Si apre alle contaminazioni tra il teatro e le arti visive l’ottava edizione del Festival internazionale IF, prestigiosa vetrina di teatro di immagine e di figura promossa dal Buratto che, fino al prossimo 31 maggio, porterà a Milano il meglio delle produzioni europee e mondiali che fanno dell’uso di marionette e pupazzi animati, di videoproiezioni e di tagli di luce la propria cifra stilistica, inaugurando così una nuova sezione intitolata «Performing Art District». Venerdì 21 e sabato 22 novembre il teatro Verdi, nel cuore del vivace e contradditorio fermento creativo e culturale del quartiere Isola/Garibaldi, ospiterà, infatti, l’eclettico artista cino-malese H.H. Lim nella performance site-specific «Tornare al senso costruttivo», curata da Francesca Pasini e realizzata in collaborazione con la Galleria Bianconi, dove lo scorso aprire è stata ospitata la prima personale milanese del fondatore dello spazio espositivo «Edicola Notte» di Roma, una delle realtà più dinamiche e propositive della capitale.
Attraverso proiezioni video e una «fulminante» azione teatrale, H.H. Lim rivolge l’attenzione artistica alla spettacolarità e alla superficialità del mondo mediatico. In questo modo viene condivisa la concezione di un’arte che rivaluti la realtà e si ponga come specchio del mondo, un’arte attenta cioè alle manifestazioni sensibili della sfera umana, ai malesseri sociali, all’emarginazione etnica e alla diversità sessuale.
L’interazione tra cultura e politica coinvolge del resto tutto il lavoro dell’artista, che attraverso il mondo della scena esprime compiutamente l’adesione alla città, secondo una logica antica che, sin dall’antica democrazia ateniese, vedeva nel teatro il punto di svolta dell’aggregazione urbana, civile, politica e rituale, ovvero il nucleo costruttivo della convivenza sociale e culturale.
La performance di Lim è accompagnata dalla ripresa video di tre metaforici «cantieri» che rappresentano la dimensione ciclica di ogni costruzione, dando così forza a quel «senso costruttivo» che rappresenta in realtà la costante attività di elaborazione dei rapporti, degli affetti e dei comportamenti culturali e politici.
I video proiettati in scena riguardano lo scavo del trapano di un dentista, dove i denti appaiono come elementi di una strana architettura, la visione del cantiere in fieri di Expo Milano 2015, e il lavoro di una fonderia, dove Lim ha fatto realizzare a suo tempo una spada. Questa stessa spada, presente fisicamente in scena, viene «ricostruita» e tramutata da Lim in una sorprendente realizzazione sotto lo sguardo del pubblico. Immediata è l’allusione metaforica al taglio del nodo gordiano per liberare nuove energie e decisioni diverse, ma anche alla necessità di rendere inefficace questo oggetto di aggressione attraverso l’attribuzione di un senso costruttivo che non preveda solo una speculare distruzione.
Il cantiere di Expo Milano 2015 è invece, come dice Lim stesso, «un collegamento alla Milano contemporanea» e un segnale della condizione straordinaria delle città italiane, che continuano il ciclo dell’esistenza tra glorioso passato storico e ricostruzione del presente. Le immagini realizzate dall’artista si alleano al concetto processuale del costruire, perché rappresentano una documentazione «storica e unica»: il cantiere è in costante movimento, sempre diverso da se stesso, e rappresenta un tempo che non sarà più visibile una volta ultimati i lavori.
L’opera, rivelando il processo, assume così la forma di un atto performativo che mette in scena un evento non ancora avvenuto, creando un dialogo costruttivo con il simbolo della spada e, tagliando i tempi della previsione lineare, mette in primo piano il costruire che prosegue nel tempo, fino all’apparire di un ponte che congiunge la scena alla famosa sentenza di Martin Heidegger «Costruire – Abitare – Pensare», in cui l’azione del pensare è il perno attorno al quale si attuano sia il costruire che l’abitare.
