A Bologna le «Folgorazioni figurative» di Pier Paolo Pasolini
Fu nell’autunno del 1941 a Bologna, in una piccola aula universitaria di via Zamboni 33, che Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Roma, 2 novembre 1975) si innamorò dell’arte. Il merito fu di un insegnante speciale: Roberto Longhi (Alba, 28 dicembre 1890 – Firenze, 3 giugno 1970). Il critico d’arte piemontese aveva un modo tutto suo di leggere i dipinti. Proiettava sullo schermo dell’aula i vetrini che riproducevano le immagini di alcuni particolari delle opere d’arte analizzate. Partiva così da un viso, una mano, un lembo di stoffa per ricostruire lo stile dell’artista e le fasi del suo percorso.
«I fatti di Masaccio e Masolino» erano l’argomento di studio di quell’anno accademico, che plasmò lo sguardo di Pier Paolo Pasolini e che lasciò una traccia indelebile nella sua anima, pronta a riemergere negli anni Sessanta e Settanta in tanti suoi film. I capolavori dell’arte medievale e rinascimentale rivivono, infatti, nel cinema dell’intellettuale bolognese; sono riferimento visivo costante delle sue inquadrature e sono anche protagonisti di tableaux vivant, quadri viventi.
Lungo un percorso cronologico che va dall’esordio del 1961 con «Accattone» a «Salò» del 1975, film uscito postumo, la Cineteca di Bologna prova a raccontare questo aspetto dell’arte di Pier Paolo Pasolini nella mostra «Folgorazioni figurative», a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli. Fotografie di scena, riproduzioni di capolavori della storia dell’arte, parole di PPP e sequenze di film compongono il percorso espositivo, allestito fino al prossimo 16 ottobre nei nuovi spazi espositivi del Sottopasso di piazza Re Enzo.
Ogni pellicola dell’intellettuale bolognese è «la costruzione – racconta Marco Antonio Bazzocchi - di una bellezza che saccheggia ampie zone dell’arte italiana ed europea». L’armonia compositiva di Giotto che per primo porta la terza dimensione in pittura, la drammaticità di El Greco, i colori corposi e vividi di Pontormo, le forme eleganti di Piero della Francesca, i rossi di Rosso Fiorentino, la ricchezza narrativa del fiammingo Pieter Brueghel, la luce e la ruvidezza espressiva del Caravaggio convivono nei film dell’artista bolognese, disegnando «una storia dell’arte in forma di cinema».
I rimandi sono numerosi e, di «folgorazione» in «folgorazione», si giunge all’ultimo capitolo del percorso espositivo e anche della vita di Pier Paolo Pasolini. Siamo nell’ottobre del 1975, un mese prima della morte. Il giovane fotografo Dino Pedriali realizza una serie di ritratti dell’intellettuale bolognese. In uno di questi, il regista di «Mamma Roma» e «Medea» sta disegnando a carboncino un ritratto di Roberto Longhi, il suo maestro della visione. Pasolini sembra voler chiudere il cerchio della sua avventura intellettuale pagando il giusto debito al maestro.
Per maggiori informazioni: www.cinetecadibologna.it. (annamaria sigalotti)
«I fatti di Masaccio e Masolino» erano l’argomento di studio di quell’anno accademico, che plasmò lo sguardo di Pier Paolo Pasolini e che lasciò una traccia indelebile nella sua anima, pronta a riemergere negli anni Sessanta e Settanta in tanti suoi film. I capolavori dell’arte medievale e rinascimentale rivivono, infatti, nel cinema dell’intellettuale bolognese; sono riferimento visivo costante delle sue inquadrature e sono anche protagonisti di tableaux vivant, quadri viventi.
Lungo un percorso cronologico che va dall’esordio del 1961 con «Accattone» a «Salò» del 1975, film uscito postumo, la Cineteca di Bologna prova a raccontare questo aspetto dell’arte di Pier Paolo Pasolini nella mostra «Folgorazioni figurative», a cura di Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli. Fotografie di scena, riproduzioni di capolavori della storia dell’arte, parole di PPP e sequenze di film compongono il percorso espositivo, allestito fino al prossimo 16 ottobre nei nuovi spazi espositivi del Sottopasso di piazza Re Enzo.
Ogni pellicola dell’intellettuale bolognese è «la costruzione – racconta Marco Antonio Bazzocchi - di una bellezza che saccheggia ampie zone dell’arte italiana ed europea». L’armonia compositiva di Giotto che per primo porta la terza dimensione in pittura, la drammaticità di El Greco, i colori corposi e vividi di Pontormo, le forme eleganti di Piero della Francesca, i rossi di Rosso Fiorentino, la ricchezza narrativa del fiammingo Pieter Brueghel, la luce e la ruvidezza espressiva del Caravaggio convivono nei film dell’artista bolognese, disegnando «una storia dell’arte in forma di cinema».
I rimandi sono numerosi e, di «folgorazione» in «folgorazione», si giunge all’ultimo capitolo del percorso espositivo e anche della vita di Pier Paolo Pasolini. Siamo nell’ottobre del 1975, un mese prima della morte. Il giovane fotografo Dino Pedriali realizza una serie di ritratti dell’intellettuale bolognese. In uno di questi, il regista di «Mamma Roma» e «Medea» sta disegnando a carboncino un ritratto di Roberto Longhi, il suo maestro della visione. Pasolini sembra voler chiudere il cerchio della sua avventura intellettuale pagando il giusto debito al maestro.
Per maggiori informazioni: www.cinetecadibologna.it. (annamaria sigalotti)
Nelle immagini: 1.Pasolini sul set di Teorema
1968
© Cineteca di Bologna / Angelo Novi
; 2. Rosso Fiorentino
Deposizione
1521
Olio su tavola, 201x341
Pinacoteca e Museo Civico, Volterra
Per gentile concessione della Pinacoteca Civica di Volterra
; 3. La ricotta, episodio da Ro.Go.Pa.G.
1963
Still da restauro
«Anche se il tempo passa», a Bologna una mostra su Lucio Dalla
«Noi la vita la annusiamo in tutti i posti / Ma lei passa senza neanche un ciao / Oppure vola come i ladri sopra i tetti / Se ci provi non la puoi fermare». Era il 2011 e, nell’album «Questo è amore», Lucio Dalla raccontava in musica la precarietà della nostra vita. Il titolo di quella canzone, «Anche se il tempo passa», è lo stesso della mostra-evento allestita fino al 17 luglio al Museo civico archeologico di Bologna, prima tappa di un importante percorso nazionale che, nei prossimi mesi, toccherà Roma, Napoli e Milano.
A dieci anni dalla scomparsa e in vista dell’ottantesimo dalla nascita, che si ricorderà nel 2023, la Fondazione Lucio Dalla ripercorre - attraverso una ricca selezione di materiali, molti dei quali inediti, e con l’aiuto del curatore Alessandro Nicosia - l’intero percorso umano e artistico di quel «folletto» libero e geniale dagli interessi molteplici, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, dello spettacolo e della cultura.
«La dotta e la grassa» Bologna, città creativa della musica Unesco, era la casa di Lucio Dalla e, all’ombra delle due torri, in molti conservano un ricordo personale di quel cantautore, volato via troppo presto, «che sapeva dare musicalità alle parole e un sentimento alle note» e che ci ha lasciato in dono canzoni indimenticabili, una vera e propria colonna sonora alla nostra vita, da «L’anno che verrà» «a «Caruso», da «4 marzo 1943» a «Piazza Grande».
