È tutta racchiusa in questa frase la filosofia artistica di Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954), esponente di maggior spicco della corrente artistica dei Fauves («le belve», «i selvaggi», secondo la definizione -dispregiativa- del critico d'arte Louis Vauxcelles), universalmente conosciuto come maestro del colore. Ne è prova la sua tela più celebre, «La danza» del 1910, oggi ospitata all’Ermitage, dove tutto è movimento, armonia, incroci di sensazioni, gioia di vivere, trionfo di tonalità accese, che spaziano dal blu all’arancio.
In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, con una vita in parte rivoluzionata dall’emergenza sanitaria del Coronavirus, l’arte di Henri Matisse può esserci di sollievo con i suoi capolavori allegri, liberi da ogni schema, vitaminici con le loro cromie ruggenti ed eccessive. L’opera dell’artista francese «colorata come la natura, libera e leggiadra come il battito di ali di farfalla, fresca e inebriante come un tuffo al mare, fantasiosa e allegra come il gioco di un bambino -racconta Elena Salamon, a capo dell’omonima galleria torinese-, non può che aiutare ad alleviare il nostro stato d’animo».
Da questa considerazione è nata l’idea di riaprire la piccola galleria sabauda di piazzetta IV marzo, specializzata in stampe originali dell’Ottocento e del Novecento, proprio con una mostra di Henri Matisse.
Mascherina, distanziamento sociale, ingressi contingentati, gel disinfettante e guanti di protezione sulla porta d’accesso caratterizzano questa nuova fase dello spazio di Elena Salamon, ma invariata rimarrà la massima disponibilità nei confronti del pubblico, anche con visite organizzate su appuntamento. ùIn galleria saranno visibili, riunite sotto il titolo di «Joie de vivre», settantacinque litografie dei papier gouache-découpé, carte dipinte e ritagliate realizzate dall'artista francese negli ultimi anni di vita, dal 1947 al 1954. Tra di esse ci sono l’effervescente «Danseuse créole» (1950), la vivace «Nuit de Noël» (1951), la raffinata «Icare» (1947), con le sue stelle gialle a illuminare la notte blu, l’enigmatica «Tristesse du Roi» (1952) o la litografia «La danse» del 1938, che dimostra il costante fascino dell’artista per il movimento dei corpi e la possibilità espressiva della figura umana. La mostra permette, inoltre, di vedere un numero speciale della rivista «Verve», intitolata «Dernieres Oeuvres», del quale fanno parte lavori dallo stile astratto come «La parruche et la sirène» (1952) e «La gerbe» (1953).
Henri Matisse possedeva una capacità di sintesi fuori dal comune. Già dai suoi primi lavori portò agli eccessi le tonalità dei verdi, dei rossi, degli azzurri. Desiderava dipingere con l'azzurro più azzurro e con il rosso più rosso possibile per poter esprimere l'amore per la vita, quella indistruttibile «joie de vivre», caratteristica costante di tutta la sua produzione.
La sua esistenza divenne un tutt’uno con l'arte stessa, «non posso distinguere – diceva - tra il sentimento che ho della vita e il modo in cui lo traduco».
L’artista seppe cogliere ogni suggerimento sia dalle opere dei maestri suoi contemporanei sia dai linguaggi utilizzati dagli artisti orientali: nei suoi lavori ritroviamo le deformazioni prospettiche di Paul Cézanne, le pennellate di Vincent Van Gogh, le inquadrature delle stampe di maestri giapponesi dell’Ukiyo-e e le decorazioni, le silhouettes e l’iconografia dell’arte orientale.
Alle litografie dai papier gouache-découpé, presenti in galleria, Henri Matisse vi giunse quasi per caso quando, convalescente da una malattia, non potendo dipingere, iniziò a ritagliare con le forbici nella carta colorata silhouettes, che poi assemblava badando unicamente all'equilibrio delle forme e all'armonia cromatica.
«Il papier découpé mi permette di disegnare nel colore. Si tratta per me di una semplificazione, invece di disegnare il contorno e inserirvi il colore, uno che modifica l'altro, disegno direttamente nel colore», affermava.
In collaborazione con Emmanuel Tériade, raffinato editore parigino della rivista «Verve» e con il grande stampatore Fernand Mourlot, l’artista realizzò, nel 1947, la famosa serie «Jazz», visibile alla Salamon, di cui diceva: «non basta mettere i colori, per quanto belli, gli uni accanto agli altri: bisogna che questi colori reagiscano gli uni con gli altri. Jazz è improvvisazione ritmica». Ed ecco così opere dal forte sapore musicale come «Les Codomas» (1947), «Le cauchemar de l’éléphant blanc» (1947) o «Le cheval, l’écuyère et le clown» (1947).