Informazioni utili
«Tornare al senso costruttivo» - Performance di H.H.Lim. Teatro Verdi, via Pastrengo, 16 – Milano. Orari: venerdì 21 e sabato 22 novembre, ore 21. Ingresso: € 5,00. Informazioni: tel. 02.6880038 e info@teatrodelburatto.it. Prenotazioni: dal lunedì al venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14.00 alle ore 18.00. Sito internet: www.teatrodelburatto.it. Da venerdì 21 a sabato 22 novembre 2014.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
giovedì 20 novembre 2014
martedì 18 novembre 2014
In mostra a Parigi l’arte dell’amore e del piacere ai tempi delle geishe
La bellezza femminile, l’immaginario erotico e le abitudini di vita del Giappone si svelano alla Pinacothèque de Paris, dove è allestita la mostra «L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais», per la curatela di Francesco Paolo Campione, direttore del Museo delle culture di Lugano, e la direzione artistica di Marc Restellini.
Disegni, pitture, stampe e immagini dell’Ottocento colorate a mano, oltre a una quarantina di opere d’arte applicata appartenenti alle collezioni dei musei d'arte orientale di Torino e Venezia, per un totale di duecentocinquanta reperti datati tra il XVII secolo e i giorni nostri, in massima parte conservati all'Heleneum di Lugano, compongono il percorso espositivo, nel quale sono messe per la prima volta organicamente a confronto le opere tradizionali del periodo Edo con le fotografie della Scuola di Yokohama e soprattutto con le opere d’arte contemporanea d’ispirazione erotica e pornografica che ne sono la diretta prosecuzione artistica e culturale.
L'esposizione, della quale rimarrà documentazione in un catalogo in lingua francese pubblicato dalla casa editrice Giunti di Firenze, è frutto di una ricerca condotta dal Museo delle culture di Lugano e sostenuta anche dalla Fondazione «Ceschin Pilone» di Zurigo, che è stata avviata nel 2006 e che ha già dato vita a due mostre sull'arte erotica giapponese, una al Palazzo Reale di Milano nel 2009, l’altra all’Heleneum di Lugano nel 2010.
Al centro dell’esposizione parigina, alla quale ne è contemporaneamente affiancata una sul Kamasutra nell’arte indiana, si trova un nucleo di oltre centocinquanta stampe che raffigurano le «belle donne», soggetto della tradizione ukiyo-e che viene definito bijin-ga, e una variegata serie di circostanze erotiche, raffigurazioni per le quali in Giappone si usa il termine shunga, letteralmente «immagini della primavera», così da rievocare alla mente la gioiosa vita del principe ereditario tra letti di piacere.
I due generi, entrambi creati con la tecnica della xilografia policroma, raggiunsero la loro massima fioritura nel periodo dello shogunato Tokugawa, tra il 1603 e il 1867. In estrema sintesi, essi sono la manifestazione di una riflessione etica ed estetica sulla brevità e sulla transitorietà dell’esistenza umana, che esprime -a diversi livelli- i valori del ceto borghese delle grandi città, composto da mercanti, artigiani, medici, insegnanti e artisti. Queste persone, dette chōnin, erano escluse dal potere politico, ma avevano un tenore di vita economicamente fiorente, grazie al quale si affermò una concezione edonistica dell’esistere, in contrasto con la rigida morale neoconfuciana sostenuta dalla classe guerriera dei samurai, che reggeva in quei secoli il governo centrale del Giappone. I chōnin offrivano, infatti, uno stile di vita raffinato, ostentavano il lusso, organizzano feste, frequentano i teatri, i bordelli e le case da tè. Il termine ukiyo-e, che designa l’arte ispirata a tale genere di vita, finì così per diventare sinonimo di «moderno» e fu usato per esprimere una sorta di filosofia incentrata sul gusto di un’esistenza piacevole e, per quanto possibile, appagante dei desideri personali.
