleria d'arte moderna, al circuito delle sue gallerie private e ai tanti festival dedicati ai linguaggi dell'oggi - da «Artissima» a «The Others», da «Paratissima» a «Flashback Habitat» -, ma è anche storicamente la città del cinema, dell'automobile e della montagna. Qui, dove le Alpi sono poco distanti, il 7 novembre 1896 i fratelli Lumière allestirono, per iniziativa del fotografo Vittorio Calcina, la loro prima proiezione italiana; mentre l'11 luglio 1889 nasceva la Fiat, fondata all'epoca come «Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili – Torino». A queste tre eccellenze cittadine sono dedicati altrettanti musei, che, in occasione della Art Week torinese, hanno aperto le proprie porte all’arte contemporanea.

Nella Project room del Mauto, il museo nazionale dell’automobile che il 15 novembre inaugurerà la mostra storica «125 volte Fiat», Christian Chironi presenta, fino al 12 gennaio 2025, l’esposizione «Torino Stop», della quale è protagonista una Fiat 127 Special del 1971. La vettura, ribattezzata «Camaleonte» per la sua capacità di cambiare colore in base al contesto in cui sosta, è stata al centro di una performance itinerante, che ha toccato varie città del mondo - da Parigi a Marsiglia, da La Plata a Bologna, per giungere a Torino nei giorni di «Artissima 2024». Il drive tour ha seguito il filo rosso delle abitazioni ideate dal celebre architetto e urbanista svizzero Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, 1887-1965), dando così vita – si legge nella nota stampa - a «una tastiera architettonica, dove i colori si accostano come suoni», secondo l’idea che «una casa è una macchina da vivere».
Nella Project Room del Mauto, accanto all’automobile, sono esposte opere che attingono a svariati linguaggi e discipline - dalla fotografia al collage, dalla scultura alla videoinstallazione – insieme a elementi provenienti dalle precedenti tappe del progetto itinerante. Per l’occasione, Christian Chironi firma «Supercar», un’installazione luminosa per la facciata dell’edificio di corso Unità d’Italia.

Una «Luce d’artista», ovvero «Il volo dei numeri» di Mario Merz, illumina anche la Mole Antonelliana, sede del Museo del cinema, dove è allestita, fino al 13 gennaio 2025, la mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, con centoventi oggetti di scena, costumi e memorabilia provenienti dai set di Hollywood, in un percorso che spazia dalla piuma di «Forrest Gump» alla bacchetta magica di «Harry Potter», dal casco degli Stormtrooper di «Guerre stellari» fino alla pallottola di «Matrix».

Infine, al Museo della montagna è possibile vedere, fino al 29 giugno 2025, la mostra d’arte contemporanea «Walking Mountains», curata da Andrea Lerda e con Hamish Fulton e Michael Höpfner come mentori, che interpreta il cammino non solo come attività fisica rigenerante, ma anche come gesto culturale e politico attraverso il lavoro di una ventina di artisti, tra cui compaiono figure storiche come Richard Long e Joseph Beuys.

Nella stessa sede è allestita anche l’esposizione «Era come andare sulla Luna. K2 1954», con attrezzature, fotografie, pubblicità, giornali e registrazioni che raccontano l’impresa del 31 luglio 1954 sul K2. Chiude il percorso un’installazione artistica del collettivo D20 Art Lab.

[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista dell'esposizione «Torino Stop» di Christian Chironi, allestita fino al 12 gennaio 2025 al Mauto - Museo dell'automobile di Torino. Photo Credits Cosimo Maffione - Courtesy: Museo dell'automobile di Torino; 3. Vista della mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, allestita fino al 13 gennaio 2025 al Museo del cinema di Torino. Foto: Marco Carossio. Courtesy: Museo nazionale del cinema, Torino]

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PAV, ORG E FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO: SCRIGNI D’ARTE E DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE

[3 novembre 2024] Torino non è solo la città dell’automobile e del cinema, ma è anche un centro nevralgico di archeologia industriale, che ha visto riconvertire, grazie a sapienti progetti di rigenerazione urbana, alcuni delle sue vecchie fabbriche storiche in spazi museali. È il caso delle Officine grandi riparazioni – Org, dove un tempo ci si occupava della manutenzione dei treni e che ora è un centro di innovazione e creatività.

