È un’esperienza unica e di grande suggestione quella che propone la mostra «A tu per tu con Tiziano», a cura di Davide Dotti, allestita fino al 3 luglio a Brescia, negli spazi della Collegiata dei Santi Nazaro e Celso.
In occasione del quinto centenario dell’arrivo in città del Polittico Averoldi, nel presbiterio della chiesa è stata appositamente allestita una struttura che permette al pubblico di salire a sette metri di altezza e di vedere da una prospettiva inedita e ravvicinata, a solo due metri di distanza, il capolavoro che il bresciano Altobello Averoldi, vescovo di Pola e legato pontificio a Venezia, commissionò nel 1519 al maestro cadorino, una delle pietre miliari del Rinascimento, portatore di numerose innovazioni dal punto di vista estetico e stilistico.
Molto fragile e dunque inamovibile dalla sua sede originaria, l’opera, di solito visibile solo dal basso e a grande distanza, è composta da cinque pannelli dipinti a olio su tavola. Al centro spicca la «Resurrezione di Cristo»: Gesù vittorioso, con il corpo in movimento e in torsione, tiene nella mano destra il vessillo crociato simbolo del trionfo sulla morte. Nel registro superiore è rappresentato l’episodio dell’«Annunciazione» suddiviso in due distinti pannelli. A sinistra, contro un fondo scuro, campeggia l’elegante e luminosa figura dell’arcangelo Gabriele che srotola un filatterio con l’iscrizione «Ave Gratia Plena». A destra appare la Vergine con il capo leggermente chino, che porta la destra al petto in segno di accettazione. La tavola di sinistra del registro inferiore raffigura, invece, i santi patroni Nazaro e Celso in armatura, in compagnia del committente Altobello Averoldi colto in preghiera con le mani giunte. Mentre quella di destra è interamente occupata dalla figura di San Sebastiano, che lo stesso cadorino maestro riteneva «la megliore pictura ch’el facesse mai».
Il percorso espositivo si completa con la visita alla pala dell’Incoronazione della Vergine con i santi Michele Arcangelo, Giuseppe, Francesco d’Assisi e Nicola da Bari e al Padre Eterno, dipinta da Alessandro Bonvicino detto il Moretto che, per l’occasione sarà affiancata dalla predella raffigurante l’adorazione dei pastori, concessa eccezionalmente in prestito dal Museo diocesano di Brescia.
La visione dell’opera di Tiziano, dalla straordinaria qualità pittorica e dalla folgorante potenza espressiva, è organizzata per gruppi di massimo 15 persone a cui verrà fornita un'audioguida; i gruppi saranno accompagnati nel percorso di vista da volontari, secondo una turnazione di 20 minuti; il venerdì e il sabato dalle 10 alle 17:30, la domenica dalle 11 alle 17:30. Ogni giovedì di giugno, alle ore 20:30, la Collegiata dei Santi Nazaro e Celso ospiterà, inoltre, una serie di iniziative collaterali che prevede una conferenza di approfondimento sul polittico Averoldi, accompagnata da un concerto di musica rinascimentale e barocca, a cura della Bach Consort Brescia.
Il pubblico potrà così ammirare particolari di solito difficilmente visibili: la firma e la data apposta da Tiziano sul rocchio di colonna sul quale San Sebastiano poggia il piede destro («Ticianvs Faciebat / MDXXII»), la straordinaria fisicità dell’atletico corpo del Redentore, la dolcezza del profilo della Vergine, i lunghi boccoli dorati che incorniciano il volto dell’angelo annunciante e i numerosi pentimenti dell’artista, individuabili anche ad occhio nudo, quali il cambiamento della posizione delle gambe e del tessuto svolazzante che cinge i fianchi del Cristo. Tutte caratteristiche, queste, che parlano del sublime genio di Tiziano.
Per maggiori informazioni: www.tizianobrescia.it.
Emilio Isgrò dona «Cinque Maggio. Minuta cancellata» alla Biblioteca nazionale Braidense
Di quel memorabile «Ei fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro, / stette la spoglia immemore...», che tutti abbiamo studiato a scuola, non resta che l’iniziale «Ei fu…». Poi è un susseguirsi di righe tirate a pennarello e di piccole formiche che vanno a riempire l’intero foglio. La Biblioteca nazionale Braindense di Milano arricchisce la propria collezione di una nuova opera. Il siciliano Emilio Isgrò, classe 1937, ha donato all’istituzione diretta da James Bradburne il suo «Cinque maggio. Minuta cancellata», lavoro che fonde arte e letteratura, esemplificativo di un modo di fare cultura e comunicazione, iniziato nel 1964, che lo ha messo a contatto, tra l’altro, con i grandi scrittori del passato.
