ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 2 dicembre 2020

Un’edizione on-line per la sedicesima Giornata del contemporaneo

Parola d’ordine: community. In un’epoca caratterizzata dal distanziamento sociale e dove l’arte si vede attraverso lo schermo di un computer, la Giornata del contemporaneo indica la rotta per le politiche museali del futuro: fare rete, fare comunità anche nella dimensione digitale. In realtà Amaci, l’associazione che da sedici anni propone l’iniziativa, quest’anno in agenda nella giornata di sabato 5 dicembre, ha sempre messo insieme progetti e realtà diverse -musei, fondazioni, istituzioni pubbliche e private, gallerie, studi e spazi d’artista- per raccontare la vitalità dell’arte contemporanea nel nostro Paese.
Quest’anno la pandemia da Coronavirus ha, però, costretto gli organizzatori a rivedere la formula della giornata, che sfrutterà, per forza di cose, le potenzialità del Web e dei canali social.
Per l’occasione si è voluto affidare l’identità stessa della manifestazione a un mosaico digitale composto dalle opere di venti artisti, proposti da altrettanti musei della rete Amaci, presieduta da Lorenzo Giusti. Si tratta di Paola Angelini (Ca’ Pesaro), Meris Angioletti (Gamec), Barbara and Ale (Pac), Cristian Chironi (Museion), Patrizio Di Massimo (Castello di Rivoli), Andrea Facco (Gam Verona), Giovanni Gaggia (Musma), Barbara Gamper (Kunst Merano), Silvia Giambrone (Museo del Novecento), Andrea Mastrovito (Palazzo Fabroni), Marzia Migliora (Maga), Nunzio (Icg), Nicola Pecoraro (Macro), Luca Pozzi (Fmav), Alessandro Sambini (Mart), Marinella Senatore (Centro Pecci), Francesco Simeti (Man), Justin Randolph Thompson (Madre) ed Emilio Vavarella (Maxxi). 
A questi diciannove autori si unisce, infine, la Comunità artistica Nuovo Forno del Pane, uno dei progetti più belli di questa difficile stagione, ideato dal Mambo di Bologna, che da questa estate ha aperto i suoi spazi ai giovani creativi del territorio trasformandosi in un centro di produzione e di residenza.
Più di cinquecento le realtà che hanno finora aderito a questa ricca edizione della Giornata del contemporaneo, che offrirà un profluvio di mostre, performance, video, ma anche tavole rotonde, lezioni, dibattiti e incontri con gli artisti: un insieme di eventi da assaporare davanti allo schermo di un computer, nella sicurezza della propria casa, come vogliono le nuove regole della vita sociale.
Anche se è vero che Amaci spera ancora in un’edizione ibrida, a doppio binario, con eventi off-line e l’apertura anche fisica ai visitatori per alcune realtà presenti sul territorio nazionale. Molto dipenderà dal Dpcm in uscita e dalla vivacità delle gallerie private che, in base all’attuale Decreto, possono rimanere aperte nelle zone gialle e arancioni.
La giornata del 5 dicembre vedrà anche la partecipazione della Direzione generale creatività contemporanea del Mibact con il suo progetto «I Luoghi del contemporaneo», una piattaforma che attraverso pillole video, visibili su YouTube, mapperà spazi, mostre e iniziative che raccontano lo scenario artistico attuale, dal Broletto di Pavia alla Fondazione Ebris di Salerno, dal Gran Cretto di Gibellina a Villa Panza di Varese, solo per fare qualche nome.
Anche per questa edizione è confermato, poi, il coinvolgimento del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con la sua rete di ambasciate, consolati e Istituti italiani di cultura.
La promozione della nostra arte all’estero proseguirà on-line fino all’11 dicembre con vari eventi, tra cui sette webinar, che vedranno confrontarsi direttori italiani e stranieri, artisti e rappresentanti degli Istituti di cultura.
Da Adis Abeba, con l’opera site-specific di Eugenio Tibaldi, a Stoccolma, dove, sul tetto dello splendido edificio progettato dal grande Gio Ponti per l'Istituto di cultura italiana, sarà montata una installazione di Monica Bonvicini, sono tanti i centri stranieri che hanno dato la propria adesione alla Giornata del contemporaneo 2020: Lisbona, Abu Dhabi, Copenaghen, Hanoi, Tel Aviv, Tirana, Helsinki e altri ancora, ma l’elenco è destinato inevitabilmente ad allungarsi.
Dal 5 all'11 dicembre è, inoltre, prevista la diffusione di speciali contenuti sulla collezione Farnesina, con visite guidate virtuali, Instagram stories sulle opere e la presentazione dell’e-book con il nuovo catalogo.
Un cartellone, dunque, ricco quello della nuova edizione della manifestazione di Amaci, i cui eventi saranno veicolati sulla pagina Web www.giornatadelcontemporaneo.org. Un cartellone che mostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, la capacità del mondo dell’arte di reagire alla pandemia, la voglia della cultura di esserci e di raccontare il nostro presente e come potrebbe essere il nostro futuro.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Immagine promozionale della Giornata del contemporaneo 2020; [fig. 2] Nuovo Forno del Pane, Mambo di Bologna. Foto di Federico Landi; [fig. 3] Pac di Milano. Foto di Giudo Cataldi; [fig. 4] Marinella Senatore, Soundtrack. Prato, Centro Pecci. Foto di Margherita Villani; [fig. 5] Mart di Rovereto. Foto di Jacopo Salvi; [fig. 6] Museion. Foto di Othmar Seehauser

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martedì 1 dicembre 2020

«Sulla fotografia e oltre», Silvana editoriale ripubblica il libro di Enrico Gusella

