Il «male di vivere» che l’artista olandese si portava dentro, con la sua correlata estrema sensibilità, è stata la chiave di volta per penetrare a fondo i misteri dell’esistenza umana, restituendo sulla tela, con una pennellata veloce e immediata, con un tripudio di colori e luci, le suggestioni di una notte stellata, la bellezza semplice dei girasoli, il silenzio dei campi di grano, l’inquietudine di uno stormo di corvi neri in un cielo in tempesta, il nostro «terribile bisogno di Dio».
Per Vincent Van Gogh la pittura doveva essere una terapia contro l’infelicità del mondo. Fu, invece, un motivo in più di disperazione. «Per quanto mi riguarda, -diceva- io sono votato all’infelicità e all’insuccesso», «sul mio conto non ho alcuna speranza, o quasi». L’artista si sentiva, dunque, un fallito e il mondo intorno a lui di certo non lo aiutava ad accrescere la sua autostima. I suoi quadri non si vendevano; il primo riconoscimento pubblico, una recensione di Albert Aurier sul «Mercure de France», arrivò troppo tardi, pochi mesi prima della morte. Ma in quelle parole, che colsero di sorpresa lo stesso artista, c’era tutto il senso di una ricerca unica: la pittura di Vincent Van Gogh – scrisse, infatti, il giornalista- «è la forma che diventa incubo, il colore che diventa fiamma, lava e gemme, la luce che si fa incendio». I contemporanei consideravano bizzarro anche lo stile di vita dell’artista e due episodi più di tutti, il taglio dell’orecchio davanti all’amico Paul Gauguin e il ricovero nella clinica di Saint-Rémy per «mania acuta con allucinazioni uditive e visive», contribuirono a creare il mito del pittore borderline, difficile e distruttivo.
Non deve essere, quindi, stato facile per l’artista accettare gli sguardi imbarazzati e colpevolizzanti degli altri, tanto che Antonin Artaud definì Vincent Van Gogh «il suicidato della società», non un suicida in preda al delirio e all’autolesionismo, ma un uomo ucciso dagli altri, da «un esercito di esseri malvagi».
Il pittore olandese non era, però, solo un «artista maledetto», era molto di più. Era un botanico esperto e un appassionato di ornitologia. Parlava quattro lingue. Aveva un rapporto speciale, assoluto, quasi religioso con la natura e, con il suo spirito contemplativo, camminava per le campagne della Provenza e per le vie dell’arte con un’intima convinzione nel cuore: «ho un debito – scriveva al fratello Theo il 7 agosto 1883- nei confronti del mondo, e anche l’obbligo – perché ci ho camminato sopra per trent’anni – di lasciargli in segno di gratitudine qualche ricordo in forma di disegni o di quadri – che non sono stati fatti per piacere all’una o all’altra tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero».
Per uscire dal cortocircuito dei tanti luoghi comuni legati alla figura di Van Gogh, lo storico dell’arte e curatore Marco Goldin ha appena scritto un libro per la casa editrice La Nave di Teseo, a partire dal corposo epistolario del pittore: 903 lettere, di cui 820 manoscritte e 658 indirizzate al fratello, scritte tra il 1872 e il 1890.
«Vincent Van Gogh. L’autobiografia di una vita» è il titolo del volume, uscito in libreria da poco meno di un mese, quasi contemporaneamente all’inaugurazione della mostra «I colori di una vita» al Centro San Gaetano di Padova, non visibile in questi giorni in ottemperanza al nuovo Dpcm con le misure anti-Covid, pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale dello scorso 4 novembre, che chiude musei ed eventi espositivi su tutto il territorio nazionale.
Gli ottantadue quadri e dipinti dell’artista giunti in Veneto, grazie alla collaborazione fondamentale del Kröller-Müller Museum di Otterlo e del Van Gogh Museum di Amsterdam, ripercorrono cronologicamente la vita dell’artista, raccontano il suo cammino da Nuenen ad Anversa, da Parigi a L’Aja, da Londra ad Arles, dalla catena delle Alpilles alle campagne di Barbizon.
L’«Autoritratto con il cappello di feltro», «Il seminatore», «Il postino Roulin», «Il signor Ginoux», «L’Arlesiana» sono solo alcuni dei capolavori «ingabbiati e nascosti» in questi giorni nel buio delle sale del Centro San Gaetano, che torneremo a poter vedere appena l’emergenza finirà.
