ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 21 maggio 2021

«Come vivremo insieme?» La Biennale di architettura immagina il mondo post-pandemia

«Insieme»: è questa la parola d’ordine della diciassettesima edizione della Mostra internazionale di architettura – La Biennale di Venezia, in programma dal 22 maggio al 21 novembre. Lo dichiara con chiarezza il titolo della rassegna scelto dal curatore, l’architetto e ricercatore libanese di nascita e statunitense d’adozione Hashim Sarkis, docente universitario e preside dal 2015 della School of Architecture and Planning del Massachussetts Institute of Technology. «How will we live together?», ovvero «Come vivremo insieme?», è, infatti, la domanda - contemporaneamente «sociale, politica e spaziale» - sotto cui sono state riunite le proposte dei centododici artisti ospiti (non solo architetti, ma anche scienziati, ricercatori, costruttori, ingegneri, artigiani), provenienti da quarantasei Paesi di tutto il mondo, con una significativa rappresentanza da Africa, America Latina e Asia e con una uguale presenza di uomini e di donne. Sembra quasi difficile credere che questo titolo, tanto attuale quanto profetico, sia stato scelto solo pochi mesi prima dello scoppio della pandemia da Covid-19, una sfida imprevista e inimmaginabile per tutti noi che ci ha portato a rivedere il nostro concetto di abitare e di essere comunità. Anche se – precisa Hashim Sarkis nella presentazione – la domanda non è solo urgente, ma è anche antica; fa parte della storia dell’uomo: «i babilonesi la posero nel costruire la loro torre. L’ha posta Aristotele quando scriveva di politica. La sua risposta è stata ‘la città’. La posero le rivoluzioni francese e americana. Sullo sfondo tumultuoso dei primi anni Settanta del secolo scorso, Timmy Thomas lo implorò nella sua canzone ‘Why Can’t We Live Together?’».
La mostra è organizzata in cinque «scale» (o aree tematiche), tre allestite all’Arsenale e due al Padiglione centrale, che si intitolano rispettivamente «Among Diverse Beings», «As New Households», «As Emerging Communities», «Across Borders» e «As One Planet».
A completare il progetto espositivo ci sono, poi, la rassegna «How will we play together?» a Forte Marghera, con cinque installazioni in legno e acciaio che riflettono sul valore del gioco nella nostra vita quotidiana, e una serie di partecipazioni fuori concorso, tra cui una collettiva di Studio Other Spaces (rappresentato da Olafur Eliasson e Sebastian Behmann), un’istallazione esterna ai Giardini dedicata allo sport, e un evento speciale della Vuslat Foundation, che per l’occasione porta in Laguna, all’Arsenale, «Idea di pietra – Olmo», un’opera di Giuseppe Penone.
La diciassettesima edizione della Biennale di architettura vede, inoltre, rinnovarsi per il quinto anno consecutivo la collaborazione con il Victoria and Albert Museum di Londra, che presenta, alla Sala d’Armi, la mostra «Three British Mosques», a cura di Christopher Turner ed Ella Kilgallon, un percorso nel multiculturalismo contemporaneo attraverso la presentazione di tre spazi britannici adibiti a moschee: Brick Lane, in precedenza una cappella protestante e poi una sinagoga, Old Kent Road, collocata in un vecchio pub, e Harrow Central, costruzione situata di fianco alla casa a schiera che precedentemente ospitava il luogo di culto.
L’offerta espositiva si completa, infine, con diciassette eventi collaterali, sparsi per l’intera città, tra cui la mostra «Tropicalia - Architecture, Materials, Innovative Systems», organizzata da Zuecca Projects e Coldefy allo Squero Castello, nella quale verrà presentata la serra più grande del mondo, la cui costruzione è prevista per il 2024 sulla Côte d’Opale (in Francia): una meravigliosa «bolla» naturale, abitata da splendide farfalle e colibrì che svolazzano da un fiore all'altro. 
Escono fuori dai Giardini e dall’Arsenale anche i Padiglioni nazionali. Quest’anno sono sessantuno gli Stati che hanno deciso di portare i propri progetti in Laguna, tre dei quali sono al loro debutto alla Biennale di architettura: Grenada, Iraq e Uzbekistan. Come vivremo in un contesto politico caratterizzato da divergenze sociali sempre più ampie e da diseguaglianze economiche e razziali sempre maggiori? Che cosa accadrà con l’intensificarsi della crisi climatica? Come affronteremo il problema della carenza di un bene primario come l’acqua? Ci saranno veramente persone costrette ad abbandonare la loro terra, ormai diventata inospitale, e che cosa comporterà questa nuova situazione? Sono alcune delle domande alle quali prova a rispondere il percorso espositivo, arricchito dai «Meetings on Architecture», incontri con architetti e studiosi di tutto il mondo, il cui calendario in costante aggiornamento può essere consultato sul sito della Biennale di Venezia.
Tra installazioni di grande impatto e visioni sul post-umano, tra opere ispirate alla natura e riflessioni su quello che rischiamo di perdere, gli artisti in mostra sembrano dirci che le sfide del futuro devono essere affrontate con tempestività, creatività, generosità, speranza e un forte senso di comunità. In un momento storico nel quale la distanza sembra essere una condizione di sicurezza, Hashim Sarkis ci ricorda, infatti, che nessun uomo è un’isola e che il nostro domani, non solo architettonico, lo scriveremo – lo dobbiamo scrivere - insieme. «Insieme - si legge nella presentazione - come esseri umani che, nonostante l'individualità crescente, desiderano ardentemente connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale; - insieme come nuovi nuclei familiari alla ricerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi; - insieme come comunità emergenti che reclamano equità, inclusione e identità spaziale; - insieme oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione; - insieme come pianeta che sta affrontando crisi che esigono un’azione globale affinché tutti noi continuiamo a vivere».

Didascalie delle immagini
Foto Marco Zarzonello. Courtesy La Biennale di Architettura

Informazioni utili
«How will we live together?». 17. Esposizione internazionale d'arte. Giardini e Arsenale - Venezia.Orari:2 maggio > 31 luglio, ore  11.00 – 19.00 (ultimo ingresso alle ore 18.45); 1 agosto > 21 novembre, ore 10.00 – 18.00 (ultimo ingresso alle ore 17.45); chiuso il lunedì (escluso lunedì 24 maggio, 6 settembre, 1° novembre) . Ingresso: intero € 25,00,  ridotto € 20,00 (over 65, residenti comune di Venezia - con verifica di un documento di identità valido agli ingressi),  ridotto studenti e/o under 26 € 16,00 (con verifica di un documento di identità valido agli ingressi); i costi degli altri biglietti sono disponibili sul sito internet | i biglietti sono acquistabili unicamente on-line. Catalogo ufficiale, catalogo breve e guida: Marsilio editore, Mestre. Informazioni: tel. 041.5218828. Sito internet: www.labiennale.org. Dal 22 maggio al 21 novembre 2021.

giovedì 20 maggio 2021

In cammino con Dante: a Verona sulle tracce del «Sommo Poeta»