È un mosaico di saggi su autori, tendenze, mostre, collezioni ed eventi, teso a raccontare l’immagine fotografica transitata in Italia dall’Ottocento ai giorni nostri, il libro che Enrico Gusella ha appena pubblicato per i tipi di Silvana editoriale«Sulla fotografia e oltre» (532 pagine, 35 immagini a colori, 100 in bianco e nero, 20 euro).
Il volume, edito in collaborazione con la Fondazione Alberto Peruzzo, è la nuova edizione aggiornata di un testo stampato sei anni fa, nel 2014, da Allemandi editore, che esplora la vita e l’opera di alcuni artisti che più di altri hanno contribuito a rendere interessante e compiuta l’arte fotografica nel nostro tempo.
Da Nadar a Roni Horn, da Robert Doisneau a Franco Fontana, da Man Ray a David LaChapelle, sotto gli occhi del lettore scorrono storie di uomini e donne, di bambini vittime di guerre, di realtà poco rappresentate, ma anche della pandemia che nel 2020 ha colpito il mondo.
Critico e storico delle arti, ma anche organizzatore culturale e curatore con all’attivo più di duecentocinquanta mostre, tra cui «Vittorio Storaro. Un percorso di luce», «Mimmo Jodice. Tempo interiore», «Gianni Berengo Gardin. Copyright» e «Wim Wenders. Il mondo delle immagini», Enrico Gusella conduce il lettore tra i vari generi che costituiscono l’arcipelago fotografico -dal paesaggio all’architettura, dai ritratti all’astrazione-, in un percorso narrativo che indaga fatti artistici e fotografici, rapporti fra testo e immagine, relazioni fra cultura figurativa e società.
Nasce così una speciale e acuta storia della fotografia che accende i riflettori su quegli interpreti del reale che hanno scelto di mettere in campo visioni proprie e singolari pur servendosi di un medium mimetico e appartenente all'epoca della riproducibilità tecnica come la fotografia.
Tra i nuovi capitoli che aggiornano e caratterizzano questa nuova edizione ve ne sono alcuni dedicati ai giovani protagonisti come Marco Maria Zanin, il cui progetto fotografico «Segni per Sant'Agnese» è dedicato al restauro della chiesa di Sant'Agnese a Padova, realizzata per la curatela della Fondazione Alberto Peruzzo.
L'ampia analisi dell'autore si apre con un'intervista a Mimmo Jodice e al suo modo speciale di percepire la sua città natale, Napoli. Prosegue con una prima grande sezione denominata «Paesaggi», con testi dedicati a grandi fotografi italiani come Gabriele Basilico, Elio Ciol, Giovanni Chiaramonte, Vittorio Storaro.
Non mancano lungo il percorso riflessioni sulla fotografia di paesaggio che toccano alcuni luoghi famosi attraverso i loro maggiori interpreti. È così per la Parigi di Robert Doisneau, la Yosemite Valley di Ansel Adams, i paesaggi alpini della Svizzera di Albert Steiner, le strade del jazz di Pino Ninfa o «Roma-Pompei» di Gianni Berengo Gardin e Aurelio Amendola.
Il percorso prosegue con un capitolo dedicato al «Reportage». Qui, tra gli altri, ci sono i luoghi e le storie di Gianni Berengo Gardin, Enrico Bossan e Davide Ferrario. Il libro sviluppa anche il tema dei «Corpi», attraverso i saggi dedicati a Helmut Newton, Nan Goldin, Cindy Sherman, Stanley Kubrick, Spencer Tunick e David LaChapelle. Non manca una sezione dedicata alle «Astrazioni», che approfondisce la poetica di grandi artisti quali Man Ray, Franco Vaccari, Mario Schifano, Leo Matiz, oltre che di Thomas Ruff, Roni Horn e Douglas Gordon
Il volume presenta anche una sezione dedicata al collezionismo letto attraverso importanti esempi quali la Fondazione Venezia con il famoso Archivio Italo Zannier, la collezione di Mario Trevisan e quella di Fabio Castelli, ma anche nelle foto di Mauro Fiorese dedicate alle gallerie e alle collezioni museali italiane.
Il libro offre, dunque, una panoramica esaustiva sulla fotografia e si configura come un vero e proprio viaggio narrativo, raccontato con passione e lirismo attraverso generi e artisti. Il libro è, dunque, - per usare le parole di Michele Smargiassi- «una fotografia della fotografia, in un album di istantanee professionali».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Copertina del libro «Sulla fotografia e oltre»; [fig. 2] Mimmo Jodice, «Apollo da Baia», 1993 ©Mimmo Jodice; [fig. 3] Elio Ciol, «Sogni di prosperità - Morsano al Tagliamento», 1985 © Elio Ciol; [fig. 4] Luca Campigotto, «Danieli acqua alta», Venezia, 1992 © Luca Campigotto

Informazioni utili
Enrico Gusella, «Sulla fotografia e oltre», Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2020. Dati: 12 x 19,5 cm, 532 pagine 135 illustrazioni, edizione italiana in brossura. EAN 9788836646951. Prezzo: euro 20,00. Informazioni: www.fondazionealbertoperuzzo.it

lunedì 30 novembre 2020

«Oggetti d’autore: omaggio a Giorgio Morandi», una collezione di design firmata Paolo Castelli

L’estremo equilibrio compositivo delle sue nature morte, intrise di luce e poesia, ne hanno fatto uno degli artisti più amati e quotati del Novecento. Il bolognese Giorgio Morandi, figura caratterialmente schiva e creativamente estranea alla lezione dei grandi movimenti pittorici del suo tempo, è stato capace di dare una solennità pacata e austera a tanti oggetti semplici e banali, protagonisti involontari della nostra quotidianità: bottiglie, vasi, brocche, caffettiere, ciotole, fiori, scatole, utensili da cucina.
Il mondo del design contemporaneo non poteva non guardare alle sue tele, dai colori tenui, dai delicati accordi cromatici e dai complessi equilibri compositivi come a dei modelli iconici imprescindibili.
Tra le aziende che portano nelle nostre case lo stile minimale, semplice ed elegante di Giorgio Morandi, il «pittore delle architetture», per usare un’espressione cara a Carlo Ludovico Ragghianti, c’è anche la Paolo Castelli di Ozzano dell’Emilia che nel 2009, in occasione dei lavori di riallestimento del museo dedicato all’artista, ha iniziato un sodalizio creativo con l’Istituzione Bologna Musei.
Ne è nata una collezione di interior decoration ispirata non solo alle opere del pittore bolognese, ma anche agli oggetti presenti nel suo studio di via Fondazza 36, una stanza di media grandezza, con una finestra che dava su un piccolo cortile, all’interno della quale c’erano un letto, un vecchio scrittoio, un tavolo da disegno, il cavalletto e poi tutt'intorno, su stretti scaffali, l'arsenale delle semplici cose che conosciamo attraverso le nature morte.
La collezione «Oggetti d’autore. Omaggio a Morandi» è frutto -raccontano dalla Paolo Castelli- di «un’osservazione minuziosa, contemplativa e reiterata nel tempo» degli elementi che si trovano tutt’oggi all’interno della camera-studio dell’artista, luogo di riflessione e lavoro tra le mura della casa tra Strada Maggiore e via Santo Stefano, in pieno centro storico, dove il pittore visse con le sorelle dal 1910 al 1964.
Sedute, tavolini, lampade, ma anche morbidi cuscini, carte da parati e ceramiche per la tavola compongono la collezione, pura art de vivre, dal sapore fortemente artigianale.
Gli oggetti creati, tutti realizzati a mano e rigorosamente made in Italy, sottolineano, infatti, l’importanza della figura dell’artigiano e delle tecniche di lavoro manuale, rispecchiandosi perfettamente nel concetto di interior design sviluppato dall’azienda emiliana nel corso della propria storia.
L’eccellenza di ogni singola soluzione comincia prima di tutto con il materiale, come il frassino ecosostenibile e non selezionato, l’ottone naturale, il vetro di Murano, la ceramica di Vietri, crine di cavallo e cuoio rigenerato, solo per citarne alcuni, e con la produzione di elementi dal design durevole.
Paolo Castelli e Istituzione Bologna Musei hanno conferito ad Artemest, piattaforma di e-commerce con sedi a Milano e a New York, specializzata in prodotti di design di alta gamma nelle categorie di arredo, illuminazione, home décor e lifestyle, l’esclusiva della vendita on-line dei nuovi oggetti d'autore.
Tra le inusuali soluzioni creative della collezione ci sono un appendiabiti a forma di cavalletto, cuscini e tovagliette in lino, set di piatti decorativi che richiamano la tavolozza di un pittore, fermalibri a forma di testa, brandine pieghevoli, bicchieri e tanti altri eleganti «segni d’autore» per una casa dell’eleganza sofisticata e dal forte valore identitario. Una casa dove il design di qualità parla il linguaggio della grande arte del Novecento.

