ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

venerdì 10 luglio 2020

«Pietre della memoria», D’Annunzio e «il parente» Michelangelo secondo Andrea Chisesi

Monica Guerritore, Stefano Massini, Arisa, Michela Murgia, Arturo Brachetti, Corrado Tedeschi, Gaia De Laurentis, Chiara Francini, Claudio Bisio e tanti altri: è ricco di grandi nomi il cartellone della quarantunesima edizione del festival «La Versiliana», in scena dal 12 luglio nel teatro all’aperto di Marina di Pietrasanta.
Ventiquattro eventi teatrali, otto spettacoli accompagnati da cene a tema e una rassegna cinematografica all’aperto di dodici film, per un totale di quarantaquattro serate, è quanto offre quest’anno il programma del festival, che vede alla direzione artistica «Lo studio Martini».
«Versiliana 2020, per continuare a volare» è il titolo scelto per l’attuale edizione, che proporrà anche attività per bambini, incontri al caffè letterario e un evento espositivo: «Pietre della memoria. Omaggio al parente», personale di Andrea Chisesi. per la curatela di Marcella Damigella. L’esposizione temporanea, in programma dal 12 luglio al 23 agosto, è dedicata a Michelangelo, e in particolare al profondo legame che Gabriele d’Annunzio nutriva per il genio di Caprese a tal punto da considerarlo «il parente».
In tal senso la Versiliana appare come il luogo perfetto per questo dialogo artistico visto che la vicina cava delle Cervaiole, sul Monte Altissimo, offrì al Buonarroti la materia prima «di grana unita, omogenea, cristallina» per alcuni dei suoi più celebri capolavori, mentre proprio sotto gli alti pini della storica villa versiliese, nell’estate del 1902, Gabriele d’Annunzio compose la celebre lirica «La pioggia nel pineto», inserita nell’«Alcyone».
L’esposizione, che segna l’esordio di Chisesi in Toscana, allinea quarantuno dipinti inediti su tela e settanta opere su carta, oltre a sei filmati dedicati all’opera dell’artista romano di nascita e milanese d’adozione, che ormai risiede stabilmente a Siracusa.
Il percorso espositivo parte dall’esterno: su un muro della villa viene proiettato il lavoro Il Vate, esclusiva anteprima di «Tempora Vatis», la nuova mostra che prossimamente l’artista dedicherà a Gabriele d’Annunzio e che si terrà al Vittoriale di Gardone Riviera, sul Lago di Garda, su invito del presidente Giordano Bruno Guerri.
I monocromi dell’artista, spinti dalla chiara rievocazione dannunziana, risultano ispirati alla natura e ai suoi elementi, primi tra questi l’acqua e la luce. Nelle tredici sale della villa si disloca così un percorso temporale che -come scriveva d’Annunzio- rappresenta l’iconografia della «misteriosa facoltà di penetrare in ogni oggetto e di trasmutarsi in esso», quindi la «fusione» vitalistica, in un percorso conoscitivo tra la Versilia e la Grecia antica e il tempo mitico che permane nel tempo.
Il legame di Andrea Chisesi con la natura -che trasforma senza annientare ciò che di bello l’uomo ha realizzato- è il deterioramento, la bellezza della morte che non è una fine, ma una rinascita, un nuovo stadio delle cose.
