ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 27 gennaio 2021

Giuseppe Penone dona al Castello di Rivoli duecento opere su carta

«La prima intuizione, la / prima idea di un’opera /annotata su un foglio / testimonia il fluttuare / dell’immaginazione prima / di irrigidirsi nella forma. / È bello pensare di / posare le idee nei luoghi / in cui sono apparse fluttuanti». In queste parole, affidate nel gennaio 2021 a un foglio di carta, Giuseppe Penone (Garessio, 1947), uno dei principali esponenti dell’Arte povera, commenta l’importanza di donare i propri disegni a un museo ubicato nello stesso luogo in cui vengono concepite e realizzate le sue opere, prima che esse viaggino in tutto il mondo. Queste parole, oggi, fanno parte della collezione del Castello di Rivoli. L’artista ha, infatti, deciso di donare al museo piemontese, uno dei più grandi spazi in Italia dedicati all’arte contemporanea, questo foglio e altri duecentodiciotto lavori su carta, oltre a preziosi materiali d’archivio e alla grande opera «Svolgere la propria pelle – finestra» (1970-2019), versione dell’importante lavoro allestito dall’artista nel 1972, in occasione di Documenta 5 a Kassel, con diciannove impronte del proprio corpo riportate fotograficamente su pellicola su pannelli di vetro. L’opera, affiancata a un’edizione del libro «Rovesciare gli occhi» (Einaudi, Torino, 1977), sarà proposta permanentemente nella sala della Biblioteca, nella Manica Lunga, nella forma attuale acquisita in occasione della mostra «Harald Szeemann. Museum of Obsessions / Museo delle ossessioni» del 2019.
L’ingente corpus donato da Giuseppe Penone – composto principalmente da disegni, note di lavoro autografe, riflessioni manoscritte, schizzi progettuali, rendering architettonici, fotografie realizzate dallo stesso artista e scatti annotati –, sarà conservato al Crri, centro internazionale di ricerca del Castello di Rivoli, dove gli studiosi di tutto il mondo potranno approfondire la pratica dell’artista, rintracciarne i dettagli costruttivi e ripercorrerne i processi ideativi.
Nella donazione grande spazio hanno le opere di arte pubblica, lavori di grandi dimensioni, realizzati principalmente in area piemontese, ovvero a pochi chilometri da casa. Sfogliando queste carte, si spazia, infatti, dal ciclo «Sculture fluide» (2003-2007), quattordici opere per il Parco Basso della Reggia di Venaria, tra le quali ci sono «Tra scorza e scorza» e «Pelle di marmo»,  all'installazione «Anfora» per il Castello di Rivoli (2016-2019) , passando per «Albero giardino» (1998), lavoro collocato all’interno del Giardino dei caduti di Cefalonia e Corfù, in corso Francesco Ferrucci, composto da una galleria percorribile che assume la forma di un albero coricato con tre rami. Il lavoro è stato commissionato nel 1995 dalla città di Torino per integrare il proprio piano di riqualificazione urbana in vista della creazione del passante ferroviario.
La donazione al museo piemontese rappresenta un importante tassello nella sua storia e in quella del suo centro di ricerca, come ricorda Andrea Viliani, responsabile e curatore del Crri. Lo studioso afferma, infatti, che «nell’ambito degli studi e delle poetiche afferenti in vario modo all’Arte povera, il Castello di Rivoli si pone come istituzione di riferimento a livello internazionale». E ricorda, inoltra, che «tra i movimenti artistici più importanti del XX secolo, l’Arte povera trova la sua origine in Piemonte, territorio dal quale, come Penone stesso, un numeroso gruppo di artisti proviene».
Va, inoltre, segnalato che la donazione integra e completa quelle effettuate nel giugno 2020 a due fra i più importanti musei internazionali: il Philadelphia Museum of Art - che ha ricevuto trecentonove opere su carta e cinque libri d’artista in edizione limitata - e il Centre Pompidou di Parigi - al quale sono state assegnate trecentocinquanta opere su carta.
Nel 2022 i tre musei organizzeranno mostre dedicate ai materiali donati, perlopiù mai esposti. In tale occasione, il Crri del Castello di Rivoli editerà un volume, concepito in stretta collaborazione con l’artista, che documenterà tutte le opere pubbliche collocate all’aperto, con particolare attenzione a quelle appena donate al museo. Il percorso cartaceo  spazierà, dunque, dalle fotografie di «Alpi Marittime» (1968), una serie di azioni performative compiute nel bosco di Garessio interagendo con gli elementi naturali, a «In limine» (2008), l’albero fuso in bronzo con base in marmo posto di fronte alla Gam di Torino, realizzato in occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, senza dimenticare «Identità» (2017), l’imponente doppio albero in alluminio, bronzo e specchio ‘piantato’ nel 2019 proprio di fronte al Castello di Rivoli.
A proposito delle tre donazioni, Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del museo piemontese, ha affermato: «Significa qualcosa quando uno tra i più grandi artisti del mondo decide di donare un eccezionale corpus di opere a tre grandi musei pubblici. È un’investitura e un atto di fiducia nella capacità delle istituzioni pubbliche di reggere alle crisi momentanee e alle intemperie, e pertanto di durare nel tempo – un tempo molto più lungo di quello di una sola vita. Si tratta di trasmettere ai posteri dei semi che sono la propria arte, fiduciosi che essi potranno germinare in un futuro oggi ancora inimmaginabile».
La donazione al Castello di Rivoli è un motivo di vanto in più per Carolyn Christov-Bakargiev e per i suoi collaboratori dal momento che Giuseppe Penone fa parte, dal 2017, del Comitato consultivo del museo (conoscendone, dunque, bene la programmazione) e che nel corso degli anni, dal 1984 al 2019, dalla collettiva «Ouverture» alla personale «Incidenze del vuoto», l'artista ha più volto esposto in questi spazi o ha partecipato a rassegne promosse dall’ente torinese in altre prestigiose realtà come lo State Museum Hermitage di San Pietroburgo o il Museum of Contemporary Art di Sydney.
Tra i protagonisti più rappresentativi dell’Arte povera, Giuseppe Penone si occupa a partire dalla fine degli anni Sessanta dell’interazione tra natura e arte, esplorando – racconta ancora la direttrice del Castello di Rivoli - «i fondamenti della scultura quale modo per conoscere e comprendere empiricamente il mondo».
L'artista fa, quindi, dello studio delle analogie tra forme culturali e naturali il fulcro della sua pratica artistica, esplorando la comune essenza che unisce essere umano e natura in un continuo stato di partecipazione e simbiosi reciproca.
L’albero, che Giuseppe Penone considera «l’idea prima e più semplice di vitalità, di cultura, di scultura», è un elemento centrale in questo lavoro ed è parte integrante di una visione in cui tutti gli elementi – minerali, vegetali, animali e umani – sono fluidi e interconnessi. A tal proposito, Carolyn Christov-Bakargiev afferma ancora: «L’arte di Penone si basa sul principio di incarnare una consapevolezza fisica, tattile-visiva, di tutti gli organismi viventi e delle loro trasformazioni. L’artista percepisce il mondo e la vita in modo scultoreo, toccandone e accarezzandone le parti costitutive, senza mai distinguere tra natura e cultura o, piuttosto, senza pretendere alcuna superiorità dell’essere umano rispetto al resto del mondo naturale. Si tratta di un incontro e, quindi, di relazioni tra l’umano e la materia, tra l’umano e il non umano, questioni di pelle e di toccarsi, elementi conoscitivi a cui i disegni su carta donati puntualmente ci introducono».
Questo corpus grafico va ad aggiungersi ad altri importanti lavori dell’artista, acquisiti negli anni dal Castello di Rivoli. Si tratta di cinque opere, fondamentali nel suo percorso, quattro delle quali in comodato dalla Fondazione per l’arte moderna e contemporanea Crt («Albero di 5 metri», 1969-1970; «Albero di 11 metri», 1969- 1989; «Respirare l’ombra», 1999 e «Pelle di foglie (Sguardo a terra)», 2003) e una - «Soffio di creta H (1978)» - donata dalla Fondazione Marco Rivetti.
Il Castello di Rivoli diventa così casa privilegiata di una pratica artistica che ricorda «l'importanza di radicarci poeticamente nel pianeta in cui viviamo – rammenta Andrea Viliani-. Una lezione, questa, «la cui urgenza e importanza il nostro mondo globalizzato e digitalizzato, ma anche in profonda crisi da un punto di vista ecologico, sta imparando a riconoscere, sulla propria pelle». (sam)

