ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

mercoledì 20 novembre 2019

Dai maestri del Trecento a Lucio Fontana, quando l’arte incontra l’oro

L’oro è considerato da sempre uno dei metalli più preziosi. Emana luce e trasmette calore. Per questo motivo è stato utilizzato sin dall’antichità, e più precisamente dall’epoca degli antichi egizi, nel mondo dell’arte ora come simbolo di regalità ora come metafora di una dimensione sacra e ultraterrena, priva di tempo.
Con il Medioevo si diffonde l’utilizzo della foglia oro, secondo quella che era la tecnica del «gold ground», per illuminare di luce solare il cielo dei dipinti sacri e per esaltare l’effetto visivo delle aureole dei santi. A questa stagione guarda anche l’incipit della mostra «Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo», in programma dal 22 novembre al 31 gennaio a Milano, nei prestigiosi spazi di Palazzo Cicogna, per iniziativa di Matteo Salamon.
È Cennino Cennini, verso la fine del XIV secolo, a mettere nero su bianco le tecniche di doratura delle tavole in dodici capitoli del suo «Libro dell’arte», un documento storico essenziale nel quale si parla organicamente del funzionamento della bottega di un pittore, dilungandosi sulla centralità del disegno, sulle ricette per la preparazione dei pigmenti, sulle varietà dei pennelli e sui differenti supporti.
A questo modello di lavoro sono riconducibili tutte le opere antiche presenti in mostra, che documentano un arco di tempo che spazia dalla tradizione giottesca al Gotico internazionale a Firenze e in Italia centrale. Si rifanno alla lezione di Cennino Cennini le tavole di Giovanni Gaddi – maestro di scuola giottesca attivo insieme al padre Taddeo nella prima metà del Trecento –, di Andrea di Bonaiuto, di Antonio Veneziano e dell’anonimo pittore noto come Maestro dell’Incoronazione della Christ Church Gallery di Oxford. Mentre i dipinti quattrocenteschi di Mariotto di Nardo (nella mostra è esposta la «Madonna col Bambino e quattro santi», ritenuta uno dei capolavori della sua tarda attività), di Ventura di Moro e del marchigiano Giovanni Antonio da Pesaro attestano la continuità e la vitalità di questa tradizione –e non solo a Firenze– fino al 1430 circa.
La lettura di Cennino Cennini, e in generale lo studio delle tecniche usate dagli antichi maestri, è fondamentale anche per approcciarsi alla sezione espositiva dedicata all’arte contemporanea, nella quale sono esposti artisti degli ultimi cinquant’anni come Lucio Fontana, Paolo Londero e Maurizio Bottoni.
Un filo rosso unisce, dunque, due momenti distanti della storia culturale del nostro Paese, accomunati dai segni tangibili di una unica tradizione che guarda all’uso dell’oro come un pigmento che allude a qualcosa di altro, irraggiungibile e distante. È il caso del lavoro di Lucio Fontana esposto, un «Concetto spaziale in oro» del 1960.
Paolo Londero, artista eclettico la cui formazione da restauratore tradisce la centralità della materia nella sua arte, ci fa, invece, sorridere con la sua «Gallina dalle uova d’oro», opera in realtà non puramente giocosa, ma densa di significato. «A essere d’oro -spiegano, infatti, dalla galleria di Matteo Salamon- è la gallina stessa e il pulcino che schiude un uovo di lacca bianca, segno che la preziosità sta nella vita e non nel guscio, in un gioco di tesi ed antitesi dal sapore hegeliano, ma con rimandi di forme e contenuti addirittura al neoplatonismo michelangiolesco».
L’utilizzo simbolico dei materiali si ripete in un'altra opera di Londero in mostra: la «Verza d’oro». In questo lavoro alcune formiche di lacca nera sono pronte a nutrirsi delle foglie dorate dell’ortaggio, emblema delle illusioni, senza tuttavia giungere al cuore della brassica (che è reale e difatti non è d’oro), vero nocciolo tematico della composizione.
Portavoce del recupero di tecniche antiche, dalla preparazione delle tavole e delle tele a quella dei colori, è anche Maurizio Bottoni, artista lombardo definito da Federico Zeri, nel 1997, «uno dei pochi maestri della penisola che sanno dare ancora vita alle cose». Sua l’espressione «Tutto ciò che è creato è divino», che ben «presuppone -spiegano sempre dalla galleria di Matteo Salomon- l’uso del fondo oro, forma visibile e simbolica della divinità stessa, e di conseguenza contesto esemplare per uno sguardo commosso verso gli aspetti minuti del mondo naturale».
La mostra milanese presenta una sua preziosa tavola dallo spirito surrealista: «Oggi riposo», digressione al tempo stesso ammirata e divertita sul tema della Vanitas.
Su fondo oro sono trasposte anche le «Rose di Volpedo», sentito omaggio al naturalismo sincero e appassionato della poetica di Giuseppe Pellizza.
Nel loro studio meticoloso di materiali e tecniche, risposta coraggiosa all’odierno proliferare di mezzi tecnologici e multimediali nell’arte, Bottoni e Londero guardano, dunque, al passato e a quell’idea già espressa quattro secoli fa da Annibale Carracci che «i pittori abbiano a parlar con le mani». L’uso della foglia d’oro diventa così una tradizione che si rinnova, rendendo la pittura (ma anche la scultura) più preziosa, per trasformarla in un linguaggio che parla di metafisica ed eternità, di splendore ultraterreno e di spiritualità divina.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Londero, La gallina dalle uova d'oro , Papier machè; [fig. 2] Maurizio Bottoni, Oggi riposo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 12 x 28;  [fig. 3] Antonio Veneziano, Angelo Annunciante, tempera su tavola, fondo oro, cm 40,5 x 23,2; [fig.4] Giovanni Antonio da Pesaro: Crocifissione, tempera su tavola, fondo oro, cm 42 x 28,5; [fig. 5] Giovanni Bottoni, Col tempo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 32 x 27