Fino al 2 febbraio 2025, la suggestiva cornice del Binario 1 appare trasformata in un ambiente immersivo psichedelico grazie a «Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980), per la curatela di Simone Piazza, presentato in anteprima alla Fondazione Beyeler di Basilea, nell’ambito della collettiva «Summer Exhibition».
Attraverso un gioco di immagini stereoscopiche in movimento, il mezzo filmico perde la sua bidimensionalità e si trasforma in scultura. Il flusso visivo mescola visioni differenti, rievocando alcune architetture tipiche della Germania, dall’Oktoberfest alle rovine romane ritrovate in un parcheggio sotto la cattedrale di Colonia, da un Burger King di Norimberga a un paesaggio romantico di Bastei, formazione rocciosa più volte dipinta dal pittore Caspar David Friedrich. La colonna sonora arricchisce la visione grazie al mixaggio di melodie e suoni diversi, che mettono insieme ritmi sudanesi con le note di un organo incontrato per le strade di Weimar.

Altro spazio di archeologia industriale è il Pav – Parco arte vivente, centro sperimentale concepito dall’artista Piero Gilardi su un ex sito industriale della Framtek, azienda produttrice di molle, affiliata al Gruppo Fiat. In questa sede è allestita, fino al 15 febbraio 2025, «Cambio de Fuerza», la prima mostra personale in Italia dell’artista ecuadoregno Adrián Balseca (Quito, 1989), curata da Marco Scotini, il cui titolo fa riferimento allo slogan «La fuerza del cambio» («La forza del cambiamento») utilizzato alla fine degli anni '70 durante la campagna elettorale di Jaime Roldós Aguilera, primo presidente democraticamente eletto, nel 1979, dopo il periodo della dittatura.

Attraverso una serie di progetti realizzati negli ultimi dieci anni che combinano fatti reali, archivi storici, etno-fiction e memoria, la rassegna indaga il ruolo dell’essere umano come attore consapevole nell’eco-sistema, sottolineando le interconnessioni tra economia, ecologia e memoria, e analizzando le dinamiche di potere legate all’estrazione delle risorse naturali.
Tra le opere esposte è possibile vedere «Plantasia Oil Co.» (2021-ongoing), un'installazione composta da barili e lattine che un tempo contenevano olio per motori e lubrificanti industriali prodotti da aziende italiane e transnazionali, e «The Unbalanced Land» (2019), un lavoro sulle trasformazioni dei sistemi capitalistici e coloniali in America Latina, nel quale suoni, fotografie e oggetti scultorei danno vita al resoconto di viaggio «Travels Amongst the Great Andes of the Equator» (1892) dello scienziato ed esploratore britannico Edward Whymper. Vale la pena ricordare che l’attenzione all’ambiente anima anche la mostra di «Mitch Epstein. American Nature», allestita fino al 2 marzo 2025 alle Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo.

In Borgo San Paolo, nell'area dell'ex Fergat che produceva cerchioni per automobili, c’è l’ultima tappa del nostro percorso tra le mostre che hanno aperto nei giorni di «Artissima» e che coloreranno l’autunno di Torino: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il cui programma espositivo guarda alla scena internazionale, con tre promettenti nomi dell’arte contemporanea.
Si inizia con lo scultore olandese Mark Manders (Volkel, Paesi Bassi, 1968), noto per le sue innovazioni concettuali e materiche nel campo della scultura, che presenta fino al 15 marzo 2025 «Silent Studio», la sua prima mostra antologica in un’istituzione italiana, con più di venti opere, tra sculture e installazioni, in bronzo, acciaio, ferro, ma anche carta e pittura, realizzate nel corso di oltre trent’anni, sull'idea dell’autoritratto concepito come edificio.
Mentre in «Your Mouth Come Second», Stefanie Heinze (Berlino, 1987), alla «prima mostra personale istituzionale», racconta la sua ricerca pittorica con disegni a matita, inchiostro, penna a sfera e collage, nel quale è centrale l’esplorazione di tematiche quali la tenerezza e la vulnerabilità.
A concludere il cartellone c’è il vincitore del Premio illy Present Future 2023: Bekhbaatar Enkhtur. L’artista, classe 1994, presenta, fino al 5 gennaio 2025, la mostra «Hearsay», un’indagine sul potenziale simbolico degli animali e degli esseri umani, realizzata attraverso figure a bassorilievo metallico, dove la mitologia della sua terra natale, la Mongolia, prende vita anche tramite materiali organici come argilla, cera e paglia.

[Didascalie delle immagini: 1. Vista di Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980) esposto alle Officine grandi riparazioni - Org di Torino fino al 2 febbraio 2025; 2. Adrián Balseca, Recolector (Estela negra), 2019. 35mm photograph, 51 cm x 43 cm; 3. Bekhbaatar Enkhtur, vincitore dell'Illy Present Future Prize 2023. Vista dell'installazione: Perottino-Piva-Peirone / Artissima]  

Per maggiori informazioni: https://ogrtorino.it/ | http://parcoartevivente.it  | https://fsrr.org.



a cura di Annamaria Micaela Sigalotti


[ultimo aggiornamento domenica 3 novembre 2024, alle ore 18:10