ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 7 dicembre 2016

La Scuola di Rivara, un momento magico dell’Ottocento pedemontano in mostra a Torino

È un percorso alla scoperta dei pittori che, a vario titolo e in tempi anche diversi, frequentarono il «cenacolo di Rivara», orbitante intorno alla figura di Carlo Pittara, quello proposto dal Museo di arti decorative Accorsi –Ometto di Torino.
La mostra, a cura di Giuseppe Luigi Marini, comprende circa settanta opere provenienti da collezioni private italiane, selezionate secondo un elevato criterio qualitativo e storico.
Dodici sono gli artisti presentati, provenienti da diverse regioni italiane e non solo, a sottolineare l’importanza di una stagione artistica che supera i confini regionali. Accanto ai piemontesi Carlo Pittara, Vittorio Avondo, Ernesto Bertea, Federico Pastoris (a cui si aggiungeranno più tardi i torinesi Giovanni Battista Carpanetto, Adolfo Dalbesio e Francesco Romero, di Moncalvo) sono presenti artisti liguri (Ernesto Rayper e Alberto Issel) o “naturalizzati” come tali (gli iberici D’Andrade e De Avendaño), nonché il fiorentino di natali, ma giunto a Torino in tenera età, Antenore Soldi.
Il momento che essi rappresentano è caratterizzato dalla ricerca di un sensibile realismo nella rappresentazione del paesaggio agreste, con accenti diversi, ma improntati dalla comune attenzione prima al paesismo ancora intriso di romanticismo dello svizzero Alexandre Calame (che quasi tutti conobbero inizialmente a Ginevra), presto attratti dal paesismo dei pittori di Barbizon in Francia e dalle novità di Corot e dal linguaggio fontanesiano attraverso contatti diretti, poi rinnovati negli anni di Rivara, con il maestro reggiano a Volpiano, tramite anche le esortazioni del ligure Tammar Luxoro.
Il confronto tra i pittori iberici e quelli liguri iniziò dapprima negli incontri a Carcare, nel Savonese, poi, sopratutto d’estate o in autunno, a Rivara, dove il lavoro gomito a gomito ebbe momenti catalizzanti, specie dopo l’inserimento nel gruppo di Rayper, su esortazione di D’Andrade. La scelta di confrontarsi con il paesaggio di Rivara avvenne non solo per l’amenità del dolce paesaggio agreste, ma perché tutti potevano godere della generosa ospitalità del banchiere Carlo Ogliani, cognato di Pittara, rivarese d’origine e proprietario di un’accogliente villa, poi anche del vasto castello acquistato all’inizio degli anni Settanta.
L’abituale consuetudine dei gioviali incontri, che connotò la rivoluzione realista di quei compagni di cavalletto, ebbe il proprio momento di maggiore vitalità e di fulgore a cavallo del 1870, sino alla precoce morte di Rayper nel 1873 e a uno stillicidio di abbandoni alla fine del decennio, tra cui quello, parziale, dello stesso Pittara, che ritroviamo a Roma nel 1877 e a Parigi dopo il 1880 (anche se di ritorno a Rivara ogni anno per qualche mese). Valorizzata in primis dal poeta Giovanni Camerana, poi dai critici Emilio Zanzi, Marziano Bernardi e in ultimo e autorevolmente da Roberto Longhi, l’importanza della cosiddetta Scuola di Rivara era già stata riconosciuta da Telemaco Signorini che, tuttavia, dimenticò Pittara per sottolineare il ruolo innovatore di Ernesto Rayper, indubbiamente la figura più dotata del gruppo. Anche se Carlo Pittara fu il più produttivo e vario, sebbene discontinuo, realista del cenacolo pedemontano, progressivamente attratto dalla finezza e dal successo del linguaggio denittisiano; e curioso delle più dolci eleganze di una pittura narrativa.
A questa epopea tardo-ottocentesca, che seppe definitivamente accantonare la ridondanza della pittura di storia e i ritardi di gusto dell’insegnamento accademico con un’espressione gioviale e sincera della realtà, la verde Rivara ha legato per sempre il proprio nome: luogo di una pacifica, osteggiata a lungo ma definitiva rivoluzione che ha segnato l’attualità della pittura piemontese, ligure e, in parte, attraverso Gignous, lombarda del maturo Ottocento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Carlo Pittara, Rive della Senna. 1884. Olio su tela, cm 38 x 56. Collezione privata; [fig. 2] Giovanni Battista Carpanetto,Fiori raccolti. 1892. Olio su tavola, cm 32,5 x 48,5. Collezione privata; [fig. 3]Ernesto Rayper, Primavera. Olio su tavola, cm 52 x 38