Informazioni utili
«Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo». Galleria Salamon - Palazzo Cicogna, I° piano, via San Damiano 2, Milano. Orario: dal lunedì al venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.76024638; info@salamongallery.com. Dal 22 novembre al 31 gennaio 2020.

martedì 19 novembre 2019

«Dodici storie sul cibo», quando la buona tavola incontra l’arte

Compie sei anni «Far da mangiare», festival di cucina che sabato 23 e domenica 24 novembre, in concomitanza con la Settimana della cucina italiana nel mondo, animerà lo Spazio MIL, centro multifunzionale di circa tremila metri quadrati ubicato nel Comune milanese di Sesto San Giovanni, all’interno del parco archeologico industriale dell’ex fabbrica Breda.
Tema della manifestazione sarà la convivialità, quale elemento comune a tutte le culture del mondo in ogni epoca e in ogni luogo. Da sempre, infatti, il riunirsi intorno al cibo è momento di ritrovo e di condivisione, che ogni popolazione ha arricchito con le proprie usanze e tradizioni, con le proprie materie prime e tecniche di preparazione. Asia e Sud America sono i due Paesi al centro di questa edizione del festival, che proporrà una serie di attività gratuite come workshop di cucina, degustazioni, cooking show, incontri con i produttori, laboratori per bambini, il tutto con l’obiettivo di far conoscere profumi speziati e sapori esotici di un linguaggio universale, quello della buona tavola, capace di creare un ponte tra le varie culture.
A «Far da mangiare» -il cui cartellone sarà arricchito dal sempre gradito Spazio Meal, area dedicata allo street food italiano e internazionale- la cucina incontra anche il mondo dell’arte. In occasione della fiera sarà, infatti, possibile vedere la mostra «Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello», a cura di Andrea Tomasetig. L’esposizione, la cui inaugurazione è programmata per la sera del 21 novembre (ore 18.30), propone una selezione di carte e documenti d’epoca, databili dal 1865 a oggi e provenienti dalla vasta collezione dello studioso milanese Michele Rapisarda.
L’allestimento presenta sia i materiali originali sia la loro riproduzione ingrandita a parete, corredati da brevi testi per approfondirne il contesto storico e sociale.
Di particolare interesse sono le copertine di varie riviste illustrate, dalla storica «Domenica del Corriere», disegnate da Achille Beltrame e Walter Molino, alle attuali pagine d’autore di «Toiletpaper», il magazine bolognese creato da Maurizio Cattelan e dal fotografo Pierpaolo Ferrari, oltre a pagine pubblicitarie con grafiche firmate da Leonetto Cappiello, Antonio Rubino e Benito Jacovitti. Ci sono, inoltre, in mostra cartoline, calendari, ricevute di pasti all’osteria, gadget e pieghevoli.
La rassegna prende le mosse dal periodo in cui la ricca borghesia lombarda andava a mangiare fuori porta in carrozza, provvedendo anche al pasto per il cocchiere e il cavallo, come documentano due ricevute: una dell’Osteria del Giardino di Cassano d’Adda (1865), l’altra della Trattoria del Risorgimento di Fino Mornasco (1900 ca.), che si chiude con le voci «biada, fieno e stallazzo».
