ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

lunedì 4 novembre 2013

«Un mare di inchiostro» per «Il Bisonte» di Firenze. Due mostre per i trent'anni della scuola d'arte grafica toscana

(sam) È una delle forme più antiche di espressione artistica, ma è con la diffusione dell’uso della carta, intorno alla metà del Trecento, e con l’invenzione della stampa a caratteri mobili, ideata da Johannes Gutenberg nel secolo successivo (tra il 1448 e il 1454), che l’incisione si afferma, diventando veicolo di circolazione culturale a prezzi contenuti. Non è, dunque, un caso che le prime xilografie stampate su carta fossero immagini devozionali realizzate nei monasteri da autori anonimi e che queste opere illustrassero episodi della vita di Gesù Cristo e dei santi, come la «Madonna di Bruxelles» del 1418 (Bruxelles, Bibliotèque Royale) e il «San Cristoforo» del 1423 (Manchester, J. Rylands Library).
In Italia, la produzione incisoria al bulino nacque, secondo quanto afferma Giorgio Vasari, nella bottega orafa di Maso Finiguerra (1426-1464), che trasferì sulla carta l’impronta dei suoi nielli per giudicarne lo stato di finitura e, forse, per conservarne l’immagine. Mentre uno dei principali incisori del Quattrocento fu il tedesco Martin Schongauer (1453?-1491), autore di composizioni di notevole suggestione e armonia, come «La Natività» (1470-1473), e di rappresentazioni inquietanti e fantastiche, come il «Sant’Antonio tormentato dai demoni» (1470-1473).
L’arte incisoria, considerata a ragione una delle principali espressioni dell’epoca rinascimentale, si diffuse ben presto in tutta Europa, divenendo il mezzo che meglio di altri rispondeva alla richiesta di moltiplicare opere letterarie e figurative. Attraverso l’incisione di traduzione, molte persone ebbero, infatti, modo di conoscere l’iconografia della pittura e della scultura a loro coeva o dei tempi passati.
Diversi grandi artisti, a cominciare da Sandro Botticelli (1445-1510) e da Andrea Mantegna (1431-1506), guardarono, poi, a questa forma comunicativa come linguaggio creativo autonomo e con Albrecht Dürer (1471-1528), autore a cui si devono le prime sperimentazioni all’acquaforte, quest'arte raggiunse il suo massimo splendore. Dalle mani e dalla creatività dell’artista tedesco uscirono, infatti, più di trecento opere tra xilografie, bulini, acqueforti e puntesecche. Si tratti di un insieme di lavori di rilevante complessità tecnica e di singolare elaborazione figurativa e iconografica, tanto è vero che Erasmo da Rotterdam, nel suo «Dialogus de recta Latini Graecique sermonis pronunciattione» (1528), affermò che l’artista era migliore di Apelle perché non aveva bisogno del colore, ma solo di linee nere per creare.
Il Parmigianino (1508-1540), con il suo stile «libero e arioso», fu, invece, il primo grande interprete dell'acquaforte in Europa, un genere molto amato anche da autori seicenteschi come Rembrandt (1610-1669) e settecenteschi quali Giovan Battista Piranesi (1720-1778) e il Canaletto (1697-1768), solo per fare alcuni nomi. Mentre, a cavallo tra Settecento e Ottocento, uno dei più grandi interpreti della grafica fu Francisco Goya (1746-1828), che mise a punto due nuove tecniche di grande effetto come l’acquatinta e la litografia. Di quest’arte si appropriarono, poi, i romantici, gli impressionisti, i simbolisti, gli espressionisti, i macchiaioli, i cubisti e così via dicendo, fino ad arrivare ai giorni nostri. Nonostante ciò, l’incisione è ancora considerata un prodotto artistico prevalentemente destinato a élite di intenditori.