Ma Lucio Dalla, con la sua acuta curiosità, non è stato solo un cantautore e un musicista, è stata anche un attore cinematografico, uno scrittore, un regista teatrale, un amante dello sport, un appassionato di motori, uno showman televisivo, uno scrittore, un collezionista e un gallerista con la sua «No code». «Lucio era, dunque, – ricorda Vincenzo Mollica - «musica, cinema, canzoni, teatro, danza, opera lirica, pittura, letteratura. Era tutto quello che sognava di essere, tutto quello che voleva essere. Era un coltivatore diretto dell’avventura umana. Era un cercatore affamato di poesia che sapeva trovare comunque sia. Era un funambolo del pensiero».
Tutti questi aspetti rivivono nella mostra bolognese in un percorso espositivo, articolato in dieci sezioni, che mette insieme foto, cimeli, testi autografi, quaderni di appunti, abiti di scena, dichiarazioni dell’artista e degli amici, gli amati cappelli e l’indimenticabile clarinetto. Al Museo civico archeologico c’è, dunque, tutto l’«universo Dalla», con quella «sostenibile leggerezza dell’essere» che non dimenticheremo mai.
Per maggiori informazioni: www.mostraluciodalla.it. (annamaria sigalotti)
Cinquant’anni dopo Oliviero Toscani non ha perso la sua voglia di provocare e il suo spirito caustico, quello che, negli anni, ha dato vita a tante altre campagne pubblicitarie che hanno scosso l’opinione pubblica attraverso affissioni e pagine di giornali. Impossibile non pensare al bacio sexy tra un prete e una suora del 1992, ai cuori di «White/Black/Yellow» del 1996 o al manifesto «No-Anorexia» del 2007, tre campagne per «United Colors Of Benetton», il marchio di abbigliamento che, negli anni, ha permesso al fotografo di usare il mezzo pubblicitario per parlare dei problemi del mondo: il razzismo, l’Aids, la religione, la guerra, la violenza, il sesso, l’anoressia, la pena di morte.
Queste immagini, insieme a un altro centinaio di fotografie, compongono il percorso della mostra «Oliviero Toscani. 80 anni da situazionista», a cura di Nicolas Ballario, allestita fino al 4 settembre a Bologna. Nelle sale di Palazzo Albergati è possibile conoscere anche un volto meno noto del fotografo. Sono esposte, per esempio, le immagini realizzate durante la formazione alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, sotto la guida di un maestro del colore quale Johannes Itten. Ci sono decine di ritratti a grandi protagonisti del Novecento quali Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene e Federico Fellini. Sono visibili le immagini patinate realizzate per le riviste di moda che mettono in risalto la bellezza di Monica Bellucci, Claudia Schiffer e non solo. Non mancano, e non poteva essere diversamente, le fotografie del progetto «Razza umana», con il quale Oliviero Toscani ha dato vita al più grande archivio fotografico esistente sulle differenze morfologiche e sociali dell’umanità.
In contemporanea Palazzo Albergati ospita la mostra «Photos», un viaggio nella storia della fotografia, dal 1902 al 2005, attraverso una settantina di opere, selezionate da Cristina Carrillo de Albornoz e provenienti dalla collezione di Julián Castilla, presentata per la prima volta in Italia. Alfred Stieglizt, Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Vivian Meier, Robert Capa, André Kertèsz, Alberto Korda e Robert Doisneau, nonché fotografi spagnoli come Carlos Saura, Ramón Masats, Oriol Maspons, Isabel Muñoz, Cristina García Rodero o Chema Madoz sono i protagonisti indiscussi del percorso espositivo, con i loro memorabili scatti entrati ormai nell’immaginario collettivo come fermo-immagine del secolo scorso. Per maggiori informazioni: www.palazzoalbergati.com | www.arthemisia.it. (annamaria sigalotti)
In mostra a Bologna «Concerning Dante», un progetto di Jacopo Valentini sulla «Divina Commedia»
La portata culturale della «Divina Commedia» di Dante Alighieri ha travalicato, nel corso dei secoli, una sfera prettamente letteraria arrivando a influenzare vari aspetti della società, anche grazie a una vasta tradizione di trasposizioni visive. Parte da questa considerazione il progetto «Concerning Dante - Autonomous Cell» di Jacopo Valentini (Modena, 1990), vincitore del concorso «Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere» per la sezione under 35, in mostra fino al prossimo 18 settembre al Museo civico archeologico di Bologna.
Il progetto fotografico, esposto per la curatela di Carlo Sala, si configura come un viaggio attraverso l’Italia nei luoghi visitati dal «sommo poeta» o raccontati nelle pagine del suo capolavoro.
La narrazione visiva si snoda attorno a tre posti simbolici e a tre celebri illustrazioni del testo dantesco, intrecciando le bocche vulcaniche dei Campi Flegrei, la Pietra di Bismantova e il Delta del Po – interpretati come i varchi che conducono a «Inferno», «Purgatorio» e «Paradiso» – alle riletture figurative della Divina Commedia firmate da Federico Zuccari, Alberto Martini e Robert Rauschenberg.
Jacopo Valentini sé approcciato a queste interpretazioni, cartina tornasole dell’evoluzione della società nel corso dei secoli e del suo rapporto con aspetti cruciali come la religione e il potere, con la tecnica dello still life.
Il percorso parte, cronologicamente, con il «Dante Istoriato» di Federico Zuccari (1539-1609), composto da ottantotto disegni a matita nera e rossa o ad acquarello realizzati tra il 1586 e il 1588, che l’artista ambienta tra le vedute laviche di Lanzarote e i fumi delle solfatare dei Campi Flegrei, creando una analogia visiva tra finzione e realtà. Il secondo contributo preso in considerazione risale, invece, al 1900 ed è quello in bilico tra simbolismo ed espressionismo di Alberto Martini (1876-1954) per le edizioni Alinari, di cui un corpus di 298 opere è conservato alla Pinacoteca di Oderzo. Mentre la terza presenza autoriale è quella dell’artista statunitense Robert Rauschenberg (1925-2008) che, sul finire degli anni Cinquanta, perfezionò la tecnica del «transfer a solvente» lavorando sulle immagini fotografiche delle riviste del tempo, poi riprese a matita e acquerello. La sua rilettura del capolavoro dantesco è un pretesto per parlare dell’attualità; tra i suoi personaggi compaiono, per esempio, John Kennedy e Richard Nixon.
Tra le varie nature morte realizzate da Jacopo Valentini spicca anche una fotografia che ritrae la prima edizione de «La Divina Mimesis» di Pier Paolo Pasolini, un tentativo incompiuto di riscrittura della Commedia uscito postumo nel 1975, che all’interno della mostra è una sorta di omaggio al grande scrittore di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica.
«Noi la vita la annusiamo in tutti i posti / Ma lei passa senza neanche un ciao / Oppure vola come i ladri sopra i tetti / Se ci provi non la puoi fermare». Era il 2011 e, nell’album «Questo è amore», Lucio Dalla raccontava in musica la precarietà della nostra vita. Il titolo di quella canzone, «Anche se il tempo passa», è lo stesso della mostra-evento allestita fino al 17 luglio al Museo civico archeologico di Bologna, prima tappa di un importante percorso nazionale che, nei prossimi mesi, toccherà Roma, Napoli e Milano.
