A ottenere il rientro, naturalmente temporaneo, dell’opera è stata la Fondazione per l’Istruzione Agraria, presieduta dal professor Franco Moriconi, Magnifico Rettore dell’Università degli studi di Perugia.
La pala del Sassoferrato è ora esposta accanto a una quarantina di dipinti, in parte dell’autore stesso e in parte di famosi maestri ai quali egli si ispirò, a partire da Pietro Perugino, la cui purezza formale delle immagini ha lasciato un segno indelebile nella sua mente.
L’artista marchigiano, passato alla storia con il nome di «pittore delle belle Madonne» per la copiosa produzione di immagini devozionali della Vergine di grande successo, riservò pari attenzione alle opere umbre di Raffaello. All’artista si rende omaggio, tra l’altro, con il confronto fra due copie della sua «Deposizione Borghese», la prima di Orazio Alfani, la seconda di Giuseppe Cesari detto il cavalier d’Arpino, provenienti dalla Galleria nazionale dell’Umbria, e una bella versione dipinta dal Sassoferrato nel 1639.
La mostra, curata da Cristina Galassi con Vittorio Sgarbi, riserva, inoltre, uno spazio significativo alla cosiddetta Madonna del Giglio, immagine devozionale che assicurò grande notorietà al Sassoferrato. Se ne presentano tre versioni: le prime due provengono da Modena e da Bologna, la terza è di proprietà della Fondazione per l’Istruzione Agraria. In queste opere l’artista riprende un’antica immagine di culto realizzata da Giovanni di Pietro detto lo Spagna, dotatissimo seguace di Perugino e Raffaello.
La basilica con la sagrestia e la cripta, il campanile con la sua guglia protesa verso il cielo, simbolo di Perugia, i tre chiostri di luminosa fattura, la scala nuova che conduce al corridoio trecentesco e alle celle e ai dormitori dei monaci, l’antica aula capitolare e il refettorio, fino all’orto medievale, alla biblioteca e alla galleria d’arte fanno, infatti, di questo luogo uno scrigno che racchiude meraviglie e misteri da lasciare incantati i visitatori.
Ferdinand Gregorovius, nelle sue «Passeggiate per l’Italia» (1864-1871), scrisse, per esempio, di San Pietro: «la sua chiesa, una bella basilica, con antiche colonne di granito, è ritenuta come la gemma più preziosa della città, ed è un vero museo della pittura umbra. Contiene splendidi quadri del Perugino, di Orazio Alfani, del Doni, dello Spagna e di altri maestri, e preziosissime copie delle opere del Perugino e di Raffaello, eseguite dal Sassoferrato».
Un luogo di straordinario fascino, dunque, quello che accoglie le opere del Sassoferrato e che rende ancora più affascinante la mostra perugina, della quale rimarrà documentazione in un ricco catalogo pubblicato per l’occasione dall’editore Aguaplano., che raccoglie lo studio sistematico delle opere esposte, in aggiunta ad alcuni documenti inediti emersi dalle carte custodite nell’archivio della Basilica e di nuove fonti utili per la ricostruzione della vita del Sassoferrato.
«Di fronte a opere del genere -racconta Cristina Galassi- gli studiosi si sono legittimamente chiesti fino a che punto la pittura di Sassoferrato debba essere considerata originale. In realtà, e la mostra lo conferma in pieno, sarebbe sbagliato considerare il Salvi un mero imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la sua personale interpretazione. Ciò emerge chiaramente dal confronto tra la bellissima «Maddalena del Tintoretto e la versione di mano del Sassoferrato, dove le forme turgide e quasi sensuali del pittore veneto vengono riproposte dal Salvi con un linguaggio più asciutto e temperato. In mostra non mancano, d’altra parte, opere in cui l’artista si palesa in tutta la sua eccezionale originalità. Ecco dunque la «Giuditta con la testa di Oloferne», un dipinto che non è esagerato includere tra i capolavori del Seicento italiano, la grande «Annunciazione della Vergine», opera di rara finezza esecutiva, i Santi Benedetto, Barbara, Agnese e Scolastica, lavori in cui l’artista, pur rispettando l’autorità dei modelli, mette da parte ogni forma di deferente imitazione. Esemplare, in tal senso, è anche la «Madonna con il Bambino e Santa Caterina da Siena», concessa dalla Fondazione Cavallini Sgarbi, autentico vertice della pittura religiosa del Seicento».
Tutte le opere del Salvi conservate in San Pietro furono commissionate dall’abate Leone Pavoni che resse per lunghi anni la comunità benedettina di San Pietro. Era di sua proprietà la magnifica Santa Francesca Romana con l‘angelo, oggi custodita nella sagrestia della basilica, per lunghi anni attribuita a Caravaggio, in realtà capolavoro di Giovanni Antonio Galli detto lo Spadarino, uno degli interpreti più fedeli del maestro lombardo. In omaggio all’abate Pavoni, singolare figura di committente e collezionista, anche questa tela farà parte del percorso espositivo.
Il tutto permette di gettare nuova luce su un artista efficacemente definito da Adolfo Venturi aveva «un quattrocentista smarrito nel Seicento».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Immacolata Concezione, Parigi, Louvre; [fig. 2] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara, Perugia, San Pietro; [fig. 3] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Barbara. Perugia, San Pietro; [fig. 4] Giovan Battista Salvi detto il Sassoferrato, Santa Caterina da Siena con Gesù Bambino, Ro Ferrarese, Fondazione Cavallini Sgarbi
Informazioni utili
Sassoferrato. Dal Louvre a San Pietro. La collezione riunita. Complesso monumentale di San Pietro in Perugia, borgo XX giugno, 74 – Perugia. Orari: dal martedì alla domenica, dalle ore 10.00 alle ore 13.00 e dalle ore 15.00 alle ore 19.00; da giugno a ottobre la chiusura è posticipata alle ore 20.00; chiuso il lunedì. Ingresso: intero € 7,00, ridotto € 5,00. Informazioni: tel. 075.33753 o cell. 328.6013446 o info@fiapg.it. Sito internet: www.sanpietroperugia.it o www.fondazioneagraria.it. Fino al 1° ottobre 2017. Prorogata al 15 novembre 2017.
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