ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

giovedì 19 novembre 2020

La bellezza di Parma in un libro di Franco Maria Ricci

«Alla mia Parma, come a una donna amata, dedico oggi un’opera di quelle che so fare bene. Se avessi avuto la ventura di nascere floricoltore, le farei dono della più bella delle mie violette, ma faccio l’editore, e mi accontento di offrirle un libro». Viene presentato con queste parole di Franco Maria Ricci, raffinato collezionista d’arte che ha dato vita al Labirinto del Masone (tra i più grandi dedali al mondo) e che è stato l’ideatore di una delle più belle riviste d’arte italiane, «FMR», definita da Federico Fellini «la perla nera», il volume «Parma».
Il libro, realizzato in collaborazione con Crédit Agricole Italia, è un omaggio non solo alla città emiliana, che in un periodo tanto difficile come quello della pandemia da Coronavirus si trova a vestire i panni di Capitale italiana della Cultura. Ma è anche un tributo a Franco Maria Ricci, editore, bibliofilo, graphic designer e cultore del bello, scomparso a ottantadue anni lo scorso settembre nella sua dimora di Fontanellato, antico borgo della provincia parmense con la splendida Rocca affrescata dal Parmigianino.
Più volte Franco Maria Ricci ha incrociato la sua storia di editore con quella di Parma e dei suoi monumenti (si pensi, per esempio, al bel volume sulla Cattedrale, edito nel 2015, o a quello sul Battistero, stampato nel 1993). E più volte l’ha raccontata con il suo stile, caratterizzato dall’assoluta devozione al carattere Bodoni, inno all’armonia e alla proporzione, tappa primigenia di una lunga avventura nel mondo dell’editoria all’insegna della cura del dettaglio e della qualità estetica e contenutistica. 
Il primo volume pubblicato da Franco Maria Ricci, non ancora trentenne, fu, infatti, la ristampa, in novecento copie e in tre tomi di raffinato nero in pelle, di un’opera allora introvabile anche sul mercato antiquario: il «Manuale tipografico» di Giambattista Bodoni, direttore della Stamperia ducale di Parma negli ultimi decenni del Settecento. 
Da allora -era il 1963- dalla casa editrice parmense sono uscite collane di culto come «I segni dell’uomo», «Morgana», «Quadreria», «Luxe, calme et volupté», «Curiosa», «La Biblioteca di Babele», «Iconographia», «La biblioteca blu», «Guide impossibili», «Italia/Antichi Stati», «Grand Tour», un insieme di libri preziosi che è sempre stato un piacere sfogliare, guardare, leggere, mettere in bella mostra nella propria libreria.
Eleganza e bellezza, le due parole che meglio raccontano la storia di FMR, tessono il racconto anche del nuovo libro dedicato a Parma, un ritratto della città con immagini spettacolari e schede, una per ogni monumento importante o angolo curioso e poco conosciuto.
Lo splendore medievale del Battistero, la grande pittura manierista del Parmigianino, gli affreschi pieni di movimento e di grazia soffusa del Correggio, i palazzi e le chiese del centro storico, la magnificenza della dinastia Farnese, che ha la sua massima espressione visiva nel Palazzo della Pilotta con l’annesso teatro, la grandeur che pervade i monumenti dell’epoca della duchessa Maria Luigia d’Austria, a partire dal bel teatro Regio (allora Nuovo Ducale Teatro), si offrono, pagina dopo pagina, agli occhi del lettore. Non manca, poi, un focus sui nuovi linguaggi del Novecento di Carlo Mattioli e di Amedeo Bocchi.
La forma del volume ricalca quella della città, con la divisione tra le due sponde dell’acqua, ma l’itinerario viene arricchito da una sortita fuori città, alla scoperta dei luoghi più affascinanti del territorio circostante, dai castelli della Bassa parmense al Labirinto della Masone, dalla sorprendente collezione custodita negli spazi di villa Magnani Rocca a Mamiano di Traversetolo agli oggetti della civiltà contadina del Museo Guatelli a Ozzano Taro.
Il volume si apre con un’introduzione a firma di Michele Guerra, assessore alla cultura del Comune di Parma. Ad accompagnare il lettore in questo viaggio per immagini alla scoperta di uno dei più suggestivi angoli d’Italia -patria di Benedetto Antelami, Giuseppe Verdi, Arturo Toscanini e Bernardo Bertolucci- sono, poi, le puntuali schede curate da Maria Cristina Chiusa e i due saggi introduttivi, dedicati uno al tempo e uno allo spazio: il primo, di Gianni Guadalupi, narra col piglio del racconto le alterne vicende storiche della nostra città, il secondo, di Marzio Dall’Acqua, ne descrive la forma.
Parma, città di aristocratiche tradizioni locali e di opere d’arte da sindrome di Stendhal, si mostra così agli occhi del lettore curioso e dell’amante del bello in tutto il suo fascino. Un fascino che aveva colpito anche Maria Luigia, come si legge in un passaggio di una lettera alla duchessa di Montebello del maggio 1816: «il paese nel quale vivo è un vero giardino; ho nelle mani il modo di rendere quattrocentomila anime felici; di proteggere le scienze e le arti; non sono ambiziosa ed ho la speranza di passare qui un grande numero d'anni, che si rassomiglieranno tutti ma che tutti saranno dolci e tranquilli». 

