Torino riaccende, per il ventisettesimo anno consecutivo, le sue
«Luci d’artista», uno dei progetti più longevi e rappresentativi del ruolo dell’arte contemporanea per l’identità e la vita culturale della città. Ventotto sono le installazioni di grandi autori contemporanei che ogni notte, fino al 12 gennaio 2025, trasformeranno il capoluogo piemontese in un luminoso museo a cielo aperto da guardare con il naso all'insù. Tra questi lavori ce ne sono due nuovi:
«VR Man» di Andreas Angelidakis (Atene, 1968), una grande silhouette umana stilizzata arricchita da un riferimento alla statuaria antica, in piazza Vittorio Veneto (angolo lungo Po Cadorna), e
«Scia’Mano» di Luigi Ontani (1943), un omaggio alla tradizione magica torinese, visibile ai Giardini Sambuy. Tutto intorno ci sono opere luminose ormai conosciute al grande pubblico, dal coloratissimo
«Tappeto volante» di Daniele Buren, in piazza Palazzo di Città, alla spettacolare installazione
«Piccoli spiriti blu» di Rebecca Horn, con cerchi di luce capaci di donare un aspetto surreale e onirico, quasi da astronave in volo, alla chiesa di santa Maria al Monte dei Cappuccini, senza dimenticare
«Il volo dei numeri» di Mario Merz sulla Mole Antonelliana, la sede del Museo del cinema.
Sotto queste speciali luminarie natalizie c'è l'
ampia offerta espositiva della città, una delle eredità più belle della trentunesima edizione di
«Artissima», che nella sua tre giorni di inizio novembre ha visto musei, fondazione e gallerie private inaugurare la loro stagione autunnale, dando vita a una vera e propria festa della cultura e delle arti contemporanee, ma non solo.
Dalla fotografia di Tina Modotti all'arte impressionista di Berthe Morisot, dai capolavori novecenteschi della Gnam di Roma alla mostra per il centenario della nascita di Mario Merz, dal bianco e nero di Mimmo Jodice al «Rabbit Inhabits the Moon» di Nam June Paik, dalla grande antologica su Salvo ai progetti espositivi sul colore di Mary Heilmann e Maria Morganti, dalle icone del cinema hollywodiano alla personale di Bekhbaatar Enkhtur (vincitore del Premio illy Present Future 2023), senza dimenticare gli interessanti progetti espositivi «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura» al Castello di Rivoli e «Crossing. Attraversare una collezione» a Palazzo Madama, ma anche le mostre al Pav - Parco Arte Vivente, alle Officine grandi riparazioni e ai musei dell'automobile e della montagna: un percorso - o meglio un diario di viaggio (le «Notizie in pillole» pubblicate sulla pagina Facebook dal 30 ottobre e al 3 novembre 2024) - tra le mostre che coloreranno l'autunno di Torino.
Ma all'ombra della Mole le sorprese non sono ancora finite. Già nei prossimi giorni apriranno due nuove esposizioni: al
Museo Accorsi-Ometto i riflettori saranno puntati su
Giorgio De Chirico (dall'8 novembre 2024 al 2 marzo 2025), in occasione del centenario del Surrealismo; all'
Accademia Albertina si terrà la mostra personale «
Reborn – Through India To My Soul» (dal 7 novembre all'8 dicembre 2024) della fotografa
Ivana Sunjic, che è stata anche assistente del
fotoreporter e ritrattista
Steve McCurry. Mentre a metà novembre il
Mauto - Museo dell'automobile inaugurerà
«125 volte Fiat»: opere d’arte, bozzetti d’artista e manifesti pubblicitari, documenti d’archivio, materiali grafici, fotografici e audiovisivi d’eccezione, oltre a otto vetture, racconteranno la storia della celebre casa automobilistica, nata nel 1899 con il nome di Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Buona lettura!
AI MUSEI REALI «LA GRANDE ARTE» DELLA GNAM DI ROMA
[2 novembre 2024] Il ventennio fra il 1950 e il 1970 rappresenta una stagione unica per l’arte italiana, un eccezionale laboratorio di rinnovamento stilistico e tematico che non può fare a meno di guardare al passato, ovvero alle ancora laceranti ferite della Seconda guerra mondiale, e di riflettere sul presente, dominato dal necessario entusiasmo per la «ricostruzione» del Paese. A questa straordinaria stagione guarda la mostra «1950-1970. La grande arte italiana», a cura di Renata Cristina Mazzantini e Luca Massimo Barbero, allestita fino al 2 marzo 2025 ai Musei Reali di Torino.
Nelle Sale Chiablese sfilano settantanove opere provenienti dalla Gnam - Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, riunite insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza, che evidenziano il trentennale rapporto dell’allora soprintendente Palma Bucarelli con gli artisti più significativi e innovativi di quegli anni, protagonisti, per usare le parole di Luca Massimo Barbero, di un vero e proprio «movimento tellurico». Si tratta di ventuno autori, che si muovono tra il linguaggio astratto e informale e il tema della materialità, di cui l’Arte povera, che nasce proprio a Torino, rappresenta l’apice.