A dieci anni dalla scomparsa e in vista dell’ottantesimo dalla nascita, che si ricorderà nel 2023, la Fondazione Lucio Dalla ripercorre - attraverso una ricca selezione di materiali, molti dei quali inediti, e con l’aiuto del curatore Alessandro Nicosia - l’intero percorso umano e artistico di quel «folletto» libero e geniale dagli interessi molteplici, che ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica, dello spettacolo e della cultura.
«La dotta e la grassa» Bologna, città creativa della musica Unesco, era la casa di Lucio Dalla e, all’ombra delle due torri, in molti conservano un ricordo personale di quel cantautore, volato via troppo presto, «che sapeva dare musicalità alle parole e un sentimento alle note» e che ci ha lasciato in dono canzoni indimenticabili, una vera e propria colonna sonora alla nostra vita, da «L’anno che verrà» «a «Caruso», da «4 marzo 1943» a «Piazza Grande».
Ma Lucio Dalla, con la sua acuta curiosità, non è stato solo un cantautore e un musicista, è stata anche un attore cinematografico, uno scrittore, un regista teatrale, un amante dello sport, un appassionato di motori, uno showman televisivo, uno scrittore, un collezionista e un gallerista con la sua «No code». «Lucio era, dunque, – ricorda Vincenzo Mollica - «musica, cinema, canzoni, teatro, danza, opera lirica, pittura, letteratura. Era tutto quello che sognava di essere, tutto quello che voleva essere. Era un coltivatore diretto dell’avventura umana. Era un cercatore affamato di poesia che sapeva trovare comunque sia. Era un funambolo del pensiero».
Tutti questi aspetti rivivono nella mostra bolognese in un percorso espositivo, articolato in dieci sezioni, che mette insieme foto, cimeli, testi autografi, quaderni di appunti, abiti di scena, dichiarazioni dell’artista e degli amici, gli amati cappelli e l’indimenticabile clarinetto. Al Museo civico archeologico c’è, dunque, tutto l’«universo Dalla», con quella «sostenibile leggerezza dell’essere» che non dimenticheremo mai.
Per maggiori informazioni: www.mostraluciodalla.it. (annamaria sigalotti)
A Bologna una mostra per gli ottant’anni di Oliviero Toscani, il «situazionista» della fotografia
È il 1973 e Oliviero Toscani, allora già noto per i suoi servizi sulla scuola di Barbaiana e sulle contestazioni studentesche del Sessantotto, scatta la prima delle sue tante immagini destinate a fare scandalo, quella con il primo piano del fondoschiena di Donna Jordan, inguainata in un paio di short in jeans su cui campeggia la scritta «Chi mi ama, mi segua». La fotografia fa il giro del mondo e le polemiche infuriano come mai prima era successo intorno a una pubblicità. La magistratura ordina la rimozione dei manifesti; Pier Paolo Pasolini, sulla prima pagina del «Corriere della Sera», si schiera, profeticamente, a favore del fotografo. È l’inizio di un nuovo modo di comunicare i brand e la società dei consumi. Cinquant’anni dopo Oliviero Toscani non ha perso la sua voglia di provocare e il suo spirito caustico, quello che, negli anni, ha dato vita a tante altre campagne pubblicitarie che hanno scosso l’opinione pubblica attraverso affissioni e pagine di giornali. Impossibile non pensare al bacio sexy tra un prete e una suora del 1992, ai cuori di «White/Black/Yellow» del 1996 o al manifesto «No-Anorexia» del 2007, tre campagne per «United Colors Of Benetton», il marchio di abbigliamento che, negli anni, ha permesso al fotografo di usare il mezzo pubblicitario per parlare dei problemi del mondo: il razzismo, l’Aids, la religione, la guerra, la violenza, il sesso, l’anoressia, la pena di morte.
Queste immagini, insieme a un altro centinaio di fotografie, compongono il percorso della mostra «Oliviero Toscani. 80 anni da situazionista», a cura di Nicolas Ballario, allestita fino al 4 settembre a Bologna. Nelle sale di Palazzo Albergati è possibile conoscere anche un volto meno noto del fotografo. Sono esposte, per esempio, le immagini realizzate durante la formazione alla Kunstgewerbeschule di Zurigo, sotto la guida di un maestro del colore quale Johannes Itten. Ci sono decine di ritratti a grandi protagonisti del Novecento quali Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene e Federico Fellini. Sono visibili le immagini patinate realizzate per le riviste di moda che mettono in risalto la bellezza di Monica Bellucci, Claudia Schiffer e non solo. Non mancano, e non poteva essere diversamente, le fotografie del progetto «Razza umana», con il quale Oliviero Toscani ha dato vita al più grande archivio fotografico esistente sulle differenze morfologiche e sociali dell’umanità.
In contemporanea Palazzo Albergati ospita la mostra «Photos», un viaggio nella storia della fotografia, dal 1902 al 2005, attraverso una settantina di opere, selezionate da Cristina Carrillo de Albornoz e provenienti dalla collezione di Julián Castilla, presentata per la prima volta in Italia. Alfred Stieglizt, Man Ray, Henri Cartier-Bresson, Vivian Meier, Robert Capa, André Kertèsz, Alberto Korda e Robert Doisneau, nonché fotografi spagnoli come Carlos Saura, Ramón Masats, Oriol Maspons, Isabel Muñoz, Cristina García Rodero o Chema Madoz sono i protagonisti indiscussi del percorso espositivo, con i loro memorabili scatti entrati ormai nell’immaginario collettivo come fermo-immagine del secolo scorso. Per maggiori informazioni: www.palazzoalbergati.com | www.arthemisia.it. (annamaria sigalotti)
Didascalie delle immagini: 1.Oliviero Toscani United Colors of Benetton 1991 ©olivierotoscani ; 2. Oliviero Toscani Jesus Jeans 1973 ©olivierotoscani ; 3. Oliviero Toscani United Colors of Benetton 1996 ©olivierotoscani
In mostra a Bologna «Concerning Dante», un progetto di Jacopo Valentini sulla «Divina Commedia»
La portata culturale della «Divina Commedia» di Dante Alighieri ha travalicato, nel corso dei secoli, una sfera prettamente letteraria arrivando a influenzare vari aspetti della società, anche grazie a una vasta tradizione di trasposizioni visive. Parte da questa considerazione il progetto «Concerning Dante - Autonomous Cell» di Jacopo Valentini (Modena, 1990), vincitore del concorso «Cantica21. Italian Contemporary Art Everywhere» per la sezione under 35, in mostra fino al prossimo 18 settembre al Museo civico archeologico di Bologna.
Il progetto fotografico, esposto per la curatela di Carlo Sala, si configura come un viaggio attraverso l’Italia nei luoghi visitati dal «sommo poeta» o raccontati nelle pagine del suo capolavoro.
La narrazione visiva si snoda attorno a tre posti simbolici e a tre celebri illustrazioni del testo dantesco, intrecciando le bocche vulcaniche dei Campi Flegrei, la Pietra di Bismantova e il Delta del Po – interpretati come i varchi che conducono a «Inferno», «Purgatorio» e «Paradiso» – alle riletture figurative della Divina Commedia firmate da Federico Zuccari, Alberto Martini e Robert Rauschenberg.
Jacopo Valentini sé approcciato a queste interpretazioni, cartina tornasole dell’evoluzione della società nel corso dei secoli e del suo rapporto con aspetti cruciali come la religione e il potere, con la tecnica dello still life.