Il «primo rifugio e 'l primo ostello»: così Dante Alighieri nel «Paradiso», al verso 70 del canto XVII, definisce Verona, la città che lo accolse dopo l’esilio da Firenze. Qui, all'ombra dello stemma scaligero adorno delle ali dell'aquila imperiale, lo scrittore visse circa sette anni: dal 1303 al 1304, a casa di Bartolomeo della Scala, e dal 1312 al 1318, ospitato dal fratello Cangrande. Qui trovò ispirazione per la sua opera più celebre: la «Divina Commedia». 
In occasione dei settecento anni dalla morte del poeta, il Comune di Verona propone un’inedita mostra diffusa, che permette di scoprire lo scrittore in maniera inusuale, percorrendo le sue stesse strade, contemplando un paesaggio, entrando nei palazzi, visitando le chiese, osservando le immagini dipinte e scolpite che, oltre settecento anni fa, lo stesso Dante poté scoprire e ammirare.
Il percorso e le tappe della mostra diffusa sono contenuti e illustrati in un'agile mappa cartacea, preziosa guida che conduce i visitatori alla scoperta dei luoghi direttamente legati alla presenza di Dante e dei suoi figli ed eredi, che ancora oggi risiedono a Gargagnago in Valpolicella, ma che permette anche di scoprire la tradizione dantesca, che nei secoli continuò ad alimentarsi e a crescere, fino a diventare, nell'Ottocento, punto di riferimento per l’identità nazionale. 
Ogni luogo dantesco della mappa è segnalato in situ con un apposito pannello; con un semplice tocco sul proprio cellulare tramite QRcode, il visitatore potrà accedere a un'espansione digitale dei contenuti della mappa, ulteriore approfondimento del proprio itinerario. 
Prima tappa del percorso è piazza dei Signori, cuore della città, dove è collocata una statua del poeta, in marmo di Carrara, realizzata dallo scultore Ugo Zannoni nel 1865 e recentemente sottoposta a un accurato intervento di restauro. La storia racconta che l’opera, commissionata in occasione del sesto centenario della nascita di Dante, fu inaugurata la notte tra il 13 e il 14 maggio alle 4 del mattino per scongiurare la censura degli austriaci, allora al governo della città scaligera.
La visita può proseguire verso Palazzo della Ragione, edificio costruito verso la fine del XII secolo quale palazzo comunale, uno tra i primi in Italia, che oggi ospita la Galleria d’arte moderna «Achille Forti».
In questi spazi, la mostra diffusa trova un prezioso raccordo e ulteriori sviluppi tematici a carattere storico-artistico nelle esposizioni in programma. Si inizia con «La mano che crea. La galleria pubblica di Ugo Zannoni», a cura di Francesca Rossi. Si proseguirà in estate, dall’11 giugno al 3 ottobre, con «Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona», a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli. La mostra presenta una significativa selezione di opere d’arte e testimonianze storiche dal Trecento all’Ottocento, che permettono di approfondire due precisi fulcri tematici: il rapporto tra Dante e la Verona di Cangrande della Scala e il successivo revival sette-ottocentesco della «Divina Commedia» e di un Medioevo ideale, ma anche il mito, tutto scaligero e shakespeariano, di Giulietta e Romeo.
Si può, quindi, proseguire verso Palazzo del Capitanio, inizialmente residenza scaligera e costruzione recente ai tempi di Dante, quindi sede, sotto il dominio della Serenissima (1405-1796), del Capitano veneto – da qui il nome attuale – e poi, dal tardo Ottocento, degli uffici giudiziari.
Si può, poi, fare tappa al Palazzo della Provincia, oggi sede della Prefettura, dimora fatta costruire da Cangrande della Scala, e alle Arche Scaligere, sepolcro nella chiesa di Santa Maria Antica, dove sono conservate le spoglie mortali di Alberto I (morto nel 1301) e dei suoi figli Bartolomeo I (1304), Alboino (1311) e Cangrande (1329). L’arca di Bartolomeo si distingue per l’insegna della scala sormontata da un’aquila. Di Cangrande restano sia il primo sarcofago, dove fu deposto subito dopo la morte improvvisa e misteriosa (l’enigma sarà svelato prossimamente dall’indagine sul DNA condotto dalle Università di Verona e di Firenze in collaborazione con il Civico museo di storia naturale di Verona), sia il sontuoso monumento che gli fece realizzare Mastino II, suo nipote, sopra la porta della chiesa, quando diede avvio alla trasformazione monumentale e dinastica del cimitero.
Sempre sulle orme dell’Alighieri, si arriva, quindi, alla chiesa di San Zeno Maggiore, capolavoro del romanico lombardo. Sul fianco sud dell’edificio religioso, c’è un’epigrafe incisa che ricorda l’abate Gerardo, figura citata dal poeta nel XVIII canto del «Purgatorio», e le opere da lui promosse al tempo del Barbarossa.
Di qui si prosegue per Sant’Elena, adiacente alla Cattedrale, che conserva in buona parte la sua compagine altomedievale. Il 20 gennaio 1320, Dante tenne in questa sede una lezione pubblica per spiegare il fenomeno dell’emersione delle terre sopra la superficie dell’acqua. Forse sperava di conquistare così l'ammissione all'insegnamento nello Studio, la scuola superiore di Verona che stava diventando una rinomata Università, ma gli venne preferito il maestro di logica Artemisio. Alla fine del testo della «Questio de aqua et terra» si legge: «[…] definita da me, Dante Alighieri, il minimo dei filosofi, durante il dominio dell’invitto Signore messer Cangrande della Scala, Vicario del Sacro Romano Impero, nell’inclita città di Verona, nel tempietto della gloriosa Elena […]».
Durante il suo primo soggiorno veronese, il poeta frequentò quasi certamente anche la Biblioteca Capitolare, una delle più antiche del mondo, il cui scriptorium era attivo forse già dal VI secolo. In queste sale, erano presenti, già allora, antichi manoscritti di alcuni fra i classici meno noti al Medioevo, come la «Naturalis Historia» di Plinio il Vecchio e le «Historiae» di Livio. I due autori sono citati in un breve passaggio del «De vulgari eloquentia», scritto tra il 1303 e il 1305, nel quale lo scrittore rivela che una «amichevole insistenza» lo invitava a consultarli («Quos amica sollicitudo nos visitare invitat»).
La mappa ci conduce, poi, verso tre chiese. Si inizia con Sant’Anastasia, solo un cantiere durante i soggiorni danteschi a Verona, che un tempo ospitava nel suo primo chiostro la più antica tomba veronese di famiglia degli Alighieri. Si prosegue a San Fermo Maggiore, anch’essa in costruzione negli anni in cui Dante era presente a Verona, che nel transetto destro della chiesa conserva l’elegante cappella funeraria che Pietro IV e Ludovico Alighieri, discendenti del poeta, fecero allestire a metà del Cinquecento. Infine, si può visitare Sant’Eufemia, legata a Dante solo per via indiretta: il teologo Egidio Romano espose nel suo «De regimine principum» – opera composta prima del 1285 – alcune teorie cosmologiche che il poeta avrebbe affrontato nella «Questio de aqua et terra». Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la «Questio» fosse un falso composto da qualche teologo di Sant’Eufemia e attribuito a Dante per avvalorare le dottrine del Romano. A Sant’Eufemia, inoltre, furono sepolti i figli di Guido Novello da Polenta, che ospitò Dante a Ravenna e che il poeta menziona nella sua «Egloga» a Giovanni del Virgilio.
Sulla mappa sono segnalati anche alcuni luoghi legati ai discendenti del poeta, da piazza delle Erbe, dove, secondo l’umanista Moggio Moggi, Pietro Alighieri, il figlio di Dante, recitò un capitolo in terzine sulla «Commedia», a San Michele Arcangelo, monastero di una comunità religiosa femminile benedettina dove presero i voti anche Alighiera, Gemma e Lucia, figlie di Pietro e di Jacopa Salerni. In questo elenco ci sono anche Palazzo Serego Alighieri, edificio dal caratteristico prospetto neoclassico, che al suo interno custodisce una statua di Dante, opera di Francesco Zoppi, e Villa Serego Alighieri, che è tuttora proprietà e residenza (non visitabile) dei discendenti del poeta.
L’ultima parte del percorso è, infine, una passeggiata tra i luoghi della tradizione dantesca. In questo elenco si trova il trecentesco Palazzo Marogna, che vantava, nel Cinquecento, un’articolata decorazione ad affresco – oggi purtroppo appena visibile – che, secondo il pittore ottocentesco Pietro Nanin, raffigurava due scene della «Commedia»: Dante che corre verso Virgilio, inseguito dalle fiere, e Beatrice su un carro, dipinta nell’atto di svelarsi il volto, secondo quanto riporta il XXXI canto del «Purgatorio». 
Tra i luoghi della tradizione c’è anche il Ponte di Veja, un poderoso arco naturale a Sant’Anna d’Alfaedo, la cui conformazione rimanda ai ponti in pietra del cerchio VIII dell’«Inferno», come ricordava, a fine Ottocento, il dantista tedesco Alfred Bassermann.
Tappa finale della mostra diffusa è Castelvecchio, che Dante non vide (fu costruito a partire dal 1354 per iniziativa di Cangrande II della Scala) ma che oggi accoglie, come sede museale, importanti testimonianze della Verona dell’età di Dante: sculture del Maestro di Sant’Anastasia, dipinti di stretta influenza giottesca, parte del corredo funerario della tomba di Cangrande della Scala e gli originali delle statue equestri di Cangrande e Mastino II, provenienti dalle Arche Scaligere. In queste sale è allestita anche la mostra «Dante negli archivi. L’Inferno di Mazur», a cura di Francesca Rossi, Daniela Brunelli, Donatella Boni, con 41 acqueforti e acquetinte ispirate alla prima cantica della «Divina Commedia». 
 Il percorso non è stato pensato solo per i turisti, ma anche per i veronesi che potranno così riscoprire luoghi simbolo della loro città, come portati per mano da Dante Alighieri. 

