A raccontare il codice artistico del genio catalano è, fino al prossimo 17 settembre, una mostra allestita a Bologna, negli spazi di Palazzo Albergati, che vede in prima linea la Fondazione Pilar e Joan Miró di Maiorca, diretta da Francisco Copado Carralero, all’interno della quale sono conservati oltre cinquemila lavori dell’artista e nella quale è possibile vedere anche il suo studio, con pennelli, tavolozze e attrezzi del mestiere rimasti lì dal giorno in cui è morto, come lui li aveva lasciati.
«Miró! Sogno e colore» -questo il titolo della rassegna bolognese, che vede la curatela scientifica di Pilar Baos Rodríguez- raccoglie, nello specifico, centotrenta opere, tra cui cento olii di sorprendente bellezza e di grande formato, che ripercorrono il rapporto dell’artista con la variopinta e fascinosa isola di Maiorca, dove egli visse dal 1956 fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1983.
Qui, sulle isole Baleari, nel paese natale della madre Dolores e della moglie Pilar e nella grande tenuta di campagna di Son Boter, Joan Mirò (Barcellona, 1893 – Palma di Maiorca, 1983) realizza un sogno a lungo agognato: un «grandissimo studio», fatto costruire dall'amico architetto Josep Lluis Sert, dove -per usare le sue stesse parole- «disporre di spazio sufficiente per molte tele», «cimentarsi nella scultura, nella ceramica, nella stampa» e, «per quanto possibile, andare oltre la pittura da cavalletto».
In questo bianco edificio, inondato di luce e immerso nel verde e nella pace della natura, l’artista reinventa il suo stile e il suo alfabeto espressivo si fa via via più anticonformista e selvaggio, senza perdere quella vena contemplativa, giocosa, magica, onirica e apparentemente ingenua, fatta di segni ritmici e fantastici, di grafismi stilizzati e fanciulleschi, di macchie pure e squillanti, che lo ha fatto conoscere nel mondo. Ne nasce un canto libero -da «usignolo della pittura moderna», per usare le parole di Carlo Argan-, estraneo ai dettami dei principali movimenti pittorici del tempo, seppure inserito nell’ambito del Surrealismo e con un occhio rivolto, negli ultimi anni, all’esperienza dell’Action painting e dell’Espressionismo astratto americano.
Nei trent’anni trascorsi a Maiorca, Joan Mirò si dedica ai suoi temi prediletti, dalle donne agli uccelli, da code d’aquilone a paesaggi astrali. Con il passare del tempo, il pennello sgocciola; il gesto si fa ampio e istintivo, forse brutale. Nascono lavori, quelli degli ultimi anni, fatti con le dita, stendendo il colore con i pugni e spalmando gli impasti su compensato, cartone e materiali di riciclo.
L’insaziabile sperimentalismo porta l’artista a confrontarsi con la sua opera anche attraverso l’intero corpo: cammina sulle sue tele e vi si stende sopra, sporcandosi «tutto –lo scrive egli stesso nel 1974- di pittura, faccia, capelli».
In alcuni casi le squillanti macchie di blu, rosso, giallo e verde, che rendono riconoscibile a tutti l’arte di Joan Mirò, lasciano spazio a una tavolozza cromatica ridotta al bianco e nero, a una figurazione che evoca la predilezione dell’artista sia per l’arte rupestre sia per la calligrafia orientale, conosciuta direttamente nei suoi due viaggi in Giappone, avvenuti nel 1966 e nel 1969.
Nel suo studio di Maiorca, l’artista si confronta anche con la ceramica, la scultura e i libri d’artista. Crea collage e «dipinti-oggetto», che traggono ispirazione da ciò che raccoglie sull’isola e colleziona, interessato non tanto all’aspetto estetico o formale quanto all’energia che gli trasmette ciascun materiale.
Tra le opere esposte a Bologna, allineate in base a un percorso cronologico e tematico allo stesso tempo, si possono ammirare capolavori come «Femme au clair de lune» (1966), «Oiseaux» (1973) e «Femme dans la rue» (1973), oltre a schizzi, tra cui quello per la decorazione murale per la Harkness Commons-Harvard University.