Il percorso espositivo, articolato in dodici sale, inizia con Ettore Colla («Rilievo con bulloni», 1958/59) e Pino Pascali («L’arco di Ulisse», 1968), per proseguire con gli ideogrammi di Capogrossi, i raffinati «Concetti spaziali» di Lucio Fontana, le opere germinali (e ancora astratte) di Mimmo Rotella, i polimaterici di Bice Lazzari e lo straordinario «Gobbo» (1950) di Alberto Burri. Entrano, quindi, in scena Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo Dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti. Si giunge così al cuore della mostra: un inedito dialogo tra Lucio Fontana e Alberto Burri, con undici opere, tra cui il «Concetto spaziale. Teatrino» (1965) del primo e il «Nero cretto G5» (1975) del secondo.
Roma, con il fermento creativo che la caratterizzò tra gli anni ’50 e ’60, è la protagonista del passo successivo. Ecco così le opere di Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Tano Festa, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli e Toti Scialoja.
La mostra ricorda, quindi, che la Gnam, prima di qualsiasi museo nazionale, fece entrare nelle sue sale i «Quadri specchianti» di Michelangelo Pistoletto, le corrosive critiche al potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni, le «Cancellature» di Emilio Isgrò e, a meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di Pino Pascali, che, nella mostra torinese, è messa in dialogo con quella di Mario Schifano, per raccontare una stagione capace di smentire e invalidare il «culto reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità».
TINA MODOTTI A CAMERA – CENTRO ITALIANO PER LA FOTOGRAFIA
[2 novembre 2024] Libera, audace, determinata e con una biografia più avvincente di un romanzo, che la vide non solo fotografare, ma anche recitare nel cinema muto con Rodolfo Valentino, avere una storia d’amore (finita tragicamente) con l’attivista cubano Julio Antonio Mella, essere animatrice del Soccorso rosso internazionale e lottare strenuamente per i diritti delle donne e di chi vive ai margini della storia: Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, detta Tina (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), fa parte di quella schiera di intellettuali del Novecento, da Tamara de Lempicka a Frida Kahlo, attorno alla cui figura si è creato un alone di leggenda, che spesso ha finito per oscurarne l’ampia produzione fotografica caratterizzata da oltre cinquecento scatti realizzati in soli 46 anni di vita.
Alla fotografa messicana, con natali friulani, è dedicata la mostra autunnale di Camera – Centro italiano per la fotografia di Torino con trecento immagini, selezionate da Riccardo Costantini, che provengono da ben trentadue archivi di tutto il mondo (da Honolulu a San Francisco, da Città del Messico a Mosca, da Udine a Canberra).
Dagli anni della formazione come assistente di Edward Weston fino agli ultimi scatti, dalle prime nature morte alle conosciute immagini di documentazione sociale e antropologica dai forti rimandi politici, l’esposizione offre un ritratto integrale e completo di Tina Modotti, che spazia dalla nascita a Udine fino all’esilio in Messico, passando per i viaggi in Austria, Stati Uniti, Germania, Russia, Francia e Spagna.
Sotto i riflettori ci sono le sue «fotografie oneste», libere da virtuosismi e caratterizzate da un’immediatezza che non rinuncia alla sperimentazione, nelle quali vengono raccontati il lavoro, l’attivismo politico, la povertà, le contraddizioni del progresso e del passaggio alla modernità, ma anche il folklore messicano e l’arte muralista di Rivera, Siquieros, Orozco, Guerrero, Pacheco.
La mostra «Tina Modotti. L’opera», aperta fino al 2 febbraio 2025, è importante anche dal punto di vista documentale, perché raccoglie materiali inediti, video, riviste, documenti, ritagli di quotidiani, ritratti dell’artista e fotografie che riscostruiscono la sua prima e unica esposizione, tenutasi dal 3 al 14 dicembre 1929 nell’atrio dell’Università nazionale del Messico. La rassegna include, inoltre, un percorso di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni.
In contemporanea, la Project Room di Camera ospita l’esposizione «Mimmo Jodice. Oasi», curata da Walter Guadagnini con la collaborazione di Barbara Bergaglio, che allinea quaranta immagini, realizzate tra il 2007 e il 2008 per una committenza ricevuta da Fondazione Zegna, nelle quali è possibile ritrovare – si legge nella nota stampa - tutta la poetica del fotografo napoletano, «la sua capacità di trasformare la realtà naturale o artificiale in una visione metafisica, sospesa nel tempo e nello spazio».
[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista della mostra «Tina Modotti. Opera», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani; 3. Vista della mostra «Mimmo Jodice. Oasi», aperta fino al 2 febbraio 2025 a Camera - Centro italiano per la fotografia di Torino. Foto di Andrea Guermani]
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DAGLI IGLOO ALLA «LEGGEREZZA DELLE FAVOLE»: CENTO ANNI DI MARIO MERZ
[1° novembre 2024] Metafora dell’habitat ideale, nel suo rievocare un mondo in cui l’uomo vive in simbiosi con la natura, la forma dell’igloo segna il percorso creativo di Mario Merz (1925-2003), uno dei maestri dell’Arte povera, a partire dal 1968 fino alla sua morte. In occasione del centenario della nascita, la fondazione torinese che porta il nome dell’artista riunisce alcune di queste strutture iconiche, prodotte con vari materiali e in differenti dimensioni, nella mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola».
Nello specifico, sono esposti tre igloo: uno in foglie d’oro («Senza titolo», 1997), che con i suoi riflessi luminosi irradia lo spazio circostante; uno del diametro di cinque metri, ricoperto di lastre di pietre rosa provenienti da una cava argentina («Senza titolo», 2002); e un altro («Senza titolo», 1989), realizzato per l’esposizione personale dell’artista al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel settembre 1989, sulla cui struttura in rete metallica si susseguono fittamente delle forme di pane.
