In occasione dei settecento anni dalla morte del poeta, il Comune di Verona propone un’inedita mostra diffusa, che permette di scoprire lo scrittore in maniera inusuale, percorrendo le sue stesse strade, contemplando un paesaggio, entrando nei palazzi, visitando le chiese, osservando le immagini dipinte e scolpite che, oltre settecento anni fa, lo stesso Dante poté scoprire e ammirare.
Il percorso e le tappe della mostra diffusa sono contenuti e illustrati in un'agile mappa cartacea, preziosa guida che conduce i visitatori alla scoperta dei luoghi direttamente legati alla presenza di Dante e dei suoi figli ed eredi, che ancora oggi risiedono a Gargagnago in Valpolicella, ma che permette anche di scoprire la tradizione dantesca, che nei secoli continuò ad alimentarsi e a crescere, fino a diventare, nell'Ottocento, punto di riferimento per l’identità nazionale.
Ogni luogo dantesco della mappa è segnalato in situ con un apposito pannello; con un semplice tocco sul proprio cellulare tramite QRcode, il visitatore potrà accedere a un'espansione digitale dei contenuti della mappa, ulteriore approfondimento del proprio itinerario.
Prima tappa del percorso è piazza dei Signori, cuore della città, dove è collocata una statua del poeta, in marmo di Carrara, realizzata dallo scultore Ugo Zannoni nel 1865 e recentemente sottoposta a un accurato intervento di restauro. La storia racconta che l’opera, commissionata in occasione del sesto centenario della nascita di Dante, fu inaugurata la notte tra il 13 e il 14 maggio alle 4 del mattino per scongiurare la censura degli austriaci, allora al governo della città scaligera.
La visita può proseguire verso Palazzo della Ragione, edificio costruito verso la fine del XII secolo quale palazzo comunale, uno tra i primi in Italia, che oggi ospita la Galleria d’arte moderna «Achille Forti».
In questi spazi, la mostra diffusa trova un prezioso raccordo e ulteriori sviluppi tematici a carattere storico-artistico nelle esposizioni in programma. Si inizia con «La mano che crea. La galleria pubblica di Ugo Zannoni», a cura di Francesca Rossi. Si proseguirà in estate, dall’11 giugno al 3 ottobre, con «Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona», a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli. La mostra presenta una significativa selezione di opere d’arte e testimonianze storiche dal Trecento all’Ottocento, che permettono di approfondire due precisi fulcri tematici: il rapporto tra Dante e la Verona di Cangrande della Scala e il successivo revival sette-ottocentesco della «Divina Commedia» e di un Medioevo ideale, ma anche il mito, tutto scaligero e shakespeariano, di Giulietta e Romeo.
Si può, quindi, proseguire verso Palazzo del Capitanio, inizialmente residenza scaligera e costruzione recente ai tempi di Dante, quindi sede, sotto il dominio della Serenissima (1405-1796), del Capitano veneto – da qui il nome attuale – e poi, dal tardo Ottocento, degli uffici giudiziari.
Si può, poi, fare tappa al Palazzo della Provincia, oggi sede della Prefettura, dimora fatta costruire da Cangrande della Scala, e alle Arche Scaligere, sepolcro nella chiesa di Santa Maria Antica, dove sono conservate le spoglie mortali di Alberto I (morto nel 1301) e dei suoi figli Bartolomeo I (1304), Alboino (1311) e Cangrande (1329). L’arca di Bartolomeo si distingue per l’insegna della scala sormontata da un’aquila. Di Cangrande restano sia il primo sarcofago, dove fu deposto subito dopo la morte improvvisa e misteriosa (l’enigma sarà svelato prossimamente dall’indagine sul DNA condotto dalle Università di Verona e di Firenze in collaborazione con il Civico museo di storia naturale di Verona), sia il sontuoso monumento che gli fece realizzare Mastino II, suo nipote, sopra la porta della chiesa, quando diede avvio alla trasformazione monumentale e dinastica del cimitero.
Sempre sulle orme dell’Alighieri, si arriva, quindi, alla chiesa di San Zeno Maggiore, capolavoro del romanico lombardo. Sul fianco sud dell’edificio religioso, c’è un’epigrafe incisa che ricorda l’abate Gerardo, figura citata dal poeta nel XVIII canto del «Purgatorio», e le opere da lui promosse al tempo del Barbarossa.