Informazioni utili
Carlo pittara e la scuola di Rivara. Museo di Arti Decorative Accorsi – Ometto, via Po, 55 - Torino. Orari: da martedì a venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–18.00; sabato e domenica, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–19.00; lunedì chiuso. Ingresso: intero € 8,00, ridotto € 6,00 o € 4,00 (con abbonamento Torino Musei). Informazioni: tel. 011.837.688 int. 3; info@fondazioneaccorsi-ometto.it. Sito internet: www.fondazioneaccorsi-ometto.it. Fino all'8 gennaio 2016. | Mostra prorogata fino al 12 febbraio 2016. 

martedì 6 dicembre 2016

«Mindful Hands», un viaggio tra i capolavori miniati della Fondazione Cini di Venezia

È una mostra preziosa quella che la Fondazione Giorgio Cini di Venezia presenta sotto il titolo di «Mindful Hands». La preziosità di questa esposizione, il cui allestimento è stato curato dallo studio Michele De Lucchi, è data da due elementi: è la prima volta, dopo più di trentacinque anni, che viene esposta al pubblico grande parte della collezione di miniature medioevali e rinascimentali acquisite da Vittorio Cini tra il 1939 e il 1940 dalla Libreria Antiquaria Hoepli di Milano e donate alla fondazione nel 1962. L’esposizione rappresenta, poi, il momento conclusivo di un progetto scientifico di schedatura e di catalogazione, durato oltre tre anni, che ha coinvolto più di quaranta studiosi e restauratori, coordinati da Federica Toniolo, Massimo Medica e Alessandro Martoni.
Circa centoventi delle duecentotrentotto miniature della collezione di Vittorio Cini, una delle più importanti raccolte private al mondo di questo genere, sfilano così, ora, nelle Sale del Convitto in una mostra, della quale rimarrà documentazione in un catalogo generale e in una guida breve. La rassegna, visitabile fino al prossimo 8 gennaio, segue un andamento cronologico e geografico, offrendo una visione generale delle principali scuole di miniature italiane tra XII e XVI secolo.
Per l’occasione, lo Studio Michele De Lucchi ha concepito un allestimento che si ispira agli ambienti e alle atmosfere della tradizione miniaturistica medievale, ma li traduce in chiave contemporanea. In particolare il grande spazio espositivo centrale delle Sale del Convitto risulta ridimensionato grazie a oggetti espositivi architettonici creati ad hoc: grandi nicchie in tessuto chiaro che ricreano lo spazio delle cappelle delle chiese gotiche e cassettiere ottagonali in rovere massiccio, imponenti ma funzionali.
Nelle quattro grandi cassettiere e nelle nove nicchie dell’allestimento sono stati, nello specifico, raggruppati nuclei di fogli e ritagli di iniziali provenienti dagli stessi volumi o riconducibili a maestri e botteghe affini, mentre quattro vetrine su piedistallo mostrano eccezionali manoscritti miniati ancora integri. Lungo la parete a sinistra dell’ingresso un’infilata di vetrine ospita fogli interi e frammenti di particolare bellezza e importanza.
L’esposizione offre, poi, al visitatore l’opportunità di conoscere da vicino due dei volumi più importanti e rari della collezione: il Martirologio della confraternita dei Battuti Neri di Ferrara, manoscritto quattrocentesco in cui le meditazioni sulle sofferenze di Cristo sulla croce sono alternate a miniature con immagini della Passione e di martiri di santi, e il piccolo (6x3 cm) ma preziosissimo Offiziolo di Carlo VIII, commissionato alla fine del XV secolo dal duca di Milano Federico il Moro per donarlo al re di Francia, uno dei più raffinati libri d’ore (volumi per la preghiera personale quotidiana) di area lombarda. Il senso della mostra è, inoltre, esemplificato dall’esposizione di un libro di grande importanza per la storia di San Giorgio Maggiore e della Fondazione: l’Antifonario (libro che contiene le parti cantate della liturgia) comune dei Santi, denominato «Q», appartenente alla basilica benedettina di San Giorgio Maggiore e prestato in occasione di «Mindful Hands».
L’atelier Factum Arte di Adam Lowe, esperto di tecniche digitali applicate alla conservazione, alla riproduzione e alla lettura delle opere d’arte, ha, invece, accettato la sfida di confrontarsi con i grandi maestri artigiani del passato nella realizzazione di una serie di vere e proprie installazioni artistiche multimediali, protagoniste dell’ultima sezione della mostra, dedicata all’analisi e alla comprensione delle tecniche di produzione del manoscritto miniato.
Il visitatore viene accolto da una grafica che illustra la storia della tecnica miniatoria e assiste alla proiezione del video «Cuttings», che documenta con sole immagini e suoni in presa diretta la genesi del foglio di pergamena, la realizzazione dei pigmenti e dei colori, le tecniche di decorazione e rilegatura. Si entra, quindi, nell’ultima sala della mostra, caratterizzata da un allestimento scenografico che richiama l’atmosfera dei monasteri medievali.
La prima parte è dedicata all’Offiziolo: la parete sinistra è interamente occupata da un’imponente installazione che affianca ingrandimento e riproduzione in scala 1:1 di ciascuna delle pagine miniate del volume, mentre un video illustra le tecniche di scansione e di realizzazione del facsimile, che i visitatori potranno toccare con mano e sfogliare in un piccolo salotto.
La seconda parte della sala evoca, invece, l’atmosfera dei percorsi penitenziali e meditativi della medievale confraternita dei Battuti Neri di Ferrara e il senso profondo di uno dei libri a essa in uso, il Martirologio: qui il visitatore si trova attorniato dagli ingrandimenti monumentali di dieci delle miniature più emblematiche racchiuse nel codice. Oltre alla penombra in cui è immersa, la sala acquista drammaticità per l’intreccio con una potente installazione sonora: le registrazioni di un canto prepolifonico curato a metà del secolo scorso da padre Pellegrino Ernetti, monaco benedettino del monastero di San Giorgio Maggiore e noto musicologo, “purificate” grazie alle più moderne tecnologie audio, sintetizzate e unite alla musica di altri periodi e tradizioni che richiamano il tema del martirio. La scelta di un’installazione dedicata al canto si lega alla natura stessa dei volumi da cui proviene la quasi totalità dei pezzi della collezione Cini, rappresentati appunto da fogli o ritagli di libri per il coro.