La mostra, curata dalla figlia Marisa Merz, propone anche altri lavori: installazioni, tavoli, tele e opere su carta, tutti ispirati alle teorie dell'antropologo Claude Lévi-Strauss sui modelli culturali a fondamento del pensiero umano.
Il titolo dell’esposizione, tratto da uno scritto dello stesso Mario Merz, evoca il concetto di «leggerezza» concettuale presente nell’intera produzione del maestro, in cui l'«assurdità» si mescola alla poesia della «favola».
A dialogare con i numeri di Fibonacci, antica presenza negli spazi della fondazione torinese, ci sono i vasi luminescenti del progetto «L’horizont de lumière traverse notre vertical du jour» (1995), l’imponente lavoro pittorico «Geco in casa» (1983), il grande tavolo in cera «Quattro tavoli in forma di foglie di magnolia» (1985), esposto per la prima volta in Europa, e grandi disegni di forme organiche che potrebbero essere radici, fiori o esseri invertebrati, le cui forme sono ritratte con rapidi e sicuri segni a carboncino, pastello, inchiostri o vernice.
Chiude idealmente il percorso espositivo il video-documentario «Che fare? / Mario Merz» di Roberto Cuzzillo, con una selezione di interviste d'epoca, accompagnate da immagini di mostre passate e recenti, che offrono una riflessione su cosa significasse essere artisti negli anni dell’Avanguardia poverista, quando materiali umili come prodotti industriali (cemento, eternit, ferro) ed elementi naturali (terra, acqua, legno) diventavano opere d’arte.
[Immagini:Veduta della mostra «Qualcosa che toglie il peso che mantiene l’assurdità e la leggerezza della favola» di Mario Merz, allestita fino al 2 febbraio 2025 alla Fondazione Mario Merz di Torino. Courtesy Fondazione Merz]
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Per saperne di più: https://www.fondazionemerz.org.
«CROSSING. ATTRAVERSARE UNA COLLEZIONE»: QUATTRO ARTISTI CONTEMPORANEI A PALAZZO MADAMA
[1° novembre 2024] «Solo ciò che è trascorso o mutato o scomparso ci rivela il suo volto reale»: sono queste parole, tratte dal libro «Il mestiere di vivere» di Cesare Pavese, a spiegare il senso del progetto espositivo «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami. Quattro artisti contemporanei differenti per età, formazione e provenienza si confrontano con la storia millenaria, la vasta collezione e i maestosi spazi di Palazzo Madama, il Museo civico d’arte antica di Torino.
Ad aprire il percorso espositivo, allestito fino all’8 dicembre, sono le «Panacée» di Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), tre figure monumentali che richiamano la statuaria antica, collocate in cima allo scalone juvarriano in omaggio alla fondazione romana dell’edificio. Il dialogo col passato si fa, qui, contemporaneo attraverso un gioco illusorio, che è anche un omaggio alle origini torinesi dell’Arte povera, grazie all’utilizzo di materiali inattesi. l’usuale marmo viene, infatti, sostituito con stoffe e sapone, quest’ultimo proveniente dal Saponificio «Fer à Cheval» di Marsiglia, fabbrica di antica tradizione con cui l’artista collabora da anni.
Nella stanza delle ceramiche, dove sono presenti anche dei manufatti a tema culinario, RunoB (Zhang Xiaodong,1992) giovane artista cinese di nascita e veneziano d’elezione, presenta, invece, dieci vasi di grandi dimensioni realizzati durante una sua recentissima residenza a Nove (Vicenza). La tematica del cibo viene rivisitata in chiave pop, attraverso colori vivaci, chiamando in causa l’iconografia dei fast-food e della sempre più diffusa abitudine del take-away.
Il percorso espositivo prosegue con «Ritornello», un grande tondo di quasi due metri realizzato da Marta Sforni (Milano, 1966) come omaggio al monumentale lampadario, ideato nel 1928 dai fratelli Toso, al centro della sala dedicata ai vetri. Da tempo l’artista fa fatto del lampadario veneziano il soggetto prediletto della sua pittura, con una tecnica personale fatta di sottili velature che si concentrano, lambendo a tratti i confini dell’astratto, in particolare sui dettagli – le «bossette», in termine tecnico, e i «fiori» – di questi sontuosi manufatti antichi.
La mostra si chiude, nella veranda Juvarriana, con una grande installazione di Giuseppe Lo Cascio (Baucina, Palermo, 1997), giovane artista particolarmente attento al tema della memoria, che presenta degli schedari monumentali, delle vere e proprie «torri di Babele in metallo e cartoncino o lamine plastiche», che ribadiscono la ragione stessa del museo, inteso come rifugio del sapere.
Con questi quattro «momenti di inciampo» rispetto al consueto percorso di visita, «Crossing» offre, dunque, un nuovo sguardo sulle collezioni di Palazzo Madama, scrigno d’arte antica che in questi giorni, e fino al 13 gennaio, ospita anche una riflessione sul cambiamento climatico con la mostra «Change. Ieri, oggi, domani, il Po». Mentre nel giardino medioevale è allestita, fino al 9 dicembre, la personale «In ascolto», con tredici sculture in bronzo di Sergio Unia (Roccaforte Mondovì, 10 marzo 1943) che trattano temi universali sviluppati quali il rapporto con la natura, l’antico, l’infanzia e i giochi dell’adolescenza. Il progetto nasce su iniziativa della Fondazione Crc, nell’ambito del progetto «Donare».