Riferendosi all’arte, d’Annunzio scriveva che «la grandezza di un’opera non si misura al numero dei suffragi che l’accolgono ma sì bene all’impulso ch’ella determina in rari spiriti chiusi, all’ansia subitanea ch’ella solleva in un uomo d’azione o d’accidia o di mercatura, alla perplessità straziante ch’ella agita in una sorte già resoluta».
Dimostrando di aver interiorizzato la lezione del Vate, per Andrea Chisesi la bellezza non è un decumano di canoni dal quale l’arte stessa, prodotto di una personalissima rivisitazione, può̀ palesarsi, bensì la voluttà̀ del rigore che con il passare del tempo si piega alla modernità.
La collezione delle «fusioni», termine con cui l’artista chiama la sua tecnica, dettata dall’innesto di pittura e fotografia, vanta tra i soggetti la più alta espressione della scultura dall’arte classica a Michelangelo: il «Fauno Barberini», il «Laocoonte», il «Torso del Belvedere», il «Mosè», il «David» e la «Nike di Samotracia».
Questi sono solo alcuni dei soggetti trasposti nel XXI secolo, portatori di valori estetici, quelli che ognuno di noi conserva come certezza di un contenitore di storia e cultura, uno scrigno indissolubile nel tempo.
Le «colature» sulla tela di Chisesi rivelano l’identità dell’immagine, poiché la sua tecnica sperimentata venticinque anni fa permette al colore bianco di accogliere l’immagine, creando un sodalizio tra luce ed ombra, in un frammentato ricordo della sua volumetria; l’immagine appare quasi impalpabile, una rievocazione di tempi perduti, di nuovi miti sacri, cosicché «le pietre della memoria» rimangono sospese come desideri mai sopiti.
L’acqua danza con la gravità, asseconda il colore bianco in un verticismo infinito, le linee scorrono sulla tela creando una fitta ritmica sul fondo scuro, Chisesi analizza la capacità dell’acqua di trasformare la pietra, di ritornare a lei come elisir di vita che mai si sottrae al suo dovere.
Nella lavorazione del marmo l’acqua è un elemento imprescindibile, come nella pittura dell’artista, tanto che d’Annunzio definisce l’acqua «sovrana», cioè vita stessa, che sfugge per sempre. L’acqua di fonte, l’acqua che bagna le tamerici, diventa, quindi, un tutt’uno con la natura stessa: le gocce lasciano il rigore e si trasformano in foglie, fiori o arabeschi che lui chiama matrem. Le preparazioni di Chisesi rivestono di dogmi le immagini donandogli una nuova visione.I monoliti sono dipinti con organismi di luce, concorrono all’affermazione che nella natura si racchiude la vera bellezza. Bellezza che è stata la cifra di Michelangelo e che D’Annunzio ha voluto come sua compagnia di vita.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Andrea Chisesi, il Vate, 2020 | dim.: 100x120 | tecnica: fusione; [fig. 2] Andrea Chisesi, Preghiera in fiore, 2019 | dim.: 100 x130 | tecnica: fusione; [fig.l 3] Andrea Chisesi, David, 2020 | dim.: 150 x150 | tecnica: fusione; [fig. 4] Andrea Chisesi, Laocoonte, 2020 | dim.: 120 x120 | tecnica: fusione