Informazioni utili
«Parma». FMR, Fontanellato (Parma) – Milano 2020. Testi di Marzio Dall’Acqua, Gianni Guadalupi; schede dei luoghi a cura di Maria Cristina Chiusa, Francesca Grignaffni, Elisa Rizzardi, Pietro Mercogliano. 258 pagine. Formato: 28,5 x30 cm. Prezzo: 80 euro. Data di uscita: 1° novembre 2020. Informazioni: Masone Srl, tel. 0521.827081 o tel. 02.41299934. Sito: www.francomariaricci.com

mercoledì 18 novembre 2020

La rivista «Ferrania» rivive in digitale grazie alla Fondazione 3M

Era il gennaio del 1947 quando faceva la sua comparsa - in occasione della commercializzazione di Ferraniacolor, la prima pellicola a colori prodotta in Europa - il mensile «Ferrania», nato dall’acquisizione della rivista «Notiziario fotografico», fondata a Ivrea nel 1940 sotto la guida di Aristide Bosio.
Diffusa in un momento storico come quello del secondo Dopoguerra, dove la fotografia trovava sempre più spazio sui rotocalchi patinati -da «L'Espresso» a «L'Europeo», da «Epoca» a «Il Mondo»- ma anche in testate di carattere culturale, a partire dalla raffinata rivista «Il Politecnico», diretta da Elio Vittorini e impaginata da Albe Steiner, «Ferrania» si distinse subito per non essere un mero bollettino aziendale, ma un «veicolo di pubbliche relazioni», un prodotto di alto profilo culturale anche grazie all’illuminata direzione di Guido Bezzola, cattedratico di letteratura italiana, e di Alfredo Ornano, fotografo e grande esperto di chimica.
Su quelle pagine, che lo storico della fotografia Italo Zannier definì «una specie di Camera Work italiana», scrissero autori del calibro di Giuseppe Turroni, Ugo Casiraghi, Morando Morandini, Folco Quilici, Dino Formaggio, solo per citarne qualcuno.
L'impaginazione e la direzione artistica potevano, invece, contare sull'esperienza di Luigi Veronesi, fotografo e pittore astrattista, che diede alla rivista -come a tutte le pubblicità dell’azienda Ferrania- un’impronta di straordinaria modernità.
Sin dai primi numeri, il periodico dedicò ampio spazio alla fotografia in bianconero (la prima copertina a colori è del 1955 in contemporanea con la comparsa del sottotitolo «Rivista mensile di fotografia e cinematografia») pubblicando sia portfolio di grandi autori internazionali come Édouard Boubat, Brassaï, Izis e Otto Steinr sia opere di bravi fotoamatori, alcuni dei quali, come Mario De Biasi, Cesare Colombo, Gianni Berengo Gardin, Fulvio Roiter, si sarebbero poi imposti come professionisti.
La scoperta di nuovi talenti era strettamente legata al lancio di bandi fotografici, base per la creazione del prestigioso archivio dell’azienda Ferrania, un patrimonio di centodieci mila immagini (tra lastre, cartoline fotografiche, negativi, stampe vintage e riproduzioni), acquisito negli anni Sessanta da 3M.
Tirata in tremila e cinquecento copie per fascicolo nell’invariato formato A4 (24 x 30 centimetri) di quaranta pagine su carta patinata, «Ferrania» si caratterizzò, nel corso degli anni, per una struttura organizzata in una successione di articoli di natura critica, tra saggi, recensioni e profili degli autori. Le ultime pagine del periodico erano, invece, dedicate a schede monografiche relative a personalità artistiche del passato. Non mancavano, poi, consigli tecnici e suggerimenti sugli obiettivi, ovvero articoli che permettevano ai fotoamatori di conoscere i nuovi prodotti dell’azienda milanese.
Vicina all’estetica crociana, cara a una delle firme più attive della rivista - quella di Giuseppe Cavalli, sperimentatore della cosiddetta tecnica high-key e firmatario del celebre «Manifesto della Bussola» -, la rivista era attenta anche al mondo del cinema, che raccontava da un punto privilegiato visto che l'azienda Ferrania forniva le pellicole ai più grandi registi italiani, da Federico Fellini a Pier Paolo Pasolini.
Questa ossatura editoriale venne mantenuta fino all’ultimo numero, uscito nel dicembre 1967. Con il consueto annuario del meglio della fotografia dell’anno, pubblicato a partire dal 1957, «Ferrania» chiudeva i battenti, ma il suo stile – ricorda Roberto Mutti- «lasciava un’importante eredità con cui ancora oggi si fanno i conti».
È, dunque, prezioso il lavoro fatto dalla Fondazione 3M, istituzione culturale permanente, snodo di divulgazione e formazione, dove scienza e ricerca, arte e cultura, discipline economiche e sociali, vengono approfondite, tutelate, promosse e valorizzate, nella consapevolezza dei valori d'impresa e della cultura dell'innovazione. 
Si deve, infatti, a questo prestigioso ente italiano, con sedi a Roma e Milano, la digitalizzazione di tutti i numeri della rivista «Ferrania». Il progetto, che è stato realizzato in collaborazione con la Scuola normale superiore di Pisa, permette così, con un semplice clic, di sfogliare e di consultare la rivista comodamente da casa. Un’ottima occasione, questa, per gli studiosi (ma anche per i semplici appassionati di fotografia) nei giorni del secondo lockdown della cultura, con le biblioteche chiuse e la necessità di affidarsi solo a Internet (e alla propria biblioteca personale) per le ricerche e gli studi.