Di qui si prosegue per Sant’Elena, adiacente alla Cattedrale, che conserva in buona parte la sua compagine altomedievale. Il 20 gennaio 1320, Dante tenne in questa sede una lezione pubblica per spiegare il fenomeno dell’emersione delle terre sopra la superficie dell’acqua. Forse sperava di conquistare così l'ammissione all'insegnamento nello Studio, la scuola superiore di Verona che stava diventando una rinomata Università, ma gli venne preferito il maestro di logica Artemisio. Alla fine del testo della «Questio de aqua et terra» si legge: «[…] definita da me, Dante Alighieri, il minimo dei filosofi, durante il dominio dell’invitto Signore messer Cangrande della Scala, Vicario del Sacro Romano Impero, nell’inclita città di Verona, nel tempietto della gloriosa Elena […]».
Durante il suo primo soggiorno veronese, il poeta frequentò quasi certamente anche la Biblioteca Capitolare, una delle più antiche del mondo, il cui scriptorium era attivo forse già dal VI secolo. In queste sale, erano presenti, già allora, antichi manoscritti di alcuni fra i classici meno noti al Medioevo, come la «Naturalis Historia» di Plinio il Vecchio e le «Historiae» di Livio. I due autori sono citati in un breve passaggio del «De vulgari eloquentia», scritto tra il 1303 e il 1305, nel quale lo scrittore rivela che una «amichevole insistenza» lo invitava a consultarli («Quos amica sollicitudo nos visitare invitat»).
La mappa ci conduce, poi, verso tre chiese. Si inizia con Sant’Anastasia, solo un cantiere durante i soggiorni danteschi a Verona, che un tempo ospitava nel suo primo chiostro la più antica tomba veronese di famiglia degli Alighieri. Si prosegue a San Fermo Maggiore, anch’essa in costruzione negli anni in cui Dante era presente a Verona, che nel transetto destro della chiesa conserva l’elegante cappella funeraria che Pietro IV e Ludovico Alighieri, discendenti del poeta, fecero allestire a metà del Cinquecento. Infine, si può visitare Sant’Eufemia, legata a Dante solo per via indiretta: il teologo Egidio Romano espose nel suo «De regimine principum» – opera composta prima del 1285 – alcune teorie cosmologiche che il poeta avrebbe affrontato nella «Questio de aqua et terra». Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la «Questio» fosse un falso composto da qualche teologo di Sant’Eufemia e attribuito a Dante per avvalorare le dottrine del Romano. A Sant’Eufemia, inoltre, furono sepolti i figli di Guido Novello da Polenta, che ospitò Dante a Ravenna e che il poeta menziona nella sua «Egloga» a Giovanni del Virgilio.
Sulla mappa sono segnalati anche alcuni luoghi legati ai discendenti del poeta, da piazza delle Erbe, dove, secondo l’umanista Moggio Moggi, Pietro Alighieri, il figlio di Dante, recitò un capitolo in terzine sulla «Commedia», a San Michele Arcangelo, monastero di una comunità religiosa femminile benedettina dove presero i voti anche Alighiera, Gemma e Lucia, figlie di Pietro e di Jacopa Salerni. In questo elenco ci sono anche Palazzo Serego Alighieri, edificio dal caratteristico prospetto neoclassico, che al suo interno custodisce una statua di Dante, opera di Francesco Zoppi, e Villa Serego Alighieri, che è tuttora proprietà e residenza (non visitabile) dei discendenti del poeta.
L’ultima parte del percorso è, infine, una passeggiata tra i luoghi della tradizione dantesca. In questo elenco si trova il trecentesco Palazzo Marogna, che vantava, nel Cinquecento, un’articolata decorazione ad affresco – oggi purtroppo appena visibile – che, secondo il pittore ottocentesco Pietro Nanin, raffigurava due scene della «Commedia»: Dante che corre verso Virgilio, inseguito dalle fiere, e Beatrice su un carro, dipinta nell’atto di svelarsi il volto, secondo quanto riporta il XXXI canto del «Purgatorio».
La visita può proseguire verso Palazzo della Ragione, edificio costruito verso la fine del XII secolo quale palazzo comunale, uno tra i primi in Italia, che oggi ospita la Galleria d’arte moderna «Achille Forti».