Con questa opera, «il maestro delle cancellature», del quale è in fase di realizzazione il catalogo generale dell’opera per la curatela di Bruno Corà con Marzo Bazzini e Scilla Velati Isrò, ha affrontato il manoscritto autografo della celebre poesia di Alessandro Manzoni dedicata a Napoleone, uno dei tesori della Braidense, istituto che accoglie il più importante fondo nazionale dedicato al padre del romanzo «I promessi sposi».
«È la seconda volta – racconta l’artista, tra i maestri della corrente concettuale - che affronto l’opera manzoniana, e devo riconoscere che scalzare Manzoni dal trono del dubbio è più difficile che svuotare Napoleone del suo carisma. Anche per Il Cinque Maggio non poteva che essere così. Mi sono appoggiato al testo così come il compositore si appoggia al libretto, lasciando parlare da sole le parole che la musica rischia di cancellare. È chiaro che l’incipit «Ei fu» l’ho dovuto lasciare nella sua interezza, per accendere l’immaginazione e la memoria del pubblico».
Mentre James Bradburne, soddisfatto di questo prestigioso dono che va a rafforzare la raccolta di documenti manzoniani, sottolinea come «il lavoro di Isgrò – basato sulla cancellazione di parole, immagini e note – non abbia nulla a che vedere con l’«annullamento della cultura». Anzi, è manifestamente il suo opposto. Non è una negazione del passato, ma una sua rispettosa celebrazione – opera di un Boccioni, non di un Marinetti».
L’opera è esposta fino al 2 luglio insieme all’originale del «Cinque Maggio» manzoniano nella Sala Maria Teresa della biblioteca, visitabile con ingresso libero in orario di apertura al pubblico.
Per maggiori informazioni: bibliotecabraidense.org.
Genova, Porta Siberia diventa la «Casa degli Angeli»
Creature alate, arcangeli, serafini e cherubini da secoli popolano l’arte figurativa. Pur essendo arcani ed eterei sono tra i soggetti più effigiati dal mondo dell’arte. Da Giotto a Mantegna, da Raffaello a Rubens, da Tiepolo a Segantini, da Chagall a Warhol, non c’è grande artista della pittura universale che non abbia lasciato il suo inconfondibile segno nella galleria a tema angelico. A questa immaginaria pinacoteca vanno aggiunte le opere realizzate, nell’arco degli ultimi quindici anni, per la Iglesia de los Angeles nell’estancia argentina El Milagro, vicino a Salta.
Daniele Crippa, critico d’arte e presidente del Museo del Parco di Portofino, nonché anima creativa di questo progetto di grande importanza per la comunità indigena di tradizioni cristiane, ha coinvolto numerosi pittori e scultori conosciuti nel corso del suo lavoro invitandoli a realizzare un’opera raffigurante un angelo. «Più di cinquecento artisti italiani, da Gillo Dorfles a Giosetta Fioroni, fino a Elio Marchegiani e Mimmo Paladino, hanno risposto all’invito – racconta il curatore. Ciascuna immagine è stata, poi, trasferita da maestranze del luogo in piastrelle delle dimensioni di cm 20 x 20 per decorare le pareti di tutta la chiesa».
I disegni realizzati per il luogo di culto argentino sono attualmente esposti nella mostra «La casa degli Angeli», allestita nelle sale di Porta Siberia al Porto Antico di Genova. L’allestimento accompagna il visitatore in un viaggio teso ad approfondire l’importanza dei messaggeri divini nella cultura contemporanea. La collettiva, accompagnata dal volume «Angeli & Artisti nella Iglesia de los Angeles» pubblicato da Bellavite Editore, è stata concepita come un work in progress: alle opere esposte se ne andranno, infatti, ad aggiungere di nuove, realizzate per l’occasione. È previsto, infatti, che per decorare interamente le pareti dell’Iglesia de Los Angeles servano 1820 piastrelle.
«Sottolineare il culto degli angeli e la loro importanza nella pittura e nelle varie forme espressive - raccontano gli organizzatori - significa anche celebrare l’amicizia che nasce dal sapersi tutti amati e protetti dai custodi delle nostre vite. Grazie al ruolo fortemente iconico che hanno nell’immaginario di tutti in tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, queste figure inviano ancora oggi note di fratellanza».
Per maggiori informazioni: www.iglesiadelosangeles.com.
Creature alate, arcangeli, serafini e cherubini da secoli popolano l’arte figurativa. Pur essendo arcani ed eterei sono tra i soggetti più effigiati dal mondo dell’arte. Da Giotto a Mantegna, da Raffaello a Rubens, da Tiepolo a Segantini, da Chagall a Warhol, non c’è grande artista della pittura universale che non abbia lasciato il suo inconfondibile segno nella galleria a tema angelico. A questa immaginaria pinacoteca vanno aggiunte le opere realizzate, nell’arco degli ultimi quindici anni, per la Iglesia de los Angeles nell’estancia argentina El Milagro, vicino a Salta.