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiostro di San Zeno, Verona; [fig. 2] Basilica di San Zeno, Verona; [fig. 3] Piazza dei Signori, Verona; [fig. 4]  Ponte Veja. Foto di Gianni Crestani; [fig. 5] Verona. Foto di Fabio Tura; [fig. 6] Ga, Verona; [fig. 7] Museo di Castelvecchio, Verona; [fig. 8]  Luigi Ferrari (Venezia, 1810 - 1894) Busto di Dante, 1864. Marmo; 81 × 57 × 37 cm. Vicenza, Istituzione pubblica culturale Biblioteca civica Bertoliana. Opera esposta nella mostra «Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona», a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli

mercoledì 19 maggio 2021

«Time Out»: una mostra virtuale su Robert Breer, il pioniere del cinema sperimentale

Si può visitare anche on-line la mostra personale «Time Out», a cura di Vincenzo de Bellis e Micola Brambilla, che la Fondazione Antonio Dalle Nogare di Bolzano dedica a Robert Breer( Detroit, Michigan, USA, 1926 – Tucson, Arizona, USA, 2011), pioniere nelle tecniche di animazione e tra gli autori più innovativi nel cinema sperimentale.
Dai primi anni Cinquanta del Novecento al 2011, anno della morte, l’artista americano ha sempre eluso etichette formali, stilistiche e concettuali, focalizzandosi su una ricerca libera, ma allo stesso tempo estremamente coerente. Ha portato avanti sperimentazioni diverse, dalla pittura astratta al Fluxus, dal Pop al Minimalismo, senza però mai legarsi definitivamente ad alcuno di questi movimenti.
Attraverso la selezione di più di sessanta opere, la mostra esplora i principali temi che percorrono l’arte di Robert Breer, dalla pratica pittorica a quella filmica, per dare, infine, spazio a una corposa selezione di disegni e sculture.
In questo modo la rassegna, che ritorna visitabile in presenza dal 7 maggio per i possessori del Coronapass  e che è stata prorogata al 17 luglio, esplora l’approccio formale e concettuale con cui l’artista si è confrontato per oltre sessant’anni, celebrando l’eterogeneità che caratterizza la sua ricerca. La tensione che emerge tra immagine in movimento e immagine statica rivela una costante riflessione sulla possibilità di catturare il tempo, confondendo i confini tra rappresentazione astratta e figurata, movimento e staticità, oggetto e soggetto, nell’intento di mettere alla prova i limiti della nostra percezione.
La mostra virtuale permette di vedere l'intero corpus di opere in mostra a Bolzano, ma anche di approfondirne i contenuti con le audioguide in triplice lingua - italiano, inglese e tedesco -, realizzate dal personale di mediazione che opera all'interno del museo. Per l'occasione, inoltre, è stata pubblicata un'intervista video tra Vincenzo de Bellis, direttore artistico e curatore della fondazione, e Nathalie Boutin, della galleria gb agency, con base a Parigi, che svela interessanti retroscena sulla vita e sull'opera dell'artista sperimentale. Nella mostra virtuale è presente anche un estratto di un minuto del film «Form Phases IV» (1954), considerato uno dei più importanti dell'artista, e un contributo audio della co-curatrice Micola Brambilla.
Figlio di un ingegnere della Chrysler Corporation, Breer inizialmente studia ingegneria per passare poco dopo alla facoltà di arte della Stanford University (California), di cui è uno dei primi studenti. Trascorre gli anni Cinquanta a Parigi, dove sviluppa una geometria visiva ispirata al neo-plasticismo di Piet Mondrian (1872-1944), ma allo stesso tempo profondamente innovativa e orientata all’idea di uno «spazio elastico».
I dipinti esposti, tra cui «Time Out» (1953) – da cui è tratto il titolo della mostra – «Three Stage Elevator» (1955) e «Composition aux trois lignes» (1950), rivelano un’interpretazione dell’astrazione che si distanzia dalla purezza formale di Mondrian, a favore di elementi irregolari e linee fluttuanti che alludono al movimento.
Poco dopo l’esordio come pittore Breer elabora – a partire dal suo primo film «From Phases I» (1952) – l'idea di un cinema che consista in una sequenza di molteplici immagini, estranee l'una dall'altra, che sia diretta conseguenza dell’idea di movimento presente nei suoi dipinti. Attraverso la sperimentazione con varie tecniche di animazione tra cui i flipbook (di cui cinque esemplari sono esposti in mostra), Breer realizza il desiderio di dare fisicità al movimento in modo che questo sia vissuto in tempo reale dallo spettatore.
In film come «Recreation» (1956), «A Man and His Dog Out for Air» (1957), «69» (1968), «Fuji» (1974) e «Swiss Army Knife With Rats and Pigeons» (1980), lo spettatore è bombardato da oscillazioni di linee, colori, lettere, forme astratte e immagini che saltano e lampeggiano, appaiono e scompaiono, creando quella che Breer definiva «un’aggressione della retina».
Con l’iniziale aiuto di Jean Tinguely (1925 - 1991), Breer comincia a realizzare negli anni Cinquanta una serie di «pre-cinematic objects». Espone prima a Parigi, poi a New York negli anni Sessanta, i «Mutoscopes». Questi dispositivi cinematografici rudimentali presentano una sequenza di singole immagini disposte su un rullo e – fatti scorrere alla velocità desiderata – mostrano allo spettatore la fenomenologia del movimento che si rivela nella sua origine e nel suo sviluppo.
A partire dagli anni Sessanta Breer inizia la produzione di un altro importante corpus di opere, i «Floats», sculture di diverse dimensioni, materiali e forme, che come descritto nel titolo della serie, fluttuano nello spazio. Esse sono la rappresentazione tridimensionale delle forme astratte e anti-narrative che caratterizzano la sua precedente ricerca pittorica e soprattutto cinematografica. Queste forme semplici – che sembrano alludere con ironia al Minimalismo – si muovono liberamente nello spazio, a una velocità quasi impercettibile e cambiano traiettoria in caso di collisione.
L’ambiente circostante si aggiorna e si modifica continuamente, mentre le forme si scontrano e cambiano direzione. Opere come «Switz» (1965), «Borne» (1967), «Porcupine» (1967), «Float» (1970) e «Tambour» (1972) circondano lo spettatore, come fossero presenze animate e, rivelando gradualmente il proprio movimento, agiscono sulla percezione dell’istante e della presenza dei nostri corpi nello spazio fisico che ci circonda.
Una selezione di numerosi disegni racconta lo studio attento e meticoloso che l’artista dedica alla composizione e alla creazione di un sistema di associazioni nella fase che precede la realizzazione di film e sculture. I disegni offrono così allo spettatore la possibilità di esplorare ogni possibile interazione tra forme e colori e di soffermarsi a osservare quei dettagli che nei film scorrono troppo veloci per essere colti.
Le diverse anime che compongono l’opera di Robert Breer sono raccolte in mostra con l’intento di celebrare la profondità e la complessità di una ricerca visionaria e di raccontare un’indagine costante sul concetto di tempo, che – come suggerisce il titolo della mostra – vive sospeso, al limite tra il reale e l’astratto, tra la fissità e il movimento, tra la magia del fenomeno e l’assoluto.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Robert Breer, Three Stage Elevator, 1955. Huile sur toile, encadrée / Oil on canvas, framed / Olio su tela, incorniciato. 153 x 116 x 3,5 cm.
Signé et daté au dos / Signed and dated at the back / Firmato e datato sul retro. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig.2] Robert Breer, Float, 1970, Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Coque en résine, moteur, roues et batterie / Resin coating, motor, wheels and battery / Rivestimento in resina, motore, ruote e batteria. 183 (h) x 180 cm (diam). Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 3] Robert Breer, Borne, 1966-67. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Polystyrène peint, roues, moteur / Painted styrofoam, wheels, motor / Polistirolo verniciato, ruote, motore. 142 x 18 x 18 cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 4] Robert Breer, Tucson #1, 2009. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. 45 x 27,5 x 33,5 cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris; [fig. 5] Robert Breer, Float, 1972. Sculpture motorisée / Motorized sculpture / Scultura motorizzata. Résine, peinture, bois, moteur, roues et batteries / Resin, paint, wood, motor, wheels and battery / Resina, vernice, legno, motore, ruote e batteria. 50 (h) x 100 (diam) cm. Pièce unique / Unique piece / Pezzo unico. Courtesy Kate Flax, gb agency, Paris