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venerdì 27 novembre 2020

Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi: le «pittrici dimenticate» rivivono su Arte TV

Si può solo immagine la gioia del nobile cremonese Amilcare Anguissola davanti alla lettera di Michelangelo Buonarroti che lodava le doti pittoriche della giovane figlia Sofonisba, allora appena ventenne. Con quella missiva, il maestro toscano, ammaliato dalla bellezza di un disegno con una fanciulla intenta a ridere di cuore per le difficoltà di lettura di una signora anziana concentrata nello studio dell’alfabeto, chiedeva alla giovane pittrice di cimentarsi in un lavoro che mostrasse il sentimento opposto. Sofonisba Anguissola (Cremona, 2 febbraio 1532 – Palermo, 16 novembre 1625) accettava la sfida e ritraeva il fratello Asdrubale intento ad affondare le mani in un cesto di granchi vivi e in lacrime per il dolore di un morso. Era il 1554 e quel disegno a carboncino e matita su carta cerulea, che oggi si trova nel Gabinetto di disegni e stampe del Museo di Capodimonte a Napoli, otteneva la stima di Michelangelo, tra i primi a riconoscere il talento della giovane artista lombarda, che poco dopo sarebbe diventata pittrice ufficiale alla corte di Filippo II di Spagna, a Madrid.
L’episodio, raccontato per la prima volta da Tommaso Cavalleri in una lettera a Cosimo I de’ Medici, datata 20 gennaio 1562, è tra gli aneddoti che Leticia Ruiz Gómez, capo del dipartimento di pittura del Rinascimento spagnolo al Museo del Prado di Madrid, ripercorre nel documentario «La rinascita delle pittrici dimenticate», per la regia di Hilka Sinning, disponibile gratuitamente fino al prossimo 18 dicembre sul canale europeo Arte.Tv, nella versione sottotitolata in italiano.
Il filmato in lingua tedesca, della durata di poco più di cinquanta minuti, focalizza l’attenzione su tre artiste, vissute tra il XVI e il XVII secolo, che si ribellarono alla convinzione del loro tempo che riteneva la pratica artistica inaccessibile alle donne, riuscendo a farsi apprezzare dai loro contemporanei e arrivando persino «a ritrarre – si legge nella presentazione - i reali di Spagna e il papa, nonché a conquistare l’attenzione di Michelangelo e Van Dyck».
Quelle tre donne entrate, oggi, nel mito sono Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi

SOFONISBA ANGUISSOLA, LA «PITTRICE D'ANIME» AMMIRATA DA MICHELANGELO
Ma come sono riuscite queste artiste, sottratte dal lungo oblio della storia dalle femministe degli anni Settanta, a formarsi e a lavorare in un’epoca nella quale alle donne era precluso l’accesso alle accademie di belle arti e alle botteghe dei pittori, «considerate -ricorda Millo Borghini nel documentario- degli ambienti moralmente non consigliabili»? A Sofonisba Anguissola venne in aiuto il padre Amilcare, un umanista dallo spirito libero e dalle spiccate capacità manageriali, che la fece istruire in casa del pittore lombardo Bernardino Campi.
La ragazza mostrò da subito un interesse spiccato per la ritrattistica e, già giovanissima, si esercitò a mettere sulla tela gli stati d’animo dei soggetti raffigurati, meritandosi l’appellativo di «pittrice d’anime», come ben documenta il dipinto «Partita a scacchi» (1555). Questa tela conquistò anche Il contemporaneo Giorgio Vasari, che di tutti i lavori dell’artista ebbe a dire: «…tanto ben fatti che pare che spirino e siano vivissimi».
Raffinati sono anche gli autoritratti, da quello alla spinetta a quello al cavalletto, che potrebbero essere paragonati a fotografie moderne, a selfie; Sofonisba Anguissola, dunque, - suggerisce il documentario di Hilka Sinning – «non avrebbe davvero nulla da invidiare alle moderne influencer con migliaia di follower».
Il fim su Arte.Tv ricorda ancora che le «meraviglie» dell’artista (la definizione è sempre di Giorgio Vasari) trovarono un altro importante estimatore in Antoon Van Dyck, che nel suo viaggio in Sicilia, dove la pittrice si era trasferita negli ultimi anni della sua vita, ritrasse Sofonisba Anguissola anziana, a 96 anni, in quella che è la sua ultima effige conosciuta, oggi al British Museum di Londra.
Il pittore fiammingo, allora poco più che ventenne, rimase piacevolmente impressionato dalla cultura, dalla perizia tecnica, dalla forza di carattere e dal «cervello prontissimo» dell’artista: «ho ricevuto -disse- maggiori lumi da una donna cieca che dallo studiare le opere dei più insigni maestri».
Quell’impareggiabile «pittrice di natura e miracolosa», come la definì lo stesso Van Dyck, consegnava così il testimone al collega più giovane; l’anno dopo, nel 1625, il sipario calava per sempre sulla sua vita avventurosa. 

LAVINIA FONTANA, «LA PONTIFICIA PITTRICE» CHE RITRASSE I NOBILI BOLOGNESI  
Il documentario di Hilka Sinning prosegue raccontando la storia della bolognese Lavinia Fontana (Bologna, 24 agosto 1552 – Roma, 11 agosto 1614) , soprannominata «la pontificia pittrice» e ricordata nella storia dell’arte per il suo ritratto di papa Gregorio XIII e per la realizzazione di enormi pale d’altare dipinte per l’aristocrazia e il clero di tutta Italia, come la «Madonna Assunta di Ponte Santo» per la città di Imola o la «Natività della Vergine» per la chiesa della Santissima Trinità a Bologna.
Il padre, il pittore Prospero Fontana, fu il primo a valorizzare il talento della giovane artista. Successivamente a farle da agente fu il marito, il pittore Giovan Paolo Zappi. La loro, come racconta la studiosa Vera Fortunati, fu un’unione non convenzionale per l’epoca: lei dipingeva e lui vendeva; lei era la star, lui aveva ruolo più domestico, ma utilissimo alla dinamica della coppia, che ebbe addirittura undici figli.
Lavinia Fontana era amata dall’aristocrazia - bolognese prima, romana poi - per la sua capacità di raccontare il «fascino mondano» del tempo. La sua conoscenza di velluti, broccati, sete e pizzi ricamati -restituiti sulla tela con con un’impareggiabile precisione ottica – la rendevano l’artista prediletta tra le nobildonne.
Ritrasse Costanza Sforza Boncompagni (parente di papa Gregorio XIII), Ginevra Aldrovandi Hercolani, Costanza Alidosi, la famiglia Gozzadini e anche la piccola Antonietta Gonzales, la bambina dal corpo interamente ricoperto di peli, nel cui quadro si respira tutta l’empatia materna dell’artista.
Lavinia Fontana fu anche la prima donna nella storia a dipingere dei nudi, soggetti che si credeva potessero sconvolgere la mente femminile, realizzando opere per le camere da letto dei suoi committenti. Si pensi alla bella tela «Minerva nell’atto di vestirsi» (1613), commissionata da Scipione Borghese, con una donna ripresa in un momento intimo, quotidiano, o a «Marte e Venere» (1595) della Casa d’Alba, dove il guerriero tocca il fondoschiena della fanciulla, che si volta verso il pubblico quasi complice del gesto irriverente. 