In questi spazi, la mostra diffusa trova un prezioso raccordo e ulteriori sviluppi tematici a carattere storico-artistico nelle esposizioni in programma. Si inizia con «La mano che crea. La galleria pubblica di Ugo Zannoni», a cura di Francesca Rossi. Si proseguirà in estate, dall’11 giugno al 3 ottobre, con «Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona», a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli. La mostra presenta una significativa selezione di opere d’arte e testimonianze storiche dal Trecento all’Ottocento, che permettono di approfondire due precisi fulcri tematici: il rapporto tra Dante e la Verona di Cangrande della Scala e il successivo revival sette-ottocentesco della «Divina Commedia» e di un Medioevo ideale, ma anche il mito, tutto scaligero e shakespeariano, di Giulietta e Romeo.
Si può, quindi, proseguire verso Palazzo del Capitanio, inizialmente residenza scaligera e costruzione recente ai tempi di Dante, quindi sede, sotto il dominio della Serenissima (1405-1796), del Capitano veneto – da qui il nome attuale – e poi, dal tardo Ottocento, degli uffici giudiziari.
Si può, poi, fare tappa al Palazzo della Provincia, oggi sede della Prefettura, dimora fatta costruire da Cangrande della Scala, e alle Arche Scaligere, sepolcro nella chiesa di Santa Maria Antica, dove sono conservate le spoglie mortali di Alberto I (morto nel 1301) e dei suoi figli Bartolomeo I (1304), Alboino (1311) e Cangrande (1329). L’arca di Bartolomeo si distingue per l’insegna della scala sormontata da un’aquila. Di Cangrande restano sia il primo sarcofago, dove fu deposto subito dopo la morte improvvisa e misteriosa (l’enigma sarà svelato prossimamente dall’indagine sul DNA condotto dalle Università di Verona e di Firenze in collaborazione con il Civico museo di storia naturale di Verona), sia il sontuoso monumento che gli fece realizzare Mastino II, suo nipote, sopra la porta della chiesa, quando diede avvio alla trasformazione monumentale e dinastica del cimitero.
Sempre sulle orme dell’Alighieri, si arriva, quindi, alla chiesa di San Zeno Maggiore, capolavoro del romanico lombardo. Sul fianco sud dell’edificio religioso, c’è un’epigrafe incisa che ricorda l’abate Gerardo, figura citata dal poeta nel XVIII canto del «Purgatorio», e le opere da lui promosse al tempo del Barbarossa.
Di qui si prosegue per Sant’Elena, adiacente alla Cattedrale, che conserva in buona parte la sua compagine altomedievale. Il 20 gennaio 1320, Dante tenne in questa sede una lezione pubblica per spiegare il fenomeno dell’emersione delle terre sopra la superficie dell’acqua. Forse sperava di conquistare così l'ammissione all'insegnamento nello Studio, la scuola superiore di Verona che stava diventando una rinomata Università, ma gli venne preferito il maestro di logica Artemisio. Alla fine del testo della «Questio de aqua et terra» si legge: «[…] definita da me, Dante Alighieri, il minimo dei filosofi, durante il dominio dell’invitto Signore messer Cangrande della Scala, Vicario del Sacro Romano Impero, nell’inclita città di Verona, nel tempietto della gloriosa Elena […]».
Durante il suo primo soggiorno veronese, il poeta frequentò quasi certamente anche la Biblioteca Capitolare, una delle più antiche del mondo, il cui scriptorium era attivo forse già dal VI secolo. In queste sale, erano presenti, già allora, antichi manoscritti di alcuni fra i classici meno noti al Medioevo, come la «Naturalis Historia» di Plinio il Vecchio e le «Historiae» di Livio. I due autori sono citati in un breve passaggio del «De vulgari eloquentia», scritto tra il 1303 e il 1305, nel quale lo scrittore rivela che una «amichevole insistenza» lo invitava a consultarli («Quos amica sollicitudo nos visitare invitat»).