[Didascalie delle immagini: 1. Frédérique Nalbandian (Mentone, Francia, 1967), Panacée I,II,III, 2021. Sapone di Marsiglia, stoffa e cassaforma in legno. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 2. RunoB (Zhang Xiaodong,1992), Un'evoluzione di un delivery rider, 2024. Porcellana dipinta a mano. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino; 3. Marta Sforni (Milano, 1966), Ritornello, 2024. Tecnica mista su tavola. Vista della mostra «Crossing. Attraversare una collezione», a cura di Cristina Beltrami, allestita fino all'8 dicembre 2024 a Torino, nelle sale di Palazzo Madama. Foto: Giorgio Perrottino]
«MUTUAL AID», ARTE E NATURA SI INCONTRANO AL CASTELLO DI RIVOLI [31 ottobre 2024] Sarà perché il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono diventati temi di stringente attualità. Sarà perché sono sempre più evidenti i danni, in molti casi irreversibili, che l’uomo ha fatto agli ecosistemi. Sarà perché da più parti giunge l’invito alla sostenibilità ambientale. Sta di fatto che, negli ultimi anni, è aumentato il numero di artisti che si interessano alla
natura non tanto come soggetto delle proprie opere, quanto come parte vitale del proprio processo creativo. Tronchi d’albero, sterpaglie, ciottoli di fiume, piante velenose, ragni, farfalle, lombrichi sono diventati così materia d’arte al pari di un tubetto di colore o di un blocco di marmo. Tutto ha avuto negli anni Sessanta con la Land Art, corrente che in Italia ha avuto tra i suoi pionieri
Giuseppe Penone (Garessio, 1947). Ed è proprio l’artista piemontese, insieme con
Agnes Denes (Budapest, 1931), ad aprire idealmente il percorso espositivo della
mostra «Mutual Aid. Arte in collaborazione con la natura», a cura di
Francesco Manacorda e
Marianna Vecellio, allestita fino a domenica 23 marzo 2025 al
Castello di Rivoli.
Il titolo della rassegna, ideata appositamente per lo spazio della Manica Lunga, si ispira alle teorie che
Piotr Kropotkin (1842–1921) presentò nel suo libro «Il mutuo appoggio – Un fattore dell’evoluzione», pubblicato all’inizio del secolo scorso. Ribaltando la visione evoluzionista di
Charles Darwin, il filosofo e zoologo russo ipotizzò che, in uno scenario instabile e con risorse limitate, la migliore opzione di sopravvivenza fosse la collaborazione tra specie. Ed è proprio una sinergia tra uomo e mondo naturale quella che anima la mostra del Castello di Rivoli, dove espongono venti artisti internazionali con i loro differenti linguaggi creativi - dal video alla pittura, dal suono all'installazione, dalla scultura alla fotografia –, dando vita a un vero e proprio «organismo vivente» che muta, si decompone e si ricompone sotto gli occhi del visitatore.
Le ragnatele cosparse di polvere di grafite di
Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, Argentina, 1973), le imponenti tele di
Vivian Suter (Buenos Aires, 1949) sulla foresta pluviale guatemalteca, le sculture con il fungo Trametes versicolor di
Nour Mobarak (Cairo, 1985), l’installazione «Le lâcher d’escargots» («Il rilascio delle lumache» 2009), di
Michel Blazy (Monaco, 1966), l’ambiente naturale ricreato da
Natsuko Uchino (Kumamoto, Giappone, 1983), dove assaporare un kefir, sono solo alcune delle opere in mostra. Il percorso culmina con l’installazione immersiva
«The sun eats her children» (2023) di
Precious Okoyomon (Londra, 1993), in cui una serra tropicale accoglie farfalle e piante velenose in un paesaggio surreale; l’ambiente naturale è qui un potente simbolo di forza e rigenerazione. Si chiude così questo affascinante viaggio, dagli anni Sessanta a oggi, che è anche e soprattutto un invito a salvare il pianeta.
[Immagini: 1.Hubert Duprat, Larva di tricottero con il suo astuccio (veduta della mostra), 1980-1994. Oro, opale, perle. Lunghezza 2,5 cm. Photo: H. Del Olmo. © Hubert Duprat, ADAGP, 2024. Courtesy l’artista e / the artist and Art : Concept, Paris; 2. Michel Blazy, Le lâcher d'escargots (Il rilascio delle lumache / The snail release), 2009 (dettaglio).Lumache, moquette marrone, dimensioni variabili. Veduta dell’installazione- Room II, Maison Hermès, Tokyo, Japan, 2016- © Michel Blazy. Courtesy l’artista e Concept, Paris; 3. Nour Mobarak, Apollo Copy (Copia di Apollo), 2023. Micelio di Trametes versicolor, legno intonacato. 30 x 25 x 30 cm, dimensioni totali 100 x 120 x 50 cm. Courtesy l’artista e d Sylvia Kouvali, London / Piraeus]
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[1° novembre 2024] Colore, luce, tempo quotidiano ed essenzialità del gesto pittorico: sono questi temi a fare da filo rosso tra le mostre di
Mary Heilmann (San Francisco, 1940) e
Maria Morganti (Milano, 1965), in programma fino al 16 marzo 2025 negli spazi della
Gam - Galleria d’arte moderna di Torino, che ha da poco riaperto i battenti con un
nuovo allestimento della propria collezione, all’interno del quale
Stefano Arienti (Asola, 1961) è «L’intruso», ovvero l’artista ospite invitato a creare degli «inciampi creativi» che interrompono la narrazione espositiva per destare stupore nell’osservatore.