Informazioni utili 
Pietre della Memoria. Omaggio al Parente.. Villa la Versiliana, viale Enrico Morin, 16 - Marina di Pietrasanta (Lucca). Orari: tutti i giorni dalle 17.00 alle 23.00. Ingresso libero. Sito internet: www.versilianafestival.it | www.andreachisesi.com. Dal 12 luglio al al 23 agosto 2020

giovedì 9 luglio 2020

Venezia, a Palazzo Grassi una grande mostra su Henri Cartier-Bresson

Lo hanno definito l’«occhio del secolo» per la sua capacità di cogliere, attraverso la fotografia, l’essenza del Novecento e della società a lui contemporanea. È stato il maestro del «momento decisivo», quell’attimo irripetibile in cui scattare per cogliere l’essenza di una situazione. Con la sua Leica e l’eleganza del bianco e nero ha saputo raccontare la storia, quella con la S maiuscola, dal Surrealismo alla Guerra fredda, dal secondo conflitto bellico alle rivolte in Spagna. Ci ha lasciato immagini iconiche come «Paris. Place de l’Europe. Gare Saint Lazare» (1932) o «The Var department – Hyères» (1932), «Dimanche sur les bords de Seine» (1938) o «Simiane La Rotonde» (1969).
Henri Cartier-Bresson (Chanteloup-en-Brie, 22 agosto 1908 – L'Isle-sur-la-Sorgue, 3 agosto 2004) è il protagonista della mostra con cui la Fondazione Pinault riapre, da sabato 11 luglio, gli spazi di Palazzo Grassi a Venezia, dopo l’emergenza sanitaria per il Coronavirus.
«Le Grand Jeu» è il titolo del progetto espositivo, ideato e coordinato da Matthieu Humery, che prende spunto dalla Master Collection, trecentoottantacinque immagini selezionate, agli inizi degli anni Settanta del Novecento, dallo stesso fotografo su richiesta dei suoi amici di lunga data e collezionisti John e Dominique de Menil.
Momenti storici epocali, ritratti di vita popolare e grandi personaggi dell’epoca come Henri Matisse e Alberto Giacometti compongono la selezione che, intorno al 1973, viene stampata nel laboratorio parigino di fiducia, in formato 30x40 e in cinque esemplari ciascuna, oggi conservati presso il Victoria and Albert Museum di Londra, la University of Fine Arts di Osaka, la Bibliothèque nationale de France, la Menil Foundation di Houston, la Fondation Henri Cartier-Bresson e la Pinault Collection.
A partire da questa collezione la mostra mette a confronto lo sguardo di cinque curatori particolari: il regista Wim Wenders, la fotografa Annie Leibovitz, lo scrittore Javier Cercas, la curatrice Sylvie Aubenas (direttrice del dipartimento di stampe e fotografia della Bibliothèque nationale de France) e, naturalmente, il padrone di casa, il collezionista Francois Pinault.
A tutti loro è stato chiesto di scegliere una cinquantina di immagini tra quelle che compongono la Master Collection.
La regola del gioco -perché di gioco si tratta, come recita anche il titolo della mostra «Le Grand Jeu», appunto- è una sola: selezionare in piena autonomia e solitudine un gruppo di scatti e offrirli in un allestimento che rispecchia il proprio gusto personale.
Ciascuno dei «giocatori» non ha avuto accesso alle decisioni altrui, sperimentando, dunque, sentimenti propri del lavoro curatoriale come il dubbio e l’infinito interrogarsi sul buon esito delle direzioni intraprese.
La rassegna veneziana offrirà così in un unico percorso cinque mostre differenti, proponendo angolazioni inedite per conoscere il lavoro di Henri Cartier-Bresson.
In contemporanea, La Fondazione Pinault di Venezia, che ha da poco alla guida Bruno Racine, propone, sempre a Palazzo Grassi, la mostra «Once Upon a Dream», curata da Matthieu Humery e Jean-Jacques Aillagon, che ha per oggetto il lavoro fotografico di Youssef Nabil (Il Cairo, 1972).
La ricerca dei reperti identitari, le preoccupazioni ideologiche, sociali e politiche del XXI secolo, la malinconia di un passato lontano sono i soggetti che l’artista predilige nei suoi lavori. L’allestimento invita a ripercorrere la carriera del fotografo dagli inizi fino all’ultima stagione creativa, seguendo un ritmo narrativo trasognato.
Realizzate con la tecnica tradizionale egiziana largamente utilizzata per i ritratti fotografici di famiglia e per i manifesti dei film che popolavano le strade del Cairo sino agli anni Settanta e Ottanta del Novecento, le fotografie successivamente dipinte a mano da Youssef Nabil restituiscono, infatti, la suggestione di un Egitto leggendario tra simbolismo e astrazione.
A Punta Dogana apre, invece, la mostra «Untitled, 2020. Tre sguardi sull'arte di oggi», concepita e curata da Caroline Bourgeois, Muna El Fituri e dall’artista Thomas Houseago. Spaziando tra diversi media, dalla scultura al video, dalla pittura alla fotografia, l'esposizione presenta il lavoro di una sessantina di artisti, provenienti dalla Pinault Collection e da musei internazionali e collezioni private, che offrono uno spaccato sulle tematiche fondamentali dell'arte contemporanea, dall’inizio del Novecento a oggi.
Con la riapertura di Palazzo Grassi e di Punta Dogana, Venezia offre, dunque, due nuovi musei da visitare in questa estate del post-emergenza Covid, caratterizzata da aperture con orari ridotti e da code per l’ingresso contingentato negli spazi espositivi.

