ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

sabato 30 aprile 2022

«On fire», alla Fondazione Cini di Venezia il fuoco dialoga con l’arte contemporanea

Non ha forma, peso e densità. È immateriale e naturalmente fuggevole, eppure scalda, brucia, scoppia, illumina, risplende, distrugge e crea. È un elemento vivo. È, per usare le parole del saggista e giornalista James Henry Leigh Hunt (Southgate, Middlesex, 1784 - Putney 1859), «il più tangibile dei misteri visibili». Il fuoco è, tra i quattro elementi naturali, quello che più ha affascinato il mondo dell’arte, dove ha assunto le funzioni e i significati più diversi, ora di accessorio narrativo, ora di  medium  creativo, ora di presenza sacrale, simbolo di purificazione, rigenerazione e nuovi inizi.
Dal fuoco della redenzione che scalda il Bambino in tante Adorazioni dei pastori alle eruzioni vulcaniche che caratterizzano molti dipinti di area napoletana, dall’immancabile candela che rischiara i notturni di George de La Tour al falò della convivialità presente nel quadro «Upa, upa» di Paul Gauguin, pittori e scultori hanno traghettato il fuoco, quale elemento figurativo, nel Novecento, il secolo delle sperimentazioni e delle performance.
Le Avanguardie del secondo Dopoguerra hanno, quindi, scritto un nuovo capitolo di questa storia millenaria: dagli anni Cinquanta in poi, gli artisti sono, infatti, riusciti ad appropriarsi degli effetti sia distruttivi che generatori del fuoco, impiegandolo su diversi materiali, e hanno usato questo elemento naturale come medium per innovare il loro stesso linguaggio pittorico e plastico.
A questa storia guarda la mostra «On Fire», a cura di Bruno Corà, allestita fino al 24 luglio a Venezia, sull’isola di San Giorgio Maggiore, negli spazi della Fondazione Giorgio Cini, e promossa con la galleria Tornabuoni in occasione della cinquantanovesima edizione della Biennale d’arte.
Ventisei opere, tra cui diversi capolavori inediti o raramente mostrati al pubblico, suddivise in sei sezioni, documentano l’uso del fuoco come strumento di combustione dei materiali o come presenza viva con i propri effetti sensoriali, talvolta spettacolari, o, infine, come traccia pittorica attraverso il fumo della combustione.
Ad aprire il percorso espositivo, studiato per exempla, è Yves Klein, artista che fu attratto dall'aspetto dialettico del fuoco, simbolo di distruzione e rigenerazione, vita e morte, bene e di male. «Il fuoco – affermava - è per me il futuro senza dimenticare il passato. È la memoria della natura. È dolcezza, il fuoco ‘è dolcezza e tortura’. È il focolare e l'apocalisse. È un piacere per il bambino sapientemente sedutosi vicino al camino; punisce, tuttavia, ogni disobbedienza quando si vuole giocare troppo da vicino con le sue fiamme. È benessere e rispetto. È un dio tutelare e terribile, buono e cattivo». Nacquero da queste considerazioni le quattro «Peinture de feu» esposte, ovvero le «Antropometrie» degli anni Sessanta, ultima fase della ricerca dell'artista.
Ispirazione creativa e formazione scientifica si sposano, invece, nell’uso del fuoco fatto da Alberto Burri. «Per molto tempo ho voluto – annotava, a tal proposito, l’artista - approfondire il modo in cui il fuoco consuma, comprendere la natura della combustione e come tutto possa vivere e morire nella combustione per formare un'unità perfetta». La fiamma ossidrica dava all’artista umbro la possibilità di imprimere buchi, grinze e strappi, proprio come una cicatrice, alle materie che trattava – inizialmente carta, poi legno e plastica – anche grazie al lavoro manuale. «Nulla - raccontava Alberto Burri - è lasciato al caso. Quello che faccio qui è il tipo di pittura più controllato e controllabile...Bisogna controllare il materiale e questo si ottiene padroneggiando la tecnica».