Quella di Mary Heilmann, figura di spicco nell’astrazione contemporanea, è la sua prima grande mostra antologica in Italia. Attraverso sessanta opere, selezionate da
Chiara Bertola (con la collaborazione dello Studio Heilmann di New York), vengono ripercorsi sessant’anni di carriera dell’artista americana, dai primi dipinti geometrici degli anni Settanta fino alle recenti tele sagomate in colori fluorescenti.
In un percorso ipnotico e gioioso che spazia da «Chinatown» (1976) a «Tube at Dusk» (2022), passando per tele come «French Screen» (1978) o «Driving at Night» (2016), rossi accesi, blu profondi, gialli intensi, verdi vivaci e rosa vibranti, tonalità miscelate a larghe campiture e spesso messe in contrasto tra di loro, si presentano come un «marcatore autobiografico», per usare le parole della stessa pittrice, la cui arte dalle geometrie minimaliste «è influenzata – si legge nella presentazione - dalla controcultura degli anni ‘70, dal movimento per la libertà di parola e dallo spirito surfistico della sua nativa California, che seppe anticipare persino la cultura beat e i successivi movimenti di contestazione del sistema».
Il colore è protagonista anche nell’antologica dedicata a Maria Morganti, con una selezione di lavori realizzati tra il 1988 e il 2024. La rassegna, a cura di
Elena Volpato, porta nelle sale della Gam di Torino il cuore dello studio dell’artista milanese di nascita e veneziana d’adozione, «luogo fisico e mentale, dove – si legge nella presentazione - dare forma al tempo attraverso la semplicità di atti quotidiani che compongono, per lento accumulo, il complesso diario cromatico di un’esistenza».
Tra «Confronti» con i maestri del passato, «Diari», «Sedimentazioni» e un «Quadro infinito», realizzato ogni giorno dal 2006, c’è in mostra anche la ciotola in cui l’artista crea ogni giorno un nuovo colore, una «melma cromatica» mescolata e rimescolata da anni, erede di una gestualità che guarda alla grande tradizione pittorica lagunare.
Alla Gam di Torino è, inoltre, visibile l’
esposizione «Grasso» dedicata ai primi sette numeri della rivista ideata nel 2016 da
Giuseppe Gabellone e
Diego Perrone. Il nome risponde alla inusuale grandezza del progetto editoriale, un vero fuori formato, che per essere letto deve potersi dispiegare nei suoi due metri di base per tre metri di altezza.
Non manca, poi, nelle sale del museo un omaggio all’arte del passato con la mostra su
Berthe Morisot, l’unica pittrice del movimento impressionista francese, della quale sono esposte una cinquantina di opere, tra celebri dipinti, disegni e incisioni, provenienti dalle istituzioni più importanti d’Europa (tra cui il Musée d'Orsay di Parigi e il Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid) e da preziose collezioni private.
«Sfera familiare»,
«Ritratti femminili»,
«Paesaggi e giardini» e
«Figure nel verde» sono le quattro sezioni in cui si articola il percorso espositivo, tutte accomunate dalla luce, quella con cui la pittrice francese smaterializzava l’apparenza condensandola in un istante irripetibile. A queste sezioni si affianca una sala dedicata a un’importante raccolta di opere su carta, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi.
Tra le opere in mostra, per la curatela di Maria Teresa Benedetti e Giulia Perin, ci sono «Eugène Manet all’isola di Wight» (1875), «Eugène Manet e sua figlia nel giardino di Bougival» (1884), «Donna con ventaglio o Al ballo» (1875), «Il Ciliegio» (1891), «Pasie che cuce nel giardino» (1881-82) e «La ciotola del latte» (1890), dipinto, quest'ultimo, esposto per la prima volta in Italia e venduto in un’asta Sotheby’s a maggio 2022 per più di un milione di euro, a dimostrazione della costante valorizzazione che l’opera della pittrice acquista nel tempo. L’allestimento della mostra, che sarà visibile fino al 23 febbraio 2025, accoglie, poi, anche un display realizzato da Stefano Arienti. L'artista utilizza materiali differenti come ritratti di Berthe Morisot rivisitati, elementi olfattivi, nastri di stoffa in raso e organza, carte da parati, oggetti dell’epoca, per fare da sfondo ai meravigliosi e ariosi dipinti della pittrice impressionista, la cui massima espressione si ha nelle scene en plein air, sempre caratterizzate da atmosfere vibranti e cromaticamente intense.
[Didascalie delle immagini: 1. e 3. Maria Morganti. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio; 2. Mary Heilmann. Vista della mostra in corso fino al 16 marzo 2025 alla Gam - Galleria d'arte moderna di Torino. Foto: Nicola Morittu; 4. Installazione della mostra di Berthe Morisot alla Gam di Torino. Foto: Perrottino]Galleria fotografica sulla pagina Facebook
Per saperne di più:
https://www.gamtorino.it/.