Didascalie delle immagini 
[Fig.1] Henri Cartier-Bresson, Dimanche sur les bords de Seine, France, 1938, épreuve gélatino-argentique de 1973  © Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos; [fig. 2] Henri Cartier-Bresson, Simiane-la-Rotonde, France, 1969, épreuve gélatino-argentique de 1973  © Fondation Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos; [fig. 3]Youssef Nabil - You Never Left # III, 2010. Hand colored gelatin silver print. Courtesy of the Artist and Nathalie Obadia Gallery, Paris/Brussels; [fig. 4] Llyn Foulkes, Day Dreams, 1991 © Llyn Foulkes. Pinault Collection 

Informazioni utili
www.palazzograssi.it 

mercoledì 8 luglio 2020

«Occit’amo»: concerti, spettacoli, camminate ai piedi del Monviso

Europa e Sudamerica, musica e poesia, racconto e canto: è un «incontro senza confini» l’omaggio a Luis Sepúlveda, lo scrittore cileno recentemente scomparso che ci ha lasciato il dolcissimo racconto «Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare», quello in programma giovedì 9 luglio nella piazza di Saluzzo, in apertura della sesta edizione del festival «Occit’amo – Guardare, sentire, gustare». La cantante Ginevra Di Marco e il musicista Francesco Magnelli, con Andrea Salvadori e Massimo Zamboni, metteranno in scena l’unica data piemontese di «Lucho e noi», spettacolo che si avvale della produzione di Music Pool.
Si apre, dunque, con un’esclusiva il cartellone di «Occit’amo», festival che ha per scenario le valli alpine ai piedi del «re di pietra», il Monviso, riunite in un unico progetto di promozione territoriale che va sotto il nome di Terres Monviso: le valli Stura, Maira, Varaita, Po Bronda, Grana e Infernotto, oltre a tutta la pianura che si estende intorno a Saluzzo, capitale dell’antico marchesato.
Quest’area è la porta orientale di «un paese che non c’è», l’Occitania, che dal Piemonte si estende fino alla Spagna riunendo in un unico abbraccio culturale persone che si riconoscono per caratteri, origini e passioni comuni.
Proprio questo patrimonio di tradizioni e suoni, riletto in chiave contemporanea, è al centro di «Occit’amo», festival che, sotto la direzione di Sergio Berardo, anima dei Lou Dalfin, proporrà un percorso fatto di concerti, spettacoli, camminate e viste guidate, anche in orari inconsueti, che avranno per scenario antiche chiese, rifugi, castelli e borghi alpini.
«Occit’amo» propone da sempre eventi unici, rispettosi dei luoghi e della loro identità, e quindi non destinati a grandi folle; le normative anti-Covid non porteranno, pertanto, a un significativo cambio di rotta: distanziamento sociale e sicurezza saranno sempre garantiti.
Grande protagonista del festival sarà la musica, proposta in vari momenti della giornata, dall’alba al tramonto.
A fianco dei Lou Dalfin, nel percorso della manifestazione ci saranno band con ispirazioni artistiche molto differenti. L’11 luglio saranno, per esempio, in scena a Demonte i Lhi Balòs con la loro musica esplosiva nella quale si incontrano ska, reggae e balcan-folk. Il giorno successivo, il 12 luglio, i riflettori saranno, invece, puntati su Pietraporzio e sui Lhi Destartavelà , gruppo che propone la musica tradizionale occitana con strumenti moderni come il basso elettrico e il cajon. Mentre il 18 luglio il pubblico potrà farsi incantare, nello scenario di San Damiano Macra, dalla musica dei Teres Aoutes String Band, gruppo che rilegge i canti e le danze della tradizione esaltando le potenzialità espressive degli strumenti a corde.
A seguire, il 19 luglio, saranno in scena a Canosio i Lou Pitakass, giovanissimi interpreti tutti under 19, dai ritmi grintosi e ricchi di energia; mentre il 24 luglio Verzuolo vedrà protagonisti i Polifonici del Marchesato, coro con una lunga storia, capace di spaziare in cinque secoli di letteratura musicale, sacra e profana con toccate nella musica pop, colonne sonore e spiritual. La rassegna proseguirà, all’alba 2 agosto, al rifugio Melezet di Bellino, con le Duea, coppia di violini di musica popolare, il 7 agosto, sul lungo Po di Paesana, con i Sonadors, musicisti legati alla tradizione della val Vermenagna, l’8 agosto, nell’ex officina ferroviaria di Barge, con i Lou Seriol, una delle band più longeve e conosciute del panorama della nuova musica tradizionale occitana. Mentre il 9 agosto, all’alba. saranno in scena, al Rifugio pian della Regina di Crissolo, gli Autre Chant, nuova espressione dello spirito folk rock occitano.