Datano, invece, al 1950 e al 1951 i bozzetti per la Chapelle du Saint-Marie du Rosaire a Vence. Matisse definì quest’opera il capolavoro della sua esistenza. A differenza dei suoi primi lavori fauves, dove il colore era urlato e provocatorio, qui le cromie sono cantate, armoniche e pure.
In queste opere ritroviamo il blu del cielo, il giallo del sole e il verde della natura, colori che hanno fatto sempre parte dell’opera dell’artista.
Le forme perdono via via la loro dimensione più propriamente figurativa, per avvicinarsi all’astrazione, sovvertendo in questo modo uno dei principi cardine della decorazione religiosa: la leggibilità e la comprensibilità immediata delle figure.
Attraverso queste immagini il pittore ritiene di immergere il fedele in un'atmosfera più intima e spirituale. All'immagine che educa il fedele, Henri Matisse preferisce, infatti, la forma cromatica che aiuta nella preghiera e nella riflessione.
Matisse, ormai ottantenne, con la serie delle «Dernières Œuvres» lasciò il suo testamento spirituale. Appartengono a questo periodo i famosissimi «Nu blue», i «Nudi blu», con silhouettes ritmate, essenziali e astratte, che mostrano un chiaro richiamo all’arte africana.
Queste opere sono un vero e proprio inno alla vita, un'esplosione di colori, forme e linee di una purezza estrema, ultima opera eccellente di un artista eclettico e instancabile. Un artista così innamorato del suo lavoro da scrivere in una lettera alla scrittrice Marcel Marquet: «Io sono troppo dentro ciò che faccio. Non ne posso uscire, per me non esiste altro».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Henri Matisse, Icare, 1947 (mm. 378x259); [fig. 2] Henri Matisse, La gerbe, 1953 (mm. 333x396); [fig. 3] Henri Matisse, La Danse, 1938 (mm. 332x392); [fig. 4] Henri Matisse, Danseuse créole, 1950 (mm. 317x192); [fig. 5] Henri Matisse, Nuit de Noël, 1951; [fig. 6] Henri Matisse, Nu bleu IX, 1952
Informazioni utili
Joie de vivre. Henri Matisse: papier gouache-découpé 1947-1954. Galleria Elena Salamon, via Torquato Tasso, 11 (piazzetta IV Marzo) – Torino. martedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, giovedì e sabato, dalle ore 10:30 alle ore 19:00 (orario continuato). Ingresso gratuito. Per appuntamenti: tel. 3398447653. Informazioni: tel. 0117652619, cell. 3398447653, elena@elenasalamon.com. Sito internet: www.elenasalamon.com. Fino al 27 giugno 2020.
In un periodo difficile come quello che stiamo vivendo, con una vita in parte rivoluzionata dall’emergenza sanitaria del Coronavirus, l’arte di Henri Matisse può esserci di sollievo con i suoi capolavori allegri, liberi da ogni schema, vitaminici con le loro cromie ruggenti ed eccessive. L’opera dell’artista francese «colorata come la natura, libera e leggiadra come il battito di ali di farfalla, fresca e inebriante come un tuffo al mare, fantasiosa e allegra come il gioco di un bambino -racconta Elena Salamon, a capo dell’omonima galleria torinese-, non può che aiutare ad alleviare il nostro stato d’animo».
Da questa considerazione è nata l’idea di riaprire la piccola galleria sabauda di piazzetta IV marzo, specializzata in stampe originali dell’Ottocento e del Novecento, proprio con una mostra di Henri Matisse.
Mascherina, distanziamento sociale, ingressi contingentati, gel disinfettante e guanti di protezione sulla porta d’accesso caratterizzano questa nuova fase dello spazio di Elena Salamon, ma invariata rimarrà la massima disponibilità nei confronti del pubblico, anche con visite organizzate su appuntamento. ùIn galleria saranno visibili, riunite sotto il titolo di «Joie de vivre», settantacinque litografie dei papier gouache-découpé, carte dipinte e ritagliate realizzate dall'artista francese negli ultimi anni di vita, dal 1947 al 1954. Tra di esse ci sono l’effervescente «Danseuse créole» (1950), la vivace «Nuit de Noël» (1951), la raffinata «Icare» (1947), con le sue stelle gialle a illuminare la notte blu, l’enigmatica «Tristesse du Roi» (1952) o la litografia «La danse» del 1938, che dimostra il costante fascino dell’artista per il movimento dei corpi e la possibilità espressiva della figura umana. La mostra permette, inoltre, di vedere un numero speciale della rivista «Verve», intitolata «Dernieres Oeuvres», del quale fanno parte lavori dallo stile astratto come «La parruche et la sirène» (1952) e «La gerbe» (1953).