«I bijinga e gli shunga -spiegano al Museo delle culture di Lugano- sono composizioni semplici, ma non povere. La loro «semplicità» è il risultato della ricerca profonda di un’associazione formale che giunge allo schematismo, anche se -è bene sottolinearlo- nel gesto pittorico o nel bulino, non vi è mai tecnicismo o rarefazione artata, ma piuttosto la pienezza senza ripensamento di un’idea a lungo maturata, prima di diventare forma». Basti pensare alle ōkubie, le «immagini dal grande collo» di Kitagawa Utamaro, attraverso le quali il volto sembra effettivamente spiccare il volo dal corpo, trascendendone la materialità per porsi quasi a un livello spirituale.
Gli shunga, usati per album dalla diffusione semi-clandestina o anche come illustrazioni per racconti erotici e per manuali destinati all’educazione delle giovani spose e delle cortigiane, giunsero, poi, in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, ovvero dopo che il Giappone fu costretto ad aprire le sue isole alle navi straniere e agli scambi commerciali col mondo occidentale. Diventarono così motivo di ispirazione diretta di letterati e artisti della levatura di Zola, Klimt e Van Gogh, e influirono in modo significativo sulla riflessione artistica nell’ambito dell’Orientalismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, proprio nello stesso frangente in cui l’interesse per questo genere artistico stava andando ad affievolirsi nel Paese natale, finendo per diventare un tabù.
Una mostra, dunque, che non lascia spazio all’immaginazione quella della Pinacothèque de Paris, dove il massimo della crudezza erotica, rappresentata da amplessi (anche saffici) nei quali si vede nudo solo il sesso dei soggetti raffigurati in sontuosi abiti da sera, si sposa con il massimo dell’artificio artistico, dove corpi intrecciati, volti distaccati e colori dalle tonalità più varie raccontano di un mondo lontano, un mondo di coinvolgente sensualità e di estatica raffinatezza.
Disascalie delle immagini
[Fig. 1] Utagawa Kunisada - Kesa Gozen, moglie di Watanabe Wataru (Watanabe Wataru no tsuma Kesa Gozen) - 1843-1847. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Foto A. Quattrone; [fig. 2] Keisai Eisen, Senza titolo, 1835-1840 ca. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Archivio iconografico; [fig. 3] Kitagawa Utamaro, Libro illustrato. Abbracciare Komachi (Ehon Komachi biki) - 1802. Museo delle Culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Foto A. Quattrone; [fig. 4] Utagawa Hiroshige I, La notte di primavera (Haru no yowa), 1851. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Archivio iconografico.
Informazioni utili
«L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais». Pinacothèque de Paris, 28 Place de la Madeleine - Parigi (Francia). Orari: tutti i giorni, ore 10.30-18.30, mercoledì e venerdì apertura notturna fino alle ore 21.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00. Informazioni: tel. +33142680201 o billetterie@pinacotheque.com. Sito web: www.pinacotheque.com.Fino al 15 febbraio 2015.
Disegni, pitture, stampe e immagini dell’Ottocento colorate a mano, oltre a una quarantina di opere d’arte applicata appartenenti alle collezioni dei musei d'arte orientale di Torino e Venezia, per un totale di duecentocinquanta reperti datati tra il XVII secolo e i giorni nostri, in massima parte conservati all'Heleneum di Lugano, compongono il percorso espositivo, nel quale sono messe per la prima volta organicamente a confronto le opere tradizionali del periodo Edo con le fotografie della Scuola di Yokohama e soprattutto con le opere d’arte contemporanea d’ispirazione erotica e pornografica che ne sono la diretta prosecuzione artistica e culturale.