SALVO ALLA PINACOTECA AGNELLI [30 ottobre 2024] Il
1973 è convenzionalmente un anno importante per
Salvo Mangione (Leonforte, 1947-Torino, 2015). L'artista incomincia a dedicarsi esclusivamente alla pittura (rimanendovi fedele per i successivi quarant’anni), sebbene sia ancora legato al linguaggio concettuale e all'Arte povera. Risalgono a quell'anno due mostre importanti che documentano la svolta, una alla
John Weber Gallery di New York - con fotomontaggi di immagini tratte dalla stampa periodica sul tema dell'autorappresentazione -, l’altra alla
Galleria Toselli di Milano - con due tele di grandi dimensioni come
«San Giorgio e il drago» e
«San Michele sconfigge Satana», dove i volti dei santi diventano autoritratti. È questo il primo capitolo della grande
antologica «Arrivare in tempo», a cura di
Sarah Cosulich e
Lucrezia Calabrò Visconti, aperta
dal 1° novembre 2024 al 25 maggio 2025 alla
Pinacoteca Agnelli di Torino.
Articolata sui
tre piani dello spazio espositivo, la mostra allinea
più di centosettanta opere e affronta alcuni dei motivi fondamentali nella ricerca dell’artista: «il concetto di ripetizione nell’esplorazione di motivi ricorrenti, inteso sia come tecnica pittorica sia come urgenza concettuale; la riflessione sulla pittura come linguaggio e sul linguaggio come arte; il rapporto tra storia dell’arte e sguardo sulla quotidianità».
Il percorso è immaginato come una passeggiata che parte dallo studio di Salvo per uscire, poi, alla scoperta del mondo, raccontato attraverso motivi ricorrenti quali i bar con i giocatori di flipper o di biliardo, le strade illuminate dai lampioni, le fabbriche, i porti, i tetti innevati dei paesi di montagna, le rovine dell’antichità in paesaggi di un’arcadia immaginata, il mare.
Non mancano lungo il percorso espositivo i cieli incendiati dal tramonto, un tema caro all’artista. Ed è proprio a un aneddoto legato a questo soggetto che è ispirato il titolo dell’esposizione torinese: in una lettera a
Giuseppe Pontiggia, presente in mostra, Salvo racconta, infatti, che, dopo un piccolo tamponamento da lui causato, si scusò con il malcapitato dicendo che cercava di arrivare in tempo per vedere il tramonto.
In occasione di «Artissima» (in programma dal 1° al 3 novembre), la Pinacoteca Agnelli inaugura anche, sulla
Pista 500, due nuove opere
site-specific: l’installazione
neon ambientale
«Come Run With Me» di Monica Bonvicini (1965) e l’immagine sul
billboard «My Mother Was My First Country» di Chalisée Naamani (1995), una riflessione, quest’ultima, sulla funzione propagandistica del cartellone pubblicitario.
NAM JUNE PAIK AL MAO – MUSEO ARTE ORIENTALE [31 ottobre 2024] È il 1996 quando l’artista sudcoreano
Nam June Paik (Seul, 1932 – Miami, 2006), uno dei pionieri della video arte e tra le voci più significative di Fluxus, posiziona un coniglietto di legno davanti a uno schermo televisivo sul quale compare la luna: nasce così
«Rabbit Inhabits the Moon», un’opera iconica che vuole invitare l’osservatore a riflettere sul potere dei mass media e sui riti della società capitalistica occidentale.
Quasi trent’anni dopo quell’installazione, che si rifà a un topos letterario caro a diverse culture asiatiche, dà il titolo alla mostra, per la curatela di
Davide Quadrio e
Joanne Kim, con
Anna Musini e
Francesca Filisetti, che il
Mao – Museo d’arte orientale di Torino dedica fino al prossimo 23 marzo all’artista, in occasione del
140° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Corea e Italia.
In un allestimento che fa dialogare realtà e immaginazione, tradizione e tecnologia, e dove è centrale l’elemento sonoro e performativo, diciassette lavori di Nam June Paik – perlopiù in prestito dalla
Fondazione Bonotto – sono messi a confronto con
nuove produzioni degli artisti coreani Kyuchul Ahn, Jesse Chun, Shiu Jin, Young-chul Kim, Dae-sup Kwon, Chan-Ho Park, Sunmin Park ed eobchae × Sungsil Ryu.
Completa il percorso espositivo una selezione di preziosi
manufatti tradizionali che forniscono il contesto storico per i riferimenti spirituali e tradizionali a cui le opere attingono. Questi lavori, tra cui spiccano uno specchio in bronzo a otto lobi di epoca Goryeo e una bottiglia piriforme in gres del XV secolo, sono stati dati in prestito da prestigiose istituzioni, tra le quali il
Musée Guimet - Musée national des Arts asiatiques, il
Museo d’arte orientale «E. Chiossone» di Genova e il
Museo delle Civiltà di Roma.
In occasione della
Notte del contemporaneo, in programma a Torino sabato 2 novembre, il Mao – Museo d’arte orientale presenta anche la
seconda edizione di «Declinazioni contemporanee», il programma di residenze d’artista e commissioni
site-specific che interpreta, rilegge e valorizza il patrimonio museale attraverso il linguaggio della creatività contemporanea.