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giuseppe Penone, L'albero ricorderà il contatto del mio corpo, 1968 ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 2] Giuseppe Penone, In limine, schizzi e note di lavoro, 2008. ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 3] Giuseppe Penone, Giardino delle sculture fluide - rendering architettonico, (2003-2007). ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 4] Giuseppe Penone, Continuera a crescere tranne che in quel punto. ©Archivio Penone - Castello di Rivoli; [fig. 5] Giuseppe Penone, Svolgere la propria pelle – finestra, 1970-2019. Veduta dell’installazione al Castello di Rivoli.  Foto © Antonio Maniscalco ; [fig. 6] Veduta dell’installazione a documenta 5, Kassel, Fridericianum, 1972. Foto © Paolo Mussat Sartor. Courtesy Archivio Penone; [fig. 7]  Giuseppe Penone, Giardino delle sculture fluide - schizzi e note di lavoro, (2003-2007). ©Archivio Penone - Castello di Rivoli

Informazioni utili 

martedì 26 gennaio 2021

«L’arte cura»: il Castello di Rivoli e i musei civici di Firenze si candidano come presidi per le vaccinazioni anti-Covid

Parte dal Castello di Rivoli, uno dei maggiori musei italiani di arte contemporanea, il progetto-pilota per la campagna nazionale «La cultura cura», messo a punto da Cultura Italiae nell’ambito del programma «RespirO2», una serie di proposte, giunte in risposta all’appello «Vissi d’arte», che invita a utilizzare musei, biblioteche, cinema e teatri quali presidi sanitari territoriali per le vaccinazioni anti-Covid.
Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice dell'istituzione piemontese, ha dichiarato a tal proposito: «l'arte ha sempre contribuito alla cura della società – non è un caso che alcuni dei primi musei al mondo fossero precedentemente degli ospedali. Vorremmo adesso restituire il favore, per così dire, mettendo a disposizione le sale del Castello di Rivoli per il piano di vaccinazione nazionale.
Il nostro museo, ospitato in un edificio barocco, è ben attrezzato per questo scopo. I nostri spazi - prosegue la direttrice - sono abbastanza ampi da ospitare un centro per le vaccinazioni sicuro, in cui si possono rispettare le distanze di sicurezza; i nostri custodi sono accoglienti e ben addestrati nel monitorare il pubblico. Ma soprattutto si tratta di un impegno – condiviso anche da altri musei pubblici – a creare uno luogo accessibile e al servizio della comunità. Sebbene le nostre mostre siano attualmente chiuse al pubblico (il Piemonte si trova in zona arancione, ndr), i nostri edifici possono continuare a servire a questo scopo e ad adempiere alla nostra missione». 
Per le vaccinazioni, il Castello di Rivoli mette a disposizione le sale del terzo piano, dove è ospitata la mostra di wall painting di Claudia Comte. Gli spazi, per la loro grandezza, - assicurano dal museo piemontese - «permetteranno, nello specifico, di allestire nei prossimi mesi postazioni vaccinali e spazi per il monitoraggio post-vaccinale in un ambiente confortevole e sicuro che, grazie alle rigorose procedure igieniche, assicurerà la massima tutela». 
La proposta ha incontrato il favore del sindaco di Rivoli, Andrea Tragaioli, che ha già avuto un primo riscontro positivo da parte dell’Asl To3, ma che deve comunque attendere le indicazioni dal Ministero della Salute.
I musei proprio per le azioni di monitoraggio e di controllo svolte normalmente, si prestano, dunque, come spazi ideali per accogliere sedi vaccinali. Ne sono convinti anche a Firenze, dove l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, nell’ambito del convegno on-line «More Museum. Il futuro del museo tra cambiamenti e nuovi scenari», ha messo a disposizione per la campagna di Cultura Italiae la rete dei Musei civici, della quale fanno parte, tra gli altri, il Museo di Palazzo Vecchio, Santa Maria Novella, la Cappella Brancacci, il Forte del Belvedere e il Museo del ciclismo «Gino Bartali».
Durante il simposio che lo scorso 14 gennaio ha visto la partecipazione virtuale di oltre quaranta direttori di museo, Tommaso Sacchi ha dichiarato, a tal proposito, che gli spazi della cultura «devono cambiare pelle e mettersi a disposizione della società» e che «i musei devono sempre più essere parte della nostra vita, della nostra educazione, della nostra società».
«A Firenze - ha aggiunto l’assessore - la commistione tra funzioni sociali diverse è già iniziata e cultura e musei saranno sempre più vicini alla vita quotidiana dei cittadini. Per esempio a Santa Maria Novella il futuro museo della Lingua sarà a fianco del social housing, mentre Manifattura Tabacchi e Torre ex Fiat a Novoli ospiteranno rispettivamente residenze artistiche e una nuova casa del contemporaneo: due enormi ex fabbriche della città diventeranno fabbriche delle idee migliori». In quest’ottica rientra la messa a disposizione dei musei cittadini per la campagna vaccinale.
Nel mondo dello spettacolo – si apprende dalla pagina Facebook di Cultura Italiae – si è, invece, proposto il teatro Franco Parenti di Milano, che, in collaborazione con l’Asl competente, ha messo a disposizione per le vaccinazioni alcuni spazi della Palazzina dei Bagni Misteriosi, l'ex Centro balneare Caimi, con annessa piscina scoperta, che la Fondazione Pier Lombardo ha riqualificato e riaperto al pubblico nel 2016.

Primule d’artista, il Mibact per la campagna di vaccinazione anti-Covid 
Non è la prima volta che il mondo dell’arte si schiera a favore della campagna vaccinale quale simbolo di ripartenza del Paese e, di conseguenza, di un settore che più di altri ha risentito della crisi economica causata dalla pandemia, come documentano anche gli ultimi dati diffusi da Confcommercio che hanno visto nell’ultimo anno diminuire del 47% gli acquisti mensili in cultura delle famiglie italiane.
In occasione del #VaccineDay dello scorso 27 dicembre, il Mibact aveva, infatti, lanciato la campagna di comunicazione «L’Italia rinasce con un fiore», portando il pubblico alla scoperta di «primule -si legge nella nota stampa- di diverse specie, dalle corolle color giallo, arancio e rosa, scolpite su marmi, stampate su pergamene, dipinte su porcellane, catalogate in antichi erbari, descritte in codici botanici nascoste tra piccoli decori oppure protagoniste di pitture parietali e affreschi decorativi».
Sulla card dell’iniziativa è stata utilizzata una sintesi di raffinati esemplari floreali, oltre a un primo piano del busto e delle mani della «Dama col mazzolino» di Andrea Del Verrocchio, conservata al Museo nazionale del Bargello. 
Tra gli esempi proposti ci sono le primule intarsiate nel «fregio di camino» di Francesco di Giorgio Martini a Palazzo Ducale di Gubbio, quelle ricamate sul vivace bordo di un costume tradizionale della Calabria al Museo delle civiltà di Roma, quelle dipinte sulle porcellane della Manifattura Discry del Servizio Raggi alle Galleria nazionale di Palazzo Spinola, a Genova. Ci sono, poi, le primule stampate su una cartolina del 1919, conservata all'interno del Fondo Cesare Poma dell'Archivio di Stato di Biella, e quelle rappresentate nelle cinquecentine della Biblioteca universitaria di Cagliari, nei volumi sulla «Flora italiana ossia Raccolta delle piante più belle che si coltivano nei giardini d’Italia» della Biblioteca Palatina di Parma, nella collana «Flora Napolitana» custodita alla Biblioteca nazionale di Napoli, ma anche nella corona di fiori della «Ninfa alata» di Gennaro De Crescenzo, nella Saletta neoclassica di Palazzo reale, sempre nella città partenopea. 