L'esposizione, della quale rimarrà documentazione in un catalogo in lingua francese pubblicato dalla casa editrice Giunti di Firenze, è frutto di una ricerca condotta dal Museo delle culture di Lugano e sostenuta anche dalla Fondazione «Ceschin Pilone» di Zurigo, che è stata avviata nel 2006 e che ha già dato vita a due mostre sull'arte erotica giapponese, una al Palazzo Reale di Milano nel 2009, l’altra all’Heleneum di Lugano nel 2010.
Al centro dell’esposizione parigina, alla quale ne è contemporaneamente affiancata una sul Kamasutra nell’arte indiana, si trova un nucleo di oltre centocinquanta stampe che raffigurano le «belle donne», soggetto della tradizione ukiyo-e che viene definito bijin-ga, e una variegata serie di circostanze erotiche, raffigurazioni per le quali in Giappone si usa il termine shunga, letteralmente «immagini della primavera», così da rievocare alla mente la gioiosa vita del principe ereditario tra letti di piacere.
I due generi, entrambi creati con la tecnica della xilografia policroma, raggiunsero la loro massima fioritura nel periodo dello shogunato Tokugawa, tra il 1603 e il 1867. In estrema sintesi, essi sono la manifestazione di una riflessione etica ed estetica sulla brevità e sulla transitorietà dell’esistenza umana, che esprime -a diversi livelli- i valori del ceto borghese delle grandi città, composto da mercanti, artigiani, medici, insegnanti e artisti. Queste persone, dette chōnin, erano escluse dal potere politico, ma avevano un tenore di vita economicamente fiorente, grazie al quale si affermò una concezione edonistica dell’esistere, in contrasto con la rigida morale neoconfuciana sostenuta dalla classe guerriera dei samurai, che reggeva in quei secoli il governo centrale del Giappone. I chōnin offrivano, infatti, uno stile di vita raffinato, ostentavano il lusso, organizzano feste, frequentano i teatri, i bordelli e le case da tè. Il termine ukiyo-e, che designa l’arte ispirata a tale genere di vita, finì così per diventare sinonimo di «moderno» e fu usato per esprimere una sorta di filosofia incentrata sul gusto di un’esistenza piacevole e, per quanto possibile, appagante dei desideri personali.
«I bijinga e gli shunga -spiegano al Museo delle culture di Lugano- sono composizioni semplici, ma non povere. La loro «semplicità» è il risultato della ricerca profonda di un’associazione formale che giunge allo schematismo, anche se -è bene sottolinearlo- nel gesto pittorico o nel bulino, non vi è mai tecnicismo o rarefazione artata, ma piuttosto la pienezza senza ripensamento di un’idea a lungo maturata, prima di diventare forma». Basti pensare alle ōkubie, le «immagini dal grande collo» di Kitagawa Utamaro, attraverso le quali il volto sembra effettivamente spiccare il volo dal corpo, trascendendone la materialità per porsi quasi a un livello spirituale.
Gli shunga, usati per album dalla diffusione semi-clandestina o anche come illustrazioni per racconti erotici e per manuali destinati all’educazione delle giovani spose e delle cortigiane, giunsero, poi, in Europa nella seconda metà dell’Ottocento, ovvero dopo che il Giappone fu costretto ad aprire le sue isole alle navi straniere e agli scambi commerciali col mondo occidentale. Diventarono così motivo di ispirazione diretta di letterati e artisti della levatura di Zola, Klimt e Van Gogh, e influirono in modo significativo sulla riflessione artistica nell’ambito dell’Orientalismo della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, proprio nello stesso frangente in cui l’interesse per questo genere artistico stava andando ad affievolirsi nel Paese natale, finendo per diventare un tabù.
Una mostra, dunque, che non lascia spazio all’immaginazione quella della Pinacothèque de Paris, dove il massimo della crudezza erotica, rappresentata da amplessi (anche saffici) nei quali si vede nudo solo il sesso dei soggetti raffigurati in sontuosi abiti da sera, si sposa con il massimo dell’artificio artistico, dove corpi intrecciati, volti distaccati e colori dalle tonalità più varie raccontano di un mondo lontano, un mondo di coinvolgente sensualità e di estatica raffinatezza.