Il percorso parte, cronologicamente, con il «Dante Istoriato» di Federico Zuccari (1539-1609), composto da ottantotto disegni a matita nera e rossa o ad acquarello realizzati tra il 1586 e il 1588, che l’artista ambienta tra le vedute laviche di Lanzarote e i fumi delle solfatare dei Campi Flegrei, creando una analogia visiva tra finzione e realtà. Il secondo contributo preso in considerazione risale, invece, al 1900 ed è quello in bilico tra simbolismo ed espressionismo di Alberto Martini (1876-1954) per le edizioni Alinari, di cui un corpus di 298 opere è conservato alla Pinacoteca di Oderzo. Mentre la terza presenza autoriale è quella dell’artista statunitense Robert Rauschenberg (1925-2008) che, sul finire degli anni Cinquanta, perfezionò la tecnica del «transfer a solvente» lavorando sulle immagini fotografiche delle riviste del tempo, poi riprese a matita e acquerello. La sua rilettura del capolavoro dantesco è un pretesto per parlare dell’attualità; tra i suoi personaggi compaiono, per esempio, John Kennedy e Richard Nixon.
Tra le varie nature morte realizzate da Jacopo Valentini spicca anche una fotografia che ritrae la prima edizione de «La Divina Mimesis» di Pier Paolo Pasolini, un tentativo incompiuto di riscrittura della Commedia uscito postumo nel 1975, che all’interno della mostra è una sorta di omaggio al grande scrittore di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica.
Didascalie delle immagini: 1.Jacopo Valentini
from the series Concerning Dante (A. Martini, (Paradiso XXIX), Fondazione Oderzo Cultura, Treviso
; 2. Jacopo Valentini
from the series Concerning Dante (R. Rauschenberg, (Inferno XXXI), Palazzo Roncale, Rovigo; 3. Jacopo Valentini
from the series Concerning Dante (Purgatorio III), Gallerie degli Uffizi, Firenze
Courtesy Galleria Antonio Verolino, Modena & Podbielski Contemporary, Milano
Art City Bologna, Carlos Garaicoa e la sua «rete di colori» per l’oratorio San Filippo Neri
Crea una relazione viva con il settecentesco spazio dell’Oratorio San Filippo Neri di Bologna, luogo carico di memoria e di storia distrutto durante la Seconda guerra mondiale e ristrutturato negli anni Novanta, l’installazione site specific del cubano Carlos Garaicoa (L’Avana, 1967), a cura di Maura Pozzati, inserita tra i «Main Project» dell’edizione 2022 di «Art City», programma di iniziative speciali promosso in occasione di Arte Fiera.
Il percorso espositivo, realizzato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna con la Galleria Continua, riflette le tematiche care all’artista, come la ricerca sullo spazio urbano e architettonico.
La mostra, aperta fino al 15 maggio (da mercoledì 11 a venerdì 13 maggio dalle 11 alle 19; sabato 14 maggio dalle 11 alle 23; domenica 15 maggio dalle 11 alle 20; ingresso libero), si compone di vari momenti che si intrecciano tra loro. Da una parte ci sono le sculture di grandi dimensioni che ricordano le impalcature e i ponteggi dell’edilizia, ricoperte da reti colorate simili a quelle di sicurezza, una chiara allusione ai lavori di ristrutturazione nelle città; dall’altra la musica. Una composizione, scritta da Esteban Puebla e interpretata da Mahé Marty, anima lo spazio, mentre una versione musicale più dinamica accompagnerà una video-animazione di Pablo Calatayud dal titolo «Oratorio», ultimo elemento dell’installazione multimediale.
«Strutture che ricordano le impalcature per l’edilizia sono coperte da maglie illuminate per poter rivivere uno spazio che ha vissuto una storia di violenza, che vorrei potere rivendicare ed espandere. Mi attrae l’idea di approcciare la storia dell’Oratorio di San Filippo Neri, ricordare la sua penosa distruzione e la sua bella ricostruzione, usando l’elemento dell’impalcatura metallica e le reti, che avranno dunque un nuovo significato, rispetto al ruolo di semplici materiali da costruzione» afferma Carlos Garaicoa,
Anche la musica vivrà di momenti distinti ma capaci di dialogare tra loro: il pezzo musicale centrale deriva dal passato classico e barocco dello spazio, attraversa l’orrore della guerra mondiale e del fascismo, fino ad arrivare alla malattia e alla disillusione della vita contemporanea. L’organo dell’Oratorio San Filippo Neri, che in alcune giornate di apertura della mostra sarà suonato dal vivo, accompagnerà con le sue note l’animazione video, per portare uno sguardo più contemporaneo alla storia di questo edificio, attraverso una vera e propria energia cinetica, generata dall’intreccio delle luci, dei colori e dei suoni.
Per informazioni: fondazionedelmonte.it.
«No, Neon, No Cry», al Mambo una storia «disordinata» della galleria neon di Bologna
Cinquantadue artisti per un viaggio alla scoperta di una fucina di talenti nata all’ombra della Basilica di San Petronio: è questo ciò che propone «No, Neon, No Cry», mostra a cura di Gino Gianuizzi, in programma fino al 4 ottobre nella Project Room del MAMbo – Museo d’arte moderna di Bologna, contenitore tematico che accoglie, ricostruisce, racconta e valorizza le esperienze artistiche del territorio bolognese ed emiliano-romagnolo.
Attraverso i lavori di Maurizio Cattelan, Cuoghi Corsello, Eva Marisaldi, Marco Samorè, Luca Vitone, Francesco Voltolina e molti altri ancora, l’esposizione tenta una narrazione della complessa, sfaccettata, «disordinata» storia della galleria neon.
Nata nel 1981 «senza un programma, senza strategia, senza budget e senza obiettivi predeterminati», la realtà bolognese è stata «un laboratorio permanente, una comunità per artisti, critici e curatori e un luogo di formazione per tutte le persone che vi hanno collaborato». Dal suo archivio risultano oltre tre-cento mostre all’attivo, alle quali si sono aggiunte nel tempo numerosissime attività collaterali, collabo-razioni e iniziative esterne.
Questa immensa mole di materiali ha posto una sfida al curatore, da sempre anima della galleria, che si è chiesto come approcciarsi alla magmatica attività ultra quarantennale di neon per raccontarla attraverso una mostra. Meglio limitarsi al progetto strettamente documentale o, all’opposto, tentare un impossibile «best of» degli artisti e delle opere che vi hanno trovato accoglienza? Gino Gianuizzi ha fatto ricorso alla formula della wunderkammer: lo spazio della Project Room è così abitato da un ac-cumulo visivo in cui inoltrarsi con circospezione tentando di decifrare i singoli lavori e di ricondurli agli artisti.
Sebbene sia volutamente escluso l’approccio sistematico e ancor di più il percorso cronologico, in mostra sono rintracciabili testimonianze dei diversi momenti che neon ha vissuto nel tempo. Il racconto espositivo spazia dalla Bologna post ’77, momento caratterizzato da un rapporto privilegiato con Francesca Alinovi, ai decenni successivi, con l’organizzazione di mostre come «Nuova Officina Bo-lognese» (1991, Galleria d’arte moderna, Bologna) e «Soggetto/soggetto. Una nuova relazione nell'ar-te di oggi» (1994, Castello di Rivoli, Torino), per giungere alla nascita di neon>campobase e alle esperienze milanesi di neon>projectbox e neon>fdv, spazi moltiplicatori di re-lazioni e di collaborazioni, con una nuova spinta alla ricerca in cui si affaccia l’ultima generazione di artisti e curatori, le cui attività si chiudono nel 2011.