Tra le carte in mostra è possibile, poi, imbattersi in una illustrazione di Achille Beltrame dedicata al pranzo di Ferragosto del 1904 sotto le guglie del Duomo di Milano e negli scugnizzi napoletani «mangiamaccheroni», sempre del primo Novecento, immortalati in una cartolina a uso dei turisti italiani e stranieri.
Si toccano, quindi, gli anni Trenta con la pubblicità del modernissimo frigorifero Algidus, firmata da Antonio Rubino, e con quella dell’innovativo Caffè Cirio sottovuoto, il cui manifesto porta la firma di Leonetto Cappiello.
Si assiste, quindi, all’avvento della televisione nel 1954, raccontato da una copertina della rivista «Il Vittorioso» a cura di Benito Jacovitti. Tre anni dopo, nel 1957, con «Carosello», trasmissione che prosegue fino al 1977, la reclame arriva in televisione. L’azienda Invernizzi, produttrice di latticini e salumi, inventa due dei più famosi pupazzi pubblicitari: la Mucca Carolina e Susanna Tutta Panna, della quale è in mostra un giocattolo con stampato datato 1970.
La mostra si chiude, quindi, con un omaggio a Gualtiero Marchesi, del quale è esposto l’opuscolo stampato da Giorgio Lucini nel 2010 per i suoi ottant’anni.
Grande spazio viene, inoltre, dato alla stagione che vede la nascita e l’affermarsi dei supermercati e del carrello della spesa. Nel 1956 la Standa apre a Napoli il primo reparto self-service di generi alimentari. Il 27 novembre 1957 la Supermarkets Italiani -sorta per iniziativa di Nelson Rockefeller, Bernardo Caprotti e Marco Brunelli- inaugura a Milano il primo supermercato di una catena poi nota come Esselunga. Di quest’ultima è esposto il catalogo del novembre-dicembre 1967 con una sorridente Raffaella Carrà che augura buon Natale ai clienti. Un viaggio, dunque, interessante quello proposto alla Spazio MIL, che permette al visitatore di scoprire come il cibo sia cultura, pane non solo per il corpo ma anche per la mente. 

Didascalie delle immagini 
[Fig. 1] Cartolina napoletana illustrata, Mangiamaccheroni, inizio 900; [fig, 2] Achille Beltrame, Controcopertina de La Domenica del Corriere, 21.8.1904, Millano; [fig. 3] Benito Jacovitti, Copertina Il vittorioso, 25.9.1955, Roma; [fig. 4] Copertina catalogo "Esse Lunga", Milano, novembre-dicembre 1967 

Informazioni utili 
«Dodici storie sul cibo. Dal cavallo al carrello. Carte dalla collezione Rapisarda». Spazio MIL, via Luigi Granelli, 1 - Sesto San Giovanni (Milano). Inaugurazione: giovedì 21 novembre, ore 18.30. Orari giovedì, ore 14.00-22.00 | venerdì, ore 14.00-19.00 | sabato, ore 11.00-23.00 | domenica, ore 11.00-21.00. Ingresso: gratuito. Informazioni: tel. 02.36682271, info@spaziomil.org. Come arrivare: M1 Sesto Marelli/Sesto Rondò, M5 Bignami, tram 31 Parco Nord/viale Fulvio Testi, autobus 727 viale Sarca/via Milanese. Dal 21 al 24 novembre 2019.

lunedì 18 novembre 2019

Leopardi e Milano: alla Biblioteca Sormani una mostra per i duecento anni de «L’infinito»