Musei aperti in zona gialla e solo nei giorni feriali. Da Federculture ad Icom: «una scelta da rivedere»
Nel frattempo, con il Dpcm del 14 gennaio 2021, hanno iniziato a riaprire i musei in zona gialla, ma solo nei giorni feriali, dal lunedì al venerdì. La decisione è stata da più parti criticata.
Federculture, l’associazione nazionale degli enti pubblici e privati, delle istituzioni e delle aziende che operano nel campo delle politiche e delle attività culturali, ha giustamente sottolineato, in una lettera al ministro Dario Franceschini, che «legare l’apertura dei musei alla variabile dell’attribuzione di colori alle regioni di appartenenza rende imprevedibile la durata dei periodi di apertura e di chiusura, con conseguenze non gestibili sull’organizzazione del personale e delle prenotazioni».
Nella missiva si evidenzia anche un altro dato che rivela la criticità della decisione presa: «è difficile – scrive il presidente Andrea Cancellato - comprendere quale sia la logica dell’apertura nei soli giorni feriali: se l’esigenza è quella di non sovraccaricare il sistema dei trasporti urbani, si consente una potenziale, pur ridotta, utenza proprio nei giorni di maggiore affollamento dei mezzi pubblici e delle strade».
Anche la sezione italiana di Icom - International Council of Museums è stata critica nei confronti delle modalità di riapertura sottolineando anch'essa che «la perdurante incertezza sulle prospettive di funzionalità, basate su indici rilevati ogni due settimane, impedirà una realistica programmazione delle attività e dei servizi e quindi una positiva inversione di tendenza in termini di occupazione e di incisività culturale e sociale».
Pure Amaci, l’associazione che riunisce ventiquattro tra i principali musei d’arte contemporanea italiani, è voluta intervenire nel dibattito con una lettera al premier Giuseppe Conte e al ministro Dario Franceschini, nella quale sottolinea come la riapertura parziale dei musei rischi di «penalizzare ulteriormente il loro ruolo e la loro funzione sociale, mettendo a rischio la sostenibilità, non soltanto economica e finanziaria».
Toni duri sono stati, infine, usati da Agta - Associazione guide turistiche abilitate che ha parlato di «una presa in giro» perché di fatto il Dpcm vieta l’apertura negli unici giorni, il sabato e la domenica, nei quali c’è una maggiore possibilità di visita.
«Durante i feriali – spiega, a tal proposito, la presidente Isabella Ruggiero - i musei erano frequentati da turisti, scolaresche e pensionati: i turisti non ci sono, le gite scolastiche sono vietate e le persone anziane cercano di non uscire per evitare il contagio. Considerato che sono vietati gli spostamenti tra regioni, è bloccato anche il turismo interno; quindi, a volere/potere visitare i musei possono essere solo i residenti e al massimo gli abitanti dei comuni circostanti. Peccato che i residenti sono quelli che normalmente dal lunedì al venerdì lavorano e non hanno tempo per visitare i monumenti». Per quale motivo, dunque, vietare l’apertura nei fine settimana? A causa dei trasporti, l’elemento più critico nelle nostre città? Alla domanda pleonastica, Isabella Ruggiero risponde: «non ha senso, perché i trasporti sono pieni e in crisi proprio nei giorni feriali e molto più vuoti il sabato e domenica». E allora per quale motivo?
L’affondo di Agta è duro: «siccome riteniamo che tutto questo sia troppo folle per essere concepito per sbaglio – conclude la presidente dell’associazione- siamo purtroppo arrivati alla conclusione che tali norme si spiegano solo con la volontà di rendere inutile l’apertura. Così poi si dirà che i musei sono risultati vuoti e che comunque è troppo costoso aprirli e chiuderli continuamente. Le nuove norme appaiono come la diabolica risposta a chi ha protestato negli ultimi mesi contro la chiusura. La maggior parte della gente ha recepito solo l’annuncio della riapertura e registra tale notizia come positiva, ma chi è del settore ha capito che di fatto non riaprirà quasi nulla».
Nel frattempo è stato appena firmato da Dario Franceschini un Decreto ministeriale per l'istituzione di un tavolo permanente per i professionisti della cultura così da valutare le problematiche del settore connesse all'emergenza sanitaria e venire incontro alle esigenze di tutti. 
Pur consapevoli che la continuità dell’offerta espositiva è legata alla permanenza in zona gialla e al mantenimento dell’indice Rt sotto l’1, sono, comunque, molti i musei che in Basilicata, Campania, Toscana, Molise, Provincia autonoma di Trento hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo e hanno riaperto per i loro concittadini (anche in Sardegna gli spazi espositivi sono stati accessibili per un'intera settimana, prima che la regione fosse spostata in fascia arancione). Speranza e resilienza continuano, dunque, a essere le parole chiave del  mondo della cultura per vivere questo periodo incerto e difficile. (sam)