Disascalie delle immagini
[Fig. 1] Utagawa Kunisada - Kesa Gozen, moglie di Watanabe Wataru (Watanabe Wataru no tsuma Kesa Gozen) - 1843-1847. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Foto A. Quattrone; [fig. 2] Keisai Eisen, Senza titolo, 1835-1840 ca. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle culture, Archivio iconografico; [fig. 3] Kitagawa Utamaro, Libro illustrato. Abbracciare Komachi (Ehon Komachi biki) - 1802. Museo delle Culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Foto A. Quattrone; [fig. 4] Utagawa Hiroshige I, La notte di primavera (Haru no yowa), 1851. Museo delle culture, Lugano. © 2014 Museo delle Culture, Archivio iconografico.
Informazioni utili
«L’art de l’amour au temps des geishas. Les chefs-d’oeuvre interdits de l'art japonais». Pinacothèque de Paris, 28 Place de la Madeleine - Parigi (Francia). Orari: tutti i giorni, ore 10.30-18.30, mercoledì e venerdì apertura notturna fino alle ore 21.Ingresso: intero € 13,00, ridotto € 11,00. Informazioni: tel. +33142680201 o billetterie@pinacotheque.com. Sito web: www.pinacotheque.com.Fino al 15 febbraio 2015.
lunedì 17 novembre 2014
Calabria, terminato il restauro della «Madonna di Ognissanti» del Battistello
È giunto a compimento il restauro della grande pala d’altare raffigurante la «Madonna di Ognissanti» che Giovan Battista Caracciolo detto il Battistello (1578–1635), protagonista dell’arte pittorica del primo seicento napoletano, dipinse per la chiesa di San Giovanni Therestis nella cittadina calabrese di Stilo.
Il lavoro di pulitura che ha interessato la superficie pittorica della tela, la cui presentazione ufficiale si terrà nel pomeriggio di martedì 18 novembre, è stato oggetto di un cantiere aperto di restauro, inaugurato lo scorso 21 marzo in occasione delle Giornate di primavera, promosse annualmente dal Fai (Fondo per l’ambiente italiano), che ha visto il coinvolgimento delle scuole calabresi grazie all’interessamento della Delegazione della Locride e della Piana che ha studiato una serie di attività formative e didattiche.
La «Madonna di Ognissanti» di Battistello Caracciolo (cm. 415 x 300), realizzata per la chiesa matrice di Stilo tra il 1618 e il 1619 su commissione del medico Tiberio Carnevale, raffigura una complessa rappresentazione iconografica del «Paradiso» con i protagonisti disposti su due registri. Secondo i precetti sanciti dalla Controriforma, infatti, i santi, insieme con la Vergine Maria, ascoltano le preghiere dei fedeli presentando le supplici istanze a Cristo. In alto è raffigurata la Chiesa trionfante, con al centro Maria col Figlio incoronata da angeli. Nel gruppo a sinistra si possono riconoscere sant’Anna, san Francesco di Paola, san Francesco d'Assisi e san Giovanni Battista; a destra invece, san Giuseppe e i santi diaconi Stefano e Lorenzo. La Chiesa militante si colloca nel registro inferiore, con i santi Pietro e Paolo ai piedi della Vergine, tra il gruppo degli Evangelisti, a sinistra, e quello dei Quattro Dottori della Chiesa, a destra. Alle loro spalle si intravedono altre figure che fuoriescono dal buio del fondo: fra esse Maria Maddalena e santa Marta -immagini simboliche di «vita contemplativa e vita attiva»-, gli apostoli e le sante vergini.
