ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 18 dicembre 2012

Wietzendorf, un presepe tra i fili spinati

Era l’inverno del 1944. Nel lager di Wietzendorf, cittadina tedesca tra Amburgo e Hannover, erano rinchiusi migliaia di soldati italiani che, all’indomani dell’armistizio di Cassibile, con il quale l’Italia firmava la propria resa alla Forze alleate, avevano deciso di non collaborare con i nazisti e di non aderire alla Repubblica di Salò. La tragedia della guerra, le punizioni corporali, il duro lavoro nell’industria bellica e mineraria, la fame, il freddo e l’ombra della morte sempre presente non avevano privato queste persone della fede, della speranza e del coraggio, della dignità di essere uomini.
Natale era ormai alle porte e grazie alla perizia artistica del sottotenente d’artiglieria Tullio Battaglia, artista-letterato e giovane professore di disegno, Gesù Cristo poteva nascere anche tra le baracche di un campo di concentramento del nord della Germania, illuminando la Notte Santa di chi, con la nostalgia di casa nel cuore, stava vivendo la follia e l’inferno di una triste pagina della nostra storia.

Con un coltellino tascabile (miracolosamente scampato a ogni perquisizione), una robusta forbicina e un cardine di porta usato come martello, alla luce fioca di una candela che ogni prigioniero contribuì a alimentare togliendo una piccola parte all’esigua razione giornaliera di margarina, Tullio Battaglia costruì una quindicina di esili figure di trenta/trentacinque centimetri d’altezza, ricavate dal legno dei giacigli e con un po’ di filo spinato per scheletro, rivestite da parti di indumenti e da piccoli ricordi di famiglia di ogni internato.
Tutti i prigionieri donarono, infatti, qualcosa di proprio, un brandello della loro vita passata, per costruire le statuine. Gesù Bambino è fatto, per esempio, con un fazzoletto di seta del tenente Bianchi di Milano. Il pelo dell’agnello è la fodera del pastrano del capitano Bertoletti di Como, passato per i monti della Grecia e per la disfatta del fronte russo. Un lembo del pigiama del tenente bersagliere Montobbio di Milano disegna il turbante e la fascia di un re magio. La collana dell’altro sapiente giunto da Oriente è il pendaglio del braccialetto del tenente artigliere Mendoza di Vigevano. Un’estremità della tonaca del cappellano, padre Ricci, è il vestito di San Francesco. E, proseguendo, il pelo della pecorella è il tessuto sfilacciato della musetta da cavallo del tenente Mori di Arezzo. Il cestino arriva dalla calza della Befana per i due figli del capitano Gamberoni di Bologna. Le mostrine dei Lupi di Toscana del tenente Vezzosi di Milano fanno da risvolto alle maniche del guerriero longobardo. I pizzi che ornano il manto della Madonna sono i ritagli di un fazzoletto donato dall’amata al suo fidanzato in partenza per la guerra. Ogni pezzo di tela, latta, juta ricorda, dunque, un uomo, un brano di storia d’Italia scritta su un campo di battaglia.
Ci sono in questo presepe, oggi uno dei beni più preziosi, e forse meno conosciuti, del tesoro della Veneranda Basilica di Sant’Ambrogio in Milano, tutti i personaggi classici della Natività: la Vergine Maria, il Bambin Gesù, Giuseppe, i re magi, la gente umile, qui rappresentata da una povera contadina nel tipico costume lombardo, da uno zampognaro abruzzese, da un pastore calabro e da una tessitrice che confeziona la bandiera italiana. Un po’ in disparte si intravedono anche un militare internato, nella sua divisa lacera, e un soldato tedesco che, illuminato dall’amore per il Bambinello, depone finalmente a terra le armi. Non manca nella sacra rappresentazione di Tullio Battaglia neppure la figura di San Francesco, il «poverello di Assisi» al quale si deve la prima raffigurazione del presepe come oggi lo conosciamo. E’, invece, assente il bue, con il suo grande collare e la sua grossa campana: è stato lasciato a Wietzendorf, a scaldare e a tener compagnia a quei soldati che lo hanno visto nascere e che non sono riusciti a ritornare a casa.
Guardando questo presepe, povero di materiali, ma ricco di significati, vengono in mente le parole di Bertolt Brecht: «Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, noi, gente misera, in una gelida stanzetta, il vento corre fuori, il vento entra. Vieni, buon Signore Gesù, da noi, volgi lo sguardo: perché tu ci sei davvero necessario». Il commemorare la nascita di Gesù era realmente indispensabile nel lager di Wietzendorf; c'era bisogno di credere che la fede e la speranza in un domani migliore avrebbero vinto qualsiasi difficoltà.

Didascalie delle immagini
[figg.1, 2, 3 e 4] Particolari del presepe di Wietzendorf. Milano, Veneranda Basilica di Sant’Ambrogio

Informazioni utili 

Presepe di Wietzendorf. Veneranda Basilica di Sant’Ambrogio, piazza Sant'Ambrogio, 15 - Milano. Orari di visita: dal lunedì al sabato, dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 14.30 alle 18.00; domenica, dalle 15.00 alle 17.00. Informazioni: www.basilicasantambrogio.it.

1 commento:

Maria Luisa Ciprandi ha detto...

commozione e preghiera una grande testimonianza...forse anche noi uomini liberi stiamo vivendo nel lager dell'ostilità religiosa e nell'indifferenza umana dei poveri fratelli che spinti dalla fame e dalla guerra fuggono ....e spesso trovano la morte in mare o la chiusura dei nostri cuori.

Posta un commento