lunedì 25 gennaio 2021

Brafa Art Fair, una fiera diffusa per gli amanti dell’antiquariato

Brafa Art Fair
, la tradizione rassegna belga d’arte antiquaria, che ogni anno accoglie oltre 65mila visitatori, cambia volto. Per non arrendersi alla pandemia da Coronavirus che rende difficoltosi gli spostamenti tra gli Stati, l’Associazione Foire des Antiquairs de Belgique, con il supporto di Delen Private Bank, ha ideato una vera e propria «fiera diffusa».
Dal 27 al 31 gennaio in trentasette città, ubicate in tredici nazioni prevalentemente europee, sarà possibile vedere centoventisei mostre a tema, unendo così nel segno dell’antiquariato luoghi come ParigiAmsterdamMoscaLisbonaZurigoAnversaLondraBudapest e Roma, ma non solo. 
«L'epicentro» organizzativo sarà il sito brafa.org, dove gli utenti potranno vedere le singole esposizioni dei galleristi in video, volando con la fantasia anche in Giappone, a Nagoya, e negli Stati Uniti, nelle città di San Francisco e New York.
Ogni gallerista avrà la propria pagina personale, sulla quale potrà esporre fino a nove opere (tre dal momento dell’iscrizione, altre sei opere dal giorno della preview, prevista in tutti i Paesi per il 27 gennaiodalle 14 alle 21), con descrizioni complete, recapiti, nonché una mappa e un video personale e originale, registrato appositamente per l'occasione.
Ma in contemporanea sarà anche possibile riscoprire il piacere dell’incontro con un’opera d’arte grazie all’apertura di tutte le gallerie coinvolte in questa inedita edizione di Brafa Art Fair, fiera che debutta sulla scena artistica belga nel 1956, all’interno dell’Arlequin Hall della Galleria Louiza di Bruxelles, grazie a un’idea di Charles Van Hove e Mamy Wouters, all’epoca rispettivamente presidente e vicepresidente della Camera reale belga degli antiquari, e che nel 1995, con Christian de Bruyn al vertice, apre i suoi confini a tutto il mondo, diventando l’apprezzato evento mercantile europeo che conosciamo oggi.
Tutti i partecipanti saranno aperti nelle stesse date e negli stessi orari: dopo l'anteprima di mercoledì 27, saranno visitabili da giovedì 28 gennaio a domenica 31 gennaio, dalle 11 alle 18, salvo le undici sedi di Knokke-Heist, località balneare belga, che hanno scelto date e orari di apertura adeguati alle specificità del luogo: sabato 30 e domenica 31 gennaio e sabato 6 e domenica 7 febbraio, dalle 11 alle 18.
Tra le centoventisei gallerie presenti a questa edizione di Brafa Art Fair ce ne sono undici al debutto: Artimo Fine Arts (Bruxelles), Arts et Autographes (Parigi), Dr. Lennart Booij Fine Arts e Rare Items (Amsterdam), Hadjer (Parigi), Nao Masaki (Nagoya), Jordi Pascual (Barcellona), São Roque - Antiguidades e Galerie de Arte (Lisbona), Tenzing Asian Art (San Francisco), Van der Meij Fine Arts (Amsterdam), Maurice Verbaet (Knokke) e Waddington Custot (Londra).
Altre, invece, esporranno nella sede di un collega. A Knokke-Heist, per esempio, Véronique Bamps proporrà le sue opere da Berko Fine Paintings; a Bruxelles, invece, i lavori delle gallerie Jean Lemaire e Francis Janssens van der Maelen saranno in mostra da Costermans e Pelgrims de Bigard, mentre quelle di Dr. Lennart Booij Fine Arts & Rare Items da Huberty & Breyne.  I membri della Clam - Chambre professionnelle belge de la librairie ancienne et moderne, l'associazione dei librai antiquari belgi esporranno nelle gallerie Claude Van Loock e Le Tout VenantAdrian SchlagDe Jonckheere e Whitford Fine Art hanno selezionato location speciali a Bruxelles, proprio come la Galleria Repetto, che sarà in mostra a Milano, a pochi passi dal Castello Sforzesco, negli eleganti spazi di via Vincenzo Monti 8.  Oltre a ricevere gli appassionati d'arte nelle loro gallerie, Didier ClaesXavier EeckhoutCéline e Fabien MathivetGabriela e Mathieu Sismann e Benjamin Steinitz saranno ospiti di Francis Maere Fine Arts (Gand), a margine della mostra collettiva «Paris-Gent-NYC». Infine, Univers du Bronze e Brame & Lorenceau accoglieranno una mostra nella loro galleria di Parigi oltre ad esporre opere l’una in un indirizzo temporaneo a Bruxelles, l’altra a La Patinoire Royale - Galerie Valérie Bach
Per visitare in presenza i vari spazi espositivi sarà possibile scaricare la mappa della città di proprio interesse, disponibile in pdf sul sito di Brafa Art Fair, dove sarà possibile anche consultare il catalogo e i vari pezzi proposti.
Anche l’Italia sarà tra le protagoniste di questa inedita edizione della fiera belga ribattezzata per l'occasione Brafa in the galleries
 A Milano sarà possibile ammirare il miglior design italiano del '900 da Robertaebasta (via Fiori Chiari 2-3), capolavori di arte africana e orientale da Dalton Somaré (via Borgonuovo 5), opere di ebanisteria da Brun Fine Arts (via Carlo Pisacane 40), arte contemporanea nelle sale di Cortesi Gallery (via Morigi 8) e da Repetto Gallery, nella sua sede temporanea in via Vincenzo Monti 8.
Roma saranno in mostra principalmente dipinti del XIX secolo grazie alla partecipazione di Paolo Antonacci (via Alibert 16/A) e W. Apolloni (Palazzo Patrizi, via Margutta 53B).
La Gioielleria Nardi di Venezia (piazza San Marco 69) esporrà, invece, le sue iconiche creazioni che raccontano lo spirito della città attraverso l'oro e le pietre preziose.
Mentre ad Arezzo si potrà entrare nella wunderkammer contemporanea di Theatrum Mundi (via Cesalpino 20) per meravigliarsi davanti a un fossile di 175 milioni di anni fa o a un casco originale arrivato direttamente dal set di «Star Wars».
In Piemonte, infine, la galleria Chiale Fine Art di Racconigi (via Stefano Tempia 22) festeggerà i cinquant’anni di attività con una selezione di arredi, dipinti e sculture dal XIV al XX secolo.
In un percorso che spazia dal tavolo in micro-mosaico con vedute di Roma su gueridon in mogano realizzato da Paul Sormani (1817-1866) alla ceramica policroma «Cristo» (1956-57) di Lucio Fontana, dall’iconica spilla pendente «L’albero della vita» in oro bianco e diamanti alla «Poltrona di Proust» firmata da Alessandro Mendini per Cappellini (1978), dalla tela «Omaggio a La Fornarina» del pittore belga Philippe-Jacques van Bree (1786-1871) a «La rosa» (1981) di Michelangelo Pistoletto, sono tanti i pezzi di qualità che le gallerie italiane presenteranno a Brafa Art Fair, importante vetrina per l’arte antiquaria e per i collezionisti, che da sempre scelgono questo evento mercantile per i loro investimenti d’arte.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Albero della vita. Spilla pendente di Nardi Moretto realizzata in oro bianco 18 kt, incastonata con più di 6 ct. di diamanti. Opera in mostra alla Gioielleria Nardi di Venezia; [fig. 2]  Poltrona di Proust firmata da Alessandro Mendini per Cappellini (1978). Opera d'arte esposta alla galleria Robertaebasta di Milano; [fig. 3]  Philippe-Jacques van Bree (Anversa 1786-1871 Bruxelles), Omaggio alla Fornarina: un panificio a Roma. Olio su tela, 128 x 100 cm. Firmato P: van Brée. Roma. Opera esposta da Apolloni a Roma; [fig. 4] Carla Accardi (Trapani 1924-2014 Roma), Negativo (ideogramma), 1954. Smalto e caseina su tela, 88,50 x 116,50 cm. Firmato Opera esposta alla galleria Robertaebasta di Milano; [fig. 5] Lucio Fontana (Rosario, Argentina 1899-1969 Comabbio, Italia), Cristo, 1956-1957. Ceramica policroma smaltata, H 38 x L 15 x P 12 cm. Firmato sul retro L. F.. Certificato di autenticità della Galleria Blu. Registrato dall'Archivio Lucio Fontana al n. 1185/15, Milano. Provenienza: Galleria Blu, Milano; collezione privata, Trento. Opera esposta dalla Galleria Repetto

Informazioni utili 

Brafa in the galleries.Orari: anteprima - mercoledì 27, dalle ore 14 alle ore 21 | 28-31 gennaio, dalle ore 11 alle ore 18. Sito internet: www.brafa.art. Da mercoledì 27 a domenica 31 gennaio 2021 

sabato 23 gennaio 2021

Nasce «Art.live!». Da Claude Monet ad Artemisia Gentileschi, la visita virtuale alle mostre è in diretta su Zoom