Daniele Crippa, critico d’arte e presidente del Museo del Parco di Portofino, nonché anima creativa di questo progetto di grande importanza per la comunità indigena di tradizioni cristiane, ha coinvolto numerosi pittori e scultori conosciuti nel corso del suo lavoro invitandoli a realizzare un’opera raffigurante un angelo. «Più di cinquecento artisti italiani, da Gillo Dorfles a Giosetta Fioroni, fino a Elio Marchegiani e Mimmo Paladino, hanno risposto all’invito – racconta il curatore. Ciascuna immagine è stata, poi, trasferita da maestranze del luogo in piastrelle delle dimensioni di cm 20 x 20 per decorare le pareti di tutta la chiesa».
I disegni realizzati per il luogo di culto argentino sono attualmente esposti nella mostra «La casa degli Angeli», allestita nelle sale di Porta Siberia al Porto Antico di Genova. L’allestimento accompagna il visitatore in un viaggio teso ad approfondire l’importanza dei messaggeri divini nella cultura contemporanea. La collettiva, accompagnata dal volume «Angeli & Artisti nella Iglesia de los Angeles» pubblicato da Bellavite Editore, è stata concepita come un work in progress: alle opere esposte se ne andranno, infatti, ad aggiungere di nuove, realizzate per l’occasione. È previsto, infatti, che per decorare interamente le pareti dell’Iglesia de Los Angeles servano 1820 piastrelle.
«Sottolineare il culto degli angeli e la loro importanza nella pittura e nelle varie forme espressive - raccontano gli organizzatori - significa anche celebrare l’amicizia che nasce dal sapersi tutti amati e protetti dai custodi delle nostre vite. Grazie al ruolo fortemente iconico che hanno nell’immaginario di tutti in tutto il mondo, indipendentemente dalla cultura di appartenenza, queste figure inviano ancora oggi note di fratellanza».
Per maggiori informazioni: www.iglesiadelosangeles.com.
A Firenze «I riflessi dell’esistenza» Di Zanbagh Lotfi
È una sorta di diario «scritto» a tocchi di pennello e con un insolito gioco di colori quello che l’artista iraniana Zanbagh Lotfi, classe 1976, presenta alla Crumb Gallery di Firenze nella mostra «I riflessi dell’esistenza».
Figlia del lockdown e di un periodo di solitudine e di grandi cambiamenti, l’esposizione toscana, aperta fino al 24 settembre, presenta una ventina di opere, di diversi formati, nei quali molto spesso protagonista è la stessa artista, raffigurata in un autoritratto. «Fumo una sigaretta», «My land my soul», «Qui passa una tempesta», «Come i fiori appassiti» sono solo alcuni dei titoli dei lavori esposti, nati – racconta Zanbagh Lotfi nel saggio «Pinocchio nel ventre della balena, messaggi (colorati) da un mondo nascosto» di Rory Cappelli - da «un’autoriflessione, in cui mi guardavo letteralmente come in una sorta di specchio».
Le immagini si sovrappongono in composizioni dense e potenti dove il colore gioca un ruolo fondamentale. Ed è proprio il colore con cui l’artista si confronta di più: negli anni, la sua pittura è sempre stata quasi monocromatica, dominata dal contrasto tra il bianco e il nero per arrivare progressivamente a toni più sfumati. In questi dipinti, invece, i verdi, i rosa, i viola, i gialli, i blu, gli arancioni, le tinte fosforescenti sono entrati in modo prepotente, portandola ad usare anche tecniche diverse come, ad esempio, l’olio. Tra le campiture cromatiche affiorano o si nascondono oggetti e figure umane, che raccontano anche il passato di Zanbagh Lotfi a Teheran, dove si è laureata in pittura e illustrazione, prima di venire a studiare all’Accademia di Belle arti di Firenze.
«Mi piace sporcare la tela e poi iniziare a dipingere sulle macchie di colore, cercando di creare un ordine tra tutte le cose che ho messo lì sopra – racconta l’artista a proposito del suo lavori. Ogni volta è una sfida con me stessa. Non so mai se riesco a finire, a volte un quadro non riesco a vincerlo, altre volte ci riesco dopo due anni, altre volte ancora in una notte si risolve tutto».
Per maggiori informazioni: www.crumbgallery.com.
Figlia del lockdown e di un periodo di solitudine e di grandi cambiamenti, l’esposizione toscana, aperta fino al 24 settembre, presenta una ventina di opere, di diversi formati, nei quali molto spesso protagonista è la stessa artista, raffigurata in un autoritratto. «Fumo una sigaretta», «My land my soul», «Qui passa una tempesta», «Come i fiori appassiti» sono solo alcuni dei titoli dei lavori esposti, nati – racconta Zanbagh Lotfi nel saggio «Pinocchio nel ventre della balena, messaggi (colorati) da un mondo nascosto» di Rory Cappelli - da «un’autoriflessione, in cui mi guardavo letteralmente come in una sorta di specchio».