ARTEMISIA GENTILESCHI, LA PRIMA ARTISTA CON UNA SUA BOTTEGA
Quando, nel 1614, Lavinia Fontana si trasferì a Roma, all’età di cinquantadue anni, nella «Città eterna» -ricorda il documentario- stava già realizzando i suoi primi schizzi a matita un'altra artista dal fascino indiscusso: Artemisia Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, circa 1656).
Anche il talento pittorico della giovane, che con il suo stile drammatico e altamente espressivo avrebbe incantato negli anni a venire i più importanti committenti seicenteschi, fu valorizzato dal padre, il pittore pisano Orazio Gentileschi, amico di Caravaggio.
Della storia dell’artista, cresciuta in un ambiente prettamente maschile quale era la Roma del tempo, sappiamo principalmente una cosa, che fu vittima di uno stupro e che ebbe la forza di portare in tribunale l’uomo che abusò di lei: il pittore Agostino Tassi, amico del padre, dal quale era stata mandata a studiare prospettiva.
Il processo fu umiliante, dolorosissimo e segnò per sempre la vita della giovane donna, che usò la pittura come sfogo, popolando le sue tele di potenti nudi femminili, martiri e vendicatrici bibliche che si oppongono a uomini violenti e mossi da ignobile libidine, i cui sentimenti sono accentuati da un drammatico realismo di impianto caravaggesco. 
Emblematica, in tal senso, è la tela «Giuditta che decapita Oloferne», realizzata nei giorni del processo, che «si può assolutamente interpretare -racconta Roberto Contini, curatore alla Gemäldegalerie di Berlino – come «uno spietato e feroce atto di annientamento del terribile nemico». 
In quell'«inesorabile aristocrazia della crudeltà», caratterizzata da un trionfo di muscoli e forza, con il sangue a bagnare le stoffe e i velluti preziosi, c'è anche il ritratto dell'artista: Artemisia è Giuditta, arrabbiata, ma lucidamente fredda nel dare forma alle sue drastiche fantasie omicide.
Il talento mise presto la pittrice romana in competizione con gli uomini del suo tempo. La fece diventare il simbolo della lotta contro l’autorità. L'artista non si fece, però, mai condizionare dal parere degli altri. Aveva già perso molto sposando un uomo che non amava, il pittore Pierantonio Stiattesi, e lasciando Roma per non sentire il chiacchiericcio della gente. Ora era una donna libera, autonoma, forse anche spregiudicata. Non mise, infatti, mai alcuna censura sul suo corpo, protagonista di molte tele come, per esempio, l’«Allegoria con i pennelli» o la «Maria Maddalena in estasi», senza dimenticare i tanti autoritratti. 
La svolta vera arrivò a Napoli, dove Artemisia Gentileschi aprì una sua bottega, ben consapevole dell’unicità del suo ruolo, tanto da scrivere a un suo committente, il collezionista siciliano don Antonio Ruffo: «Il nome di donna fa sorgere dubbi finché non si vede l'opera finita. Farò vedere a vossignoria cosa sono in grado di fare. Troverete l’animo di un cesare nella mia anima. Non vi disturberò con chiacchiere femminili. Le mie opere parleranno da sole».
Con questo documentario, Hilka Sinning confeziona, dunque, un ritratto moderno di tre pittrici, capaci di venire ammirate e apprezzate in un mondo, quello a cavallo tra Cinquecento e Seicento, in cui le donne venivano per lo più relegate alla vita domestica. Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi regalarono al mondo dell’arte lo sguardo, il tocco e la conoscenza femminile. Lo arricchirono di nuovi colori e nuove visioni. Oggi, dopo secoli di oblio, vengono finalmente riscoperte. 

Informazioni utili

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Sofonisba Anguissola, «Autoritratto con allegoria della pittura», 1638-1639. Olio su tela, 98,6×75,2 cm. Kensington Palace, Londra; [fig. 2] Sofonisba Anguissola, «Fanciullo morso da un granchio», 1554 c. Carboncino e matita su carta, 33,3×38,5 cm. Gabinetto di disegni e stampe del Museo di Capodimonte, Napoli; [fig. 3] Sofonisba Anguissola, «Partita a scacchi, 1555. Olio su tela, 72×97 cm. Narodowe Muzeum, Poznań; [fig. 4] Antoon Van Dyck, «Ritratto di Sofonisba Anguissola», 1624. Londra, British Museum; [fig. 5] Lavinia Fontana, «Ritratto di Antonietta Gonzales», 1595 circa. Musée du Chateau de Blois [fig. 6] Artemisia Gentileschi, «Giuditta che decapita Oloferne», 1612-1613. Olio su tela, 158,8×125,5 cm. Museo nazionale di Capodimonte, Napoli; [figg. 7 e 8] Due frame del film «La rinascita delle pittrici dimenticate», per la regia di Hilka Sinning