Informazioni utili 
Tutti i numeri della rivista sono disponibili al sito: https://www.fondazione3m.it/page_rivistaferrania.php

martedì 17 novembre 2020

«Cento anni di Fila», Corraini edizioni racconta in un libro un secolo di storie di colori e lapis

Era il 23 giugno 1920 quando a Firenze veniva costituita - su iniziativa di un gruppo di imprenditori, capitanato dal conte Giuseppe delle Gherardesca- la Fabbrica italiana di lapis e affini. Da quell’estate sono trascorsi cento anni e le aspettative dei fondatori «di fabbricare e commerciare lapis, oggetti e articoli di cancelleria e di durare per cinquant’anni» sono state ampiamente superate. Da allora Fila – che dialoga con il mondo attraverso il linguaggio senza confini e senza tempo della creatività – è, infatti, parte della storia, del costume, della quotidianità di intere generazioni di persone.
Alla vicenda ricca e intensa di questa società – oggi quotata alla Borsa di Milano, nel segmento Star, con tutti i suoi intramontabili e iconici marchi come, per esempio, Giotto, Tratto, Das, Didò e Pongo - hanno dato vita la penna dello scrittore Valerio Millefoglie e le matite dell’illustratore bolognese Andrea Antinori. È nato così il volume «Cento anni di Fila», appena uscito in libreria (e on-line) per i tipi di Corraini edizioni.
Scritto in doppia lingua, italiano e inglese, il libro è stato concepito come un viaggio tra i ricordi di quei milioni di uomini, donne e ragazze che hanno stretto tra le mani gli strumenti realizzati da Fila per scrivere, disegnare, colorare, modellare e dipingere, per dare ancora più colore alle loro storie variopinte. 
 Il volume si discosta così dal cliché del classico libro aziendale. «Cento anni di Fila» -commenta a tal proposito Massimo Candela, Ceo del gruppo- «parla del nostro heritage, delle nostre ambizioni, della nostra passione e della nostra visione per il futuro, ma lo fa – permettetemi il gioco di parole – in punta di matita, mettendo al centro le persone e il valore condiviso generato dalla potenza dirompente della creatività».
La struttura narrativa si sviluppa su un doppio livello. Nella prima parte, la penna di Valerio Millefoglie, dopo un certosino lavoro di analisi degli archivi aziendali e di ricostruzione storica, racconta al lettore cento anni di avvenimenti. Delinea in forma di racconto, attraverso evidenze storiche e aneddoti, la storia di Fila in un percorso che spazia dai documenti costituitivi dell’azienda (corrispondenze con fornitori e clienti, fotografie delle prime fiere campionarie, appunti di lavoro, bozzetti di nuove realizzazioni) alle innovazioni di prodotto, dalla strategia di acquisizioni internazionali avviata negli anni Novanta alle curiosità e alle testimonianze di chi ha contribuito a rendere l’azienda ciò che è oggi e che sarà domani. Il tutto è inserito nel contesto storico, che viene cadenzato per decenni, in una connessione continua tra società, cultura, costumi e vicende aziendali.