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Belbello da Pavia, foglio staccato da Antifonario con Annunciazione in iniziale M (1467-1470); [fig. 2] Franco dei Russi, foglio staccato da Antifonario con Lapidazione di Santo Stefano in iniziale; [figg. 3 e 4] Veduta interna della mostra «Mindful Hands»

Informazioni utili 
Mindful Hands. I capolavori miniati della Fondazione Giorgio Cini. Fondazione Cini, Isola di San Giorgio Maggiore - Venezia. Orari: ore 11.00 – 19.00; chiuso il mercoledì. Ingresso: intero 12,00, ridotto € 10,00 o € 7,00. Informazioni: tel. 041.2710229 o segr.gen@cini.it. Sito internet: www.cini.it. Fino all'8 gennaio 2017. 

lunedì 5 dicembre 2016

Carol Rama tra passioni e inquietudini

I «vantaggi di essere una donna artista» consistono nel «sapere che la tua carriera potrebbe esplodere quando hai ottant’anni». La dichiarazione del gruppo Guerrilla Girls ben si sposa con quanto è successo a Carol Rama (Torino, 1918-2015), autrice ignorata a lungo dalla storia dell’arte ufficiale per sua rappresentazione dissidente della sessualità femminile, la cui opera è stata riconosciuta a livello internazionale solo nel 2003, con il Leone d’oro della Biennale di Venezia.
Carol Rama è, però, un’artista indispensabile per comprendere i mutamenti della rappresentazione pittorica nel XX secolo e, nel contempo, il lavoro di autrici quali Cindy ShermanKara WalkerSue WilliamsKiki Smith o Elly Strik.
Di grande interesse si rivela, dunque, la mostra, a cura di Teresa Grandas e Paul B. Preciado, che la Gam – Galleria civica d’arte moderna e contemporanea di Torino dedica all’artista e che ne segna la consacrazione internazionale attraverso l’esposizione di circa duecento opere che abbracciano settant’anni di carriera (dal 1936 al 2005), delle quali rimarrà documentazione in un catalogo edito da Silvana editoriale.
Nata nel 1918 da una famiglia di piccoli industriali torinesi, priva di una formazione artistica accademica, Carol Rama lascia nella sua opera giovanile l’impronta dell’esperienza della reclusione in istituto (fu probabilmente la madre a essere internata in un ospedale psichiatrico) e della morte (il padre, con ogni probabilità, si suicidò).
Negli anni Trenta e Quaranta l’artista inizia a inventare una grammatica visiva tutta sua, attraverso acquerelli figurativi. Nelle serie «Appassionata e Dorina» appaiono membri amputati e lingue erette: sono i corpi malati e istituzionalizzati cui l’opera dell’artista darà visibilità, esaltandoli attraverso una rappresentazione vitalista e sessualizzata e restituendoli come soggetti politici e di delizia. Queste opere del primo periodo si ribellano alle norme dei codici etici imposti dall’Italia fascista. Leggenda vuole che alcuni lavori dell’epoca, esposti per la prima volta nel 1945, furono censurati per «oscenità» dal governo italiano.
Nel decennio degli anni Cinquanta l’artista si associa al Movimento di arte concreta per dare, secondo la sua stessa espressione, «un certo ordine» e «limitare l’eccesso di libertà». Poco a poco si disfa, però, delle convenzioni geometriche del Mac e inizia a sperimentare con nuovi materiali e nuove tecniche. La svolta verso l’astrazione la porta a giocare, negli anni Sessanta, con l’arte informale e lo spazialismo e a sviluppare i suoi bricolage: mappe organiche fatte di unghie, cannule, segni matematici, siringhe e componenti elettrici. Queste opere, fatte per essere «sperimentate» con tutti i sensi più che semplicemente viste, riorganizzano in maniera aleatoria materiali organici e inorganici, includendo parole e nomi quali Bomb, Mao Tse-Tung o Martin Luther King.
