I precedenti narrativi di questo componimento teatrale, tra i più rappresentati e amati dal pubblico, sono da ricondurre alle novelle Personaggi (1906), Tragedia di un personaggio (1911) e Colloqui coi personaggi (1915); la fonte diretta è, però, l’abbozzo di un romanzo, appena due pagine pervenute in foglietto, databile al 1910-‘12. Nasce così in Luigi Pirandello l’idea di mettere in scena il meccanismo della creazione artistica nel momento e nell’atto del proprio farsi, la volontà di raccontare il passaggio dalla persona al personaggio. E’ rottura con la struttura tradizionale del dramma, con gli schemi correnti: quello decadente e accentuatamente simbolista di Gabriele D’Annunzio, quello verista di Giovanni Verga e Giuseppe Giocosa, ma anche quello crepuscolare di Ercole Luigi Morselli e quello grottesco di Rosso di San Secondo. L’innovazione non viene immediatamente compresa né dal pubblico né dalla critica: la prima nazionale dello spettacolo, tenutasi il 9 maggio 1921 al teatro Valle di Roma, con la compagnia di Dario Niccodemi, (tra i protagonisti ci sono Vera Vergani e Luigi Almirante), viene accolta al grido di «Manicomio, manicomio!». Lo shock prodotto negli spettatori è tale che l’autore, all’uscita del teatro, viene investito da una baraonda di proteste e urla: alcuni gli gridano «Buf-fo-ne! Buf-fo-ne!», altri gli danno del «criminale». Come spesso accade nel mondo della drammaturgia e, soprattutto, dell’opera lirica, il successo arriva solo con la seconda replica, tenutasi il 27 settembre dello stesso anno al teatro Manzoni di Milano, sempre per iniziativa della compagnia di Dario Niccodemi. Da allora i Sei personaggi in cerca d’autore esibiscono senza sosta il loro fascino sottile e originale, attestandosi come uno tra gli spettacoli più rappresentati e amati dal pubblico di tutto il mondo.
Il testo viene tradotto presto in varie lingue: nel 1922 è già sul palco a Londra al Kingsway Theatre (a cura della Stage Society) e a New York al Princess (per iniziativa di Brock Pemberton); nel 1923 è la volta di Parigi, dove lo spettacolo è rappresentato alla Comédie des Champs-Elysées, per la regia di Georges Pitóeff (una regia, questa, che rimarrà nella storia del teatro per l’arrivo dei «sei personaggi» con il montacarichi di servizio, avvolti da una luce verdastra e totalmente vestiti di nero). Nel 1924 gli applausi arrivano da Vienna, con la messa in scena di Rudolf Beer al Raimund Theater, e da Berlino, dove a cimentarsi con l’allestimento del testo pirandelliano è Max Reinhardt al Komódie. Dall’anno dopo è la stesura della prefazione, pubblicata nella quarta edizione del testo; qui lo scrittore agrigentino fornisce un'interpretazione d'autore del dramma, chiarendone la genesi, gli intenti, le fondamentali tematiche, la natura dei personaggi e i rapporti che intercorrono fra loro. Questo scritto è importante per la ripresa dello spettacolo sulle scene romane (ripresa nella quale si trova anche un nuovo finale, quello ancor’oggi rappresentato): il 18 maggio 1925 il capolavoro pirandelliano ritorna, infatti, nella «Città eterna», questa volta al teatro Odescalchi, in un allestimento che vede in scena Lamberto Picasso, Marta Abba e Mario Cervi. E’ la consacrazione definitiva e i Sei personaggi in cerca d’autore diventano anche una storia di registi e di attori: a farsi ammaliare dal testo sono Guido Salvini, Orazio Costa, Giorgio De Lullo, Giuseppe Patroni Griffi, Giorgio Strehler e Giulio Bosetti, da un lato; Vera Vergani, Lina Satri, Rossella Falk, Romano Valli, Sergio Tofano e Antonio Salines dall’altro, solo per fare qualche nome.
La piéce pirandelliana affascina, però, anche fuori dai confini strettamente teatrali: ne nascono un soggetto cinematografico (mai realizzato), scritto dallo stesso Pirandello con Adolf Lantz, e un’opera lirica in tre atti, rappresentata a New York il 26 aprile 1959, con libretto di Denis Johnston e musica di Hugo Weisgall.