Oltre tremila biglietti venduti in pochi giorni e spettatori collegati non solo dall'Italia, ma anche da Francia, Canada, Portogallo e Stati Uniti: è stato un successo oltre le aspettative quello del progetto pilota di Art.live!, nuovo format tutto italiano nato per visitare le mostre quando i musei sono chiusi o non ci si può spostare da una regione all’altra.
Il primo esperimento, che ha ottenuto da più parti il plauso, è stato fatto durante le vacanze natalizie con la rassegna «Monet e gli Impressionisti», allestita a Bologna, negli spazi di Palazzo Albergati.
Dietro l’innovativo progetto c’è Arhemisia, azienda leader nel settore espositivo, da sempre sinonimo di innovazione e di arte al servizio di tutti - dagli addetti ai lavori ai semplici curiosi -, con le audioguide gratuite per ogni visitatore, il linguaggio pop delle presentazioni e dei contenuti esplicativi, le coinvolgenti campagne promozionali.
Ma che pregi in più ha Art.live rispetto alle solite mostre virtuali? A differenza dei tanti contenuti disponibili gratuitamente su Internet, - assicurano da Arthemisia- «la visita guidata in diretta coinvolge il pubblico in maniera più attiva», offrendo la stessa identica emozione che si prova passeggiando realmente tra le sale di un museo. «La diretta – spiegano ancora dall’azienda presieduta da Iole Siena - rende l’esperienza «vera» e, nonostante si sia collegati con centinaia di persone contemporaneamente, è come fare una visita privata ed esclusiva», al termine della quale è anche possibile fare domande e approfondire i temi della visita.
Partecipare è semplice. Dopo la prenotazione e il pagamento di un biglietto al costo simbolico di cinque euro, ci si connette in maniera intuitiva tramite Zoom e si entra nelle sale delle mostra – da soli, in compagnia degli amici o della famiglia e da qualsiasi luogo del mondo si voglia – ‘passeggiando’ tra le opere esposte, guidati da esperti comunicatori, come in «una visita guidata ‘in carne ed ossa’».
Dopo la fase sperimentale, Art.live! ha già pronti due nuovi appuntamenti per domenica 24 e 31 gennaio, alle ore 18, sempre all’interno delle sale di Palazzo Albergati. Sergio Gaddi, noto divulgatore d’arte, condurrà ancora una volta il pubblico alla scoperta della mostra «Monet e gli Impressionisti», curata da Marianne Mathieu: un viaggio unico tra le suggestioni pittoriche di quegli artisti che, sul finire dell'Ottocento, immortalarono sulla tela la luce e l'aria. L'offerta proseguirà, poi, anche nei mesi successivi. 
L’esposizione allinea, nello specifico, cinquantasette capolavori, provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, che portano la firma, tra gli altri, di Claude Monet, Eduard Manet, Pierre Auguste Renoir, Edgar Degas, Jean-Baptiste Camille Corot, Alfred Sisley, Gustave Caillebotte, Berthe Morisot, Eugéne Boudin, Camille Pissarro e Paul Signac.
Sala per sala, sarà possibile ammirare accanto a opere cardine dell’Impressionismo francese come «Portrait de Madame Ducros» (1858) di Degas, «Portrait de Julie Manet» (1894) di Renoir e «Nymphéas» (1916-1919 ca.) di Monet, lavori inediti perché mai usciti dal museo parigino. È il caso di «Portrait de Berthe Morisot étendue» (1873) di Édouard Manet, «Le Pont de l’Europe, gare Saint- Lazare» (1877) di Claude Monet e «Jeune Fille assise au chapeau blanc» (1884) di Pierre Auguste Renoir.
«Sono molto orgogliosa di questo progetto – dice Iole Siena -. Ho osservato le tante cose offerte da Internet in questo periodo, ma non mi convincevano, mancava qualcosa. La gratuità e l’accesso libero sminuiscono il valore dell’offerta, che peraltro è talvolta autoreferenziale e noiosa. Ho voluto sperimentare le visite in diretta senza aver nessun riferimento perché nessuno lo ha fatto prima di noi, e sono rimasta colpita dal seguito che abbiamo avuto. E la cosa che più mi piace di questo nuovo progetto, è che non finirà con il Covid, ma anzi si svilupperà sempre di più allargando il bacino di utenza delle mostre. La visita in diretta on-line non è un sostituto della visita ‘vera’, ma consente a tutti di vedere quelle mostre che non si potranno visitare per i motivi più diversi. Vedo del grande potenziale in questo progetto, e il mio obiettivo è di far visitare in questo modo tutte le mostre del mondo».
Nel frattempo, Arthemisia sta già pensando di proporre visite guidate in diretta per altre due sue mostre: «Manolo Valdés. Le forme del tempo», allestita al Museo di Palazzo Cipolla di Roma, e l’attesa esposizione «Le signore dell’arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600», in prossima apertura a Palazzo Reale di Milano.
La prima esposizione, per la curatela di Gabriele Simongini, allinea una sessantina di opere, alcune delle quali di grandi dimensioni, che danno conto della produzione di Valdés dai primi anni Ottanta a oggi. Nella ricerca figurativa e ludicamente visionaria dell'artista, i maestri del passato più o meno lontano - da Velázquez a Rubens e Zurbarán, da El Greco a Ribera fino a Léger, Matisse e Lichtenstein - diventano interlocutori con cui intrattenere un contatto giornaliero. L’immagine prelevata da Valdés nel passato più o meno recente si trasforma recependo i mutamenti dell’arte successiva (soprattutto attraverso l’informale e la Pop art) «fino ad approdare – spiegano da Arthemisia - in una nuova veste davanti a noi, con i buchi e le lacerazioni della materia impressi da questo lungo viaggio nel tempo».
«Le signore dell’arte» è, invece, il titolo della mostra, per la curatela di Anna Maria Bava, Gioia Mori e Alain Tapié, con cui Milano rende omaggio, nelle sale di Palazzo Reale, alle più grandi artiste vissute tra ‘500 e ‘600: Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani, Fede Galizia, Giovanna Garzoni e molte altre, anche poco note, come la nobildonna romana Claudia del Bufalo.
L'esposizione allinea, nello specifico, oltre centocinquanta opere di trentaquattro artiste, provenienti da sessantasette enti prestatori, tra cui - per rimanere nella sola Italia - le gallerie degli Uffizi, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, il Castello Sforzesco, la Galleria nazionale dell’Umbria, la Galleria Borghese, i Musei reali di Torino e la Pinacoteca nazionale di Bologna.
Tra le opere esposte, ci sono la pala della «Madonna dell’Itria» di Sofonisba Anguissola, che non ha mai lasciato prima d’ora la Sicilia, la «Madonna Immacolata e san Francesco Borgia» di Rosalia Novelli, unica opera certa del catalogo dell’artista, e la tela «Matrimonio mistico di Santa Caterina» di Lucrezia Quistelli. Ma lungo il percorso espositivo si possono ammirare anche la «Consacrazione alla Vergine» di Lavinia Fontana, la «Giovane donna in vesti orientali» di Ginevra Cantofoli e l’iconica «Giuditta con la testa di Oloferne» di Fede Galizia.
Tre progetti espositivi di indubbio fascino si svelano così, grazie all’innovativo progetto di Arthemisia, anche agli occhi di chi, a causa della pandemia, non potrà spostarsi con agilità tra Bologna, Milano e Roma, rendendo un po’ più luminosi questi tempi bui per il mondo della cultura.