Alla fine degli anni Sessanta, il mondo dell’arte sia italiano sia internazionale è soprattutto attraversato dalle opere di artisti uomini e pertanto la sua ricerca rimane isolata.
All’incrocio tra arte povera, junk art e Nouveau Réalisme, l’opera dell’artista torinese è più viscerale e più sporca che povera. Carol Rama aveva, infatti, capito che non solo gli oggetti inorganici dovevano essere recuperati attraverso un nuovo incontro utopico con la materia, ma che il corpo stesso, i suoi organi e fluidi, oggetti della gestione politica e del controllo sociale, dovevano anch’essi essere sottoposti a un recupero plastico.
Negli anni Settanta, l’artista si ricollega alla sua biografia attraverso l’intensità dei materiali. È in quest’epoca che impiega quasi esclusivamente la gomma proveniente dagli pneumatici delle biciclette, materiale che conosce bene poiché il padre aveva avuto una piccola fabbrica che tra l’altro produceva biciclette a Torino. Carol Rama disseziona gli pneumatici, li trasforma in superfici bidimensionali, crea forme attraverso l’assemblaggio di diversi colori e tessiture. Gli pneumatici, invecchiati dalla luce e dal tempo, sgonfiati, flaccidi e in decomposizione sono, al pari dei nostri corpi, «organismi ancora ben definiti e vulnerabili».
Nel 1980 la storia e critica d’arte Lea Vergine, alla quale si deve la riscoperta dell’artista, include una selezione dei suoi primi acquerelli nella mostra collettiva «L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940», in cui riunisce opere di oltre un centinaio di artiste.
Negli stessi anni Carol Rama riprende alcuni temi iconografici degli inizi, tornando alla figurazione.
Nel decennio successivo non ricorre più a figure della femminilità, bensì alla figura dell’animale malato affetto da encefalopatia spongiforme bovina: la mucca pazza. Gli elementi e motivi caratteristici di Carol Rama -il caucciù, le tele dei sacchi postali, i seni, le lingue, i peni, le dentature- si riorganizzano per formare un’anatomia distorta che non può più costituire un corpo. Ciò nonostante, Rama si spingerà fino a definire questi lavori non-figurativi come autoritratti. Un percorso, dunque, interessante quello della mostra torinese che racconta come Carol Rama abbia visto l’arte come un modo per esorcizzare inquietudini esistenziali e paure. Lei stessa diceva, infatti, «la mia sicurezza esiste solo davanti a un foglio da riempire. Il lavoro è l’unico modo di togliermi le paure. La mia trasgressione è la pittura».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Carol Rama, Nonna Carolina, 1936. Acquerello su carta, 24 x 35 cm. Proprietà della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea-CRT in comodato presso la Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea, Torino e presso il Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea, Rivoli-Torino. Photo: Roberto Goffi, Torino; [fig. 2] Carol Rama, La macelleria, 1980. Tecnica mista su tela, 120 x 120 cm. Collezione privata; [fig. 3] Carol Rama, Lusinghe, 2003. Tecnica mista e incisione su carta foderata, 25 x 35 cm. Collezione Charles Asprey, Londra. Photo: Andy Keate; [fig. 4] Carol Rama, Appassionata, 1940. 41.5 x 30.5 cm, Acquerello e matita su carta. Fondazione Guido ed Ettore De Fornaris - GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino

Informazioni utili 
La passione secondo Carol Rama. GaM - Galleria civica d’arte moderna e contemporanea, via Magenta, 31 – Torino. Orari: martedì – domenica, ore 10.00-18.00; chiuso lunedì | la biglietteria chiude un’ora prima. Ingresso: € 10,00, ridotto € 8,00. Informazioni: tel. 011. 4429518 o gam@fondazionetorinomusei.it. Sito internet: www.fondazionetorinomusei.it. Fino al 5 febbraio 2017.