L’altura solitaria del Monte Tabor, il borgo di Recanati alle sue pendici, sullo sfondo i monti Sibillini e il mar Adriatico, in primo piano una siepe e le piante di un parco con le foglie mosse dal vento. È questa la geografia del cuore, intessuta di «profondissima quiete» e di «infinito silenzio», che ci restituisce Giacomo Leopardi con una delle opere poetiche più alte della letteratura di tutti i tempi: «L’Infinito».
È il 1819. Lo scrittore recanatese ha appena ventun anni, ma sente già viva in lui l’urgenza di riflettere sull’«eterno» e sulle «morte stagioni», ovvero sul tempo che scorre, sulla storia -nostra e di chi ci ha preceduto-, sul destino che ci attende.
Sei anni dopo quei quindici versi indimenticabili, di cui si celebrano quest’anno i duecento anni dalla composizione, trovano la loro prima veste tipografica: alla fine del 1825 vengono pubblicati sulla rivista «Il Nuovo Ricoglitore», edita dal tipografo ed editore veneziano Antonio Fortunato Stella, che nel 1810 ha trasferito la propria attività a Milano.
La storia della poesia «L’Infinito» si intreccia, dunque, con quella del capoluogo lombardo, dove lo scrittore trascorre un breve periodo di tempo, proprio nel 1825, tra il 27 luglio e il 26 settembre, in seguito all’incarico di redigere l’edizione completa delle opere di Cicerone.
Non potevano, dunque, non arrivare anche all’ombra della Madonnina i festeggiamenti per i duecento anni dalla composizione del noto idillio leopardiano, che hanno avuto quest’anno il loro cuore pulsante nel borgo di Recanati, dove è attualmente in programma la rassegna fotografica «Paesaggio italiano. L’infinito tra incanto e sfregio», tesa a raccontare il rapporto dell’uomo con la natura.
Sede scelta per l’omaggio milanese è la Biblioteca Sormani, dove fino al prossimo 8 febbraio, vanno in scena una mostra e un ciclo di incontri, per la curatela di William Spaggiari, professore ordinario di Letteratura italiana dell’Università degli studi di Milano.
Grazie a questo evento sarà possibile ripercorrere, nello specifico, l’importanza del capoluogo lombardo nel percorso leopardiano e le considerazioni del poeta recanatese sulla società, sulla fisionomia e i caratteri del cittadino civilmente consapevole e sul vivere nella grande città, argomento, questo, al centro di carteggi con i familiari e gli amici e di pagine segrete del suo «Zibaldone».
Come è noto Giacomo Leopardi verso i vent’anni sente il bisogno di lasciare Recanati, il natio borgo «selvaggio», ormai vissuto come prigione, per poter frequentare gli ambienti culturali più prestigiosi del suo tempo.
Milano, Bologna, Firenze, Pisa, Roma e Napoli accolgono il poeta e diventano scenario di importanti incontri nonché fonte di ispirazione della sua produzione letterario-filosofica.
L’impatto con la vita di città, tuttavia, si rivela per lo scrittore difficoltoso sia per i noti problemi di salute sia per il suo scarso spirito di adattamento, ma anche e soprattutto per il suo carattere schivo, incline alla solitudine e allo studio, insofferente nei confronti della vita di società.
Non semplice è anche il rapporto con la città lombarda. «Io vivo qui poco volentieri e per lo più in casa, -scrive, infatti, il poeta in una lettera del 20 agosto 1825 a Carlo Antici- perché Milano è veramente insociale, e non avendo affari, e non volendo darsi alla pura galanteria, non vi si può fare altra vita che quella del letterato solitario».
Dell’allora capitale del Regno Lombardo-veneto Giacomo Leopardi non ama «l'aria, i cibi e le bevande», definiti -in una lettera del 24 agosto 1825 al padre Monaldo- «forse i peggiori del mondo». Ne disprezza la troppa venerazione, nei circoli culturali, per l’austero Vincenzo Monti, una delle figure egemoni del tempo. Ne avverte, soprattutto, la diffidenza nei suoi confronti, respira cioè -si legge in una lettera allo Stella del marzo 1826- «la disgrazia di essere profondamente disprezzato nella dotta e grassa Lombardia». Ma è ben consapevole che Milano è il posto ideale per realizzare il sogno di gloria letteraria tramite la stampa e la diffusione dei suoi scritti nei circuiti di alto livello culturale. E sarà, infatti, nella città lombarda che vedranno la luce molte delle sue opere: articoli, traduzioni, le «Operette morali», la doppia «Crestomazia», le «Rime» di Petrarca con ampio commento.