Con l’intento di far conoscere e diffondere tra un pubblico più vasto questa forma di espressione figurativa, Firenze apre le porte di due suoi templi della grafica, l’Accademia delle arti del disegno e la Galleria del Bisonte, presentendo un progetto espositivo dal titolo «Un mare di inchiostro», del quale rimarrà documentazione in un catalogo di Polistampa, curato dal professor Rodolfo Ceccotti e con testi, tra gli altri, di Simone Guaita, Antonio Natali, Swietlan Kraczyna e Maria Donata Spadolini.
L’occasione è offerta dalle celebrazioni per i trent'anni della Scuola internazionale di arte grafica del Bisonte, aperta nel 1983 presso le ex-Scuderie di Palazzo Serristori e nata da una costola dell’omonima stamperia inaugurata nel 1959 per iniziativa di Maria Luigia Guaita e di un gruppo di fini intellettuali come il letterato Giorgio Luti, il critico Carlo Ludovico Ragghianti e l’editore Enrico Vallecchi.
Numerosi sono gli artisti che, dagli anni Sessanta, legarono il proprio nome a quello della galleria toscana, da Gino Severini a Giò Pomodoro, da Carlo Mattioli a Mino Maccari, da Alexander Calder a Graham Sutherland, senza dimenticare Pablo Picasso (che al Bisonte stampò l'unica lito fatta in Italia) ed Henry Moore (che realizzò un’indimenticabile serie di incisioni sulla figura umana per dare il proprio aiuto alla ricostruzione dello spazio, duramente colpito dall’alluvione del 4 novembre 1966).
Questa storia viene, ora, celebrata da due mostre. All’Accademia delle arti del disegno è in programma, da mercoledì 6 a sabato 30 novembre, una rassegna antologica con una settantina di lavori selezionati dall’archivio della Scuola del Bisonte, nel quale sono conservate oltre settemila opere, che coprono le più svariate tecniche della grafica d’arte studiate e sperimentate dai migliori discenti dei corsi e dai maestri incisori che si sono succeduti dal 1983 al 2012. Al fine di avvicinare il pubblico alla raffinata arte dell’incisione e della stampa manuale, l’esposizione sarà integrata da una sezione didattica.
Alla galleria di via San Niccolò, cuore della Rive Gauche fiorentina, verrà, invece, presentata, da giovedì 7 a venerdì 29 novembre, una collettiva in cui artisti affermati a livello
nazionale e internazionale, già allievi della scuola toscana, saranno messi a confronto con giovani talenti del Bisonte, che stanno muovendo i loro primi passi nel mondo della grafica d’autore. Trentadue gli incisori che esporranno, tra i quali Sandro Brachitta, Giovanni Turria e Toni Pecoraro.
Un’occasione, queste due rassegne, per conoscere la storia di una realtà che con passione, coraggio e visionarietà ha scritto una pagina importante nel mondo della cultura italiana.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Il Bisonte, logo per i trent'anni della scuola internazionale di arte grafica; [fig. 2] Stampa di matrice calcografica; [fig. 3] Stesura della colla per le stampe; [fig. 4] Aula della  Scuola internazionale di arte grafica del Bisonte [Per le foto si ringrazia Alessandra Pozzi dello Studio Pozzi di Milano] 