Didascalie delle immagini 
[Figg. 1, 2, 3  e 4] Inaugurazione della mostra «Monet e gli Impressionisti» al Palazzo Albergati di Bologna; [fig. 5] Fede Galizia, Giuditta con la testa di Oloferne, 1601. Olio su tela, 123x92 cm. Ministero per i beni e le Attività culturali e per il Turismo – Galleria Borghese; [fig. 6] Ginevra Cantofoli, Giovane donna in vesti orientali, seconda metà del XVII secolo. Olio su tela, 65x50 cm. Padova, Museo d'arte medioevale e moderna, legato del Conte Leonardo Emo Capodilista, 1864; [fig. 7] Elisabetta Sirani, Cleopatra, 1664 circa. Olio su tela, 110x91 cm. Collezione Privata
Art.live! con Monet. Acquisto su www.arthemisia.it o www.palazzoalbergati.com (acquisto possibile fino alle ore 14.00 del giorno di svolgimento della visita): Biglietto: 5€ (+ diritti d'agenzia). Modalità di partecipazione: App Zoom. Date e orari: - 24 gennaio, ore 18.00; - 31 gennaio, ore 18.00; 7 febbraio, ore 18.00; 14 febbraio, ore 18.00; 21 febbraio, ore 18.00; 28 febbraio, ore 18.00; 18 marzo, ore 19.00, con lo storico dell’arte Leonardo Catalano; 21 marzo, ore 18.00, con l’esperto d’arte Sergio Gaddi; giovedì 1° aprile, ore 19.00, con lo storico dell’arte Leonardo Catalano; sabato 3 aprile, ore 18.00, con l’esperto d’arte Sergio Gaddi; sabato 3 aprile, ore 18.00, con l’esperto d’arte Sergio Gaddi; domenica 11 aprile, ore 19.00, con lo storico dell’arte Leonardo Catalano; domenica 18 aprile, ore 19.00, con l’esperto d’arte Sergio Gaddi, domenica 25 aprile, ore 19.00, con l’esperto d’arte Sergio Gaddi. Istruzioni per partecipare:  - acquistare la visita su www.arthemisia.it o www.palazzoalbergati.com (*se si tratta di un regalo a terzi, specificare nei campi appositi i dati del partecipante all’evento: nome, cognome e email) | - a partire dalle ore 15.00 del giorno dell’evento, riceverete da Zoom la mail con il link e le credenziali di accesso per partecipare alla visita in diretta. In ogni caso, un’ora prima della partenza del tour, verrà inviata una mail di promemoria | - scaricare la app Zoom | - accedere a Zoom cliccando sul link ricevuto o inserendo le credenziali indicate |- momento Q&A alla fine della visita  (aggiornato sabato 3 aprile 2021, alle ore 11.30)

venerdì 22 gennaio 2021

Giornata della memoria 2021, su RaiUno e Rai Play il film «#AnneFrank. Vite parallele»

«…E cerco un mezzo per diventare come vorrei essere e come potrei essere se… non ci fossero altri uomini al mondo». Si chiude così il «Diario» di Anna Frank. È il 1° agosto del 1944. La giovane scrive per l’ultima volta a Kitty, la sua amica immaginaria. Le racconta le sue frustrazioni di ragazzina, il suo sentirsi «un fastello di contraddizioni», le insicurezze che la rende sorella di tanti coetanei adolescenti di tutti i tempi. Tre giorni dopo, il 4 agosto 1944, la Gestapo entra nell’appartamento segreto di Amsterdam, in cui la ragazza si nasconde con la famiglia per sfuggire alla persecuzione nazista. L’unica colpa di Anna Frank è di essere ebrea in un mondo che crede nella superiorità della razza ariana e che considera nemico ciò che è diverso. 
La giovane viene deportata nel campo di concentramento nazista di Bergen Belsen, dove muore di stenti tra il febbraio e il marzo del 1945, insieme alla sorella Margot, a causa di un’epidemia di tifo. Di lei ci rimangono poche foto e un diario, pubblicato per la prima volta nel 1947 in tremila copie, per volontà del padre Otto, con il titolo «Het Achterhuis» («Il retrocasa»).
Sono quelle pagine, la cui fama circola presto in tutta Europa (la prima edizione italiana è del 1954 e vede la prefazione di Natalia Ginzburg per Einaudi), a restituirci il volto di una ragazzina che sogna di diventare scrittrice e che conquista i lettori con il suo strenuo ottimismo e la sua toccante fede nell'umanità a dispetto dei tempi oscuri. «...È un gran miracolo - si legge, infatti, nel «Diario» - che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell'intima bontà dell'uomo che può sempre emergere...»
In occasione della Giornata della memoria 2021, la storia di Anna Frank rivive in un documentario, realizzato da 3D Produzioni e Nexo Digital, in partecipazione con Rai Cinema Channel e in collaborazione con l’Anne Frank Fonds di Basilea e con il Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa. Si tratta di «#AnneFrank. Vite parallele», film scritto e diretto da Sabina Fedeli e Anna Migotto, con la colonna sonora di Lele Marchitelli, nel quale veste i panni di guida d’eccezione Helen Mirren, premio Oscar® come migliore attrice per «The Queen». 
Il documentario andrà in onda sabato 23 gennaio, in seconda serata e in prima visione assoluta, su RaiUno; mentre alcuni spezzoni sono già disponibili in anteprima su Rai Play
Come sarebbe stata la vita di Anna Frank se avesse potuto vivere dopo Auschwitz e Bergen Belsen? Cosa ne sarebbe stato dei suoi desideri, delle speranze di cui scriveva nei suoi diari? Cosa ci avrebbe raccontato della persecuzione, dei campi di concentramento? Come avrebbe interpretato la realtà attuale, il rinascente antisemitismo, i nuovi razzismi? Sono tante le domande che ci vengono in mente ripensando alla giovane donna che più di altre è, nell'immaginario collettivo, simbolo della Shoah, la cui storia verrà raccontata da Helen Mirren attraverso le pagine del «Diario», un testo straordinario che ha fatto conoscere a milioni di lettori in tutto il mondo la tragedia del nazismo, pur non raccontandola in maniera diretta.
A fare da sfondo al documentario è la camera del rifugio segreto di Amsterdam, in cui la ragazzina resta nascosta per oltre due anni. Quella stanza è il cuore della memoria. Per questo motivo è stata nuovamente ricostruita nei minimi dettagli dagli scenografi del Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, fondato da Giorgio Strehler, permettendoci così di ritornare in quel 1942, in cui inizia la storia di Anna Frank nel rifugio olandese. Nella stanza ci sono gli oggetti della sua vita, le fotografie con cui aveva tappezzato le pareti, i quaderni su cui scriveva.
La vicenda della ragazza si intreccia con quella di altre sopravvissute all’Olocausto, bambine e adolescenti come lei, con la stessa voglia di vivere e lo stesso coraggio: Arianna Szrenyi, Sarah Lichtsztejn-Montard, Helga Weiss e le sorelle Andra e Tatiana Bucci.
L’attrice Martina Gatti, simbolo delle tante teenager che si sentono ancora vicine ad Anna, ci conduce nei luoghi che hanno fatto da scenario alle storie di queste giovani. Viaggia per l'Europa, dal campo di concentramento di Bergen-Belsen in Germania al Memoriale della Shoah di Parigi. Scatta selfie. Scrive post. Compila una sorta di diario digitale, fatto di hashtag ed sms, capace di parlare ai suoi coetanei: un modo immediato per mettere in relazione le tragedie passate con il presente, per capire quale sia oggi l’antidoto contro ogni forma di razzismo, discriminazione e antisemitismo.
È la curiosità di questa giovane donna, la sua voglia di non restare indifferente, a farci riscoprire l’assoluta contemporaneità delle parole di Anna Frank, ma anche la potenza delle voci di chi ancora può ricordare: Arianna, Sarah, Helga, Andra e Tatiana. Come la giovane tredicenne di Francoforte, queste donne hanno subito, da giovanissime, la persecuzione e la deportazione. A loro è stata negata l’infanzia. Hanno perduto nei lager madri, padri, fratelli, amici, amori. I loro racconti danno così voce al silenzio del «Diario», a quello che avrebbe ancora potuto raccontare Anna Frank se fosse sopravvissuta o se avesse avuto il diario con sé dopo l’arresto del 4 agosto 1944.
I diari si intrecciano: alle emozioni di Katerine nel suo viaggio rispondono le riflessioni forti e inaspettate di Anna che vive il mondo dal chiuso della sua stanza. Così la Storia arriva potente e attuale ai ragazzi di oggi, isolati nel lockdown, consegnando loro un messaggio di resistenza e di fiducia nell'uomo, nonostante e malgrado tutto.
In occasione della prima televisiva e della seconda serata di RaiUno è stato riaperto il Piccolo Teatro di Milano, dove è stata nuovamente ricostruita la stanza di Anna Frank, già utilizzata come set nel docu-film. 
In questo luogo della memoria, si alterneranno molte testimonianze di intellettuali italiani, messi in dialogo con le paure, le speranze e la voglia di vivere dell’autrice del «Diario». 
A tal proposito Duilio Giammaria, direttore di Rai Documentari, ha commentato: «questo documentario ci ha dato l’opportunità di far rivivere l’esperienza e le emozioni che questa stanza porta con sé anche alla società civile italiana, che ha risposto a gran voce. Tanti talenti del mondo dello spettacolo, della cultura, del giornalismo, dell’associazionismo, hanno aderito al nostro invito. Solo per citarne alcuni: Ferruccio De Bortoli, Maurizio Molinari, Carla Fracci, Beppe Sala, Emilio Isgrò, Massimo Recalcati, Linus, Gherardo Colombo, don Gino Rigoldi, Antonio Albanese, Giuliano Pisapia, Gad Lerner, monsignor Gianantonio Borgonovo, Claudio Longhi». Questi interventi saranno proposti come anteprima del documentario «#AnneFrank. Vite parallele», antidoto contro ogni forma di razzismo, ma anche - a sorpresa - invito alla resistenza culturale lanciato da uno dei luoghi simbolo del teatro italiano, il Piccolo di Milano, che come tutto il mondo dello spettacolo sta soffrendo per la crisi causata dal Coronavirus, per l'assenza di pubblico nella sua platea e di attori sul suo palco. (sam)