Il video

giovedì 26 novembre 2020

Una mostra on-line per «London by Gian Butturini», un libro condannato al macero

È l’anno dell’uomo sulla Luna, del mega raduno di Woodstock e del primo collegamento remoto tra computer. È il 1969. Un giovane grafico bresciano dell’Art Director Club di Milano, Gianfranco Butturini (Brescia, 1935 – 2006), viene mandato a Londra per allestire un padiglione alla fiera internazionale sull’uso industriale della plastica. Con la sua macchina fotografica gira la città, dove rimane circa un mese, e scatta una serie di fotografie - «spontanee e autentiche, vive e graffianti» - che raccontano le contraddizioni della Swinging London, con le ragazze in minigonna, i drop-out che si fanno di eroina, gli immigrati dal volto triste, gli abitanti della City con il loro mondo perfetto.
Al ritorno a Brescia quelle immagini diventano un libro pubblicato a spese dello stesso autore in un migliaio di copie, «London by Gian Butturini», che va subito esaurito e che, con il passare degli anni, diventa un oggetto di culto con un prezzo ormai da collezionisti. 
Per il giovane artista, allora trentaquattrenne, è l’inizio di una brillante carriera nel mondo della fotografia. Un marcato interesse per le ingiustizie sociali e le lotte di liberazione caratterizzano da subito i suoi reportage in giro per il mondo, da Cuba al Cile, dall’Irlanda del Nord alla Germania dell’Est, dall’India al Marocco, dall’ex Jugoslavia all’Etiopia. 
Di servizio in servizio, fino alla registrazione del film «Il mondo degli ultimi» nel 1980, Gian Butturini si mostra sempre «brechtianamente seduto dalla parte del torto».
Denuncia disuguaglianze, disagi e povertà, dolori e umiliazioni, guidato dalla convinzione che le immagini abbiano una forza intrinseca capace di abbattere muri, censure e conformismi. Il suo obiettivo si trasforma, dunque, costantemente in uno strumento di impegno civile per raccontare la nostra storia, dalla strage di Bologna alla caduta del muro di Berlino, dalla Rivoluzione dei Garofani in Portogallo al teatro di strada in Romagna con Julian Beck, dalla Cuba di Fidel Castro al Cile di Salvador Allende e, poi, di Augusto Pinochet. L’artista- scrive Gigliola Foschi – diventa così «uno dei grandi protagonisti italiani della fotografia ‘contro’: contro le ingiustizie, contro le diseguaglianze sociali, contro il razzismo, contro le guerre, contro le morti bianche sul lavoro, contro i manicomi a fianco di Franco Basaglia, contro l’occupazione delle terre del popolo Saharawi». 
È difficile pensare, con una storia del genere alle spalle, che qualcuno abbia potuto accusare Gian Butturini di razzismo. Eppure è successo e tutto è accaduto per colpa del primo, e fortunato, reportage, quello su Londra, ripubblicato nel 2017 dalla casa editrice Damiani di Bologna a seguito della richiesta di Martin Parr, celebre fotografo britannico, già presidente di Magnum Photos.
A scatenare il casus belli è stato l’accostamento di due fotografie: da una parte l’immagine di una donna di colore che vende i biglietti della metropolitana, dall’altra quella di un gorilla in gabbia «che -per usare le parole dello stesso autore- riceve con dignità imperiale sul muso aggrottato le facezie e le scorze lanciategli dai suoi nipoti in cravatta».
C’è chi in quelle due immagini accostate vede lo stereotipo infamante donna nera = scimmia. È la studentessa britannica Mercedes Baptiste Halliday, una ragazza di colore di vent’anni iscritta al corso di antropologia all’University College di Londra, che ha ricevuto in dono il libro di Gian Butturini dal padre.
In tempi di cancel culture, la protesta della ragazza sui social viene cavalcata dai media inglesi e travolge il potente (e quindi invidiato) Martin Parr, reo -a loro dire- di aver riscoperto il libro, di averlo fatto ripubblicare considerandolo un «gioiello trascurato» e anche di averlo inserito -unico testo italiano- nella mostra «Strange and Familiar – Britain as reveleaded by international photographers», allestita nel 2016 al Barbican di Londra e nel 2017 alla Manchester Art Gallery.
Accusato di «analfabetismo visivo», il fotografo britannico si dimette dal ruolo di direttore artistico del Bristol Photo Festival e, contemporaneamente, chiede il ritiro di «London» dal mercato editoriale, scusandosi pubblicamente per non aver colto il messaggio razzista presente nelle due immagini.
Nella stagione incendiaria del movimento attivista Black Lives Matter, anche Damiani editore fa un passo indietro e decide di sospendere la pubblicazione del volume; mentre le copie già stampate rischiano il macero.
Basterebbe leggere le parole di Gian Butturini a corredo di quella immagine per spegnere la polemica: «ho fotografato una donna nera, chiusa in una gabbia trasparente; vendeva biglietti per la metropolitana: una prigioniera indifferente, un'isola immobile, fuori dal tempo nel mezzo delle onde dell'umanità che le scorreva accanto e si mescolava e si separava attorno alla sua prigione di ghiaccio e solitudine».
Non c’è alcun razzismo nei confronti di quella donna, umile e umiliata, incapace di ribellarsi alle ingiustizie. Ma Gian Butturini è un fotografo poco conosciuto nel Regno Unito, per di più deceduto (e quindi nell’impossibilità di ribattere) e senza istituzioni forti alle spalle. È un uomo sacrificabile. Ma gli eredi, i figli Tiziano e Marta, non ci stanno e lanciano la campagna «Save the book», sostenuta e appoggiata da alcune tra le più importanti figure della fotografia in Italia, come Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin e Francesco Cito
Il libro sottratto al rogo mediatico viene rimesso in vendita e può essere ordinato inviando una e-mail ad archiviogianbutturini@gmail.com a fronte di una sottoscrizione di quaranta euro (oltre alle spese di spedizione) che serviranno per promuovere le attività dell'associazione. Ma non è tutto. Trenta immagini del reportage londinese, unite a una decina di fumetti degli anni Settanta con interventi spiazzanti in stile situazionista, diventano una mostra, per la curatela di Gigliola Foschi, visibile dal 10 dicembre al 31 gennaio in uno slide-showonline, attivo 24 ore su 24, sul sito www.gianbutturini.com. Pandemia permettendo (se la Lombardia dovesse realmente passare in zona arancione le gallerie d'arte potranno rimanere aperte), l'esposizione sarà visitabile, negli stessi giorni, anche in presenza allo Spazio d’arte Scoglio di Quarto a Milano (la rassegna sarà aperta tutti i giorni, dalle ore 17 alle ore 19, a ingresso gratuito, con obbligo di prenotazione inviando una mail a info@galleriascogliodiquarto.com oppure un sms al 348.5630381).
Venerdì 18 dicembre, alle ore 18.30, si terrà, inoltre, un incontro on-line, promosso dalla Casa della Cultura, con interventi di Tiziano Butturini, Gigliola Foschi, Ferdinando Scianna, Alberto Prina, direttore del Festival di Fotografia etica di Lodi, e Stefania Ragusa, giornalista della rivista «Africa» e docente presso l'Università di Pavia.
Inizia così «una battaglia -dichiarano gli organizzatori- per ristabilire la verità contro una controversia grottesca e surreale, nonché per ribadire con forza che il libro va visto e letto come una preziosa testimonianza artistica, politicamente impegnata e volutamente provocatoria». Il libro va salvato dal macero perché la narrazione di «London» non è razzista. È empatica e solidale. Si muove nel solco della critica sociale portata avanti negli anni Settanta, quelli della pubblicazione originaria del volume, dalla controcultura e dalla Beat Generation. Ed è in linea con l’impegno di uomo che ha sempre «usato la macchina fotografica come un grido di speranza contro le ingiustizie», per raccontare l’altro con occhio attento e cuore aperto.

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mercoledì 25 novembre 2020

Arezzo ritrova il polittico «Madonna con Bambino, Santi, Annunciazione e Assunzione» di Pietro Lorenzetti