Informazioni utili 
«Un mare d’inchiostro. Trenta anni di attività della Scuola internazionale di grafica d’arte Il Bisonte» . Sala esposizioni dell’Accademia delle arti del disegno, via Ricasoli, 68 (piazza San Marco) - Firenze.Orari: martedì-sabato, ore 10.00–13.00 e ore 17.00–19.00; domenica, ore 10.00–13.00; lunedì chiuso. Ingresso libero. Informazioni: tel. 055.2342585 o gallery@ilbisonte.it. Catalogo: Polistampa, Firenze. Da mercoledì 6 novembre (ore 18) a sabato 30 novembre 2013.  

«Un mare d’inchiostro. La generazione del Bisonte». Galleria Il Bisonte, via San Niccolò, 24 rosso - Firenze.Orari: lunedì–giovedì, ore 9.00-13.00 e ore 15.00-19.00; venerdì, ore 15.00-19.00; sabato e domenica visitabile su appuntamento. Ingresso libero.Catalogo: Polistampa, Firenze. Informazioni: tel. 055.2342585 o gallery@ilbisonte.it. Sito internet: www.ilbisonte.it. Da giovedì 7 novembre (ore 18) a venerdì 29 novembre 2013.    


venerdì 1 novembre 2013

Dalle geishe alle pagode buddiste: lo «Spirito del Giappone» secondo Suzanne Held