Durante la serata verranno presentati l’installazione «Ancient Desires - Memories of Water & Earth» di
Qiu Zhijie, con cento vasi votivi decorati a mano dall’artista con iscrizioni di preghiere, il progetto «Mappamundi» di
Charwei Tsai e «Ultraworld» di
Patrick Tuttofuoco, opera luminosa realizzata per la facciata del museo, nell’ambito del progetto «Costellazioni» di «Luci d’artista».
DA CHRISTIAN CHIRONI ALLE «MOVIE ICONS», LE MOSTRE AI MUSEI DELL’AUTOMOBILE, DEL CINEMA E DELLA MONTAGNA
[2 novembre 2024] Torino non è solo un punto di riferimento per l'arte contemporanea grazie alle «Luci d'artista», a musei come il Castello di Rivoli e la Gam - Galleria d'arte moderna, al circuito delle sue gallerie private e ai tanti festival dedicati ai linguaggi dell'oggi - da «Artissima» a «The Others», da «Paratissima» a «Flashback Habitat» -, ma è anche storicamente la
città del cinema, dell'automobile e della montagna. Qui, dove le Alpi sono poco distanti, il 7 novembre 1896 i fratelli Lumière allestirono, per iniziativa del fotografo Vittorio Calcina, la loro prima proiezione italiana; mentre l'11 luglio 1889 nasceva la Fiat, fondata all'epoca come «Società Anonima Fabbrica Italiana di Automobili – Torino». A queste tre eccellenze cittadine sono dedicati altrettanti musei, che, in occasione della Art Week torinese, hanno aperto le proprie porte all’arte contemporanea.
Nella
Project room del Mauto, il museo nazionale dell’automobile che il 15 novembre inaugurerà la mostra storica «125 volte Fiat»,
Christian Chironi presenta, fino al 12 gennaio 2025, l’esposizione
«Torino Stop», della quale è protagonista
una Fiat 127 Special del 1971. La vettura, ribattezzata «Camaleonte» per la sua capacità di cambiare colore in base al contesto in cui sosta, è stata al centro di una
performance itinerante, che ha toccato varie città del mondo - da Parigi a Marsiglia, da La Plata a Bologna, per giungere a Torino nei giorni di «Artissima 2024». Il
drive tour ha seguito il filo rosso delle abitazioni ideate dal celebre architetto e urbanista svizzero
Le Corbusier (pseudonimo di Charles-Édouard Jeanneret-Gris, 1887-1965), dando così vita – si legge nella nota stampa - a «una tastiera architettonica, dove i colori si accostano come suoni», secondo l’idea che «una casa è una macchina da vivere».
Nella Project Room del Mauto, accanto all’automobile, sono esposte opere che attingono a svariati linguaggi e discipline - dalla fotografia al
collage, dalla scultura alla videoinstallazione – insieme a elementi provenienti dalle precedenti tappe del progetto itinerante. Per l’occasione,
Christian Chironi firma «Supercar», un’installazione luminosa per la facciata dell’edificio di corso Unità d’Italia.
Una «Luce d’artista», ovvero «Il volo dei numeri» di
Mario Merz, illumina anche la Mole Antonelliana, sede del
Museo del cinema, dove è allestita, fino al 13 gennaio 2025, la mostra
«Movie Icons», a cura di
Domenico De Gaetano e
Luca Cabler, con centoventi oggetti di scena, costumi e
memorabilia provenienti dai
set di Hollywood, in un percorso che spazia dalla piuma di «Forrest Gump» alla bacchetta magica di «Harry Potter», dal casco degli Stormtrooper di «Guerre stellari» fino alla pallottola di «Matrix».
Infine, al
Museo della montagna è possibile vedere, fino al 29 giugno 2025, la mostra d’arte contemporanea
«Walking Mountains», curata da
Andrea Lerda e con
Hamish Fulton e
Michael Höpfner come mentori, che interpreta il cammino non solo come attività fisica rigenerante, ma anche come gesto culturale e politico attraverso il lavoro di una ventina di artisti, tra cui compaiono figure storiche come
Richard Long e
Joseph Beuys.
Nella stessa sede è allestita anche l’esposizione
«Era come andare sulla Luna. K2 1954», con attrezzature, fotografie, pubblicità, giornali e registrazioni che raccontano l’impresa del 31 luglio 1954 sul K2. Chiude il percorso un’
installazione artistica del collettivo D20 Art Lab.
[Didascalie delle immagini: 1. e 2. Vista dell'esposizione «Torino Stop» di Christian Chironi, allestita fino al 12 gennaio 2025 al Mauto - Museo dell'automobile di Torino. Photo Credits Cosimo Maffione - Courtesy: Museo dell'automobile di Torino; 3. Vista della mostra «Movie Icons», a cura di Domenico De Gaetano e Luca Cabler, allestita fino al 13 gennaio 2025 al Museo del cinema di Torino. Foto: Marco Carossio. Courtesy: Museo nazionale del cinema, Torino]
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PAV, ORG E FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO: SCRIGNI D’ARTE E DI ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE
[3 novembre 2024] Torino non è solo la città dell’automobile e del cinema, ma è anche un centro nevralgico di
archeologia industriale, che ha visto riconvertire, grazie a sapienti progetti di rigenerazione urbana, alcuni delle sue vecchie fabbriche storiche in spazi museali. È il caso delle
Officine grandi riparazioni – Org, dove un tempo ci si occupava della manutenzione dei treni e che ora è un centro di innovazione e creatività.
