Tata di mestiere, fotografa per vocazione: quando si parla di Vivian Maier (1926-2009) è questa la prima espressione che viene in mente. L’artista americana -conosciuta al grande pubblico solo nel 2007 quando John Maloof acquistò all’asta il suo corposo archivio, composto da più di 150.000 negativi, super 8 e 16mm film, diverse registrazioni audio, alcune fotografie e centinaia di rullini non sviluppati- si occupava, infatti, dell’educazione dei figli degli altri e nel frattempo, con la sua inseparabile Rolleiflex, ritraeva in bianco e nero, con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, scene di strada, ritratti di sconosciuti e il mondo dei bambini.
Vivian Maier era, dunque, un’ottima street photographer, capace di raccontare la bellezza dell’ordinario, scovando le fratture impercettibili e le inflessioni sfuggenti della realtà nella quotidianità che la circondava. Scattare ritratti era per lei una necessità. Era il modo attraverso il quale definiva la propria posizione nel mondo, e quello con cui provava a restituire l'ordine delle cose. Quando i protagonisti dei ritratti erano poveri, lasciava loro una legittima distanza. Quando, invece, appartenevano all'alta società metteva in atto azioni di disturbo facendo in modo che nello scatto risultassero infastiditi. La Maier aveva due facce: quella che accettava la propria condizione di bambinaia, e quella che, invece, la combatteva cercando di essere qualcun altro. Questo dualismo, generato dallo scontro tra le due anime, ha dato vita a una vicenda senza paragoni nella storia della fotografia.
Di Vivian Maier ci sono giunti anche molti autoritratti e sono proprio questi i protagonisti della mostra «The Self-Portrait and its Double», in programma dal 20 luglio al 16 ottobre al Magazzino delle Idee di Trieste, per la curatela di Anne Morin. L’esposizione -realizzata con la collaborazione della madrilena diChroma photography, della John Maloof Collection e della Howard Greenberg Gallery di New York- allinea settanta lavori, di cui cinquantanove in bianco e nero e undici a colori, questi ultimi mai esposti prima d’ora sul territorio italiano.
L'interesse di Vivian Maier per l'autoritratto era più che altro una disperata ricerca della sua identità. Ridotta all'invisibilità, a una sorta di inesistenza a causa dello status sociale, l’artista americana si mise a produrre prove inconfutabili della sua presenza in un mondo che sembrava non avere un posto per lei. Lasciò la sua memoria in tutti i luoghi dove ebbe occasione di lavorare come bambinaia per oltre quarant’anni, a partire dai primi anni Cinquanta e per quattro decenni, da New York a Chicago.
Il suo riflesso in uno specchio, la sua ombra che si estende a terra, o il contorno della sua figura: come in un lungo gioco a nascondino, tra ombre e riflessi, in mostra ogni autoritratto di Vivian Maier è un'affermazione della sua presenza in quel particolare luogo, in quel particolare momento.
Caratteristica ricorrente è l'ombra, diventata una firma inconfondibile nei suoi autoritratti. La sua silhouette, la cui caratteristica principale è il suo attaccamento al corpo, quel duplicato del corpo in negativo «scolpito dalla realtà», ha la capacità di rendere presente ciò che è assente.
Inedito nel percorso espositivo è il nucleo di immagini a colori. Per Vivian Maier, il passaggio al colore è stato accompagnato da un cambiamento dovuto all’utilizzo di una Leica all'inizio degli anni Settanta. La fotocamera è leggera, facile da portare: le foto sono riprese direttamente a livello dell'occhio, a differenza della Rolleiflex che usava prima. Vivian Maier è così in grado di raccogliere il contatto visivo con gli altri e fotografare il mondo nella sua realtà colorata. Il suo lavoro a colori rimane singolare, libero e anche giocoso. Esplora le caratteristiche specifiche del linguaggio cromatico con una certa casualità, elabora il proprio vocabolario, ma soprattutto si diverte con il reale: sottolineando stridenti dettagli di colore, mostrando le discrepanze multicolore della moda o giocando con brillanti contrappunti.
Accompagna gli scatti fotografici in mostra una serie di filmati in super 8mm realizzati dalla stessa Vivian Maier, che ci permettono di seguire il movimento dell'occhio dell’artista. Nel 1960 l’artista inizia, infatti, a filmare scene di strada, eventi e luoghi. Il suo approccio cinematografico è strettamente legato al suo linguaggio da fotografa: è una questione di esperienza visiva, di un’osservazione discreta e silenziosa del mondo che la circonda. Non c'è narrazione, nessun movimento della macchina (l'unico movimento cinematografico è quello della carrozza o della metropolitana in cui si trova). Vivian Maier filma quello che la porta all'immagine fotografica: osserva, si ferma intuitivamente su un soggetto e lo segue. Ingrandisce con la lente per avvicinarsi senza avvicinarsi e concentrarsi su un atteggiamento o un dettaglio (come le gambe e le mani di individui in mezzo alla folla). Il film è sia una documentazione (un uomo mentre viene arrestato dalla polizia, oppure i danni causati da un tornado) sia un oggetto di contemplazione (la strana processione di pecore ai mattatoi di Chicago).
Dall’esposizione triestina emerge, dunque, il ritratto di una fotografa, diventata icona solo in anni recenti, capace non solo di appropriarsi del linguaggio visivo della sua epoca, ma di farlo con uno sguardo sottile e un punto di vista acuto.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Vivian Maier, Untitled, Chicago, IL, 1974_Paper size: 11x14 inches. ©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY; [fig. 2] Vivian Maier, Self-portrait on a beach in New York's Staten Island, 1954_ Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm) Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm)©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, NY; [fig. 3] Vian Maier, n.d.Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm) Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm); [fig. 4] Vivian Maier, 1955_Image size: 12x12 inch (30,48 x 30,48 cm)_Paper size: 20x16 inch (50,8 x 40,64 cm) ©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof Collection and Howard Greenberg Gallery, N
Informazioni utili
Vivian Maier, The Self-Portrait and its Double. Magazzino delle Idee, Corso Camillo Benso conte di Cavour, 2 – Trieste. Orari: da martedì a domenica, ore 10.00-20.00; lunedì chiuso | aperture straordinarie: 15 agosto. Informazioni: info@magazzinodelleidee.it | tel. 040.3774783 | tel. 0481.91697. Sito internet: www.magazzinodelleidee.it | www.vivianmaier.com. Inaugurazione: 19 luglio 2019, ore 18. Dal 20 luglio al 22 settembre 2019. La mostra è prorogata fino al 16 ottobre 2019.
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