La mappa ci conduce, poi, verso tre chiese. Si inizia con Sant’Anastasia, solo un cantiere durante i soggiorni danteschi a Verona, che un tempo ospitava nel suo primo chiostro la più antica tomba veronese di famiglia degli Alighieri. Si prosegue a San Fermo Maggiore, anch’essa in costruzione negli anni in cui Dante era presente a Verona, che nel transetto destro della chiesa conserva l’elegante cappella funeraria che Pietro IV e Ludovico Alighieri, discendenti del poeta, fecero allestire a metà del Cinquecento. Infine, si può visitare Sant’Eufemia, legata a Dante solo per via indiretta: il teologo Egidio Romano espose nel suo «De regimine principum» – opera composta prima del 1285 – alcune teorie cosmologiche che il poeta avrebbe affrontato nella «Questio de aqua et terra». Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la «Questio» fosse un falso composto da qualche teologo di Sant’Eufemia e attribuito a Dante per avvalorare le dottrine del Romano. A Sant’Eufemia, inoltre, furono sepolti i figli di Guido Novello da Polenta, che ospitò Dante a Ravenna e che il poeta menziona nella sua «Egloga» a Giovanni del Virgilio.
Sulla mappa sono segnalati anche alcuni luoghi legati ai discendenti del poeta, da piazza delle Erbe, dove, secondo l’umanista Moggio Moggi, Pietro Alighieri, il figlio di Dante, recitò un capitolo in terzine sulla «Commedia», a San Michele Arcangelo, monastero di una comunità religiosa femminile benedettina dove presero i voti anche Alighiera, Gemma e Lucia, figlie di Pietro e di Jacopa Salerni. In questo elenco ci sono anche Palazzo Serego Alighieri, edificio dal caratteristico prospetto neoclassico, che al suo interno custodisce una statua di Dante, opera di Francesco Zoppi, e Villa Serego Alighieri, che è tuttora proprietà e residenza (non visitabile) dei discendenti del poeta.
L’ultima parte del percorso è, infine, una passeggiata tra i luoghi della tradizione dantesca. In questo elenco si trova il trecentesco Palazzo Marogna, che vantava, nel Cinquecento, un’articolata decorazione ad affresco – oggi purtroppo appena visibile – che, secondo il pittore ottocentesco Pietro Nanin, raffigurava due scene della «Commedia»: Dante che corre verso Virgilio, inseguito dalle fiere, e Beatrice su un carro, dipinta nell’atto di svelarsi il volto, secondo quanto riporta il XXXI canto del «Purgatorio».
Tra i luoghi della tradizione c’è anche il Ponte di Veja, un poderoso arco naturale a Sant’Anna d’Alfaedo, la cui conformazione rimanda ai ponti in pietra del cerchio VIII dell’«Inferno», come ricordava, a fine Ottocento, il dantista tedesco Alfred Bassermann.
Tappa finale della mostra diffusa è Castelvecchio, che Dante non vide (fu costruito a partire dal 1354 per iniziativa di Cangrande II della Scala) ma che oggi accoglie, come sede museale, importanti testimonianze della Verona dell’età di Dante: sculture del Maestro di Sant’Anastasia, dipinti di stretta influenza giottesca, parte del corredo funerario della tomba di Cangrande della Scala e gli originali delle statue equestri di Cangrande e Mastino II, provenienti dalle Arche Scaligere. In queste sale è allestita anche la mostra «Dante negli archivi. L’Inferno di Mazur», a cura di Francesca Rossi, Daniela Brunelli, Donatella Boni, con 41 acqueforti e acquetinte ispirate alla prima cantica della «Divina Commedia».
Il percorso non è stato pensato solo per i turisti, ma anche per i veronesi che potranno così riscoprire luoghi simbolo della loro città, come portati per mano da Dante Alighieri.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Chiostro di San Zeno, Verona; [fig. 2] Basilica di San Zeno, Verona; [fig. 3] Piazza dei Signori, Verona; [fig. 4] Ponte Veja. Foto di Gianni Crestani; [fig. 5] Verona. Foto di Fabio Tura; [fig. 6] Ga, Verona; [fig. 7] Museo di Castelvecchio, Verona; [fig. 8] Luigi Ferrari (Venezia, 1810 - 1894) Busto di Dante, 1864. Marmo; 81 × 57 × 37 cm. Vicenza, Istituzione pubblica culturale Biblioteca civica Bertoliana. Opera esposta nella mostra «Tra Dante e Shakespeare. Il mito di Verona», a cura di Francesca Rossi, Tiziana Franco, Fausta Piccoli
Nessun commento:
Posta un commento