Fino al 2 febbraio 2025, la suggestiva cornice del
Binario 1 appare trasformata in un ambiente immersivo psichedelico grazie a
«Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese
Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980), per la curatela di Simone Piazza, presentato in anteprima alla Fondazione Beyeler di Basilea, nell’ambito della collettiva «Summer Exhibition».
Attraverso un gioco di immagini stereoscopiche in movimento, il mezzo filmico perde la sua bidimensionalità e si trasforma in scultura. Il flusso visivo mescola visioni differenti, rievocando alcune architetture tipiche della Germania, dall’Oktoberfest alle rovine romane ritrovate in un parcheggio sotto la cattedrale di Colonia, da un Burger King di Norimberga a un paesaggio romantico di Bastei, formazione rocciosa più volte dipinta dal pittore
Caspar David Friedrich. La colonna sonora arricchisce la visione grazie al mixaggio di melodie e suoni diversi, che mettono insieme ritmi sudanesi con le note di un organo incontrato per le strade di Weimar.
Altro spazio di archeologia industriale è il
Pav – Parco arte vivente, centro sperimentale concepito dall’artista
Piero Gilardi su un
ex sito industriale della Framtek, azienda produttrice di molle, affiliata al Gruppo Fiat. In questa sede è allestita, fino al 15 febbraio 2025,
«Cambio de Fuerza», la prima mostra personale in Italia dell’artista ecuadoregno
Adrián Balseca (Quito, 1989), curata da
Marco Scotini, il cui titolo fa riferimento allo
slogan «La fuerza del cambio» («La forza del cambiamento») utilizzato alla fine degli anni '70 durante la campagna elettorale di
Jaime Roldós Aguilera, primo presidente democraticamente eletto, nel 1979, dopo il periodo della dittatura.
Attraverso una serie di progetti realizzati negli ultimi dieci anni che combinano fatti reali, archivi storici, etno-fiction e memoria, la rassegna indaga il ruolo dell’essere umano come attore consapevole nell’eco-sistema, sottolineando le interconnessioni tra economia, ecologia e memoria, e analizzando le dinamiche di potere legate all’estrazione delle risorse naturali.
Tra le opere esposte è possibile vedere «Plantasia Oil Co.» (2021-ongoing), un'installazione composta da barili e lattine che un tempo contenevano olio per motori e lubrificanti industriali prodotti da aziende italiane e transnazionali, e «The Unbalanced Land» (2019), un lavoro sulle trasformazioni dei sistemi capitalistici e coloniali in America Latina, nel quale suoni, fotografie e oggetti scultorei danno vita al resoconto di viaggio «Travels Amongst the Great Andes of the Equator» (1892) dello scienziato ed esploratore britannico
Edward Whymper. Vale la pena ricordare che l’attenzione all’ambiente anima anche la mostra di
«Mitch Epstein. American Nature», allestita fino al 2 marzo 2025 alle
Gallerie d’Italia di Intesa San Paolo.
In Borgo San Paolo, nell'area dell'ex Fergat che produceva cerchioni per automobili, c’è l’ultima tappa del nostro percorso tra le mostre che hanno aperto nei giorni di «Artissima» e che coloreranno l’autunno di Torino: la
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il cui programma espositivo guarda alla scena internazionale, con tre promettenti nomi dell’arte contemporanea.
Si inizia con lo scultore olandese
Mark Manders (Volkel, Paesi Bassi, 1968), noto per le sue innovazioni concettuali e materiche nel campo della scultura, che presenta fino al 15 marzo 2025 «Silent Studio», la sua prima mostra antologica in un’istituzione italiana, con più di venti opere, tra sculture e installazioni, in bronzo, acciaio, ferro, ma anche carta e pittura, realizzate nel corso di oltre trent’anni, sull'idea dell’autoritratto concepito come edificio.
Mentre in «Your Mouth Come Second»,
Stefanie Heinze (Berlino, 1987), alla «prima mostra personale istituzionale», racconta la sua ricerca pittorica con disegni a matita, inchiostro, penna a sfera e
collage, nel quale è centrale l’esplorazione di tematiche quali la tenerezza e la vulnerabilità.
A concludere il cartellone c’è il vincitore del
Premio illy Present Future 2023:
Bekhbaatar Enkhtur. L’artista, classe 1994, presenta, fino al 5 gennaio 2025, la mostra «Hearsay», un’indagine sul potenziale simbolico degli animali e degli esseri umani, realizzata attraverso figure a bassorilievo metallico, dove la mitologia della sua terra natale, la Mongolia, prende vita anche tramite materiali organici come argilla, cera e paglia.
[Didascalie delle immagini: 1. Vista di Retinal Rivalry », progetto dell’artista francese Cyprien Gaillardon (Parigi, 1980) esposto alle Officine grandi riparazioni - Org di Torino fino al 2 febbraio 2025; 2. Adrián Balseca, Recolector (Estela negra), 2019. 35mm photograph, 51 cm x 43 cm; 3. Bekhbaatar Enkhtur, vincitore dell'Illy Present Future Prize 2023. Vista dell'installazione: Perottino-Piva-Peirone / Artissima]
Per maggiori informazioni:
https://ogrtorino.it/ |
http://parcoartevivente.it |
https://fsrr.org.
a cura di Annamaria Micaela Sigalotti
[ultimo aggiornamento domenica 3 novembre 2024, alle ore 18:10]