Era il 17 aprile 1320 quando il vescovo Guido Tarlati, uno dei maggiori rappresentanti del ghibellinismo in Toscana, commissionava a Pietro Lorenzetti un polittico per l’altare maggiore della Pieve di Arezzo. All’interno del contratto era indicato il compenso per il lavoro, fissato in 160 lire pisane pari a 54 fiorini d’oro, ed erano contenute prescrizioni che riguardavano il numero delle figure da rappresentare e la loro distribuzione nello spazio, l’obbligo di usare oro di ottima qualità, «da cento fogli a fiorino», e l’esigenza che la tavola fosse dipinta con «bellissime figure», dai colori pregiati.
Con questo accordo scritto, il pittore si impegnava, inoltre, a lavorare senza interruzioni e senza assumere altre committenze fino ad aver raggiunto «la perfezione» dell’opera.
Quattro anni dopo, nel 1324, Pietro Lorenzetti terminava la sua impresa pittorica raggiungendo l’eccellenza richiesta tanto da meritarsi le parole elogiative di Giorgio Vasari, che ebbe a descrivere l’elegante tempera su tavola a fondo d’oro «con molte figure piccole […] tutte veramente belle e condotte con buonissima maniera».
Nasceva, dunque, a seguito di un contratto scritto, uno tra i testi più illuminanti dell’epoca per la relazione opera-artista-committente, un quadro simbolico per la pittura del Trecento toscano e italiano, oggi presente in tutti i manuali di storia dell’arte: la «Madonna con Bambino, Santi, Annunciazione e Assunzione».
Questa tavola è stata oggetto negli ultimi sei anni di un lungo e complesso lavoro di restauro, a cura di Paola Baldetti, Marzia Benini e Isabella Droandi dello studio Ricerca.
Il progetto di pulitura, consolidamento e messa in sicurezza che ha restituito all’ammirazione del pubblico, allo studio degli storici e alla devozione dei fedeli il capolavoro medioevale si è avvalso del sostegno dell’associazione Art Angels Arezzo Onlus e di altri sponsor privati, tra cui la Fondazione Cassa di risparmio di Firenze, le aziende aretine Power One Italy spa, Chimet spa, Tca spa e Centro chirurgico toscano, nonché l’ente no profit Friends of Florence, presieduto da Simonetta Brandolini d'Adda, che si è occupato di raccogliere donazioni negli Stati Uniti.
Ad oggi restano ancora da finanziare lavori per un totale di 77.980 euro. Si tratta di interventi che si sono resi indispensabili per la corretta ricollocazione dell’opera sull’altare maggiore della Pieve di Santa Maria ad Arezzo, come la disinfestazione del coro ligneo retrostante della tribuna, a cura di Marco Santi, la realizzazione di una nuova illuminazione, firmata da «I Guzzini» di Firenze, e la costruzione di un nuovo supporto di sostegno in acciaio, che ha visto al lavoro la Metalmeccanica di Valerio e Mauro Vedovini.
In questi giorni di pandemia, la ricerca di contributi si è spostata sul Web, sulla piattaforma GoFundMe, al link https://www.gofundme.com/f/progetto-restauro-lorenzetti.
Nel frattempo, agli inizi di novembre, l’opera di Pietro Lorenzetti è tornata a casa, nel luogo per il quale era stata concepita e realizzata, ovvero la Pieve di Santa Maria ad Arezzo.
Il polittico, stando a quanto racconta il contratto di commissione, doveva essere lungo 6 braccia (cm 58,36 braccio aretino = m. 3,50) e alto in media altrettante 6 braccia, ma è giunto a noi in dimensioni ridotte a causa di amputazioni subite lungo i lati delle pale, ma soprattutto a livello della carpenteria dove è stato privato delle colonnine e dei pinnacoli che dividevano i vari scomparti e della predella descritta da Giorgio Vasari.  C’è il sospetto che a smontare la struttura sia stato lo stesso storiografo e artista toscano, autore nel 1560 di importanti lavori di trasformazione della pieve aretina, tra i quali la migrazione della pala del Lorenzetti verso un altare minore, quello di San Cristoforo.
Il polittico raffigura, nello specifico, la Madonna col Bambino tra i santi Donato (il patrono di Arezzo), Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Matteo. Nel secondo registro, di dimensioni inferiori, sono rappresentate quattro coppie di santi a mezzo busto: Giovanni e Paolo, Vincenzo e Luca, Jacopo Maggiore e Jacopo Intercisus, Marcellino e Agostino.  Al di sopra della Vergine è raffigurata l’Annunciazione e nel pinnacolo terminale l’Assunzione.  Nelle cuspidi si trovano, invece, le figure di santa Reparata, santa Caterina, Madonna Assunta, sant’Orsola (o Cristina?) e sant’Agata. 
Il lavoro, di grande complessità, si considera maturo nel percorso artistico di Pietro Lorenzetti e nel suo rapporto con la lezione giottesca, che l'artista senese aveva appreso nei suoi giorni ad Assisi per la realizzazione del ciclo della «Passione di Cristo» nella Basilica inferiore.
Felicia Rotundo, già funzionario storico dell’arte della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Siena, Grosseto e Arezzo, elogia la tela e la sua «grande complessità strutturale e iconografica, di intensa ed inusitata valenza spirituale, che mostra soluzioni figurative aggiornate esemplificate nel colloquio intimo e muto tra Madre e Figlio, nella forza evocativa del volto di San Donato, nella raffinata ricchezza delle vesti, e pure nell’inserimento inusuale della scena dell’Annunciazione che costituì il modello per analoghe rappresentazioni nella produzione artistica locale».
Un altro dato importante da sottolineare è la presenza della firma dell’artista, che compare al centro della lunga iscrizione che corre in basso, sotto l’immagine della Madonna con il Bambino: «Petrus Laurentii Hanc Pinxit Dextra Senesis». Un’altra firma, quasi illeggibile per le piccole dimensioni, appare, poi, sulla spada della Santa Reparata: «Petrus Me Fecit».
Il polittico è stato fatto oggetto di vari interventi di restauro nel corso dei secoli. Uno dei primi di cui abbiamo notizia risale alla fine dell’Ottocento quando, durante i lavori che interessarono la Pieve, l'opera fu portata al riparo in Municipio per essere, poi, ricollocata nella sua sede tra il 1880 e il 1881. 
In questa occasione la tavola fu sottoposta a una drastica pulitura eseguita probabilmente con soda che causò gravi svelature, concentrate soprattutto nella parte alta ma diffuse anche in altre zone del dipinto, successivamente ricoperte sotto un denso vernicione. 
Nuovamente restaurato nel 1916, il polittico fu oggetto nel 1976 di un ulteriore intervento conservativo, resosi necessario a seguito del tentativo di appiccargli fuoco da parte di uno squilibrato. 
«Il danno subito, fortunatamente solo una bruciatura sul retro della tavola centrale con la Madonna e di quella laterale con il San Giovanni Evangelista, che aveva consumato lo spessore del legno fino all’imprimitura, -racconta ancora Felicia Rotundo - fu riparato con l’inserimento di tasselli di legno stagionato. Su altre zone del supporto, dove necessario, furono inseriti dei cunei e su tutta la struttura furono applicate nuove traverse di noce scorrevoli entro nottole. Sul fronte della tavola furono tolti gli elementi falsi aggiunti successivamente quali le colonnette che causavano una grave alterazione della struttura generale e degli spazi interni dell’Annunciazione. Per quanto riguarda la pittura furono rimossi solo in parte gli strati di vernici bituminose utilizzate per nascondere le profonde e gravi svelature causate dalle vecchie puliture con soda. Il colore si presentava svelato su tutte le parti ma in modo assai grave in corrispondenza delle mezze figure di santi negli ordini superiori e nella teste dei profeti nei tondi. I volti apparivano quasi completamente abrasi come pure quelli del Bambino e dei santi Donato e Matteo.
Questo restauro fu eseguito da Carlo Guido e consistette, quindi, nella pulitura e nella rimozione delle vecchie vernici, nella integrazione di piccole e minuscole mancanze di colore con rigatino ad acquerello e con velature nelle minori e nel ripristino della lunga iscrizione alla base del polittico». 
Quarant'anni dopo il polittico di Pietro Lorenzetti è stato fatto oggetto di un nuovo restauro, quello attuale. Dopo le opportune analisi, si è verificata la funzionalità del supporto, quindi è stata operata una pulitura della superficie pittorica che ha provveduto alla rimozione degli strati di restauro apposti nell’ultimo intervento (vernici e integrazione pittorica, alterate nel tempo). Questa operazione ha rivelato estesissime aree di pittura e di fondi oro in cui persistevano strati evidenti di sporco e di patinature antiche di difficile datazione. Si è, quindi, imposta una seconda fase di pulitura delicatissima, interamente condotta al microscopio, che ha permesso di recuperare i colori cangianti e le straordinarie decorazioni condotte a mano libera dal pittore, offrendo così un fondamentale contributo alla complessiva leggibilità del dipinto.
Gli studi fatti dalla Soprintendenza di Siena, Grosseto e Arezzo hanno portato a ipotizzare la ricostruzione, con disegno digitale, delle parti strutturali in legno della cornice monumentale, purtroppo perduta, che ne facevano una macchina autoportante di grande impatto visivo.
È stata, quindi, proposta una ipotetica ricostruzione, con disegno digitale, che consentisse di restituire spaziature e proporzioni corrette all’opera, facilitandone la lettura in rapporto soprattutto con l’interno monumentale della Pieve per la quale fu concepita.
La direzione dei lavori, la proprietà e l’équipe tecnica hanno convenuto di limitare tale ricostruzione al solo recupero della larghezza del polittico: sono stati pertanto inseriti listelli dorati che distanziano le varie parti dell’opera riconducendola (almeno in larghezza) alla misura originaria. 
Oggi il Polittico aretino di Pietro Lorenzetti torna, dunque, nella sua casa, mostrando agli amanti dell'arte il linguaggio unico di Pietro Lorenzetti, quella sua attenzione alla qualità materica e agli effetti ottici, che guarda all'eleganza di Duccio da Boninsegna e alla salda spazialità di Giotto