Informazioni utili 
«Time Out». Mostra persona di Robert Breer.Fondazione Antonio Dalle Nogare, Rafensteiner Weg, 19 – Bolzano. Informazioni: tel. 0471.971626. Sito internet: fondazioneantoniodallenogare.com. Orari d'apertura: da martedì a giovedì su prenotazione, venerdì, ore 17.00 - 19.00 con visita guidata gratuita alle ore 18.00, sabato 10.00 - 18.00 con visita guidata gratuita alle ore 11.00. Per accedere al museo è necessario essere in posso del coronapass. Tutte le info in merito al coronapass sono reperibili al link https://www.provincia.bz.it/sicurezza-protezione-civile/protezione-civile/corona-pass.aspLa mostra sarà visibile anche in presenza fino al 17 luglio 2021 

martedì 18 maggio 2021

«Reset», la open call per fotografi e ricercatori sui cambiamenti della società

Tratta il tema della rigenerazione umana e urbana la open call «Reset. Sistema Festival Fotografia racconta la società contemporanea», rivolta a fotografi, ricercatori e curatori, italiani o residenti in Italia. 
Un lavoro fotografico, un saggio o un testo critico che illustri la complessità morfologica, economica e culturale del nostro Paese e che descriva i cambiamenti della nostra società è quanto ricerca il bando, lanciato dalla rete dei più importanti festival italiani dedicati all’immagine, ovvero il Fotografia europea di Reggio Emilia, il Cortona On The Move, il Si Fest di Savignano sul Rubicone, il Festival della Fotografia etica di Lodi e il Photolux Festival di Lucca.
«Le attuali forme di aggregazione delle comunità, i mutamenti indotti dalle nuove tecnologie, i concetti di mobilità evoluta sono solo alcune delle istanze che stanno ridefinendo il concetto stesso di territorio e di relazione tra cittadini», raccontano gli ideatori della open call, indetta nell’ambito del bando «Strategia Fotografia 2020», promosso della Direzione generale creatività contemporanea del Mic - Ministero della cultura.
I progetti, che dovranno pervenire in modalità digitale entro il 9 giugno, sulla piattaforma dedicata (http://www.sistemafestivalfotografia.it/open-call/), saranno giudicati da una commissione scientifica composta da Denis Curti, Alberto Prina, Matteo Balduzzi, Francesca Fabiani, il fotografo e scrittore Aaron Schuman e la giornalista Elisa Medde, managing editor di «Foam Magazine».
Ai vincitori – tre per la call for picture e uno per la call for paper – sarà riconosciuto un premio di tremila euro e saranno destinati una mostra, un catalogo e una serie di attività formative.
Al bando si affiancherà, inoltre, una serie di attività in programma in ciascuno dei cinque festival della rete. Il 22 e 23 maggio, a Reggio Emilia, nel corso delle giornate inaugurali di Fotografia europea, si terrà un convegno che approfondirà i diversi aspetti del tema al centro di «Reset», inserendo l'indagine fotografica all'interno di una più ampia riflessione multidisciplinare e coinvolgendo nel dialogo fotografi, curatori, urbanisti e architetti che si sono occupati di rigenerazione umana e urbana.
Cortona On The Move
accoglierà, il 15 luglio, un momento di alta formazione con professionisti internazionali della fotografia, al quale i quattro vincitori della call avranno accesso gratuito. «L'obiettivo delle giornate a Cortona - sottolinea il direttore del festival, Antonio Carloni - è quello di favorire per i premiati lo sviluppo di una rete di contatti che sia utile alla loro crescita umana e professionale».
Mentre nei suoi tre weekend di apertura (10-12, 18-19, 25-26 settembre), il Si Fest di Savignano sul Rubicone ospiterà la mostra con le opere dei progetti selezionati, negli spazi dell’ex Consorzio di Bonifica. Per l’occasione, durante le giornate inaugurali (il 10, l’11 e il 12 settembre), sarà presentato il catalogo, edito da Postcart, che raccoglierà i lavori fotografici e il saggio premiato.
In ottobre, poi, al Festival di Fotografia etica di Lodi saranno illustrati i principi dell’Educational program e in particolare il kit digitale composto da un ciclo di lezioni da sviluppare in chiave interdisciplinare, al fine di essere utilizzato dagli insegnanti del territorio nazionale con la mediazione del personale didattico dei festival.
Infine, durante il Photolux Festival di Lucca, in programma a ottobre, una tavola rotonda, alla quale parteciperanno i cinque direttori artistici del Sistema Festival Fotografia, insieme ai membri della giuria e ai referenti delle istituzioni e manifestazioni internazionali coinvolte, analizzerà il percorso fatto e i risultati raggiunti, gettando le basi per il lavoro dell’anno successivo, per continuare a raccontare il nostro mondo che cambia.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cortona On The Movie. Foto di Alessia Manti; [fig. 2] Si Fest. Foto di Margherita Cenni; [fig. 3] Fotografia europea. Foto di Renza Grossi; [fig. 4] Festival di fotografia etica. Foto di Miki Golden
 

Informazioni utili 
Sito Internet: http://www.sistemafestivalfotografia.it/. Facebook: @SistemaFestivalFotografia. Instagram: @sistemafestivalfotografia. Youtube: Sistema Festival Fotografia. Per saperne di più sui social: #sistemafestivalfotografia | #reset | #DGCC | #CreativitaContemporanea | #StrategiaFotografia2020 | #SF_2020

lunedì 17 maggio 2021

Da Photology una mostra on-line su Gianfranco Gorgoni, il fotografo della Land art