Per saperne di più

giovedì 21 gennaio 2021

Stampata in Alto Adige l’opera «Around Guernica, 2009/2020» di Ballester in mostra al Guggenheim di Bilbao

C’è un’azienda italiana dietro all’ultimo lavoro di José Manuel Ballester. Si tratta della Durst Phototechnik S.p.A di Bressanone, realtà dell’Alto Adige leader mondiale nella produzione di sistemi di stampa inkjet per applicazioni industriali. Si avvale, infatti, della precisione e della versatilità della tecnologia Durst la riproduzione a grandezza naturale di «Guernica», il celebre dipinto a olio su tela firmato da Pablo Picasso, reinterpretato dal noto fotografo e artista spagnolo con l’opera «Around Guernica, 2009/2020», attrazione principale della mostra «2020/03/15 José Manuel Ballester», ospitata fino al prossimo 21 febbraio al Museo Guggenheim di Bilbao.
L’opera picassiana, dedicata alle vittime del bombardamento subito durante la Guerra civile spagnola, è considerata da molti critici d'arte come uno dei dipinti contro i conflitti bellici più toccanti e potenti della storia.
«Around Guernica, 2009/2020» è una versione svuotata del capolavoro di Picasso che trasmette uno sguardo aggiornato sull'evento storico e sulla tragedia umana.
Con questo lavoro, Ballester aggiunge una nuova opera d'arte al progetto «Hidden Spaces», iniziato più di dieci anni fa, quando decise di indagare gli spazi architettonici e naturali di alcune delle opere più importanti della storia come «The Meninas» o «Il giardino delle delizie», eliminandovi uomini e animali.
Il nuovo lavoro dell’artista spagnolo affronta, dunque, l'assurdità della violenza umana e delle guerre, ma in questa occasione Ballester mantiene un elemento ‘vivo’: il fiore, che era già presente nella pittura originale e che simboleggia la speranza, anche per questi tempi difficili che stiamo vivendo.
Per la realizzazione dell'opera, il Museo Guggenheim di Bilbao si è rivolto a Estudios Durero -azienda che immagina, crea e sviluppa nuove forme di produzione grafica utilizzando la tecnologia Durst-, per stampare il Picasso rielaborato su un materiale di lino unico, tessuto a mano con uno speciale rivestimento bianco, delle dimensioni totali di 3,5 x 7,8 metri.
L’artista Ballester e l’azienda iberica hanno trascorso una giornata nel Customer Experience Center della Durst di Bressanone per stampare l’ opera con una Durst Rho 512 a sei colori
Il lavoro ha presentato un’importante criticità: il materiale disponibile era sufficiente per una sola tiratura, il che significava non poter effettuare prove di stampa, né commettere errori. Una sfida, questa, che l’azienda altoatesina ha vinto. «Il supporto di lino appositamente preparato per questa stampa artistica ci è stato fornito nelle misure esatte per la realizzazione del progetto. Non potevamo sbagliare. E i risultati parlano da soli. I visitatori della mostra sono rimasti stupiti dall'eccezionale qualità di stampa, oltre che ovviamente dalla bellezza dell’opera», racconta a tal proposito Christian Harder, Head of Graphics di Durst Group. Rafael Carbonell, amministratore delegato di Durst Iberica, ha aggiunto un altro dato importante per capire il valore del lavoro fatto: «quando stampi solo nero, grigio e bianco, la qualità deve essere eccezionalmente alta per conferire all’arte il suo vero valore».
Accanto a «Around Guernica, 2009/2020», i visitatori del Museo Guggenheim di Bilbao possono ammirare una selezione di fotografie di grandi dimensioni, scattate durante i giorni più duri della pandemia, nelle settimane del lockdown della scorsa primavera, che riflettono le strade e gli spazi deserti di Bilbao come il ponte La Salve, Elcano, la metropolitana e Calle Bailén, proiettando un’immagine quasi irreale che potrebbe rappresentare la situazione di quei giorni in qualsiasi parte del mondo. 
Nelle parole di Ballester, che ha avuto un permesso speciale per realizzare il reportage, si legge la tragica irrealtà di quelle settimane: «l’assenza umana per le strade ha creato immagini insolite di strade, viali e piazze completamente vuote, ma la parte più inquietante era sapere che tutti gli abitanti erano lì, che erano a pochi metri da me, protetti entro le mura delle loro case. Nonostante fosse così vicino, il silenzio regnava sovrano». Un silenzio parlante, che è una delle cifre stilistiche più evidenti della produzione di Ballester. 

Per saperne di più
https://www.guggenheim-bilbao.eus/
https://www.durst-group.com/

mercoledì 20 gennaio 2021

Porte aperte nei musei della Toscana. Sul pennone del Centro Pecci sventola la bandiera di Jeremy Deller; a Manifattura Tabacchi arriva l'omaggio a Pier Luigi Nervi

Dai giardini di Boboli al Museo Fattori di Livorno, dalla Certosa di Calci al Museo nazionale del Bargello, dalla Villa Medicea di Poggio a Caiano al Maec di Cortona, dall’Opificio delle pietre dure alla Casa Carducci di Valdicastello, dal Palazzo Blu di Pisa alle Residenze napoleoniche di Portoferraio: sono molti i luoghi d’arte della Toscana che in questi giorni sono tornati a ospitare i visitatori, in ottemperanza al Dpcm del 14 gennaio 2021 che ufficializza l’apertura dei musei nelle regioni in zona gialla.
Ingressi contingentati con prenotazione obbligatoria, mascherina, distanziamento sociale e apertura nei soli giorni feriali, dal lunedì al venerdì, sono le regole fissate per questa timida ripartenza dei luoghi della cultura, che vede ancora chiusi su tutto il territorio nazionale teatri e cinema.
In attesa di poter tornare tra le sale di uno dei musei fiorentini più amati nel mondo, gli Uffizi, la cui riapertura è fissata per la mattinata di giovedì 21 gennaio, sta per tornare accessibile uno degli spazi culturali della regione natale di Dante Alighieri che più di altri ha vivacizzato il dibattito culturale in questi lunghi mesi di lockdown: il Centro Luigi Pecci di Prato, diretto da Cristiana Perrella.