Dopo il restauro -realizzato da Sante Guido, Giuseppe Mantella, Laura Liquori e Ilaria Maretta- si può finalmente apprezzare l’articolata composizione creata da Battistello che genera uno spazio denso di figure pervase dal chiarore di una luce radente o immerse nella fitta penombra su un cielo che ora appare finalmente azzurro. La pulitura delle superfici pittoriche ha, quindi, evidenziato il modo dell'artista di amplificare il tono rosato degli incarnati e l’intensità del rosso e dell’ocra delle vesti o, al contrario, il rendere sempre più indefinito e cupo lo sfondo della scena.
La dinamica dei gesti e la retorica degli sguardi emerse a seguito del restauro crea un commovente dialogo tra le figure dei santi che finisce per coinvolgere, in un vibrante percorso ascensionale verso la Vergine, lo sguardo partecipato dello spettatore.
Informazioni utili
«Il paradiso si mostra». «Madonna di Ognissanti» di Battistello Caracciolo. Chiesa di San Giovanni Therestis - Stilo (Reggio Calabria). Presentazione restauro: martedì 18 novembre 2014, ore 17.00.
Il lavoro di pulitura che ha interessato la superficie pittorica della tela, la cui presentazione ufficiale si terrà nel pomeriggio di martedì 18 novembre, è stato oggetto di un cantiere aperto di restauro, inaugurato lo scorso 21 marzo in occasione delle Giornate di primavera, promosse annualmente dal Fai (Fondo per l’ambiente italiano), che ha visto il coinvolgimento delle scuole calabresi grazie all’interessamento della Delegazione della Locride e della Piana che ha studiato una serie di attività formative e didattiche.
La «Madonna di Ognissanti» di Battistello Caracciolo (cm. 415 x 300), realizzata per la chiesa matrice di Stilo tra il 1618 e il 1619 su commissione del medico Tiberio Carnevale, raffigura una complessa rappresentazione iconografica del «Paradiso» con i protagonisti disposti su due registri. Secondo i precetti sanciti dalla Controriforma, infatti, i santi, insieme con la Vergine Maria, ascoltano le preghiere dei fedeli presentando le supplici istanze a Cristo. In alto è raffigurata la Chiesa trionfante, con al centro Maria col Figlio incoronata da angeli. Nel gruppo a sinistra si possono riconoscere sant’Anna, san Francesco di Paola, san Francesco d'Assisi e san Giovanni Battista; a destra invece, san Giuseppe e i santi diaconi Stefano e Lorenzo. La Chiesa militante si colloca nel registro inferiore, con i santi Pietro e Paolo ai piedi della Vergine, tra il gruppo degli Evangelisti, a sinistra, e quello dei Quattro Dottori della Chiesa, a destra. Alle loro spalle si intravedono altre figure che fuoriescono dal buio del fondo: fra esse Maria Maddalena e santa Marta -immagini simboliche di «vita contemplativa e vita attiva»-, gli apostoli e le sante vergini.
Dopo il restauro -realizzato da Sante Guido, Giuseppe Mantella, Laura Liquori e Ilaria Maretta- si può finalmente apprezzare l’articolata composizione creata da Battistello che genera uno spazio denso di figure pervase dal chiarore di una luce radente o immerse nella fitta penombra su un cielo che ora appare finalmente azzurro. La pulitura delle superfici pittoriche ha, quindi, evidenziato il modo dell'artista di amplificare il tono rosato degli incarnati e l’intensità del rosso e dell’ocra delle vesti o, al contrario, il rendere sempre più indefinito e cupo lo sfondo della scena.
La dinamica dei gesti e la retorica degli sguardi emerse a seguito del restauro crea un commovente dialogo tra le figure dei santi che finisce per coinvolgere, in un vibrante percorso ascensionale verso la Vergine, lo sguardo partecipato dello spettatore.
Informazioni utili
«Il paradiso si mostra». «Madonna di Ognissanti» di Battistello Caracciolo. Chiesa di San Giovanni Therestis - Stilo (Reggio Calabria). Presentazione restauro: martedì 18 novembre 2014, ore 17.00.
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