La rassegna nella Sala del Grechetto, di cui rimarrà documentazione in un bel catalogo di Silvana editoriale, permette di ammirare un importante corpus di documenti, alcuni rari e mai esposti prima, facenti parte del «Fondo leopardiano», all’interno del quale si trovano trascrizioni manoscritte, edizioni originali a stampa di opere del poeta recanatese e la saggistica più autorevole uscita nell’arco di due secoli.
Oltre a questi pezzi, Walter Spaggiari ha selezionato un ricco apparato documentale e iconografico: lettere autografe di Giacomo Leopardi all’editore Antonio Fortunato Stella, provenienti dalla Biblioteca nazionale Braidense, una lettera di Pietro Brighenti, corrispondente bolognese del poeta e confidente segreto della Polizia austriaca con il nome in codice di Luigi Morandini, di proprietà dall’Archivio di Stato di Milano, nonché dipinti e stampe che ritraggono luoghi, personaggi e momenti della Milano ottocentesca, di solito conservati alla Civica raccolta delle stampe «Achille Bertarelli» del Castello sforzesco, a Palazzo Morando, al Museo del Risorgimento e alla Casa del Manzoni.
Curiosa è, poi, la sezione espositiva curata dall’Associazione culturale Biblioteca Famiglia meneghina Società del Giardino, che propone una serie di traduzioni in milanese del celebre idillio al centro dell’omaggio.
«Giacomo Leopardi. Infinito incanto», questo il titolo del progetto, prevede, inoltre, un ciclo di sette incontri che analizzeranno vari aspetti della poetica dello scrittore recanatese. Patrizia Landi parlerà dello «Zibaldone» (22 novembre), Walter Spaggiari della luna (25 novembre), Angelo Colombo dei rapporti dello scrittore con Milano (2 dicembre). Sarà, poi, la volta di Anna Maria Salvadè con l’incontro «Solitudini leopardiane» (13 dicembre), di Christian Genetelli con «Leopardi e i giornali milanesi» (16 dicembre) e di Gianmarco Gaspari con «Leopardi e il carattere degli italiani» (23 gennaio). A chiudere il cartellone sarà, infine, un appuntamento sulle relazioni tra lo scrittore recanatese e Alessandro Manzoni, a cura di Angelo Stella (30 gennaio).
Un bell’omaggio, dunque, quello di Milano a Giacomo Leopardi, uno dei suoi ospiti illustri insieme con Stendhal, Byron, Shelley, Balzac, Listz e molti altri, che «ha illuminato del suo pensiero -raccontano gli organizzatori- l’ambiente vivace della “capitale morale” di primo Ottocento, pronta ad accogliere e a far propri i fermenti portati dal vento innovatore che spirava in Europa».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Anonimo, Giacomo Leopardi, 1898. Civica raccolta delle stampe Achille Bertarelli. Milano, Castello Sforzesco; [fig. 2] Johann Jakob Falkeisen, Piazza Duomo, 1835-1840. Acquatinta acquarellata a mano. Civiche raccolte storiche. Palazzo Moriggia - Museo del Risorgimento; [fig. 3]  Salvatore Corvaya, Piazza della Scala avanti il 1857, 1920. Olio su tela. Civiche raccolte storiche - Palazzo Morando; [fig. 4] Anonimo, Velocifero, 1835 - 1840. Acquaforte e acquatinta colorata a mano. Civiche raccolte storiche - Palazzo Morando; [fig. 5] Giovanni Migliara, Ponte e trofeo di Porta Ticinese, metà XIX secolo. Acquerello su carta. Civiche Raccolte Storiche - Palazzo Morando

Informazioni utili
Giacomo Leopardi. Infinito Incanto. Biblioteca Sormani - Scalone d'onore, via Francesco Sforza, 7 - Milano. Orari: lunedì-venerdì, ore 15.00-19.00, sabato, ore 9.00-12.30, chiuso domenica e festivi. Ingresso libero. Informazioni: Ufficio Conservazione e Valorizzazione Raccolte Storiche, tel. 0288463372, c.salagrechetto@comune.milano.it. Fino all'8 febbraio 2020