Per maggiori informazioni: www.mambo-bologna.org.
BOOMing: a Bologna c’è anche la fiera dell’«arte emergente»
25 gallerie, 3 sezioni tematiche, 3 special project, 5 talk, una mostra off e, poi, visite guidate, premi, performance: sono questi i numeri della seconda edizione di BOOMing - Contemporary Art Show, la fiera sull’arte emergente in programma a Bologna, al Binario centrale di DumBO, da giovedì 12 (dalle ore 20 alle ore 24) a domenica 15 maggio (13 maggio, ore 16.00 - 24.00 | 14 maggio, ore 15.00 - 24.00 | 15 maggio, ore 11.00 – 20.00).
Prodotto da Doc Creativity e diretto da Simona Gavioli, l’evento mercantile si articola in tre sezioni. In «Arena» si vedrà una selezione di opere e gallerie chiamate specificatamente a interpretare il concetto di «querencia», dal verbo «querer», che indica quel luogo così carico di amore e forza dove un toro, durante la corrida, riesce a ricaricarsi per uscirne più vigoroso e combattivo che mai, metafora perfetta della rinascita post-pandemica.
«FeminisMAS» concentrerà, invece, l’attenzione sui femminismi e sul ruolo delle donne ancora sottorappresentate nel sistema e nel mercato dell’arte. Mentre «Afuera» proporrà un focus sull’attualità dell’arte urbana, attraverso un percorso tra opere di Banksy, Keith Haring, Shepard Fairey e Jef Aerosol, ma anche di artisti più contemporanei come Eron, Corn79, Ericailcane, Andrea Casciu, 108, Kiki Skipi e Laurina Paperina.
Al Binario centrale di DumBO è prevista anche una «Special Area», dove la Fondazione Rocco Guglielmo presenterà «Moon», un’anteprima del progetto dedicato alla luna come rappresentazione della divinità femminile, a cura di Simona Caramia e Simona Gavioli, in programma nei prossimi mesi al Museo Marca di Catanzaro. Alla luna è dedicata anche l’installazione partecipativa del duo Antonello Ghezzi: i visitatori potranno, con l’ausilio di un tapis roulant, camminare insieme fino ad azzerare la distanza che ci separa dal satellite.
Durante l’evento mercantile verrà, inoltre, lanciata la prima edizione del «Premio Sustainability Art Giorgio Morandi», rivolto ad artisti under 40 impegnati sul tema delle emergenze ambientali. Il prescelto, dopo una residenza nei luoghi cari all’artista emiliano, restituirà la sua opera entro la fine dell’anno 2022 per un evento appositamente organizzato al Grand Hotel Majestic già Baglioni.
BOOMing avrà anche un evento off a Palazzo Bentivoglio con la mostra «Toccami», a cura di Simona Gavioli, ispirata al genio di Bruno Munari e alla celebre frase «Vietato non Toccare». Aron Demetz, Gonçalo Mabunda, Massimiliano Pelletti, Alex Pinna, Antonio Tropiano, Antonio Violetta e Zeroottouno sono stati invitati a riflettere sul nostro bisogno di esperienza tattile, acuito dal periodo pandemico e dalla tensione sempre maggiore al virtuale.
Per ulteriori informazioni: www.boomcontemporaryart.com.
Crea una relazione viva con il settecentesco spazio dell’Oratorio San Filippo Neri di Bologna, luogo carico di memoria e di storia distrutto durante la Seconda guerra mondiale e ristrutturato negli anni Novanta, l’installazione site specific del cubano Carlos Garaicoa (L’Avana, 1967), a cura di Maura Pozzati, inserita tra i «Main Project» dell’edizione 2022 di «Art City», programma di iniziative speciali promosso in occasione di Arte Fiera.
Il percorso espositivo, realizzato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna con la Galleria Continua, riflette le tematiche care all’artista, come la ricerca sullo spazio urbano e architettonico.
La mostra, aperta fino al 15 maggio (da mercoledì 11 a venerdì 13 maggio dalle 11 alle 19; sabato 14 maggio dalle 11 alle 23; domenica 15 maggio dalle 11 alle 20; ingresso libero), si compone di vari momenti che si intrecciano tra loro. Da una parte ci sono le sculture di grandi dimensioni che ricordano le impalcature e i ponteggi dell’edilizia, ricoperte da reti colorate simili a quelle di sicurezza, una chiara allusione ai lavori di ristrutturazione nelle città; dall’altra la musica. Una composizione, scritta da Esteban Puebla e interpretata da Mahé Marty, anima lo spazio, mentre una versione musicale più dinamica accompagnerà una video-animazione di Pablo Calatayud dal titolo «Oratorio», ultimo elemento dell’installazione multimediale.
«Strutture che ricordano le impalcature per l’edilizia sono coperte da maglie illuminate per poter rivivere uno spazio che ha vissuto una storia di violenza, che vorrei potere rivendicare ed espandere. Mi attrae l’idea di approcciare la storia dell’Oratorio di San Filippo Neri, ricordare la sua penosa distruzione e la sua bella ricostruzione, usando l’elemento dell’impalcatura metallica e le reti, che avranno dunque un nuovo significato, rispetto al ruolo di semplici materiali da costruzione» afferma Carlos Garaicoa,
Anche la musica vivrà di momenti distinti ma capaci di dialogare tra loro: il pezzo musicale centrale deriva dal passato classico e barocco dello spazio, attraversa l’orrore della guerra mondiale e del fascismo, fino ad arrivare alla malattia e alla disillusione della vita contemporanea. L’organo dell’Oratorio San Filippo Neri, che in alcune giornate di apertura della mostra sarà suonato dal vivo, accompagnerà con le sue note l’animazione video, per portare uno sguardo più contemporaneo alla storia di questo edificio, attraverso una vera e propria energia cinetica, generata dall’intreccio delle luci, dei colori e dei suoni.
Per informazioni: fondazionedelmonte.it.
«No, Neon, No Cry», al Mambo una storia «disordinata» della galleria neon di Bologna
Cinquantadue artisti per un viaggio alla scoperta di una fucina di talenti nata all’ombra della Basilica di San Petronio: è questo ciò che propone «No, Neon, No Cry», mostra a cura di Gino Gianuizzi, in programma fino al 4 ottobre nella Project Room del MAMbo – Museo d’arte moderna di Bologna, contenitore tematico che accoglie, ricostruisce, racconta e valorizza le esperienze artistiche del territorio bolognese ed emiliano-romagnolo.
Attraverso i lavori di Maurizio Cattelan, Cuoghi Corsello, Eva Marisaldi, Marco Samorè, Luca Vitone, Francesco Voltolina e molti altri ancora, l’esposizione tenta una narrazione della complessa, sfaccettata, «disordinata» storia della galleria neon.
Nata nel 1981 «senza un programma, senza strategia, senza budget e senza obiettivi predeterminati», la realtà bolognese è stata «un laboratorio permanente, una comunità per artisti, critici e curatori e un luogo di formazione per tutte le persone che vi hanno collaborato». Dal suo archivio risultano oltre tre-cento mostre all’attivo, alle quali si sono aggiunte nel tempo numerosissime attività collaterali, collabo-razioni e iniziative esterne.
