Prosegue la collaborazione tra la collezione Peggy Guggenheim di Venezia e l’Opificio delle pietre dure e Laboratori di restauro di Firenze. Dopo l’intervento conservativo dell’opera «Alchimia» di Jackson Pollock, avvenuto nel 2013, tocca ora all’opera «Scatola in una valigia (Boîte-en-Valise)», realizzata da Marcel Duchamp nel 1941, essere oggetto di un importante intervento di studio e conservazione.
Il lavoro è il primo di un’edizione deluxe di venti valigette da viaggio di Louis Vuitton, che raccolgono ciascuna sessantanove riproduzioni e miniaturizzazioni di celebri lavori del poliedrico e dissacrante artista francese. Con la «Boîte-en-Valise», Duchamp intraprese uno dei suoi progetti più ambiziosi: un museo portatile di repliche creato con l'aiuto di elaborate tecniche di riproduzione come il pochoir, simile allo stencil. In questo modo l’artista condusse fino alle ultime battute la rivoluzionaria operazione avviata attraverso i ready-made, dando il via a una parodia estrema dell'arte e dei meccanismi creativi, che colpisce al cuore l'idea stessa di museo.
Nell’edizione deluxe le venti valigie contengono, oltre alle riproduzioni in miniatura delle sue opere, un «originale» diverso per ogni valigetta, e differiscono tutte tra di loro per piccoli dettagli e varianti nel contenuto. L’ «originale» della valigia di Peggy è una riproduzione de «Le roi et la reine entourès de nus vites» (1912), colorata ex-novo per la valigia dallo stesso artista («coloriage original»). Si tratta di una dedica a Peggy Guggenheim, che sostenne economicamente Duchamp in questa sua produzione. L’opera include al suo interno, tra le varie riproduzioni, anche una miniatura del famoso orinatoio rovesciato, «Fontana», del 1917, e una riproduzione di un «ready-made rettificato» del 1919 raffigurante la Gioconda di Leonardo da Vinci, con barba e baffi e l’iscrizione «L.H.O.O.Q.». La sequenza delle lettere pronunciate in francese formano la frase «elle a chaud au cul», convenientemente tradotta da Duchamp come «c’è il fuoco là sotto». Nel corso della sua vita, Duchamp creò trecentododici versioni de «Boîte-en-Valise».
L’idea di creare delle scatole contenenti facsimili e schizzi risale già al 1914: esistono tre o cinque copie di questa prima edizione di scatole, le quali contengono i primi schizzi su carta fotografica di «La mariée mise à nu par ses célibataires, même (Le Grand Verre)» (1915-23). Al momento si conosce l’ubicazione di solo due di queste scatole, una al Centre Pompidou a Parigi e l’altra al Philadelphia Museum of Art.
Prima che l’artista francese iniziasse a dedicarsi alle edizioni principali delle sue «Boîtes en Valise», creò un’ulteriore scatola contenente 93 documenti riguardanti le sue idee su «La mariée mise à nu par ses célibataires, même (Le Grand Verre)» negli otto anni prima del suo completamento. Questa scatola si chiama «La Boîte Verte» (1934) e si trova al Tate Modern a Londra.
Nel 1935 Duchamp comincia a creare le versioni principali delle «Boîtes en Valise», che sono suddivise in sette serie. Nel 1966 creò un’ultima scatola che non è parte delle edizioni principali, «La Boîte Blanche». Si tratta di una scatola in plexiglas con una serigrafia di «Glissière Contenant un Moulin à Eau». Al suo interno ci sono settantanove facsimili realizzati tra il 1914 e il 1923. Questa scatola si trova al Philadelphia Museum of Art.
Ritornando all’opera-compendio conservata alla Peggy Guggenheim di Venezia, questo particolarissimo lavoro è stato realizzato su supporti molto diversi tra loro: pelle, carta fotografica con aggiunte a matita, acquerello e inchiostro. L’intervento sull’opera di Duchamp, dato il carattere polimaterico, sarà coordinato dal dipartimento di conservazione della Collezione Peggy Guggenheim e dal Settore materiali cartacei e membranacei dell’Opificio delle pietre dure e Laboratori di restauro di Firenze, i cui restauratori condurranno le varie fasi di interventi coadiuvati da esperti dei diversi settori dell’istituto che, a vario livello, saranno coinvolti per consulenze e per interventi mirati sui singoli elementi, presenti all’interno.
È prevista una campagna di indagini per l’identificazione delle tecniche grafiche e pittoriche usate, così come sul metodo di assemblaggio dei pezzi.
Trattandosi della prima della celebre serie di valigie deluxe della fine degli anni ‘30 del Novecento, obiettivi dell’intervento saranno, oltre alla risoluzione delle problematiche inerenti la conservazione e l’esposizione di un oggetto molto delicato quale essa è, conoscere meglio il modo di lavorare di Duchamp e il sistema «quasi industriale» che da questo momento attiverà per realizzare le altre serie prodotte.
Particolarmente interessante sarà anche, data la complessità dell’oggetto e la sua stratificazione di contenuti, studiare la resa tridimensionale e la modellizzazione virtuale dell’oggetto, così da permettere una visione «in differita» dell’opera, da offrire al grande pubblico che altrimenti non potrebbe apprezzarlo nella sua completezza.
Come è consuetudine, l’Opificio delle pietre dure si avvarrà, per le indagini diagnostiche e la restituzione virtuale dell’opera, della rete di istituti di ricerca, universitari e del Cnr, che collaborano con l’istituto fiorentino alla ricerca sui materiali dell’arte.
La collezione Guggenheim rinsalda così i fili di un’amicizia durata quasi una vita, quella tra la collezionista americana e Duchamp. I due si conobbero a Parigi, negli anni ’20, quando la mecenate si trovava in Europa insieme al marito, l’artista Laurence Vail.
Quando nel 1938 Peggy Guggenheim aprì la galleria d'arte Guggenheim Jeune a Londra, diede ufficialmente inizio a una carriera che avrebbe influenzato significativamente il corso dell'arte del dopoguerra. Fu Duchamp a presentarle gli artisti e a insegnarle, come lei stessa ebbe a dire nella sua autobiografia «Una vita per l’arte» (Rizzoli Editori, Milano 1998), «la differenza tra l'arte astratta e surrealista». Nello stesso libro, Peggy Guggenheim parlava anche dell’opera dell’artista francese, oggetto oggi di restauro: «Spesso pensavo che sarebbe stato molto divertente andare a trascorrere un fine settimana portandosi dietro quella valigia invece della solita borsa che si riteneva indispensabile».
Per saperne di più
www.guggenheim-venice.it
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