Ha fotografato buona parte dell’arte del secondo Novecento. Ci ha lasciato scatti memorabili di Jean-Michel Basquiat, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Keith Haring e John Chamberlain. Gianfranco Gorgoni (Roma, 24 dicembre 1941 – New York, 11 settembre 2019), fotografo abruzzese scomparso prematuramente nel settembre 2019, è al centro della nuova mostra virtuale di Photology, galleria che lo scorso 2 settembre, in risposta alla pandemia da Covid, che rende sempre più difficile la programmazione nei luoghi della cultura, ha lanciato la sua nuova piattaforma 3D, con un sistema di navigazione semplice e intuitivo che permette agli utenti di muoversi all’interno di uno spazio virtuale, ma allo stesso tempo del tutto realistico. I lavori esposti nei virtual tour di Photology possono essere ingranditi, guardati nei dettagli e visti da varie angolazioni; i testi, i contributi video e gli apparati informativi sono inseriti nel contesto espositivo per una omogeneità di informazione.
«Gorgoni Art U.S.A.»
, questo il titolo della nuova esposizione, è un doveroso omaggio a Gianfranco Gorgoni, artista del quale ricorre quest’anno l’ottantesimo anniversario della nascita e che nel corso del 2021 sarà celebrato dal Nevada Museum of Art con un focus sulle sue opere legate alla Land Art, al centro nel 2019/2020 anche del progetto «Photology Air», il primo parco per l’arte contemporanea fotografica in Sicilia, aperto nel 2018 a Noto all’interno della Tenuta Busulmone.
Nato a Roma nel 1941 nel 1986, all’età di ventisette anni, Gianfranco Gorgoni si trasferisce negli Stati Uniti, a New York, e da qui inizia, immortalando sulla pellicola gli spettacoli dei teatri sperimentali contemporanei come l’Open Theatre e il Living Theatre, il suo «corpo a corpo» col mondo della fotografia, con particolare attenzione alle nuove dinamiche sociali americane legate al mondo dei giovani e dell’arte.
Autore di immagini memorabili, la sua attività di foto-giornalista internazionale lo porta a lavorare nelle aree più a rischio del mondo: Iran, Iraq, Nicaragua, Libano, Pakistan, India, Afghanistan, Isole Faulkland, Giappone e Cina. Collabora con diversi magazine internazionali, quali «L’Espresso», il «New York Times», «Life», «Newsweek», che ne hanno riconosciuto l’unicità delle sue fotografie, capaci di immortalare le figure più rappresentative del secolo scorso, dal presidente Jmmy Carter a papa Karol Wojtyla, da Fidel Castro a Salvador Allende.
Nel 1969 Gianfranco Gorgoni attraversa l’America coast-to-coast a bordo di una vecchia Pontiac acquistata per 99 dollari e realizza un reportage sulle comuni hippies. Sulla via del ritorno decide di fermarsi a Woodstock in occasione del concerto rock più famoso della storia. Lì scatta, sul palco, delle foto indimenticabili, come quella a Jimi Hendrix, che finiscono sul mensile tedesco «Twen» e su «L’Espresso».
Importantissimo nella sua vita è l’incontro con il gallerista newyorkese Leo Castelli, che gli permette di conoscere e lavorare con gli artisti americani più importanti del XX secolo, come Andy Warhol, Richard Serra, Keith Haring, Robert Rauschenberg e James Rosenquist.
Leo Castelli affianca Gianfranco Gorgoni anche nel suo progetto sulla nuova avanguardia, che lo porterà a diventare il principale testimone del movimento della Land Art negli sconfinati paesaggi dei deserti non antropizzati americani, espressione del disagio degli artisti nei confronti dell’artificialità e della commercializzazione dell’arte, nonché dell’esigenza rivoluzionaria verso una nuova forma d’arte che porta alla scoperta e all’accettazione del non possesso dell’opera prodotta.
Nel 1976 fonda con altri fotografi l’Agenzia Contact, mentre nel 1985 esce il suo libro «Cuba Mi Amor», con una prefazione scritta da Gabriel Garcia Marquez e un testo di Fidel Castro.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, Gianfranco Gorgoni immortala i principali artisti della Land Art anche durante l’esecuzione delle loro stesse opere, da Christo a Walter De Maria, da Michael Heizer a Nancy Holt, da Richard Serra a Robert Smithson. La progettazione di lavori monumentali in territori aperti e solitari, idealmente visibili dallo spazio, è spesso realizzata a quattro mani con il fotografo abruzzese, proprio per poter costruire nel modo più efficace possibile una «memoria» fotografica, l’unica traccia concreta di quei lavori performativi effimeri.
Non si può dimenticare in anni più recenti la collaborazione con Ugo Rondinone e altri giovani artisti che rendono Gianfranco Gorgoni una vera e propria icona fotografica della storia dell’arte contemporanea della seconda metà del Novecento.
A questi maestri della Land Art americana, sono dedicate due sezioni della mostra «Gorgoni Art U.S.A.». In particolare, «Special Outdoor Editions» è frutto di un lavoro di ricerca da parte del fotografo abruzzese nel campo dei materiali anti-UV in alta definizione e stampati direttamente su D-Bond. Queste opere dal valore scultoreo per peso e dimensioni possono, quindi, essere esposte, una volta acquisite, anche all’aperto in condizioni metereologiche estreme.
Tra le opere in mostra ci sono quelle dedicate alla celebre «Spiral Jetty» di Robert Smithson, alla «Seven Magic Mountains» di Ugo Rondinone e alla nota «Running Fence» di Christo, una recinzione continua, tesa da Est a Ovest per quasi quaranta chilometri tra alcuni declivi della campagna californiana, a nord di San Francisco.
Nota di pregio va, poi, riservata alla sezione della mostra intitolata «Vintage Prints», che allinea una selezione di stampe uniche e realizzate da Gianfranco Gorgoni al momento dello sviluppo dei negativi in bianco e nero: dalla celebre foto che immortala Keith Haring nell’atto di scavalcare una rete metallica di fronte al Queens Bridge (1985) a quella di Richard Serra che lavora nel magazzino newyorkese di Leo Castelli (1970), senza dimenticare l’immagine di Robert Rauschenberg rilassato nella piscina della casa di Le Corbusier’s (Hamedabad, India 1975) o quella di Andy Warhol sul suo letto o, ancora, la serie «Land Art – Michael Heizer ‘Motorcycle drawing’ Dry Lake» (Nevada 1970), composta da sei fotografie. Il tutto potrà essere visto fino al prossimo 31 maggio

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Gianfranco Gorgoni - Ugo Rondinone, Seven Magic Mountains - Sunrise 2016, dry Lake, Nevada 2016-18; [fig. 2] Gianfranco Gorgoni - Ugo Rondinone, Seven Magic Mountains, 2016; [fig. 3] Gianfranco Gorgoni, Jean-Michel Basquiat,  NYC 1983; [fig. 4]  Gianfranco Gorgoni, Andy Warhol on his bed, NYC 1971; [fig. 5] Gianfranco Gorgoni - Christo _ Jeanne Claude, Surrounded Island 1983, Portrait, Biscayne Bay, Miami, Florida, 1983-2018; [fig. 6] Gianfranco Gorgoni, Richard Serra working at Castelli warehouse in Harlem preparing a show for Leo, NYC 1970

Informazioni utili

sabato 15 maggio 2021

#Notizieinpillole: cronache d'arte della settimana dal 10 al 16 maggio 2021

Tornano le Giornate Fai di primavera. Sabato 15 e domenica 16 maggio saranno visitabili su tutto il territorio nazionale oltre seicento luoghi tra ville e parchi storici, aree archeologiche e musei insoliti, residenze reali e giardini, ma anche orti botanici, castelli, percorsi naturalistici e itinerari in borghi che custodiscono antiche tradizioni.  Questa settimana sulla pagina Facebook (@foglidarte) abbiamo seguito l’iniziativa proponendovi una bella galleria con alcune delle «chicche» visitabili in questi due giorni. La trovate al link: https://www.facebook.com/foglidarte/photos/pcb.114639430752284/114525960763631
In questi giorni, mercoledì 12 maggio, si è festeggiato il centenario dalla nascita di Joseph Beuys. Sky Arte ha festeggiato l’evento con la proiezione del film «Beuys – L’artista come provocatore». Il canale televisivo ha anche presentato la serie «Le fotografe», in programma da lunedì 24 maggio. 
A proposito di ricorrenze, si arricchisce ogni giorno il calendario di eventi promosso in occasione dei settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Questa settimana su Facebook vi abbiamo raccontato la mostra «Light My Fire» a Pesaro. 
Martedì 11 maggio sono stati assegnati i David di Donatello, che hanno visto trionfare il film «Volevo nascondermi» del bolognese Giorgio Diritti, sulla vita del pittore Antonio Ligabue (nella foto). Il portale «Io comincio bene» ha raccontato il binomio cinema e colazione attraverso cinque illustrazioni in chiave pop di Ezio Ranaldi, noto per la destrutturazione di locandine dei film.
A teatro, tra i debutti della settimana, vi abbiamo raccontato quello di Marbjena Imeraj con il monologo biografico tragi-comico «Albania – Italia Solo andata». 
Venezia si prepara alla Biennale di architettura. All’aeroporto «Marco Polo» arriva una scultura di Igor Mitoraj. I Musei civici raccontano il loro patrimonio storico-artistico con il progetto social «Scrigni veneziani», una guida per il turista curioso. Alle Gallerie dell’Accademia parte il ciclo di appuntamenti «Alla scoperta delle opere più belle del mondo». La collezione Peggy Guggenheim ha portato in Laguna gli «occhi fluttuanti» di Sob. 
Buona lettura! 

«DANTE E L’ARTE: UNA LUNGA STORIA D’AMORE» IN MOSTRA A PESARO 
Prende spunto da una delle canzoni più famose dei Doors, «Light My Fire», il titolo della mostra che la città di Pesaro, su iniziativa della Fondazione Pescheria-Centro arti visive, dedica a Dante Alighieri, a settecento anni dalla morte. Come quelle note, uno degli esempi più rappresentativi dello Psychedelic rock, sviluppatosi fra gli anni Sessanta e Settanta negli Stati Uniti e Regno Unito, l’opera letteraria del «Sommo poeta» - spiega il curatore Marcello Smarrelli - ha la capacità di trascendere la realtà e condurci in una dimensione altra.
I versi danteschi, con il loro viaggio dal buio degli inferi alla luce del Paradiso, hanno affascinato gli artisti di tutti i tempi. Dai primi sconosciuti miniatori ai più grandi maestri del ‘900, in molti si sono cimentati con il testo, facendosi suggestionare soprattutto da alcuni personaggi: Paolo e Francesca, Pier delle Vigne, Ulisse, Ugolino e l’amata Beatrice. Quella tra il «Sommo poeta» e l’arte è, dunque, - come recita il sottotitolo della mostra pesarese – «una lunga storia d’amore».
Nella Chiesa del Suffragio i riflettori sono puntati sulle cento tavole ad acquarello realizzate negli anni Cinquanta da Salvador Dalì. In queste opere si ravvisano vari aspetti della ricerca stilistica del maestro catalano: dall'estetica del molle ai miti classici, dal metodo pittorico paranoico-critico alla surrealtà. Le incisioni sono accompagnate in mostra dal pezzo sonoro «Dalla selva oscura all’amor che muove il sole e l’altre stelle: le più famose terzine della Commedia», a cura dell’associazione culturale «Le Voci dei Libri».
Nel Loggiato, sono, invece, esposte le trentaquattro incisioni eliografiche realizzate da Robert Rauschenberg, tra i maestri della Pop Art, a commento dell’«Inferno». Per queste tavole, presentate per la prima volta nel 1960 alla Galleria Leo Castelli di New York, l’artista usò la tecnica del Transfer Drawing, trasferendo sul foglio immagini fotografiche tratte da giornali e riviste e intervenendo, poi, con matite, tempere e inchiostri.
Sempre nel Loggiato, su un maxischermo, è visibile, in orario serale (dalle ore 19:00 alle ore 23:00), la documentazione video di una performance iconica di Claire Fontaine: «P.I.G.S. - Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna» - (2011), un incendio che ritrae l’inferno terrestre del nostro presente fragile. Completa il percorso espositivo un murale dell’artista Ermes Bichi con una sua personale interpretazione del colophon di mostra.
La mostra, a cui si accede con la card Pesaro Cult del valore di 3,00 euro e della durata di un anno, è aperta fino al 31 maggio, dal giovedì alla domenica, dalle ore 16:00 alle ore 20:00.
Per informazioni: www.fondazionepescheria.it