Questa immensa mole di materiali ha posto una sfida al curatore, da sempre anima della galleria, che si è chiesto come approcciarsi alla magmatica attività ultra quarantennale di neon per raccontarla attraverso una mostra. Meglio limitarsi al progetto strettamente documentale o, all’opposto, tentare un impossibile «best of» degli artisti e delle opere che vi hanno trovato accoglienza? Gino Gianuizzi ha fatto ricorso alla formula della wunderkammer: lo spazio della Project Room è così abitato da un ac-cumulo visivo in cui inoltrarsi con circospezione tentando di decifrare i singoli lavori e di ricondurli agli artisti.
Sebbene sia volutamente escluso l’approccio sistematico e ancor di più il percorso cronologico, in mostra sono rintracciabili testimonianze dei diversi momenti che neon ha vissuto nel tempo. Il racconto espositivo spazia dalla Bologna post ’77, momento caratterizzato da un rapporto privilegiato con Francesca Alinovi, ai decenni successivi, con l’organizzazione di mostre come «Nuova Officina Bo-lognese» (1991, Galleria d’arte moderna, Bologna) e «Soggetto/soggetto. Una nuova relazione nell'ar-te di oggi» (1994, Castello di Rivoli, Torino), per giungere alla nascita di neon>campobase e alle esperienze milanesi di neon>projectbox e neon>fdv, spazi moltiplicatori di re-lazioni e di collaborazioni, con una nuova spinta alla ricerca in cui si affaccia l’ultima generazione di artisti e curatori, le cui attività si chiudono nel 2011.
Per maggiori informazioni: www.mambo-bologna.org.
Foto di Ornella De Carlo
«La memoria del futuro», Mario Ramous tra arte e poesia
Poeta, latinista, italianista, critico d’arte, direttore editoriale, cultore del bello e ricercatore della «perfezione»: le molte sfaccettature di Mario Ramous (Milano, 18 maggio 1924 - Bologna, 8 luglio 1999) sono raccontate fino al 4 settembre a Bologna, negli spazi di Palazzo Accursio, attraverso un percorso espositivo, curato da Maura Pozzati e Michele Ramous Fabj, che tratteggia l’affresco di una stagione culturale italiana, quella dal secondo Dopoguerra, prospera e forse irripetibile.
Manoscritti di poesie e traduzioni, disegni pubblicitari inediti, spartiti musicali, articoli di critica e rari volumi degli anni Sessanta e Settanta documentano i molteplici linguaggi e gli incontri amicali che l’intellettuale bolognese intrattenne con grandi nomi del ’900, come Pietro Bonfiglioli, Pirro Cuniberti, Francesco Flora, Marino Marini, Giorgio Morandi, Concetto Pozzati, Sergio Romiti, Gianni Scalia, Emilio Scanavino, Mario Sironi, Adriano Spatola.
La mostra, intitolata «La memoria del futuro. Mario Ramous un intellettuale a Bologna, dal dopoguerra agli anni Novanta», allinea anche edizioni a tiratura limitata, di cui lo studioso bolognese è stato curatore e autore, tra «Il libro delle odi. Versioni da Orazio» (1962), con dodici litografie di Bruno Cassinari, e «Programma n°» (1966), con alcune sue poesie e sei litografie di Emilio Scanavino.
Non mancano lungo il percorso espositivo opere d’arte di pregio appartenenti alla collezione personale di Mario Ramous, a partire da «Piatti» (1915), un disegno di Giorgio Morandi, segno dell’amore che il poeta e scrittore d’arte aveva per il pittore bolognese, tanto da dedicargli uno dei suoi testi d’arte più bello e intenso: il saggio «I disegni di Giorgio Morandi» (1949). Sono, poi, visibili la tecnica mista «Forma e campionario» (1965) di Rodolfo Aricò, un mobile bar con disegno di Pirro Cuniberti e il grande olio «Omaggio a Carpaccio» di Concetto Pozzati (1964), opera che «sancisce il passaggio dall’informale giovanile alla fase dialettica dell’ironia e della bifrontalità tipiche della pop art».
Il progetto espositivo, ideato in occasione della pubblicazione di alcune poesie inedite dello studioso confluite nel volume «Archivio21. Poesie 4660/29», sarà corredato da un convegno di studi «Prima e ‘Dopo la critica’ (… bisogna spendere molte parole | tutte le parole | (e non basteranno). Mario Ramous (poeta, latinista, studioso, critico d’arte, direttore editoriale), un lungo itinerario nella cultura italiana del Novecento», in agenda venerdì 18 maggio, anniversario della nascita dello studioso.
L’intero progetto – racconta Michele Ramous Fabj - «vuole fare incontrare nuovamente vecchi amici, vuol provare a raccontare quegli anni a chi non li ha vissuti, vuole restituire i tanti aspetti di Mario Ramous e di tutti gli intellettuali che hanno illuminato Bologna per un’intensa stagione, vuole gettare uno sguardo sul passato nella consapevolezza che la memoria è ciò che ci permette di costruire il futuro».
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.scriptamaneant.com.
Poeta, latinista, italianista, critico d’arte, direttore editoriale, cultore del bello e ricercatore della «perfezione»: le molte sfaccettature di Mario Ramous (Milano, 18 maggio 1924 - Bologna, 8 luglio 1999) sono raccontate fino al 4 settembre a Bologna, negli spazi di Palazzo Accursio, attraverso un percorso espositivo, curato da Maura Pozzati e Michele Ramous Fabj, che tratteggia l’affresco di una stagione culturale italiana, quella dal secondo Dopoguerra, prospera e forse irripetibile.
Manoscritti di poesie e traduzioni, disegni pubblicitari inediti, spartiti musicali, articoli di critica e rari volumi degli anni Sessanta e Settanta documentano i molteplici linguaggi e gli incontri amicali che l’intellettuale bolognese intrattenne con grandi nomi del ’900, come Pietro Bonfiglioli, Pirro Cuniberti, Francesco Flora, Marino Marini, Giorgio Morandi, Concetto Pozzati, Sergio Romiti, Gianni Scalia, Emilio Scanavino, Mario Sironi, Adriano Spatola.
La mostra, intitolata «La memoria del futuro. Mario Ramous un intellettuale a Bologna, dal dopoguerra agli anni Novanta», allinea anche edizioni a tiratura limitata, di cui lo studioso bolognese è stato curatore e autore, tra «Il libro delle odi. Versioni da Orazio» (1962), con dodici litografie di Bruno Cassinari, e «Programma n°» (1966), con alcune sue poesie e sei litografie di Emilio Scanavino.
Non mancano lungo il percorso espositivo opere d’arte di pregio appartenenti alla collezione personale di Mario Ramous, a partire da «Piatti» (1915), un disegno di Giorgio Morandi, segno dell’amore che il poeta e scrittore d’arte aveva per il pittore bolognese, tanto da dedicargli uno dei suoi testi d’arte più bello e intenso: il saggio «I disegni di Giorgio Morandi» (1949). Sono, poi, visibili la tecnica mista «Forma e campionario» (1965) di Rodolfo Aricò, un mobile bar con disegno di Pirro Cuniberti e il grande olio «Omaggio a Carpaccio» di Concetto Pozzati (1964), opera che «sancisce il passaggio dall’informale giovanile alla fase dialettica dell’ironia e della bifrontalità tipiche della pop art».