Da «Protext!» a «Litosfera», i progetti espositivi del Centro Pecci per la ripartenza

Il museo riapre da mercoledì 20 gennaio con la collettiva «Protext! Quando il tessuto si fa manifesto», prorogata fino al 14 marzo. Attraverso il lavoro di Pia Camil, Otobong Kkanga, Vladislav Shapovalov, Tschabalala Self, Marinella Senatore, Serapis Maritime e Güneş Terkol, la mostra esplora il ruolo del tessuto non solo nei dibattiti critici su lavoro, identità e cambiamento ambientale, ma anche come medium per eccellenza nella rappresentazione del dissenso. In occasione della riapertura sarà disponibile la pubblicazione di Nero Editions in due volumi: il catalogo della mostra, con il testo critico delle curatrici Camilla Mozzato e Marta Papini, le interviste agli artisti, le biografie e le fotografie delle opere esposte, e  un vero e proprio libro d’artista firmato da Marinella Senatore, introdotto da Cristiana Perrella.
Tornerà visibile anche il progetto «Litosfera», prorogato fino al 18 aprile, che mette in dialogo il video «A Fragmented World» (2016) di Elena Mazzi e Sara Tirelli con l’installazione ambientale «Produttivo» (2018-2019) di Giorgio Andreotta Calò. Si tratta di due progetti nati dal desiderio di rappresentare forze e materie che nel corso di ere geologiche hanno dato forma al nostro pianeta. Proseguirà anche l’esposizione della nuova acquisizione «RAID», video di Marcello Maloberti.
Dato il grande successo di pubblico e critica, si è deciso di prorogare fino al 30 gennaio anche «Jacopo Benassi. Vuoto», la prima personale in un museo dedicata al fotografo ligure. La riapertura della mostra, accompagnata dalla pubblicazione del libro «Fags», diventa l’occasione per rilanciare la campagna di fundraising: acquistando una fotografia di Benassi a tiratura limitata, sarà possibile sostenere le attività del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci.
In occasione della riapertura, per «Extra Flasg», sul pennone davanti al Centro Pecci verrà issata una nuova bandiera, quella di Jeremy Deller (Londra, 1966), intitolata «A flag for a new Pangolin Nation»
La bandiera riporta quello che l’artista considera come l’animale forse più perseguitato al mondo, indicato da alcuni centri di ricerca come il probabile ospite intermedio che ha consentito il passaggio del virus Covid-19 dal pipistrello all’uomo. Dedicargli una bandiera è dedicarla al capro espiatorio, alla vittima inconsapevole, ma è anche un commento sarcastico sulle strumentalizzazioni politiche nazionaliste e populiste generate dalla pandemia. 
Come sempre nel suo lavoro, Jeremy Deller, vincitore del prestigioso Turner Prize nel 2004, attiva anche qui un dialogo trasversale che cortocircuita tra significati opposti, creando un’immagine allo stesso tempo ironica e provocatoria, che rivela il rimosso dei nostri sistemi di convivenza ed espressione.
In parallelo alla riapertura fisica delle sale del museo, prosegue il palinsesto digitale «Pecci on»: un programma creato per alimentare il pensiero critico e il confronto con la scena culturale globale, ma anche un modo per sottolineare come un’istituzione d’arte contemporanea come il Centro Pecci abbia la vocazione e il ruolo di catalizzatore per la propria comunità, di antenna che capta il presente attraendo idee, voci, artisti per leggere le evoluzioni del nostro tempo per restituirle amplificate al territorio e al mondo.
«Abbiamo già dimostrato come un luogo della cultura possa essere un presidio importante e sicuro per la collettività in un periodo difficile come quello che stiamo tutti vivendo – ha dichiarato Cristiana Perrella, direttrice del Centro Pecci, a proposito di questo nuovo inizio –. Con la riapertura vogliamo continuare a dare un segnale positivo di energia e accoglienza. Le nostre procedure di sicurezza sono state sempre accurate: siamo un museo grande, con sale ampie e spazi esterni importanti, in cui il distanziamento fisico e la gestione contingentata del flusso di visitatori sono facili da attuare. Riaprire le porte del museo al pubblico è un’opportunità per aumentare la familiarità con il museo e con il suo ruolo di servizio d’interesse generale, per offrire ai cittadini cibo per la mente e una forma di socialità e condivisione sicura, in un momento in cui ce n’è un enorme bisogno». 
Il museo sarà visitabile dal mercoledì al venerdì dalle 12.00 alle 20.00; l’ingresso sarà gratuito per le prime due settimane, fatta eccezione per la la mostra «Protext! Quando il tessuto si fa manifesto», per la quale è stata pensata un biglietto a prezzo ridotto.

Manifattura Tabacchi apre la mostra «Pierluigi Nervi. Architettura come sfida»
Firenze riparte, tra l’altro, da una mostra su Pier Luigi Nervi, progettista e al tempo stesso costruttore, uomo di cultura del suo tempo alla continua ricerca di una assoluta padronanza del mezzo tecnico per infondere bellezza nel costruito.
«Architettura come sfida», questo il titolo della rassegna in programma dal 25 gennaio, allinea plastici, copie dei disegni originali, un ampio corredo fotografico di immagini di cantiere e foto di attualità, che illustrano, capitolo dopo capitolo, l’intero percorso creativo di Nervi e guidano i visitatori all'esplorazione dei principali lavori della sua attività: dal cinema-teatro Augusteo di Napoli, una delle opere a lui più care, alla sede dell'Unesco a Parigi, dall'Aula Paolo VI in Vaticano alla Torre della Borsa di Montreal, per approdare all' ultimo progetto realizzato, l'Ambasciata Italiana a Brasilia, concepito nel 1969 insieme con il figlio Antonio.
La mostra, per la quale è stato pensato anche il progetto digitale «Cinema Nervi», approfondisce, tra le altre opere di Nervi, due opere legate alla storia di Firenze: lo Stadio municipale Berta del 1932 e, ovviamente, Manifattura Tabacchi. L'architettura, costruita tra il 1933 e il 1940 su progetto dei tecnici del Monopolio, presenta linee architettoniche e strutture di modernità ed eleganza tali che hanno fatto ipotizzare la mano di Pier Luigi Nervi. Il recupero in atto è affrontato nel rispetto materiale e figurale del bene, in assidua collaborazione con la Soprintendenza, e affronta le note difficoltà concettuali e metodologiche proprie della conservazione dell’architettura moderna.
Il complesso sarà recuperato secondo un masterplan risultato dai contributi successivi di Concrete, Sanaa, Studio Mumbai e q-bic, che si propone di preservare lo spirito industriale dell’architettura storica con interventi di carattere contemporaneo capaci di valorizzare la monumentalità degli edifici e la qualità unica degli spazi e dei materiali. Particolare attenzione è posta nella progettazione del paesaggio, affidata al paesaggista Antonio Perazzi, dove il verde è inteso come dispositivo di rigenerazione che si riappropria dello spazio nell’ex fabbrica di sigari per creare aree comuni accoglienti, confortevoli e favorevoli all’aggregazione.
L’ambizioso progetto di riqualificazione, avviato nel 2016, si propone di dar vita a un nuovo quartiere per la città e un centro per la cultura contemporanea, l’arte e la moda che sia complementare al centro storico, aperto a tutti e connesso col mondo.
A Firenze si racconta così la storia di un progettista che, trent’anni fa, ha scritto pagine importanti per il futuro dell’architettura, mettendo la grande tradizione artigianale italiana al servizio della prefabbricazione e delle dimensioni monumentali.

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2,3,4 e 5] Centro Pecci di Prato. Foto di Margherita Villani; [figg. 6,7 e 8] Manifattura Tabacchi di Firenze. Foto di Massimo Sestini

Informazioni utili