E’ un viaggio nel Paese del Sol Levante quello che propone il Mao - Museo d’arte orientale di Torino con la mostra «Spirito del Giappone», già presentata al Musée d’Arts Asiatiques di Nizza. Quaranta immagini della fotografa francese Suzanne Held restituiscono il volto intimo di una terra abitata dalla tradizione, dalla spiritualità e dalla contemplazione di una natura divinizzata e amata anche attraverso la meditazione. Quattro i grandi temi nei quali è articolato il percorso espositivo: la geisha, i giardini, i luoghi di culto dello Shinto e del Buddhismo.
Il grande formato delle immagini esposte consente al visitatore l’immersione in un Giappone senza tempo, lontano dall’effervescenza delle megalopoli e dalla febbre industriale, e nel quale l’armonia e la delicatezza del gesto si mescolano al rigore e alla precisione dei riti ancestrali.
Tra gli antichi cerimoniali nipponici di cui la mostra torinese dà conto vi è, per esempio, quello del tè, che vede protagoniste le geishe, non prostitute come si crede erroneamente in Occidente, ma «persone d’arte», ossia donne istruite nella musica, nella danza e nel canto, altamente apprezzate e richieste dai clienti per il loro talento. Suzanne Held ne racconta la filosofia di vita attraverso immagini cariche di colori, di luci cromatiche che irradiano dalle vesti indossate: kimono di seta decorati da motivi ricchi di significato, che variano in base alla stagione o all’età di chi li indossa (tinte vivaci per le giovani, tenui per le donne in età matura).
Altro elemento essenziale della cultura nipponica sono i giardini. Per i giapponesi, tutto è abitato. La pietra più piccola, il più piccolo ciuffo di muschio, ogni albero, foglia o fiore racchiudono uno spirito. Anche una porzione di natura che agli occhi di un occidentale può apparire casuale è, in realtà, un giardino minuziosamente organizzato, sistemato in modo da riprodurre lo spazio naturale nel quale vivono gli spiriti, con lo scopo di attirarli e di assicurarsene la benevolenza.
Le foto di Suzanne Held raccontano di spazi verdi all’insegna della perfetta integrazione tra uomo e natura e sono affiancate in mostra ad immagini suggestive di luoghi di culto legati allo Shintō e al Buddhismo, religioni che convivono pacificamente sul territorio, al punto che si usa dire: «i giapponesi nascono shintoisti e muoiono buddhisti».
La mostra fotografica, che prevede anche un ricco calendario di conferenze sulla cultura giapponese (con, tra l’altro, interventi sull’arte della calligrafia e sulla danza butoh), è arricchita dalla presenza di due antiche sculture buddhiste, ma anche di kimono, haori e di altri elementi che richiamano le tradizioni estetiche e culturali dell’arcipelago. Tra questi spiccano i bonsai e l’ikebana, l’arte di disporre composizioni floreali in vaso, con esemplari realizzati della Wafu School of Ikebana e dall'atelier di ceramica del monastero di Bose.
In contemporanea, il Mao – Museo d’arte orientale presenta un nuovo allestimento nella galleria delle stampe e dei disegni giapponesi. Al secondo piano dello spazio espositivo torinese è, infatti, possibile vedere la prima metà della serie «Le 53 stazioni della Tokaido», realizzata da Utagawa Hiroshige (1797-1858) nel biennio 1833-34. Si tratta di xilografie policrome dove il maestro, principale rivale di Katsushika Hokusai (1760-1849) per le opere paesistiche, restituisce il volto della cosiddetta «Strada del mare orientale», la maggiore arteria che collegava la capitale shogunale del Giappone, Tokyo, a quella imperiale, Kyoto, lungo la costa meridionale dell’isola di Honshu.
Tra le stampe esposte meritano una segnalazione «Neve notturna a Kambara», «Nebbia mattutina a Mishima» e «Scenario del lago a Hakone», un’opera tra le più famose dell’artista, che influenzò profondamente la pittura europea tra il XIX e il XX secolo con i suoi colori vivaci e irreali, le sue superfici scomposte e campite delle rocce, la sua profondità di campo.
Nella sala principale al secondo piano sono, invece, stati sostituiti otto kakemono (dipinti in formato verticale), che forniscono un assaggio della produzione pittorica dal periodo Momoyama (1573-1603) all’era Meiji (1868-1912). Tra di essi meritano una segnalazione l’opera «Gibbone e luna riflessa nell'acqua», realizzata sul finire del XVI secolo da Kaiho Yusho (1533-1615), e la tela «Pesce palla (fugu)», datata alla prima metà del XIX secolo e attribuibile a Katsushika Hokusai (1760-1849). Non meno interessante è il «Paesaggio con pagoda e capanne», realizzato intorno alla metà XVII secolo da Tan'yu (1602-1674), pittore capo dell’Edokoro, l’ufficio dei pittori alla corte shogunale di Tokyo, e grande maestro di scuola Kano, realtà fondata tra il XV e il XVI secolo, che riuscì nell’intento di mediare tra l’austera tradizione dello stile cinese e il decorativismo che caratterizzava lo stile giapponese. Nel rotolo presentato a Torino la mano dell’artista ha sconfinato nel terreno delle raffigurazioni incorporee e astratte del buddhismo zen: con ampie velature e pochi tratti decisi di inchiostro più carico ha reso magistralmente l’atmosfera nebbiosa di un villaggio montano, con un tempio seminascosto dalla vegetazione su uno sperone roccioso.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Suzanne Held, Kyoto, Sanctuaire shintoiste Heian-jingu, cm 120x180; [fig. 2] K Suzanne Held, Kyoto, quartier de Gion, deux maiko de do, cm 180x120; [fig. 3]  Suzanne Held,Tokyo, temple Senso-ji d'Asakura, bonze mediant, cm 180x120; [fig. 4] Suzanne Held, Kyoto, jardin du temple buddhique Ryoan-ji, erables, cm 180x120