Il progetto espositivo, ideato in occasione della pubblicazione di alcune poesie inedite dello studioso confluite nel volume «Archivio21. Poesie 4660/29», sarà corredato da un convegno di studi «Prima e ‘Dopo la critica’ (… bisogna spendere molte parole | tutte le parole | (e non basteranno). Mario Ramous (poeta, latinista, studioso, critico d’arte, direttore editoriale), un lungo itinerario nella cultura italiana del Novecento», in agenda venerdì 18 maggio, anniversario della nascita dello studioso.
L’intero progetto – racconta Michele Ramous Fabj - «vuole fare incontrare nuovamente vecchi amici, vuol provare a raccontare quegli anni a chi non li ha vissuti, vuole restituire i tanti aspetti di Mario Ramous e di tutti gli intellettuali che hanno illuminato Bologna per un’intensa stagione, vuole gettare uno sguardo sul passato nella consapevolezza che la memoria è ciò che ci permette di costruire il futuro».
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.scriptamaneant.com.
Nelle foto: 1. Ritratto di Ramous; 2. Copertina del volume dedicato a Giorgio Morandi pubblicato da Edizione d’Arte Licinio Cappelli nel 1949 quale primo quaderno della collana d’arte contemporanea italiana “Documenti”, diretta da Mario Ramous
500 esemplari
; 3. Bruno Cassinari
tempera a colori su carta, cm 41 × 54, 1966
Da questa tempera è stata tratta una litografia per il volume Dal libro di Catullo
Collezione privata
Bologna, in mostra al Padiglione de l’Esprit Nouveau le tante anime creative di Giulia Niccolai
Fotografa, poetessa, traduttrice, narratrice, curatrice di riviste, monaca buddista: i mille volti di Giulia Niccolai (Milano, 21 dicembre 1934 - Alassio, 22 giugno 2021) (vanno in scena a Bologna in occasione di «Art City», il cartellone di eventi promosso dal Comune in occasione della quarantacinquesima edizione di Arte Fiera.
Al Padiglione de l’Esprit Nouveau, gioiello architettonico che replica fedelmente l'edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l'Esposizione universale di Parigi del 1925, il pubblico può ripercorrere le tappe salienti della vita professionale dell’intellettuale lombarda tramite documenti, fotografie, testi, registrazioni e opere provenienti dall’archivio Maurizio Spatola, dalla Fondazione Echaurren-Salaris, dalla Biblioteca italiana delle donne di Bologna e da archivi privati.
Al Padiglione de l’Esprit Nouveau, gioiello architettonico che replica fedelmente l'edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l'Esposizione universale di Parigi del 1925, il pubblico può ripercorrere le tappe salienti della vita professionale dell’intellettuale lombarda tramite documenti, fotografie, testi, registrazioni e opere provenienti dall’archivio Maurizio Spatola, dalla Fondazione Echaurren-Salaris, dalla Biblioteca italiana delle donne di Bologna e da archivi privati.
«Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai», questo il titolo della mostra, è curata da Allison Grimaldi Donahue e Caterina Molteni e sarà visibile fino al prossimo 5 giugno. Accanto ai materiali d’archivio, una performance di Giulia Crispiani, un laboratorio di scrittura e una lettura di Allison Grimaldi Donahue, una video-intervista di Bes Bajraktarević e un progetto filmico di Sergio Racanati e Manuela Gandini si propongono come strumenti per riflettere oggi sul lascito intellettuale e artistico della Niccolai.
Già fotografa negli anni Cinquanta, l’intellettuale lombarda si afferma come poetessa concreta, visiva e sonora tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta partecipando in modo attivo a esperienze chiave per il rinnovamento del linguaggio poetico del tempo come il Gruppo 63, la rivista «Tam Tam», la casa editrice Geiger e il Dolce Stil Suono). La sua ricerca poetica, visiva e sonora di questi anni si distingueva per un particolare utilizzo del nonsense e della giocosità. Traduttrice e intermediaria per numerosi poeti e poetesse straniere, oltreché redattrice in riviste di settore, la Niccolai si è distinta per una posizione partecipante ma spesso tenuta ai margini della storia ufficiale, diventando una figura essenziale ma non adeguatamente riconosciuta nei circuiti di arte e poesia.
Nel corso della mostra sono previsti una serie di appuntamenti aperti al pubblico: la lettura collettiva «Giulia Niccolai e la sua poesia» (13 maggio, ore 18:30), la lettura performata «Il gesto/The gesture» con Allison Grimaldi Donahue (14 maggio, ore 18), la performance «se io fossi in te se tu fossi in me» di Giulia Crispiani (14 maggio, ore 19), i workshop «Facciamo - Because Because Because» (14 e 28 maggio, ore 15-16:30), una lettura di Gian Paolo Roffi (5 giugno, ore 16:30).
Per ulteriori informazioni: artcity.bologna.it - www.mambo-bologna.org.
Nelle foto: Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai | Veduta di allestimento della mostra presso Padiglione de l’Esprit Nouveau, Bologna | Nell’ambito di ART CITY Bologna 2022 |Foto Valentina Cafarotti e Federico Landi - Migliorare con l’età MCE Stories | Courtesy Istituzione Bologna Musei
«Fresco», Davide D’Elia in mostra al Museo Davia Bargellini di Bologna
Passato e presente, pittura accademica e «gesto» pittorico convivono in «Fresco», la prima personale di Davide D’Elia (Cava de’ Tirreni, 1973) a Bologna. Promossa nell’ambito di Art City, l’esposizione mette in mostra al Museo Davia Bargellini otto quadri in plexiglas realizzati dall’artista campano durante un precedente intervento site specific operato nel 2018 sugli affreschi del Salone delle feste del Palazzo Atti-Pensi di Todi, dimora cinquecentesca che si erge al centro della piazza principale della città umbra. Questi lavori vengono riproposti, dal 13 maggio al 25 settembre, all’interno del museo bolognese, in relazione ai dipinti e alle sculture commissionate dal mecenatismo dei Bargellini, tra le famiglie bolognesi che hanno ricoperto importanti cariche nel Senato cittadino.
Per realizzare il ciclo «Fresco» a Todi, Davide D’Elia non è intervenuto direttamente sugli affreschi ma vi ha apposto delle strutture in plexiglas appositamente progettate. Ciò gli ha consentito di stendere campiture di pittura «iris blue» celando talvolta gli elementi organici del paesaggio, talvolta le architetture nell'intento di far emergere la costruzione dei dipinti degli affreschi sottostanti. Una volta rimossi dagli affreschi, gli otto quadri sono diventati pitture astratte - o «assolute», come le definisce l'artista - su cui si è conservata la traccia dell’indagine compositiva creando un discorso tra «pittura assente» e «pittura presente».
La mostra, a cura di Elisa Del Prete, è completata a Bologna da due nuovi interventi site specific, «Zero» e «Zero1», realizzati su due dipinti della collezione del Museo Davia Bargellini, entrambi dal titolo «Paesaggio con figure» di Vincenzo Martinelli (fine sec. XVIII). Le due opere, nel momento in cui lasceranno il luogo in cui sono stati create per essere esposte altrove, attiveranno a loro volta un processo di traslazione portandosi dietro il contesto primario. La visita propone, inoltre, un’esperienza di realtà virtuale grazie alla quale il visitatore si fa testimone della simultaneità dell’opera ricongiungendo il ciclo alla sua fonte originaria e mettendo così in dialogo spazi tra loro geograficamente distanti.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.artcity.bologna.it.