Con la consapevolezza che l’arte sia un balsamo potente per lenire le ferite di questo nostro tempo incerto, Marco Goldin ha deciso di far rivivere «la magia dei colori e la potenza dei sentimenti» di queste opere attraverso quattro recital divulgativo-teatrali, proposti gratuitamente in diretta streaming attraverso Facebook e sul sito di Linea d’ombra.
I racconti e le letture dello studioso, che da oltre vent’anni si occupa del pittore olandese, si intrecceranno con le musiche composte e suonate al pianoforte da Remo Anzovino, compositore che ormai da anni si cimenta nel racconto in musica dell’arte mondiale, tanto da essere stato premiato ai Nastro d’argento 2019 con una menzione speciale per le colonne sonore originali dei film.
Il mix tra parole e musica getterà nuova luce su alcuni temi specifici della biografia di Van Gogh ancora poco approfonditi.
Dopo il successo della puntata pilota tenutasi lo scorso 30 ottobre, vista da oltre centomila spettatori e trasmessa anche sul canale 14 del digitale terrestre nel Triveneto, il format entrerà ufficialmente nel vivo questa sera, lunedì 9 novembre (alle ore 21), con «Van Gogh nei campi di grano. La forza della natura e l’idea del tempo circolare».
Protagoniste del racconto, della durata di circa un’ora, saranno le lettere che l’artista inviò al fratello Theo, alla sorella Wil e a Émile Bernard nella seconda metà di giugno del 1888, mentre stava dipingendo nella pianura della Crau, poco fuori Arles.
La serata verrà divisa in tre parti: dopo un’introduzione sul tema, ci sarà il recital vero e proprio; mentre la parte finale sarà riservata alle risposte che Marco Goldin darà alle domande che gli verranno poste attraverso Facebook dagli utenti-spettatori.
Le puntate successive – previste per le serate del 16, del 23 e del 30 novembre- saranno, invece, dedicate rispettivamente agli amici di Van Gogh ad Arles, al tema della malinconia nella casa di cura di Saint-Rémy e alla fine del suo viaggio sulla terra, a Auvers.
Attraverso i quattro appuntamenti quasi sicuramente Marco Goldin scardinerà il mito dell’«artista maledetto» per innalzare Vincent Van Gogh al ruolo dell’«eroe moderno», un uomo con una missione da compiere che, pur nell’apparente sconfitta, annuncia il futuro, parla della crisi di certezze dell’uomo moderno. Ecco perché, secondo lo storico dell’arte e curatore veneto, l’artista «non era pazzo», ma «ha camminato -si legge ne «L’autobiografia mai scritta»- danzando sulla vita, come sul filo mai interrotto di un vulcano […] Ha creato con la disciplina della sua anima un mondo inarrivabile, il mondo di un eroe. Colui che arriva a toccare il sole e poi riesce a raccontarne il fuoco e il calore, la luce che abbaglia. E quella luce la fa diventare colore. Un colore che nessuno mai aveva dipinto così prima. E mai nessuno ha dipinto poi».
Didascalie delle immagini
[fig. 1] [Fig. 1] Vincent van Gogh, Autoritratto con cappello di feltro grigio, 1887, olio su tela, cm 44,5 x 37.2. Van Gogh Museum (Vincent van Gogh Foundation), Amsterdam [fig. 2] Marco Goldin; [fig. 3] Remo Anzovino; [fig. 4] Vincent van Gogh, Il seminatore, 1888, olio su tela, cm 64,2 x 80,3. Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk; [fig. 5] Vincent van Gogh, Paesaggio con covoni e luna nascente, 1889, olio su tela, cm 72 x 91,3 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk; [fig. 6] Vincent van Gogh, L'arlesiana (Madame Ginoux), 1890, olio su tela, cm 60 x 50. Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea, Roma © Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo; [fig. 7] Vincent van Gogh, Covone sotto un cielo nuvoloso, 1889, olio su tela, cm 63,3 x 53 © 2020 Collection Kröller-Müller Museum, Otterlo, the Netherlands; Photography Rik Klein Gotink, Harderwijk
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