Così scopriamo tante piccole curiosità. La matita Telefono degli anni Trenta è indissolubilmente legata al cinema dei «telefoni bianchi» e delle dive. Si deve ad Alberto Candela (la cui famiglia è a capo del gruppo dal 1956) l’invenzione della matita per il trucco, del Tratto Pen (oggi esposto al MoMa di New York) e del Tratto Clip. Tra gli estimatori di Fila c’era Federico Fellini, che sulle pagine de «La Stampa» di Torino ricordò le matite colorate Giotto della sua infanzia. 
La narrazione è accompagnata e resa vivida da una selezione di immagini storiche e dalle illustrazioni prodotte dalla matita di Andrea Antinori che visualizzano i passaggi cruciali e sottolineano il legame tra Fila, la società e il colore.
La seconda parte è composta da cento testimonianze di persone diverse tra loro per vissuto e professione che hanno scelto di raccontarsi: il fil rouge che le accomuna è l’emozione, il ricordo e il senso di appartenenza a una grande comunità. Nel racconto corale la testimonianza del banchiere si fonde con quella della maestra, l’esperienza creativa dell’illustratore e dello scrittore si lega al ricordo della professoressa della stenografia in pensione, del taxista, della logopedista, dello studente.
  Il flusso narrativo si apre con il contributo di Simonetta Agnello Hornby che ci riporta all’Agrigento della sua infanzia e si chiude con il racconto di Matilde Rini, una bambina di nove anni che da grande vorrebbe lavorare nell’ufficio «non lo so», un luogo dove quello che fai lo scopri solo quando sei entrato.
Da un punto di vista grafico, i contributi si contraddistinguono da un font che ci riporta a una dimensione quasi diaristica, da un titolo che ci trasporta in un mondo personale e da un’immagine di prodotto che richiama il legame con Fila.
Il volume parla anche dei progetti educativi sviluppati negli anni da enti come il teatro alla Scala di Milano, la Biennale di Venezia o la Città della Scienza di Napoli con l’azienda di Pero.  
«Cento anni di Fila» è, poi, un libro per tutti, anche per il lettore. Il Lapiscento prodotto ad hoc per il centenario – una matita di grafite realizzata con un sistema di recupero degli scarti di legno cedro da filiera certificata Pefc – e inserito nel volume, è un invito ad alimentare la storia condivisa, a lasciare il proprio segno, a mischiare il proprio vissuto con quello degli altri per creare un arcobaleno di racconti e di colori.

Informazioni utili
Valerio Millefoglie, Andrea Antinori, «1920-2020. Cento anni di FILA. Un secolo di storie di colore, di lapis ed affini». Corraini edizioni, Mantova 2020. Dimensioni: 16.5 x 23.0 cm. Lingue: italiano e inglese. Rilegatura: cartonato con sovraccoperta e matita inserita. Pagine: 240. Edizione corrente: 11/2020. ISBN: 9788875708771. Prezzo: € 28,00. Informazioni: sales@corraini.com, www.corraini.com. Ufficio stampa: Benedetta Lelli, press@corraini.com, tel. 3286156940 | Antonella Laudadio – Cantiere di Comunicazione, a.laudadio@cantieredicomunicazione.com, 345.7131424, 02.87383180