Mentre per Armand Pierre Fernandez, in arte Arman, punto di partenza per l’uso del fuoco nella sua pratica artistica fu l’opera «Fauteuil d'Ulysse», realizzata negli anni Sessanta, con l'aiuto di Martial Raysse, per una mostra al Museo Stedeljik di Amsterdam. L'idea di questo lavoro, presente nella rassegna veneziana, venne all'artista durante una visita a una discarica, dove vide una poltrona stile Luigi XV che stava bruciando in cima a un mucchio di spazzatura. Da quest’opera principia una serie di combustioni con mobili eleganti e strumenti musicali che venivano consumati dal fuoco prima di essere stabilizzati dall'introduzione di resina. Distruggere un oggetto e farlo rivivere in forma nuova è, dunque, lo scopo del lavoro di Arman con il fuoco.
Dal Noveau Réalisme si passa, quindi, all’Arte povera con Pier Paolo Calzolari, le cui opere sono realizzate fin dall’inizio con materiali in costante conversazione tra loro, umili e provenienti dai contesti semi-industriali urbani o elementi naturali. Tra questi ci sono il fuoco, il legno, ma anche rottami, oggetti quotidiani e tubi al neon. In «Mangiafuoco» la pittura dialoga con la vitalità mutevole della materia, ovvero il fuoco soffiato sulla tela. «Il mio scopo - affermava l’artista - era stato fare in modo che la fiamma viva non rendesse in alcun modo secondario il rosso dipinto sulla tela».
Due lavori caratterizzano, poi, la presenza di Jannis Kounellis in mostra: «Margherita del fuoco» (1967), prima sua opera che fa uso della fiamma ossidrica e della bombola del gas, e «Senza titolo», una doppia lastra di ferro solcata da sette cannelli di rame, dai quali fuoriescono altrettante fiamme alimentate a gas, incorniciata da una sequela di grossi coltelli conficcati su panetti di piombo.
A chiudere il percorso espositivo è un’enorme biblioteca senza libri di Claudio Parmiggiani, realizzata in situ con il fumo e la fuliggine della combustione. L’opera, che pone al centro il tema della memoria, fa parte del ciclo delle «Delocazioni», «uno spazio vuoto di percezioni fisiche – si legge nella nota stampa -, dove però lo spettatore ha la sensazione di penetrare in un luogo abitato. L'assenza di oggetti esposti in precedenza rende i muri ancora più chiari; non c'è più che la loro traccia fuligginosa da vedere».
L’intero percorso espositivo dà sostanza alle parole di Gaston Bachelard: «l'alta dignità delle arti del fuoco deriva dal fatto che le loro opere portano il segno più profondamente umano, il segno dell'amore primitivo. (…) Le forme create dal fuoco sono modellate, più di ogni altra, come bene suggerisce Paul Valéry: 'a forza di carezze'».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alberto Burri, Rosso Plastica M3, 1961, Plastica, combustione su tela, 121,5 x 182,5 cm. ©Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri; [Fig. 2] Yves Klein, Peinture de feu sans titre, ca. 1961, burned cardboard on pannel, 250 x 130 cm. © Succession Yves Klein c_o ADAGP, Paris, 2022.Reproduction Fee(s) ADAGP, Paris; [fig. 3] ves Klein, Peinture de feu sans titre, ca. 1961, burned cardboard on pannel, 142 x 303 cm.© Succession Yves Klein c_o ADAGP, Paris, 2022.Reproduction Fee(s) ADAGP, Paris; [ig. 4] Jannis Kounellis, Margherita di Fuoco, 1967, Stella di ferro con fiamma ossidrica. diam. 150 cm. ©Claudio Abate, Roma; [fig. 5] Claudio Parmiggiani, Solo la terra oscura, 2020. Fumo e fuliggine su tavola, 240x1824cm. Foto Agostino Osio-Alto Piano. Courtesy Fondazione MAXXI

Informazioni utili
On Fire. Isola di San Giorgio Maggiore, Sala Carnelutti e Piccolo Teatro -  Venezia, Italia. Orari: aperto tutti i giorni (tranne il mercoledì), dalle 11 alle 19. Ingresso gratuito. Sito web: www.cini.it. Fino al 24 luglio 2022

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