Una delle stanze al primo piano è allestita per un’esperienza immersiva: un gioco di emozioni da vivere sdraiandosi sul divano contemplando le proiezioni delle opere sul soffitto. La visione è accompagnata da musica, che permette all’osservatore di stabilire una connessione molto intima con le opere dell’artista, per conoscere meglio le creazione di un esploratore di sogni e racconti fantastici che di sé diceva: «lavoro come un giardiniere o come un vignaiolo. Le cose maturano lentamente. Il mio vocabolario di forme, ad esempio, non l'ho scoperto in un sol colpo. Si è formato quasi mio malgrado».
A Joan Mirò e al suo profondo e giocoso legame con le parole e la poesia è dedicata anche la mostra in programma a Recanati, negli spazi di Villa Colloredo Mels, fino al prossimo 5 novembre. L’esposizione, corredata da un catalogo con testi di Sebastiano Guerrera, è incentrata sulle litografie realizzate dall’artista catalano nel 1971 per il libro «Le lezard aux plumes d’or».
La genesi del libro fu piuttosto travagliata. Già nel 1967, l’artista aveva realizzato diciotto litografie a colori che illustravano il poemetto per conto dell’editore Louis Broder. Ma le stampe risultarono lacunose nella resa dei colori a causa, pare, di un difetto nella fabbricazione della carta e l’intera tiratura fu distrutta. Poiché nel frattempo le matrici erano state annullate non fu possibile ristamparle e il pittore catalano dovette attendere alla realizzazione di nuove lastre, che furono stampate da Mourlot e pubblicate, sempre da Broder, solo nel 1971.
Le nuove litografie «diventano -scrive Sebastiano Guerrera- il luogo dove la scrittura-segno si determina e si trasfigura, in tutta la sua concretezza lineare, nell’immagine-segno», dando vita anche a «una baraonda cromatica in cui le immagini zampillano» con una profusione che non conosce limiti. «È evidente -aggiunge lo studioso che ci troviamo in un contesto fiabesco. Perché Miró fu sempre un pittore di favole ed è palese la sua propensione ad un tipo di poesia che, pur mettendo in luce echi degli automatismi surrealisti e affinità col nonsense dadaista, si fa testimone di relazioni animistiche e magiche tra uomo e natura, di un mondo in cui gli animali -ma anche le cose inanimate- aiutano il mondo a rinascere: perciò il genere di Mirò, come scriveva Argan, «è la favola, che si richiama e rivolge pur sempre ad una infanzia, all’eterna condizione di infanzia dell’uomo».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Joan Miró, Untitled, 1978. Olio su tela, 92x73 cm. © Successió Miró | Archivio Fundazione Pilar e Joan Miró | © Joan Ramón Bonet & David Bonet; [fig. 2] Joan Miró, Maqueta para Gaudí X, 1975. Gouache, ink, pencil, pastel and collage on paper, 30,2x25,2 cm. © Successió Miró | Archivio Fundazione Pilar e Joan Miró | © Joan Ramón Bonet & David Bonet; [fig. 3] Joan Miró, Untitled, 1950. Ceramic. Stoneware and porcelain, 38,5x29x13 cm. © Successió Miró | Archivio Fundazione Pilar e Joan Miró | © Joan Ramón Bonet & David Bonet; [fig. 4 e 5] Immagini tratte dal volume «Le lezard aux plumes d’or».
Informazioni utili
«Miró! Sogno e colore». Palazzo Albergati, via Saragozza, 28 - Bologna. Orari: tutti i giorni, dalle ore 10.00 alle ore 20.00; la biglietteria chiude un'ora prima. Ingresso: intero € 14,00, ridotto € 12,00; ridotto gruppi € 10,00, ridotto universitari € 9,00, ridotto scuole da € 5,00 a € 3,00. Informazioni: tel. 051.030141. Sito internet: www.palazzoalbergati.com. Fino al 17 settembre 2017