[Le fotografie sono di Adriano Gamberini] 

«LEONISMO»: LEON LÖWENTRAUT ESPONE ALLA BIBLIOTECA NAZIONALE MARCIANA DI VENEZIA
Venezia, Monaco, Parigi, Vienna, Zurigo e Londra: sono queste le cinque città europee che accoglieranno tra il 2021 e il 2022 le opere di Leon Löwentraut, artista tedesco votato dalla rivista «Forbes» come uno dei «30 under 30» (le trenta personalità tedesche più importanti sotto i 30 anni), autore di azioni artistiche come i «Global Goals» nate, con il sostegno di Unesco, per pubblicizzare il tema della sostenibilità.
Nei giorni della Biennale di architettura, dal 22 maggio al 27 giugno (con vernice su invito nel pomeriggio di venerdì 21), l’esposizione itinerante, per la curatela di Manfred Möller, sarà a Venezia, nelle Sale monumentali della Biblioteca nazionale marciana, dove verranno esposti una trentina di dipinti, riproduzioni a tiratura limitata e suggestivi disegni in bianco e nero, messi in dialogo con le opere rinascimentali del Veronese, del Tintoretto o del Tiziano.
I tondi dell'artista, che si è fatto conoscere per il suo stile energico e colorato, espressione di una creatività sfrenata e di una grande gioia di vivere, saranno mostrati per la prima volta su tele realizzate appositamente per la mostra, intitolata «Leonismo». Con l'uso di questo formato, diffuso nell'antica Grecia e a Roma, il cui periodo d’oro si ebbe nel XV secolo, Leon Löwentraut vuole fare un omaggio agli antichi maestri. L'opera principale della mostra, «La Duchessa», è da intendersi come un inchino alla città lagunare e all'arte del Rinascimento; mentre in altri lavori verrà affrontato il linguaggio formale barocco del pittore di corte spagnolo Diego Velázquez.
In occasione della mostra, la Edition Minerva, specializzata in pubblicazioni d'arte di alta qualità, pubblicherà un catalogo e un magnifico portfolio LL, contenente cinquanta esemplari a tiratura limitata, ciascuno con tre edizioni rifinite a mano, numerate e firmate da Leon Löwentraut.
L'esposizione sarà aperta tutti i giorni, dalle ore 11:00 alle ore 17:00 (l’ultimo ingresso è alle ore 16:00); alle Sale monumentali della Biblioteca nazionale marciana si accede con il biglietto unico dei Musei di Piazza San Marco (valido per il Museo Correr, il Museo archeologico nazionale, le Sale museali della Biblioteca nazionale marciana e Palazzo Ducale).
Per informazioni: www.marciana.venezia.sbn.it | https://correr.visitmuve.it/ | www.kunsthandel-verlag.de.
 
VENEZIA, ALLA GALLERIE DELL’ACCADEMIA «ALLA SCOPERTA DELLE OPERE PIÙ BELLE DEL MONDO» 
Gallerie dell'Accademia, Venezia. Sala XXIV. Crediti fotografici: Alessandra Chemollo
«L'arrivo degli ambasciatori» di Vittore Carpaccio, il «Convito in casa di Levi» del Veronese, «La presentazione della Vergine al Tempio» di Tiziano Vecellio, il reliquiario del Cardinal Bessarione e «L’incoronazione della Vergine in Paradiso» del Maestro di Ceneda. Ma anche i dipinti di Giorgione conservati nella collezione Vendramin, Tintoretto alla Scuola Grande di San Marco e i ritratti a pastello di Rosalba Carriera. È un viaggio «Alla scoperta delle opere più belle del mondo» quello in calendario, dal 13 maggio al 20 luglio, nel museo diretto da Giulio Manieri Elia, che ha riaperto le porte lo scorso 28 aprile, dopo cinquantuno giorni di chiusura, inaugurando il corridoio palladiano, oggetto di un restauro durato due anni.
Attraverso una ventina di incontri, in calendario nelle mattinate del martedì e del giovedì, verrà valorizzata la straordinaria collezione museale, che vanta la più ampia e importante, per qualità e ricchezza, selezione di opere di artisti veneti, tra i principali protagonisti della storia dell’arte.
Da Giovanni Bellini a Tiziano, da Veronese a Giorgione, da Carpaccio a Hayez, da Tiepolo a Tintoretto, solo per citare i più noti, i capolavori del museo «prenderanno vita – si legge nella presentazione - grazie a una narrazione che si focalizzerà, di volta in volta, su aspetti e curiosità sempre diversi, tra i quali la storia conservativa, le tecniche di restauro, l’analisi della qualità e della pittura, le indagini scientifiche e diagnostiche».
Gallerie dell'Accademia, Venezia. Sala XXIII. Crediti fotografici: Alessandra Chemollo
Protagonisti degli incontri, gratuiti (previa prenotazione al numero 041.5222247), saranno i curatori delle collezioni e dei programmi per il pubblico, nonché, biologi, diagnosti, conservatori e restauratori.
I primi appuntamenti, in calendario nel mese di maggio (sempre alle ore 11), si concentreranno su alcuni degli «old masters» del museo. Si comincerà con Michele Tavola che racconterà Tiepolo, autore al quale verrà dedicato un intero salone all’interno delle Gallerie dell'Accademia dal mese di settembre. Si proseguirà, poi, con un incontro su Tiziano, a cura di Cristiana Sburlino (18 maggio), e un appuntamento con Stefano Volpin su Giovanni Bellini e le sue indimenticabili «Madonne con bambino», capolavori che hanno fatto la storia dell’arte mondiale per la qualità e la delicatezza nella rappresentazione (20 maggio). Il 25 maggio, poi, Karmen Corak terrà la conferenza dal titolo «Un soffio di somiglianza in un fiore di colore», un tuffo al femminile attraverso i ritratti moderni e fortemente introspettivi di Rosalba Carriera, artista settecentesca e veneziana; mentre il 27 maggio Michele Nicolaci parlerà del Veronese.
L'intero programma degli incontri, per un massimo di dieci persone per volte, può essere consultato al link: https://www.gallerieaccademia.it/incontri-guidati-museo.
L’incontro guidato è compreso nel biglietto d'ingresso al museo (intero euro 12,00, ridotto per giovani dai 18 ai 25 anni euro 2,00). Le Gallerie dell’Accademia saranno aperte con i seguenti orari: il lunedì, dalle ore 8:15 alle ore 14:00, e dal martedì alla domenica, dalle ore 8:15 alle ore 19:15; il sabato e la domenica l’accesso sarà consentito solo su prenotazione come da attuali disposizioni governative.
Informazioni su www.gallerieaccademia.it

[Nelle fotografie:1. Gallerie dell'Accademia, Venezia. Sala XXIV. Crediti fotografici: Alessandra Chemollo; 2. Gallerie dell'Accademia, Venezia. Sala XXIII. Crediti fotografici: Alessandra Chemollo]