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martedì 24 novembre 2020

Un’edizione tutta digitale per BilBOlbul, il festival internazionale del fumetto di Bologna

Compie quattordici anni BilBOlbul - Festival internazionale di fumetto di Bologna, che, in conformità alle restrizioni imposte dall’ultimo Dpcm per contrastare la pandemia da Coronavirus, si presenta in una formula inedita.
Tutti gli appuntamenti in cartellone dal 27 al 29 novembre saranno, infatti, in streaming sul sito istituzionale del festival, ma anche sui canali YouTube e Facebook.
Conferenze, incontri con gli autori, presentazioni di libri -in buona parte in inglese e sottotitolati- vanno a comporre il ricco cartellone di questa edizione della kermesse, che vede ancora una volta come ente organizzatore l’associazione culturale Hamelin e come main partner il Gruppo Hera.
La necessità di agire on-line ha portato anche a un’estensione temporale del festival: dopo la tre giorni di fine novembre, la consueta offerta formativa per gli studenti delle scuole secondarie di primo e di secondo grado (ma anche per gli iscritti all’Accademia di belle arti e all’Erasmus Mundus in Culture letterarie europee dell’Università di Bologna) andrà avanti fino al prossimo 15 gennaio; in contemporanea verrà gettato uno sguardo sulle ultime uscite internazionali di graphic novel.
Sono, invece, rinviate a data da destinarsi le mostre in presenza, tra cui si segnala la collettiva, tutta al femminile, «Prendere posizione. Il corpo sulla pagina», con opere di Émile Gleason, Rikke Villadsen, Nicoz Balboa e Alice Socal.
Tema conduttore di questa edizione del festival sarà il corpo, ovvero -come ricordano gli organizzatori di BilBOlbul - «la prima cosa che si disegna, il motore e l’essenza di ogni storia», che verrà raccontato nella sua accezione erotica, comica, non conforme, politica.
Gli artisti coinvolti, per la maggior parte donne, hanno scelto il corpo - si legge nella presentazione - per «raccontarsi con l’autobiografia, per immaginare futuri desiderabili o distopici, per riscrivere i generi letterari classici e scardinarne l’immaginario».
Un’impronta femminile si ravvisa anche nel manifesto di questa edizione, firmato da Émilie Gleason, premio Rivelazione al Festival di Angoulême del 2019 per il suo graphic novel «Ted, un tipo strano», che racconta la sindrome di Asperger con grande umanità e senza ipocrisie. Il libro -al centro di un incontro in programma on-line domenica 29 novembre, alle ore 15.30- uscirà in edizione italiana per Canicola proprio in occasione del festival bolognese, quale segno della collaborazione, consolidata ormai da anni, tra BilBOlbul e le principali case editrici per portare in Italia i titoli più interessanti del panorama internazionale.
Come già ricordato, Émilie Gleason è anche una delle autrici protagoniste del volume «Prendere posizione. Il corpo sulla pagina», catalogo della mostra che avrebbe dovuto inaugurare il 27 novembre negli spazi espositivi della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. Il libro, curato ed edito da Hamelin, propone uno sguardo sulla rappresentazione e funzione del corpo nel fumetto contemporaneo attraverso interviste e articoli sulle autrici più rilevanti del panorama nazionale e internazionale.
Tra le protagoniste di questa novità editoriale c’è anche Rikke Villadsen, artista al centro dell’appuntamento inaugurale di BilBOlbul: «Sogliole e cowboy», in agenda venerdì 27 novembre, alle ore 15.
La programmazione del primo giorno del festival proseguirà quindi, alle ore 16, con una diretta con Tommi Parrish, rivelazione del fumetto statunitense con il suo libro «La bugia e come l’abbiamo raccontata», graphic novel che uscirà per Diabolo Edizioni nella sua versione italiana. 
Il volume racconta - si legge nella presentazione - la «storia all’apparenza semplice di due amici che si incontrano per caso dopo anni e passano una serata insieme a parlare»; il loro ritrovarsi «diventa il pretesto per una sorta di bilancio esistenziale, tra amori, speranze e disillusioni, il tutto raccontato attraverso uno stile originalissimo fatto di vignette incompiute o semi-smontate, disegni lasciati a metà, un uso spettacolare del colore».
Sabato 28 novembre si proseguirà nell’esplorazione e approfondimento del tema del corpo con una vera e propria maratona di incontri e tavole rotonde on-line. Ad aprire la giornata sarà, alle ore 9.30, la traduttrice e saggista Maria Nadotti con la diretta «Dall’autorappresentazione del corpo alla sua cancellazione». Alle ore 11, si terrà, invece, l’appuntamento «Nuove forme di bellezza», che metterà a confronto due generazioni di autrici del fumetto grazie alla partecipazione della veterana Anke Feuchtenberger, ammirata per il suo stile ipnotico e onirico, e della giovane Alice Socal.  Mentre, alle ore 12, Alex Bodea, Max Baitinger ed Émile Gleason saranno protagonisti dell’appuntamento on-line «Contro i bordi. Corpi, spazi e confini nel nuovo fumetto comico». A seguire la scrittrice Claudia Durastanti proporrà dapprima -alle ore 15.30- una riflessione sul ruolo del corpo nella fantascienza femminile e poi -alle ore 16.30 – intervisterà, nell’incontro «Ai confini del corpo. Visioni di futuri possibili tra natura e tecnologia», la spagnola Ana Galvañ,  che ha portato nuova linfa al genere della fantascienza a fumetti. Infine, alle ore 17.30, ci sarà l’appuntamento «Born This Way. Il disegno e il racconto di sé come scoperta e trasformazione» sulla multiforme arte di Nicoz Balboa, in cui diario e autobiografia diventano un’appassionata e ironica riflessione sull’identità, le relazioni, le lotte e le gioie dell’esistenza.
Domenica 29 novembre, quella che avrebbe dovuto essere la giornata conclusiva del festival diventa, invece, l’inizio di «BBB continua», un ciclo di interviste che proseguiranno on-line fino a gennaio, a cadenza settimanale, sui canali del festival, con gli autori di alcuni dei migliori graphic novel usciti in Italia nel 2020. Si comincerà, alle ore 14.30, con Luca Negri e il suo «Controspionaggio» (Coconino Press - Fandango), intricata storia di complotti di guerra, terrorismo, morti e rinascite. Si proseguirà, alle ore 15.30, con Émilie Gleason e il suo graphic novel «Ted, un tipo strano» (Canicola). Alle ore 16.30, sarà la volta di «Pregnancy Comic Journal» (Feltrinelli) di Sara Menetti, diario della gravidanza dell'artista, raccontato con spiazzante onestà.
Gli incontri continueranno, poi, per tutto il mese di dicembre con Armin Barducci («Tales of an imaginary Dead Man», Eris Edizioni), Antonia Kühn («La radura», Diabolo), Jesse Jacobs («Crawl Space», Eris Edizioni) e l’esordiente Miguel Vila («Padovaland», Canicola).
Tutti i titoli presentati durante e dopo il festival saranno in vendita in una rete di librerie indipendenti a Bologna, Roma, Torino, Milano, Venezia e Bari. BilBOlbul vuole così mettere in circolo i titoli più interessanti di un anno non facile per l’editoria e supportare le librerie, che hanno vissuto momenti di difficoltà, ma che hanno anche saputo riorganizzarsi e diventare presidi culturali territoriali di grande importanza, grazie alla capacità di attivarsi con servizi di consegna a domicilio e vendite on-line.
Un calendario, dunque, ricco quello del festival bolognese, che racconterà il mondo del fumetto attraverso stili e voci differenti, dimostrando come oggi il graphic novel sia un genere capace di decifrare questioni complesse e di raccontarle con una prospettiva nuova contribuendo così a creare una cultura aperta al confronto e alla diversità. 