Già fotografa negli anni Cinquanta, l’intellettuale lombarda si afferma come poetessa concreta, visiva e sonora tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Ottanta partecipando in modo attivo a esperienze chiave per il rinnovamento del linguaggio poetico del tempo come il Gruppo 63, la rivista «Tam Tam», la casa editrice Geiger e il Dolce Stil Suono). La sua ricerca poetica, visiva e sonora di questi anni si distingueva per un particolare utilizzo del nonsense e della giocosità. Traduttrice e intermediaria per numerosi poeti e poetesse straniere, oltreché redattrice in riviste di settore, la Niccolai si è distinta per una posizione partecipante ma spesso tenuta ai margini della storia ufficiale, diventando una figura essenziale ma non adeguatamente riconosciuta nei circuiti di arte e poesia.
Nel corso della mostra sono previsti una serie di appuntamenti aperti al pubblico: la lettura collettiva «Giulia Niccolai e la sua poesia» (13 maggio, ore 18:30), la lettura performata «Il gesto/The gesture» con Allison Grimaldi Donahue (14 maggio, ore 18), la performance «se io fossi in te se tu fossi in me» di Giulia Crispiani (14 maggio, ore 19), i workshop «Facciamo - Because Because Because» (14 e 28 maggio, ore 15-16:30), una lettura di Gian Paolo Roffi (5 giugno, ore 16:30).
Per ulteriori informazioni: artcity.bologna.it - www.mambo-bologna.org.
Nelle foto: Perché lo faccio perché. La vita poetica di Giulia Niccolai | Veduta di allestimento della mostra presso Padiglione de l’Esprit Nouveau, Bologna | Nell’ambito di ART CITY Bologna 2022 |Foto Valentina Cafarotti e Federico Landi - Migliorare con l’età MCE Stories | Courtesy Istituzione Bologna Musei
«Fresco», Davide D’Elia in mostra al Museo Davia Bargellini di Bologna
Passato e presente, pittura accademica e «gesto» pittorico convivono in «Fresco», la prima personale di Davide D’Elia (Cava de’ Tirreni, 1973) a Bologna. Promossa nell’ambito di Art City, l’esposizione mette in mostra al Museo Davia Bargellini otto quadri in plexiglas realizzati dall’artista campano durante un precedente intervento site specific operato nel 2018 sugli affreschi del Salone delle feste del Palazzo Atti-Pensi di Todi, dimora cinquecentesca che si erge al centro della piazza principale della città umbra. Questi lavori vengono riproposti, dal 13 maggio al 25 settembre, all’interno del museo bolognese, in relazione ai dipinti e alle sculture commissionate dal mecenatismo dei Bargellini, tra le famiglie bolognesi che hanno ricoperto importanti cariche nel Senato cittadino.
Per realizzare il ciclo «Fresco» a Todi, Davide D’Elia non è intervenuto direttamente sugli affreschi ma vi ha apposto delle strutture in plexiglas appositamente progettate. Ciò gli ha consentito di stendere campiture di pittura «iris blue» celando talvolta gli elementi organici del paesaggio, talvolta le architetture nell'intento di far emergere la costruzione dei dipinti degli affreschi sottostanti. Una volta rimossi dagli affreschi, gli otto quadri sono diventati pitture astratte - o «assolute», come le definisce l'artista - su cui si è conservata la traccia dell’indagine compositiva creando un discorso tra «pittura assente» e «pittura presente».
La mostra, a cura di Elisa Del Prete, è completata a Bologna da due nuovi interventi site specific, «Zero» e «Zero1», realizzati su due dipinti della collezione del Museo Davia Bargellini, entrambi dal titolo «Paesaggio con figure» di Vincenzo Martinelli (fine sec. XVIII). Le due opere, nel momento in cui lasceranno il luogo in cui sono stati create per essere esposte altrove, attiveranno a loro volta un processo di traslazione portandosi dietro il contesto primario. La visita propone, inoltre, un’esperienza di realtà virtuale grazie alla quale il visitatore si fa testimone della simultaneità dell’opera ricongiungendo il ciclo alla sua fonte originaria e mettendo così in dialogo spazi tra loro geograficamente distanti.
Per informazioni: www.museibologna.it/arteantica | www.artcity.bologna.it.
Nelle immagini: Davide D’Elia, Fresco, 2022. Installation view della mostra. Museo Davia Bargellini, Bologna. photo © M3S Roma
BOOMing: a Bologna c’è anche la fiera dell’«arte emergente»
25 gallerie, 3 sezioni tematiche, 3 special project, 5 talk, una mostra off e, poi, visite guidate, premi, performance: sono questi i numeri della seconda edizione di BOOMing - Contemporary Art Show, la fiera sull’arte emergente in programma a Bologna, al Binario centrale di DumBO, da giovedì 12 (dalle ore 20 alle ore 24) a domenica 15 maggio (13 maggio, ore 16.00 - 24.00 | 14 maggio, ore 15.00 - 24.00 | 15 maggio, ore 11.00 – 20.00).
Prodotto da Doc Creativity e diretto da Simona Gavioli, l’evento mercantile si articola in tre sezioni. In «Arena» si vedrà una selezione di opere e gallerie chiamate specificatamente a interpretare il concetto di «querencia», dal verbo «querer», che indica quel luogo così carico di amore e forza dove un toro, durante la corrida, riesce a ricaricarsi per uscirne più vigoroso e combattivo che mai, metafora perfetta della rinascita post-pandemica.
«FeminisMAS» concentrerà, invece, l’attenzione sui femminismi e sul ruolo delle donne ancora sottorappresentate nel sistema e nel mercato dell’arte. Mentre «Afuera» proporrà un focus sull’attualità dell’arte urbana, attraverso un percorso tra opere di Banksy, Keith Haring, Shepard Fairey e Jef Aerosol, ma anche di artisti più contemporanei come Eron, Corn79, Ericailcane, Andrea Casciu, 108, Kiki Skipi e Laurina Paperina.
Al Binario centrale di DumBO è prevista anche una «Special Area», dove la Fondazione Rocco Guglielmo presenterà «Moon», un’anteprima del progetto dedicato alla luna come rappresentazione della divinità femminile, a cura di Simona Caramia e Simona Gavioli, in programma nei prossimi mesi al Museo Marca di Catanzaro. Alla luna è dedicata anche l’installazione partecipativa del duo Antonello Ghezzi: i visitatori potranno, con l’ausilio di un tapis roulant, camminare insieme fino ad azzerare la distanza che ci separa dal satellite.
Durante l’evento mercantile verrà, inoltre, lanciata la prima edizione del «Premio Sustainability Art Giorgio Morandi», rivolto ad artisti under 40 impegnati sul tema delle emergenze ambientali. Il prescelto, dopo una residenza nei luoghi cari all’artista emiliano, restituirà la sua opera entro la fine dell’anno 2022 per un evento appositamente organizzato al Grand Hotel Majestic già Baglioni.
BOOMing avrà anche un evento off a Palazzo Bentivoglio con la mostra «Toccami», a cura di Simona Gavioli, ispirata al genio di Bruno Munari e alla celebre frase «Vietato non Toccare». Aron Demetz, Gonçalo Mabunda, Massimiliano Pelletti, Alex Pinna, Antonio Tropiano, Antonio Violetta e Zeroottouno sono stati invitati a riflettere sul nostro bisogno di esperienza tattile, acuito dal periodo pandemico e dalla tensione sempre maggiore al virtuale.
Per ulteriori informazioni: www.boomcontemporaryart.com.
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