COLAZIONE E CINEMA IN CINQUE OPERE POP DI EZIO RINALDI 
Per i nutrizionisti è il pasto più importante della giornata; per il cinema una fonte inesauribile di storie. Dai kolossal americani alle commedie iconiche italiane, sono tante le scene dedicate alla colazione. A dir la verità anche la prima pellicola della storia, «Repas de bèbè», immortala in cinquanta secondi un primo pasto della giornata, quello che Auguste Lumière e la moglie danno al loro bambino.
In occasione dei David di Donatello, «Io comincio bene» – «il portale dei breakfast lovers» – celebra il binomio colazione e cinema con una raccolta di scene iconiche dove protagonisti sono latte, caffè, yogurt, cereali, frutta, biscotti e fette biscottate con marmellata o crema spalmabile.
Ma come viene rappresentata la prima colazione al cinema? Abbondante per Richard Gere e Julia Roberts in «Pretty Woman», che in hotel si concedono croissant, pancake con bacon, frutta e spremuta d’arancia. Ma anche per John Travolta e Samuel L. Jackson in «Pulp Fiction», che consumano frittelle, uova, pancetta e caffè americano. Più leggera, invece, per Totò e Peppino ne «La banda degli onesti», che al bar discutono di capitalismo e marxismo gustando soltanto una tazzina di caffè con zucchero. Mentre la famiglia Pontipee di «Sette spose per sette fratelli» si concede ogni mattina panini dolci.
Tra le tante scene indimenticabili ne sono state selezionate cinque, rilette in chiave pop dall’artista contemporaneo Ezio Ranaldi, noto per la destrutturazione di locandine dei film.
La prima opera ci rimanda a un grande classico, «Colazione da Tiffany», la pellicola che ha consacrato Audrey Hepburn nell’olimpo cinematografico anche grazie al primo pasto street food più iconico nella storia del cinema. Chi non ricorda l’attrice avvolta nel suo tubino nero Givenchy, con un filo di perle e occhiali scuri, davanti alla vetrina della celebre gioielleria newyorkese, con in mano un caffè da asporto e croissant? Mentre sulla tavola di Charlie Chaplin, protagonista del film «Il monello», si trovano pancake, burro e sciroppo d’acero. La grande abbondanza di pietanze a tavola strappa un sorriso, ma nasconde una lacrima: probabilmente i tanti, troppi pancake al centro della scena saranno l’unico pasto della giornata o dei giorni a seguire.
Nella galleria è possibile, poi, vedere un'opera ispirata al film «Sentieri selvaggi», che ritrae il reverendo Clayton fare una colazione «mordi e fuggi» con una tazza di caffè e un solo biscotto, lasciato a metà.
In «Alien», invece, i membri dell’equipaggio del Nostromo, la gigantesca astronave in cui è ambientato il capolavoro fantascientifico di Ridley Scott, consumano una ricca selezione di cereali.
Infine, «Notting Hill» ci fa sognare: pane, burro, marmellata, latte, frutta e thè, ma anche romanticismo e humor inglese vengono serviti sulla tavola di Julia Roberts e Hugh Grant, che interpretano la famosa attrice Anna Scott e il libraio squattrinato William. 
Informazioni utili su www.iocominciobene.it.

AL VIA SU SKY ARTE LA DOCU-SERIE «LE FOTOGRAFE» DI FRANCESCO G. RAGANATO 
Si intitola «Le fotografe» la nuova docu-serie firmata Sky Original, in programma da lunedì 24 maggio, alle ore 21:15, su Sky Arte (canali 120 e 400) e disponibile anche on-demand e in streaming su Now. Il progetto - creato e diretto da Francesco G. Raganato e realizzato da Terratrema Filmcon Seriously – si articola in otto episodi, nel quale le protagoniste vengono ritratte nell’atto di creare qualcosa di originale, con uno sguardo rivolto sempre al presente e al futuro. «Alcune di loro – si legge nella nota stampa - scattano l’ultima foto di un progetto lungo anni, altre ne cominciano uno nuovo, tutte, nel corso delle riprese, hanno prodotto fotografie che arricchiranno il loro portfolio».
All’inizio di una carriera, in fase di crescita o già affermate, le otto professioniste al centro della serie «Le fotografe» non affrontano solo temi strettamente femminili - dall’amore alla sessualità, dal ruolo della donna nella società al body positivity –, ma svelano mondi complessi in cui ognuna guarda al mezzo fotografico come strumento di indagine, di racconto e di espressione artistica.
Guia Besana, in «Una questione personale» (24 maggio), mette in scena situazioni e problematiche delle donne contemporanee. Ilaria Magliocchetti Lombi, fotografa rock dei grandi della musica italiana e internazionale, indaga, in «Un ritratto a due» (24 maggio), il ruolo delle donne nella società, a partire da Emma Bonino, dalla campionessa di atletica Danielle Madam e dalla giovanissima portavoce dei «Fridays For Future Italia» Lavinia Iovino. La ritrattista Sara Lorusso, che con tre amiche ha dato vita al semestrale femminile «Mulieris Magazine», racconta, nell’episodio «Sul mio corpo» (31 giugno), la sua generazione. Carolina Amoretti parla del suo progetto «Fantagirl» (7 giugno), una community di donne che promuove la body positivity.
Con i ritratti a ragazze di mezzo mondo ambientati nella loro cameretta, al centro dell’episodio in «Una stanza tutta per sé» (14 giugno), Maria Clara Macrì promuove, quindi, l’importanza di indipendenza e autodeterminazione. Roselena Ramistella racconta la potenza delle donne della sua Sicilia nella puntata «L’isola delle femminine» (21 giugno). La giovane fotografa di moda Zoe Natale Mannella ritrae l’amicizia tra ragazze della sua generazione nel progetto «Sotto le lenzuola», al centro dell’episodio «Intimità» (28 luglio). Simona Ghizzoni usa l’autoritratto per raccontare con sguardo delicato, temi difficili come i disturbi alimentari o la violenza sulle donne. Se ne parlerà, a luglio, nell’ultimo appuntamento della serie «Le fotografe», intitolato «Tutto parla di me» (5 luglio).

«SCRIGNI VENEZIANI», UN NUOVO PROGETTO SOCIAL DEI MUSEI CIVICI DI VENEZIA
«I musei sono come scrigni preziosi che quando si aprono mostrano un patrimonio fantastico, dei regali meravigliosi», così Gabriella Belli, direttore dei Musei civici di Venezia, presenta «Scrigni veneziani», un progetto rivolto alla scoperta dei tesori che la lunga storia della città lagunare ci ha lasciato. L'iniziativa, in programma on-line sui canali social del Muve nella giornata di mercoledì (alle ore 13:00), racconta attraverso una ventina di brevi videoclip, la storia degli oggetti più preziosi conservati all’interno del patrimonio storico-artistico cittadino.
In occasione dei milleseicento anni di Venezia, i Musei civici offrono, dunque, al pubblico – si legge nella nota stampa - «piccole storie ‘vere’ di fatti, persone e oggetti, che ancora trattengono nel loro Dna il sigillo di valori civili e politici». Questi racconti diventano così occasione di conoscenza e di divulgazione non solo di opere e artisti, ma anche di aspetti curiosi e tratti inaspettati della vita sociale, politica ed economica della Serenissima. Di oggetto in oggetto, sarà così possibile scoprire - racconta Gabriella Belli nel video di presentazione (urly.it/3cxdb) - i valori che hanno fatto grande la città: «il buon governo, l’esplorazione, l’innovazione, l’invenzione, le pari opportunità e il cosmopolitismo».
Il progetto è stato inaugurato lo scorso 5 maggio con un video sulle perle di vetro di Murano (urly.it/3cxd9), piccoli, straordinari manufatti creati dalle mani abili delle donne, che racchiudono in sé la storia della città.
Sui canali social della fondazione veneziana, continua, poi, la campagna #MUVEinsieme, ideata per approfondire gli artisti, le collezioni e l'attività di ciascuna delle sue sedi museali. A maggio #MUVEzoom porterà alla scoperta di particolari di opere e dettagli architettonici, che normalmente sfuggono all’occhio.
Prosegue poi, sempre da remoto, «Muve Racconta», nuovo ciclo di webinar per i possessori di Muve Friend Card, che ogni martedì, alle ore 16:00, offrirà un racconto su opere, collezioni, attività e artisti condotto direttamente dalla voce di chi vive i musei in prima persona. Martedì 18 maggio Mauro Bon, responsabile del Museo di storia naturale, affronterà l’argomento «‘Uccelli di città’, un'esperienza di citizen science al tempo del coronavirus». Infine, martedì 25 maggio Chiara Squarcina, dirigente della Fondazione Musei Civici di Venezia, terrà un incontro dal titolo «Museo di Palazzo Mocenigo: prima e dopo il riallestimento del Museo». 
Per informazioni: www.visitmuve.it.