Henri Matisse possedeva una capacità di sintesi fuori dal comune. Già dai suoi primi lavori portò agli eccessi le tonalità dei verdi, dei rossi, degli azzurri. Desiderava dipingere con l'azzurro più azzurro e con il rosso più rosso possibile per poter esprimere l'amore per la vita, quella indistruttibile «joie de vivre», caratteristica costante di tutta la sua produzione.
La sua esistenza divenne un tutt’uno con l'arte stessa, «non posso distinguere – diceva - tra il sentimento che ho della vita e il modo in cui lo traduco».
L’artista seppe cogliere ogni suggerimento sia dalle opere dei maestri suoi contemporanei sia dai linguaggi utilizzati dagli artisti orientali: nei suoi lavori ritroviamo le deformazioni prospettiche di Paul Cézanne, le pennellate di Vincent Van Gogh, le inquadrature delle stampe di maestri giapponesi dell’Ukiyo-e e le decorazioni, le silhouettes e l’iconografia dell’arte orientale.
Alle litografie dai papier gouache-découpé, presenti in galleria, Henri Matisse vi giunse quasi per caso quando, convalescente da una malattia, non potendo dipingere, iniziò a ritagliare con le forbici nella carta colorata silhouettes, che poi assemblava badando unicamente all'equilibrio delle forme e all'armonia cromatica.
«Il papier découpé mi permette di disegnare nel colore. Si tratta per me di una semplificazione, invece di disegnare il contorno e inserirvi il colore, uno che modifica l'altro, disegno direttamente nel colore», affermava.
In collaborazione con Emmanuel Tériade, raffinato editore parigino della rivista «Verve» e con il grande stampatore Fernand Mourlot, l’artista realizzò, nel 1947, la famosa serie «Jazz», visibile alla Salamon, di cui diceva: «non basta mettere i colori, per quanto belli, gli uni accanto agli altri: bisogna che questi colori reagiscano gli uni con gli altri. Jazz è improvvisazione ritmica». Ed ecco così opere dal forte sapore musicale come «Les Codomas» (1947), «Le cauchemar de l’éléphant blanc» (1947) o «Le cheval, l’écuyère et le clown» (1947).
Datano, invece, al 1950 e al 1951 i bozzetti per la Chapelle du Saint-Marie du Rosaire a Vence. Matisse definì quest’opera il capolavoro della sua esistenza. A differenza dei suoi primi lavori fauves, dove il colore era urlato e provocatorio, qui le cromie sono cantate, armoniche e pure.
In queste opere ritroviamo il blu del cielo, il giallo del sole e il verde della natura, colori che hanno fatto sempre parte dell’opera dell’artista.
Le forme perdono via via la loro dimensione più propriamente figurativa, per avvicinarsi all’astrazione, sovvertendo in questo modo uno dei principi cardine della decorazione religiosa: la leggibilità e la comprensibilità immediata delle figure.
Attraverso queste immagini il pittore ritiene di immergere il fedele in un'atmosfera più intima e spirituale. All'immagine che educa il fedele, Henri Matisse preferisce, infatti, la forma cromatica che aiuta nella preghiera e nella riflessione.
Matisse, ormai ottantenne, con la serie delle «Dernières Œuvres» lasciò il suo testamento spirituale. Appartengono a questo periodo i famosissimi «Nu blue», i «Nudi blu», con silhouettes ritmate, essenziali e astratte, che mostrano un chiaro richiamo all’arte africana.
Queste opere sono un vero e proprio inno alla vita, un'esplosione di colori, forme e linee di una purezza estrema, ultima opera eccellente di un artista eclettico e instancabile. Un artista così innamorato del suo lavoro da scrivere in una lettera alla scrittrice Marcel Marquet: «Io sono troppo dentro ciò che faccio. Non ne posso uscire, per me non esiste altro».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Henri Matisse, Icare, 1947 (mm. 378x259); [fig. 2] Henri Matisse, La gerbe, 1953 (mm. 333x396); [fig. 3] Henri Matisse, La Danse, 1938 (mm. 332x392); [fig. 4] Henri Matisse, Danseuse créole, 1950 (mm. 317x192); [fig. 5] Henri Matisse, Nuit de Noël, 1951; [fig. 6] Henri Matisse, Nu bleu IX, 1952
Informazioni utili
Joie de vivre. Henri Matisse: papier gouache-découpé 1947-1954. Galleria Elena Salamon, via Torquato Tasso, 11 (piazzetta IV Marzo) – Torino. martedì, mercoledì e venerdì, dalle ore 15.00 alle ore 19.00, giovedì e sabato, dalle ore 10:30 alle ore 19:00 (orario continuato). Ingresso gratuito. Per appuntamenti: tel. 3398447653. Informazioni: tel. 0117652619, cell. 3398447653, elena@elenasalamon.com. Sito internet: www.elenasalamon.com. Fino al 27 giugno 2020.