L’oro è considerato da sempre uno dei metalli più preziosi. Emana luce e trasmette calore. Per questo motivo è stato utilizzato sin dall’antichità, e più precisamente dall’epoca degli antichi egizi, nel mondo dell’arte ora come simbolo di regalità ora come metafora di una dimensione sacra e ultraterrena, priva di tempo.
Con il Medioevo si diffonde l’utilizzo della foglia oro, secondo quella che era la tecnica del «gold ground», per illuminare di luce solare il cielo dei dipinti sacri e per esaltare l’effetto visivo delle aureole dei santi. A questa stagione guarda anche l’incipit della mostra «Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo», in programma dal 22 novembre al 31 gennaio a Milano, nei prestigiosi spazi di Palazzo Cicogna, per iniziativa di Matteo Salamon.
È Cennino Cennini, verso la fine del XIV secolo, a mettere nero su bianco le tecniche di doratura delle tavole in dodici capitoli del suo «Libro dell’arte», un documento storico essenziale nel quale si parla organicamente del funzionamento della bottega di un pittore, dilungandosi sulla centralità del disegno, sulle ricette per la preparazione dei pigmenti, sulle varietà dei pennelli e sui differenti supporti.
A questo modello di lavoro sono riconducibili tutte le opere antiche presenti in mostra, che documentano un arco di tempo che spazia dalla tradizione giottesca al Gotico internazionale a Firenze e in Italia centrale. Si rifanno alla lezione di Cennino Cennini le tavole di Giovanni Gaddi – maestro di scuola giottesca attivo insieme al padre Taddeo nella prima metà del Trecento –, di Andrea di Bonaiuto, di Antonio Veneziano e dell’anonimo pittore noto come Maestro dell’Incoronazione della Christ Church Gallery di Oxford. Mentre i dipinti quattrocenteschi di Mariotto di Nardo (nella mostra è esposta la «Madonna col Bambino e quattro santi», ritenuta uno dei capolavori della sua tarda attività), di Ventura di Moro e del marchigiano Giovanni Antonio da Pesaro attestano la continuità e la vitalità di questa tradizione –e non solo a Firenze– fino al 1430 circa.
La lettura di Cennino Cennini, e in generale lo studio delle tecniche usate dagli antichi maestri, è fondamentale anche per approcciarsi alla sezione espositiva dedicata all’arte contemporanea, nella quale sono esposti artisti degli ultimi cinquant’anni come Lucio Fontana, Paolo Londero e Maurizio Bottoni.
Un filo rosso unisce, dunque, due momenti distanti della storia culturale del nostro Paese, accomunati dai segni tangibili di una unica tradizione che guarda all’uso dell’oro come un pigmento che allude a qualcosa di altro, irraggiungibile e distante. È il caso del lavoro di Lucio Fontana esposto, un «Concetto spaziale in oro» del 1960.
Paolo Londero, artista eclettico la cui formazione da restauratore tradisce la centralità della materia nella sua arte, ci fa, invece, sorridere con la sua «Gallina dalle uova d’oro», opera in realtà non puramente giocosa, ma densa di significato. «A essere d’oro -spiegano, infatti, dalla galleria di Matteo Salamon- è la gallina stessa e il pulcino che schiude un uovo di lacca bianca, segno che la preziosità sta nella vita e non nel guscio, in un gioco di tesi ed antitesi dal sapore hegeliano, ma con rimandi di forme e contenuti addirittura al neoplatonismo michelangiolesco».
L’utilizzo simbolico dei materiali si ripete in un'altra opera di Londero in mostra: la «Verza d’oro». In questo lavoro alcune formiche di lacca nera sono pronte a nutrirsi delle foglie dorate dell’ortaggio, emblema delle illusioni, senza tuttavia giungere al cuore della brassica (che è reale e difatti non è d’oro), vero nocciolo tematico della composizione.
Portavoce del recupero di tecniche antiche, dalla preparazione delle tavole e delle tele a quella dei colori, è anche Maurizio Bottoni, artista lombardo definito da Federico Zeri, nel 1997, «uno dei pochi maestri della penisola che sanno dare ancora vita alle cose». Sua l’espressione «Tutto ciò che è creato è divino», che ben «presuppone -spiegano sempre dalla galleria di Matteo Salomon- l’uso del fondo oro, forma visibile e simbolica della divinità stessa, e di conseguenza contesto esemplare per uno sguardo commosso verso gli aspetti minuti del mondo naturale».
La mostra milanese presenta una sua preziosa tavola dallo spirito surrealista: «Oggi riposo», digressione al tempo stesso ammirata e divertita sul tema della Vanitas.
Su fondo oro sono trasposte anche le «Rose di Volpedo», sentito omaggio al naturalismo sincero e appassionato della poetica di Giuseppe Pellizza.
Nel loro studio meticoloso di materiali e tecniche, risposta coraggiosa all’odierno proliferare di mezzi tecnologici e multimediali nell’arte, Bottoni e Londero guardano, dunque, al passato e a quell’idea già espressa quattro secoli fa da Annibale Carracci che «i pittori abbiano a parlar con le mani». L’uso della foglia d’oro diventa così una tradizione che si rinnova, rendendo la pittura (ma anche la scultura) più preziosa, per trasformarla in un linguaggio che parla di metafisica ed eternità, di splendore ultraterreno e di spiritualità divina.
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Londero, La gallina dalle uova d'oro , Papier machè; [fig. 2] Maurizio Bottoni, Oggi riposo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 12 x 28; [fig. 3] Antonio Veneziano, Angelo Annunciante, tempera su tavola, fondo oro, cm 40,5 x 23,2; [fig.4] Giovanni Antonio da Pesaro: Crocifissione, tempera su tavola, fondo oro, cm 42 x 28,5; [fig. 5] Giovanni Bottoni, Col tempo, olio e tempera su tavola, fondo oro, cm 32 x 27
Informazioni utili
«Oro, 1320 – 2020. Dai maestri del Trecento al contemporaneo». Galleria Salamon - Palazzo Cicogna, I° piano, via San Damiano 2, Milano. Orario: dal lunedì al venerdì, ore 10.00–13.00 e ore 14.00–19.00. Ingresso libero. Informazioni: tel. 02.76024638; info@salamongallery.com. Dal 22 novembre al 31 gennaio 2020.
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