Le immagini si sovrappongono in composizioni dense e potenti dove il colore gioca un ruolo fondamentale. Ed è proprio il colore con cui l’artista si confronta di più: negli anni, la sua pittura è sempre stata quasi monocromatica, dominata dal contrasto tra il bianco e il nero per arrivare progressivamente a toni più sfumati. In questi dipinti, invece, i verdi, i rosa, i viola, i gialli, i blu, gli arancioni, le tinte fosforescenti sono entrati in modo prepotente, portandola ad usare anche tecniche diverse come, ad esempio, l’olio. Tra le campiture cromatiche affiorano o si nascondono oggetti e figure umane, che raccontano anche il passato di Zanbagh Lotfi a Teheran, dove si è laureata in pittura e illustrazione, prima di venire a studiare all’Accademia di Belle arti di Firenze.
«Mi piace sporcare la tela e poi iniziare a dipingere sulle macchie di colore, cercando di creare un ordine tra tutte le cose che ho messo lì sopra – racconta l’artista a proposito del suo lavori. Ogni volta è una sfida con me stessa. Non so mai se riesco a finire, a volte un quadro non riesco a vincerlo, altre volte ci riesco dopo due anni, altre volte ancora in una notte si risolve tutto».
Per maggiori informazioni: www.crumbgallery.com.
«Una storia nell’arte», in mostra a Foligno la collezione di Alvaro Marchini
Più di settanta opere raccontano negli spazi del Ciac – Centro italiano arte contemporanea di Foligno «Una storia nell’arte», in bilico «tra impegno e passione»: quella di Alvaro Marchini, uomo dal forte credo politico che fu comandante partigiano, medaglia d’argento della Resistenza e cofondatore della società che editò «l’Unità», organo del Partito comunista, ma anche imprenditore di successo e gallerista con La Nuova Pesa. Il progetto espositivo, presentato negli scorsi mesi anche all’Accademia nazionale di San Luca a Roma, si avvale della curatela di Fabio Benzi, Arnaldo Colasanti, Flavia Matitti e Italo Tomassoni e del coordinamento di Gianni Dessì.
Il visitatore può ammirare, tra le altre, opere di Giacomo Balla, Georges Braque, Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Filippo De Pisis, René Magritte, Pablo Picasso, Giorgio Morandi e Renato Guttuso continuando, poi, con i lavori contemporanei di Carla Accardi, Luca Maria Patella, Cesare Tacchi, Mimmo Jodice, Enrico Castellani, Stefano Di Stasio, Felice Levini, Vettor Pisani, Maurizio Mochetti e Salvo. Tra i nuclei più importanti in mostra c’è una significativa raccolta di disegni di George Grosz, Otto Dix e Scipione. Particolarmente rara è, inoltre, l’esposizione dell’opera su tavola «Senza titolo» di Gino De Dominicis, facente parte della mostra che lo stesso artista realizzò nel 1996 nella galleria La Nuova Pesa, quando, oltre ad altre opere, espose l’installazione «L’Appeso». Altrettanto rara è l’opera «Senza titolo» di Jannis Kounellis, un olio su tela, metallo e coltello del 2013.
La mostra offre, dunque, un racconto del rapporto tra Alvaro Marchini e l’arte, che lo porta a collezionare e ad aprire nel 1959 a Roma la galleria La Nuova Pesa, con sede, prima in via Frattina e dall’autunno 1961, in via del Vantaggio. L’esperienza ricca e complessa nasce come tentativo cruciale di annodare e promuovere un’idea di possibile prassi estetica all’insegna della figurazione. La prima stagione della galleria, tra il 1959 e il 1976, vede coinvolto un gruppo di artisti e intellettuali, da Antonello Trombadori a Renato Guttuso, da Corrado Cagli a Pier Paolo Pasolini, da Alberto Moravia a Carlo Levi, legati ad Alvaro Marchini da amicizia, oltre che da una familiarità culturale e ideologica. Anche Simona e Carla, le due giovani figlie di Alvaro, partecipano attivamente alla gestione della galleria. Chiusa La Nuova Pesa nel 1976, Alvaro Marchini continua l’attività imprenditoriale e collezionistica sino alla morte, avvenuta il 24 settembre 1985. Un mese dopo la figlia Simona, quasi a lenirne la perdita, apre una nuova galleria nella stessa città e con lo stesso nome, ma nuovo indirizzo, via del Corso. In un’ideale continuità sentimentale, si avvia a farsi testimone del proprio tempo sino a giungere ai nostri giorni.
Per maggiori informazioni: www.ciacfoligno.it.
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