Ma che cosa ha reso questo lavoro una delle pietre miliari del nostro teatro? La trama non ha, in realtà, caratteristiche particolari; ha accenti da feuilleton borghese familiare, da romanzo d’appendice. Sulle tavole di un palcoscenico, dove si stanno facendo le prove del dramma pirandelliano Il gioco delle parti, si presenta una tormentata famiglia, composta da un padre, una madre, un figlio, una figliastra, un giovinetto e una bambina. Questi personaggi chiedono al capocomico e agli attori di mettere in scena la loro fosca e intricata vicenda, intessuta di tradimenti, abbandoni, riconciliazioni, sofferenza, desideri di vendetta, fino al tragico epilogo finale: la morte di due membri della famiglia. Ciò che colpisce l’attenzione dello spettatore non è, dunque, l’intreccio della storia, fitta di luoghi comuni, quanto le illuminazioni metateatrali pirandelliane. Per usare le parole di Francesca Malara e Roberto Alonge nella Storia del teatro moderno e contemporaneo di Einaudi, lo scrittore agrigentino inizia con questo dramma il suo passaggio dal «teatro d’attore», tipico della tradizione ottocentesca, al «teatro di regia», caratteristico della nuova temperie novecentesca. L’enfasi declamatoria degli interpreti e gli intrecci leggeri e mondani di tradizione francese lasciano, dunque, spazio a un «teatro di idee», dove protagonista è la «vita nuda», cioè la vita senza la maschera dell’ipocrisia e delle convenzioni sociali. Un teatro nel quale un ruolo importante assume la figura del regista (allora ancora chiamato «capocomico»), sguardo esterno che dà una corretta lettura del testo, istradando in qualche modo un'autorizzata e privilegiata ipotesi di regia.
In Sei personaggi scompare l’usuale suddivisione in atti e in scene ed appare, per la prima volta nel teatro di Luigi Pirandello, l’eliminazione della «quarta parete» di diderotiana memoria, cioè della parete trasparente che sta tra attore e pubblico, tra palcoscenico e platea. Una innovazione, questa, memore di certe soluzioni futuriste e dadaiste, che troverà la sua massima espressione nella rappresentazione simultanea dello spettacolo Questa sera si recita a soggetto, altra occasione importante per fare il punto sulla drammaturgia contemporanea.
Con i Sei personaggi in cerca d’autore, Luigi Pirandello, premio Nobel per la letteratura nel 1934, inizia, dunque, il suo rifiuto fermo e netto della «scatola teatrale» ottocentesca. Con questi personaggi «nati vivi», con la loro storia drammatica fatta di un tradimento e di un mancato incesto –una storia, questa, che sembra chiedere a gran voce di «entrare nel mondo dell’arte»- l’autore di Girgenti ci porta in un luogo fuori dal tempo. Racconta, per usare le parole di Enzo Lauretta in Luigi Pirandello. Storia di un personaggio fuori chiave, «un dramma che si conclude con quello che i filosofi esistenziali chiamano uno «scacco», dopo il quale ai personaggi-fantasmi non rimane che l’informale, il nulla». Un dramma che è «illusione di realtà», dal momento che –afferma il Padre dei «sei personaggi», parafrasando quanto già scritto in Uno, nessuno e centomila- è commedia della vita che non conclude, perché se domani conclude –addio- è finita»
Vedi anche
Ad Agrigento un convegno internazionale sul teatro di Pirandello
Didascalie delle immagini
[fig. 1] Luigi Pirandello, in compagnia degli attori Marta Abba e Lamberto Picasso. Roma, teatro Agentina - 1928; [fig. 2] Copertina dell'edizione di Sei personaggi in cerca d'autore, pubblicata da Oscar Mondadori; [fig. 3] Una immagine dell'allestimento dei Sei personaggi in cerca d'autore di Georges Pitóeff, andato in scena il 10 aprile 1923 alla Comédie des Champs-Elysées di Parigi; [fig. 4] Copertina dell'edizione di Sei personaggi in cerca d'autore, pubblicata da Oscar Mondadori.
Curiosando nel Web
Il testo di Sei personaggi in cerca d’autore su LiberLiber
Da leggere
Roberto Alonge e Francesca Malara, Il teatro italiano di tradizione in AA.VV., Storia del teatro moderno e contemporaneo. Avanguardie e utopie del teatro, Einaudi, Torino 2001;
Raffaele Cazzulli, Pirandello: la soglia del nulla, edizioni Dedalo, Bari 2003;
Enzo Lauretta, Luigi Pirandello. Storia di un personaggio fuori chiave, Ugo Mursia editore, Milano 1980.