A chiudere il cartellone musicale saranno, invece, i Bataclan, fanfara di cornamuse e laboratorio permanente di cornamuse d'oc, che si esibiranno il 14 agosto, sotto la direzione di Dino Tron, al Rifugio Fauniera di Castelmagno.
I Lou Dalfin, anima di «Occit’amo – Guardare, sentire, gustare», saranno, invece, in scena il 23 luglio, ai Castelli Tapparelli D’Azeglio di Lagnasco, con «Charamalhatomica», spettacolo nato dall’incontro con i Bandakadra, una vera orchestra da passeggio che unisce l'energia delle formazioni street al sound delle big band anni Trenta tra rocksteady, balkan e swing. I due gruppi si troveranno sullo stesso palco per reinterpretare alcuni brani del repertorio del gruppo occitano, fondendo le anime e le tradizioni di queste due formazioni.
I Lou Dalfin saranno di nuovo protagonista del concerto di chiusura, previsto per il 15 agosto ad Abrì: la band canterà come gli antichi trovatori in lingua d’oc e sarà accompagnata dalla grande orchestra occitana.
Il festival presenta, poi, nelle sue cinque settimane di svolgimento anche eventi di teatro e narrazione. Il 12 luglio, a Valloriate, Gisella Bein proporrà la lettura drammatizzata del libro «L’uomo che piantava gli alberi» dello scrittore italo-francese Jean Jono, una parabola sul rapporto uomo-natura raccontata attraverso la storia di Elzéard Bouffier, un pastore che con molta fatica e senza tornaconto personale si dedica a piantare querce in una landa desolata.
Mentre il 27 luglio, a Saluzzo, Andrea Scanzi presenterà «E pensare che c’era Gaber», un racconto del Giorgio Gaber teatrale, quello che ha il coraggio di lasciare la popolarità televisiva, e che, con Sandro Luporini, entra nella storia per i suoi monologhi profetici e per «la presenza scenica, la mimica, la lucidità profetica, il gusto anarcoide per la provocazione, il coraggio (a volte brutale) di 'buttare lì qualcosa'».
Sono, poi, in programma laboratori dedicati alle erbe, workshop sulle danze occitane con Daniela Mandrile, un appuntamento con il cantautore genovese Paolo Gerbella (26 luglio) e due eventi del cine-camper di Nuovi Mondi, con la proiezione dei film «Funne» (25 luglio) e «La grand-messe» (30 luglio). Completano l’offerta di «Occit’amo – Guardare, sentire, gustare» due eventi realizzati in collaborazione con il Festival Borgate dal vivo, che prevedono le presentazioni del libro «Una coperta di neve» del giornalista e uomo di montagne Enrico Camanni (19 luglio) e del volume «Sdraiato sulla cima del mondo» di Cala Cimenti (8 agosto), scalatore e sciatore di alta quota che, con lo stesso coraggio e spirito di sopravvivenza che richiede la conquista di una vetta di ottomila metri, ha combattuto e vinto il Coronavirus.
In vista del festival, dal 29 giugno, nei mercati ci sono i Passa Charriera, i passa strada, che introdurranno alle tematiche di «Occit’amo – Guardare, sentire, gustare» ispirandosi allo stile degli antichi trovatori che nel basso medioevo mescolavano melodie delle valli e poesie in lingua d’oc per raccontare l’amore per le dame insieme a storie, leggende e fatti dei luoghi che attraversavano. Mentre, sul profilo Facebook del festival, Daniela Mandrile propone ogni settimana un ballo della tradizione occitana presentato 'passo a passo'. La matellotte bearnese, il rigodon del delfinato, la borreia (burrée) a 2 e a 3 tempi, la santiera -tutti balli che non prevedono il contatto fisico- sono alcune delle proposte selezionate, che potranno essere poi ballate nei giorni del festival. è, dunque, un cartellone ricco di eventi quello di «Occit’amo», manifestazione che celebre «un paese che non c’è», l’Occitana, alle pendici del Monviso, il «re di pietra».

Informazioni utili
www.occitiamo.it