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lunedì 23 novembre 2020

Dalla platea al Web: spettacoli in streaming per il progetto «Fragili come la terra» del Menotti di Milano


Il teatro Menotti di Milano non si ferma e, in ottemperanza all’ultimo Dpcm che chiude i luoghi della cultura su tutto il territorio nazionale, continua la sua programmazione in streaming. Il progetto «Fragili come la terra», che vuole raccontare la crisi del nostro tempo, farà il suo debutto sul Web nella serata di giovedì 26 novembre con «Guida galattica per gli autostoppisti», riduzione scenica dell’omonimo romanzo di fantascienza umoristica firmato Douglas Adams, che da ormai quarant’anni è un caposaldo della letteratura contemporanea, capace di conquistare un pubblico trasversale e intergenerazionale.
Sul palco salirà il Collettivo Menotti, compagnia formata da giovani attori e musicisti, nata con l’intento di rispondere alla crisi occupazionale del settore dello spettacolo che sta travolgendo soprattutto le giovani generazioni.
Nello specifico saranno in scena Giuditta Costantini, Nicolas Errico, Helena Hellwig, Jacopo Sorbini, Chiara Tomei e Martino Vercesi; mentre le scene i costumi portano la firma di Patrizia Aicardi.
Pur chiuso al pubblico, come tutte le sale presenti sul territorio nazionale, il teatro Menotti ha, dunque, deciso di proseguire nel proprio impegno produttivo e ha confermato tutti i giovani scritturati per oltre due mesi di lavoro continuativo e, nello stesso tempo, ha voluto riprendere a dare appuntamento al suo pubblico, spostando il momento dello spettacolo dalla platea fisica a una piattaforma digitale. La scelta è caduta Xarena. Mentre per le riprese in diretta è stato scelto un pool di giovani video maker che saranno impegnati con apparecchiature altamente professionali.
Il pubblico, in numero di centosessanta persone per ogni replica, potrà assistere agli spettacoli con la massima qualità video e audio, acquistando il biglietto su VivaTicket oppure utilizzando i soliti canali del teatro (al numero di telefono 02.36592544 o all’indirizzo e-mail biglietteria@tieffeteatro.it).
«Guida galattica per gli autostoppisti», che sarà in programmazione digitale dal 26 al 29 novembre, è un insieme di esilaranti situazioni nonsense, piene di humour britannico e di personaggi assurdi.
Mischiando demenzialità, situazioni grottesche e ironia, il romanzo, o meglio la saga scritta da Douglas Adams, è riuscita a diventare un vero e proprio cult, le cui citazioni sono ormai modi di dire comuni e i personaggi sono divenuti simboli. Si pensi al robot depresso Marvin, al terrestre fragile Arthur, all’alieno Ford, viaggiatore nelle galassie, beone e sciupafemmine. Anche il 42, numero emblematico di una risposta priva della domanda fondamentale, o l’asciugamano come indispensabile strumento di difesa e protezione per chi vuole navigare tra i mondi sparsi nell’infinito raccontano di un universo privo di senso, assurto a simbolo. Basti ricordare a tal proposito che il 25 maggio di tutti gli anni e in tutto il mondo, i fan della saga celebrano il Towel Day, ovvero «il giorno dell’asciugamano», in ricordo della scomparsa di Douglas Adams, avvenuta nel 2001.
La lettura teatrale del Collettivo Menotti, che si avvale del progetto multimediale di Martin Romeo, «proverà -raccontano dal teatro milanese- a restituire il sapore e il colore della «Guida», ambientando la narrazione all’interno del Ristorante al termine dell’Universo, nelle ore che precedono la quotidiana rappresentazione serale della fine del mondo, giocando con Adams sui sottili confini spazio-temporali e seguendo le tracce profonde e malinconiche che l’autore ha lasciato tra le pieghe di un racconto di rara inventiva e comicità. Le parole e la musica s’incontreranno in un grottesco cabaret spaziale».
La programmazione in streaming del teatro Menotti proseguirà, dal 3 al 6 dicembre, con «Un marziano a Roma», spettacolo, con Milvia Marigliano e Raffaele Kohler, che anticipa l’idea, oggi molto attuale, di società effimera, omologata e in bilico, tra il reale e l’immaginario, alla vana ricerca di un senso al nulla virtuale che ci circonda.
Il testo racconta l’epopea tragicomica di Kunt, un marziano arrivato sulla terra, con l’idea di fare un viaggio in un pianeta accogliente, placido e blu. La sua storia si consuma in pochi giorni: dapprima c'è curiosità, poi indifferenza e derisione. All'extra-terrestre non resta altro che fare ritorno, in silenzio, nel suo mondo: la terra piena di intellettuali annoiati, giornalisti venditori di fumo, gente che dibatte sul nulla, con la sua superficialità e la sua vanità, non fa per lui. 
In dicembre la rassegna prevede, quindi, altri due appuntamenti da non perdere per chi vuole riflettere sul nostro tempo incerto: dapprima ci si farà ammaliare dai viaggi temporali e surreali raccontati in «Mattatoio n. 5» da Kurt Vonnegut (dal 10 al 13 dicembre), poi si rifletterà con Jonathan Safran Foer e il suo «Possiamo salvare il mondo prima di cena» (dal 17 al 20 dicembre), nel quale viene illustrata, con straordinario impatto emotivo, la crisi climatica del nostro pianeta alternando, in modo originale, storie di famiglia, ricordi personali, episodi biblici, dati scientifici e suggestioni futuristiche.
«Ai vari spettacoli -raccontano dal teatro Menotti- saranno collegate delle iniziative collaterali: incontri, interviste, letture e altro, connessi ai vari temi che saranno affrontati nel progetto e in generale riguarderanno la fragilità del nostro pianeta e dei suoi abitanti, fragilità sempre più evidente e messa alla prova in questo periodo di pandemia».
Per il Menotti la programmazione in streaming della rassegna «Fragili come la terra» rappresenta indubbiamente uno sforzo economico ed organizzativo piuttosto impegnativo in un momento assolutamente non facile. «Ma -raccontano dal teatro milanese- abbiamo ritenuto doveroso continuare a fare teatro, per non mancare all’appuntamento con il nostro pubblico e per mantenere gli impegni con gli artisti e il personale coinvolto nel progetto». Ora c’è solo da sperare che gli spettatori scommettano sulla Rete quale nuova forma per vivere, in questi tempi incerti, la dimensione del teatro, da sempre non solo luogo di evasione dal quotidiano, ma anche di riflessione sul presente e sul futuro. 

Informazioni utili 
Fragili come la terra – Stagione 2020-2021 in streaming. Teatro Menotti, via Ciro Menotti, 11 – Milano. Informazioni: tel. 02.36592544, biglietteria@tieffeteatro.it. Biglietto singolo: E 6,00. Acquisti on-line con carta di credito su www.teatromenotti.org. Orari spettacolo: venerdì ore 20.30, sabato ore 19.30, domenica ore 16.30. Dal 26 novembre al 16 dicembre 2020.