Informazioni utili
«Spirito del Giappone». Fotografie di Suzanne Held. Mao - Museo d’arte orientale, via San Domenico, 11 – Torino. Orari: martedì-domenica, ore 10.00-18.00 (la biglietteria chiude un’ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso mostra e collezioni museali: intero € 10,00, ridotto € 8,00 gratuito fino 18 anni. Informazioni. tel. 011.4436928. Sito internet: www.maotorino.it. Fino a domenica 12 gennaio 2014. 

mercoledì 30 ottobre 2013

Apre a Venezia il museo più profumato d’Italia

(sam) «Il profumo ha una forza di persuasione più convincente delle parole, dell'apparenza, del sentimento e della volontà». Vengono in mente queste parole dello scrittore tedesco Patrick Suskind passeggiando tra le sale di Palazzo Mocenigo a Venezia, elegante dimora nobiliare di impronta settecentesca, con annesso un Centro studi di storia del tessuto e del costume, che venerdì 1° novembre 2013 riapre le porte al pubblico, dopo un importante intervento di restyling degli spazi e di riassetto dei percorsi espositivi.
Il nuovo progetto museografico, studiato dall’architetto e regista teatrale Pier Luigi Pizzi per il sistema dei Musei civici veneziani, include, infatti, un inedito capitolo espositivo sulla storia del profumo e delle essenze, realizzato grazie alla consulenza della Mavive Spa, azienda veneziana della famiglia Vidal.
L’iniziativa, unica nel panorama museale italiano, nasce con l’intento di far riscoprire e valorizzare la vocazione millenaria che colloca il nostro Paese, e in particolare la città di Venezia, tra i capostipiti della tradizione profumiera mondiale. Fu, infatti, proprio nel centro lagunare che gli spezieri inventarono, nel Quattrocento, le prime eau de toilette con essenze diluite in alcool, o meglio in purissima acquavite, e che, nei decenni successivi, si diffuse il commercio di saponi profumati per l’igiene personale.
Sotto gli occhi del visitatore curioso scorrono così ricettari antichi, boccette, astucci, flaconi e manuali di cosmetica, tra i quali il prezioso volume «I Notandissimi Secreti de l’Arte Profumatoria» di Giovanventura Rosetti, primo ricettario d’Occidente, risalente al 1555, che cataloga più di trecento formule per la cura della persona in uso nella città veneta durante il Rinascimento.
Insieme con una selezione di preziosi compendi sul regno vegetale provenienti dal Museo di storia naturale di Venezia, tra i quali il celebre Erbario Mattioli, il percorso espositivo presenta anche alcuni esemplari del fondo bibliotecario della Cosmetica Italia (l’ex Unipro) e la straordinaria collezione di flaconi Storp: oltre duemilacinquecento oggetti, alcuni dei quali databili fino al 2.000 a.C., che sono stati donati al circuito Muve dalla nota casa essenziera tedesca Drom. Tra questi manufatti sono, tra l’altro, degni di rilievo un’elegante ampolla pendente in oro, con madreperla e rubini, risalente all’Ottocento e una colorata boccetta in vetro, a forma di animale marino, fabbricata nel XVII secolo.
Il progetto, che vede anche il coinvolgimento del Centro di cosmetologia della Università di Ferrara e della Seguso vetri d'arte, prevede, inoltre, la presenza di sei «stazioni olfattive» didattiche, per introdurre il pubblico alla conoscenza del profumo, straordinaria invenzione legata al mondo olfattivo, che si pone anche in stretta relazione con la moda.
Completa il viaggio tra le sale del museo -donato dall’ultimo discendente della famiglia Mocenigo, Alvise Nicolò, al Comune di Venezia nel 1945 ed entrato nel circuito dei Musei civici nel 1985- un focus sugli usi e i costumi del Settecento, che mette in mostra arredi, tessuti, ricami, dipinti, cornici, accessori e abiti d’epoca: manufatti provenienti dalle collezioni e dai depositi dell’antico palazzo sulla Salizada di San Stae, ma anche da altre raccolte dei musei cittadini (come il Correr e Ca’ Rezzonico), in gran parte restaurati per l’occasione.
Il nuovo layout espositivo, che coinvolge diciannove sale al piano nobile di palazzo Mocenigo, ripropone, dunque, fedelmente le suggestioni di un’abitazione nobiliare veneziana del XVIII secolo, restituendone all'antico splendore i principali elementi architettonici e strutturali, ma anche i fastosi affreschi, gli stucchi e i marmorini, i preziosi pavimenti e gli infissi. Il tutto concorre a portare lo spettatore in una Venezia da mito, quella di Giacomo Casanova e di Carlo Goldoni, quella della quale rimangono indimenticabili pagine sui volumi di storia dell’arte mondiale, con gli spaccati di vita quotidiana dei Tiepolo, con le luminose vedute del Canaletto e del Guardi.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume. Fondazione Musei civici di Venezia. Foto di Stefano Soffiato; [Fig. 2] Chatelaine. Necessaire per cinque pezzi e digitale e contenitore per profumo. Agata marrone con montatura in bronzo dorato. Francia o Inghilterra, 2° metà del XVIII secolo. Lunghezza 210 mm. Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia; [fig. 3] Spruzzatore per acqua di rose. Bottiglietta a forma sferica che si assottiglia a mo’ di imbuto. Elegante beccuccio a pomello con decorazione. Vetro Cobalto. Persia (Shiraz), XVIII-XIX secolo. Altezza 165 mm Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia; [fig. 4]  Flacone. Forma di animale marino, bianco avorio con strisce colorate e rilievi di lamponi; margine a pettine. Vetro, tappo in argento. Italia, Venezia, XVII secolo. Altezza 90 mm. Collezione Storp, Germania. Venezia, Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume _sezione del profumo. Fondazione Musei civici di Venezia

Informazioni utili 
Palazzo Mocenigo – Centro studi di storia del tessuto e del costume, Santa Croce, 1992 - Venezia. Orari: dal 1° novembre al 31 marzo, ore 10.00-16.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima); dal 1° aprile al 31 ottobre, ore 10.00-17.00 (la biglietteria chiude mezz'ora prima); chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 8,00, ridotto (ragazzi da 6 a 14 anni, studenti dai 15 ai 25 anni, cittadini over 65, personale del Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo; titolari di Carta Rolling Venice; soci FAI) € 5,50; ingresso gratuito per residenti e nati nel Comune di Venezia, bambini da 0 a 5 anni, membri Icom, portatori di handicap, guide autorizzate e interpreti turistici che accompagnino gruppi. Informazioni e prenotazioni: call center 848082000 (dall’Italia) e +39.041.42730892 (dall’estero). Sito internet: mocenigo.visitmuve.it. Inaugurazione: giovedì 31 ottobre, dalle ore 10.00 alle ore 17.00, esclusivamente su invito e fino a esaurimento dei posti disponibili. Aperto da venerdì 1° novembre 2013.