«CHI GUARDA COSA?», A VENEZIA ARRIVANO GLI «OCCHI FLUTTUANTI» DI SOB
«Quando conoscerò la tua anima dipingerò i tuoi occhi». Parte da questa affermazione di Amedeo Modigliani e da una riflessione sul rapporto indissolubile tra la città di Venezia e l’acqua, il laboratorio di Stefano Ogliari Badessi, in arte SOB, proposto all'interno del progetto «SuperaMenti. Pratiche artistiche per un nuovo presente», ciclo di quattro laboratori gratuiti che la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ha dedicato, con la partecipazione di Swatch Art Peace Hotel, ha dedicato agli under 25. «Chi guarda cosa?» è il titolo del workshop in programma fino al 16 maggio sull’isola della Certosa di Venezia. Alla luce della situazione attuale, e nel rispetto della normativa per il contenimento del Covid-19, gli incontri tra l’artista e i partecipanti nell’arco delle tre giornate di lavoro sono progettati in forma ibrida, combinando momenti on-line su Zoom e in presenza. Da questi appuntamenti, e dal dialogo attivo con SOB, verrà realizzata un’installazione galleggiante: due «occhi fluttuanti», creati grazie a una struttura gonfiabile, marca espressiva che già in passato ha contraddistinto il lavoro dell’artista cremasco. I due «occhi» verranno, poi, trainati lungo la laguna nord di Venezia, su imbarcazioni dotate di un motore elettrico molto silenzioso che utilizza la tecnologia a batteria agli ioni di litio, che non emette sostanze inquinanti. Da sempre gli occhi sono carichi di una simbologia complessa, misteriosa, addirittura divina per le civiltà mesopotamiche: così con il suo laboratorio S.O.B. intende far riaffiorare l’anima di Venezia per poi farla simbolicamente galleggiare tra le sue acque.
Il workshop di SOB chiude il progetto «SuperaMenti», che ha visto la partecipazione, dallo scorso ottobre, di altri tre artisti di fama internazionale: Jan Vormann, con il laboratorio «Catelli di vetro», Alice Pasquini, con «Oltre il muro: arte e contesto», e Cecilia Jansson, con «Esplorare la distanza».
Per informazioni: www.guggenheim-venice.it.
 
IGOR MITORAJ IN MOSTRA ALL’AEROPORTO DI VENEZIA
Tra valigie e passaporti, partenze e arrivi, all'aeroporto di Venezia c'è tempo anche per lasciarsi ammaliare dall'arte.
Al «Marco Polo», nel terminal dell'Aviazione generale, è esposta da qualche giorno una scultura di Igor Mitoraj (Oederan, 26 marzo 1944 – Parigi, 6 ottobre 2014), uno dei più importanti scultori dei nostri tempi. Si tratta dell'opera «Luna Dormiente» del 2011, che raffigura una testa di bronzo frammentata (delle dimensioni di centimetri 63 x 89,5 x 55) e reclinata su un piedistallo. Il rimando è alla cultura classica che, attraverso l’azione del tempo, diviene punto di partenza per una riflessione su temi archetipici quali la solitudine, l’amore, la sofferenza.
L'esposizione, in programma per i prossimi sei mesi, è resa possibile dalla collaborazione attivata da Save con la Galleria d’arte Contini, che rappresenta l’artista.
Il forte legame tra Venezia e Igor Mitoraj, che dell’Italia aveva fatto la sua terra di elezione, è culminato nell’esposizione del 2005 che, con ventuno sculture, si snodava attraverso il cuore della città. Ora l’aeroporto «Marco Polo» si ricollega a questo profondo rapporto, in un momento in cui Venezia sta lentamente riprendendo il suo ritmo e la sua dimensione di città d’arte con l’inaugurazione della diciassettesima edizione della Biennale di architettura (22 maggio - 21 novembre 2021).
Per maggiori informazioni: www.continiarte.com.

[Nella foto: Igor Mitoraj, «Luna Dormiente», 2011. Bronzo/bronze, cm 63x89,5x55] 

TEATRO, DEBUTTO A ROMA PER «ALBANIA-ITALIA SOLO ANDATA»
«Diventare attrice» è il suo sogno di bambina e quel sogno le dà la forza di superare un’infanzia e un’adolescenza difficile. Marbjena Imeraj ha solo dieci anni quando il suo Paese, l’Albania, vive la guerra civile dovuta alla caduta del regime comunista. La sua famiglia - padre colonnello dell’esercito e madre economista - appartiene alla classe più alta della società e, a un tratto, non possiede più nulla: è costretta a lasciare la sua casa di Scutari, una cittadina sul lago, nel nord-ovest dell’Albania, al confine con il Montenegro. Un barcone sembra essere per la porta verso la felicità. Dall’altra parte del mare c’è l’Italia, il Paese tanto sognato e tanto desiderato. Ma non è semplice all’inizio: pregiudizi, razzismo e discriminazione ostacolano il percorso della ragazza verso la realizzazione del suo sogno. Ma la vita non smette mai di stupirci e, per fortuna, «nessuna notte dura per sempre»: Marbjena Imeraj arriva a Roma da un paesino dell’Abruzzo, inizia i suoi studi di recitazione, sale su un palcoscenico e diventa attrice.
Questa storia diventa, ora, uno spettacolo: «Albania – Italia Solo andata», un monologo biografico tragi-comico che ha debuttato mercoledì 12 maggio al teatro Lo Spazio (via Locri, 42) di Roma. La pièce è prodotta dall’associazione culturale Maeli – Ricerca teatrale e diretta da Melania Giglio. Scene e costumi sono a cura di Fabiana Di Marco e Giovanna Stinga. Le foto di scena portano la firma di Azzurra Primavera.
Il testo scritto dalla stessa protagonista è il racconto di una caparbia e profonda ricerca di libertà, descritta con singolare leggerezza. È una storia di resilienza – racconta la regista dello spettacolo - che lascia un insegnamento importante: «finché possediamo il tempo, abbiamo nelle nostre mani la possibilità di risorgere, di trovare ancora e ancora noi stessi. Abbiamo la possibilità di creare bellezza».
Marbjena Imeraj va, infatti, avanti nonostante il suo bagaglio pesante di esperienze forti e contraddittorie: «vive una violenza da bambina, superandola – si legge nella nota stampa -. Vive la caduta del regime comunista e la conseguente guerra civile, guardando avanti e alimentando il sogno della recitazione. Vive la perdita di un’amica, costretta a prostituirsi, e poi, quella di una sorella, morta suicida. Vive un viaggio della speranza, dall’Albania all’Italia, alimentando la voglia di scoprire un Paese, che poi si rivelerà ostile e spesso razzista». Tutto per amore della vita e di quel sogno chiamato teatro.
Per informazioni: www.teatrolospazio.it/.

SKY ARTE CELEBRA IL CENTENARIO DELLA NASCITA DI JOSEPH BEUYS 
Cento anni fa, il 12 maggio 1921, nasceva a Krefeld, in Germania, Joseph Beuys, figura poliedrica e difficilmente ascrivibile a specifici movimenti artistici, che ha portato avanti idee tra le più innovative e influenti della seconda metà del Novecento. L’artista tedesco, «l'uomo con il cappello», vedeva in ogni persona un artista e nell’arte la possibilità di plasmare la società. Il suo messaggio, a più di trent’anni dalla morte, avvenuta a Düssendorf il 23 gennaio del 1986, continua a essere straordinariamente vitale.
In occasione del centenario della nascita, Sky Arte (canali 120 e 400 di Sky) ha trasmesso - mercoledì 12 maggio, alle ore 21.15 - un docu-film di Andres Veiel, ancora disponibile on demand e in streaming su Now: «Beuys – L’artista come provocatore».
300 ore di video, un materiale audio sconfinato «di e sull’artista», le collezioni di più di 50 fotografi internazionali, per un totale di oltre 20.000 scatti, più di 60 incontri con testimoni dell’epoca e circa 20 interviste, sono stati il punto di partenza del film, la cui lavorazione è durata circa tre anni.
Attraverso fonti audio e video mai utilizzate prima, Andres Veiel ricostruisce un ritratto non convenzionale dell’artista, «uno sguardo intimo su un essere umano, la sua arte, il suo mondo e le sue idee».
Con una narrazione aperta, il documentario racconta l’artista tedesco attraverso alcuni punti cardine della sua biografia e della sua carriera: il trauma della guerra e del suo incidente aereo nel 1943, alcune delle sue performance più famose – come «Fettecke» (1982), «I Like America and America Likes Me» (1974), «7000 Oak Trees» (1982) – la critica al sistema dell’arte, l’insegnamento all’Accademia, l’impegno politico.
Joseph Beuys resta per noi un visionario, molto più avanti dei suoi tempi. Se allora già cercava di spiegare come «il denaro non dovrebbe essere una merce», consapevole che il commercio di denaro avrebbe minato la democrazia, il suo concetto ampliato di arte lo porta oggi nel bel mezzo di un discorso socialmente rilevante e ancora più urgente.