ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com

martedì 7 luglio 2020

«Illuminare lo spazio», Daniel Buren per Bergamo

Ha una forte valenza simbolica la mostra di Daniel Buren (Boulogne-Billancourt, 25 marzo 1938) in programma dal prossimo 9 luglio a Bergamo, la città italiana più colpita dalla recente pandemia di Coronavirus.
«Illuminare lo spazio», questo il titolo dell'esposizione, rappresenta, infatti, un vero e proprio simbolo di rinascita con i suoi «lavori in situ o situati» dedicati al tema della luce, da sempre sinonimo di vita e speranza.
Esponente di spicco dell’Institutional Critique –la tendenza all’interrogazione critica delle istituzioni artistiche emersa intorno alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso– Daniel Buren ha utilizzato per la prima volta nel 1965, come supporto per la propria pittura ridotta al grado zero, una tenda da sole, il cui motivo a bande verticali bianche e colorate di 8.7 cm è divenuto, da quel momento in avanti, un dispositivo visivo utilizzato dall’artista in tutti i propri lavori, dalle mostre alle commissioni pubbliche.
Dall’incontro tra questi fondamentali orientamenti della ricerca di Buren e l’interesse più recente per la luce, e in particolare per le qualità e il potenziale estetico e costruttivo della fibra ottica, nasce l’esposizione per Palazzo della Ragione, che vede la curatela di Lorenzo Giusti.
Qui, nella Sala delle Capriate, i tessuti luminosi dell’artista francese –presentati per la prima volta in un museo italiano– ridefiniranno gli ambienti storicamente destinati all’amministrazione e all’esercizio della giustizia cittadina, gettando «nuova luce» sulle antiche forme del palazzo e sugli affreschi in esso conservati, staccati dalle facciate delle case e dalle chiese dell’antico borgo urbano e qui collocati negli anni Ottanta del Novecento.
Dall’incontro tra un gruppo di interventi «in situ», immaginati appositamente per lo spazio della sala, e una serie di lavori «situati», adattati cioè agli spazi del grande salone ma idealmente trasferibili in altri contesti, nasce il progetto per la città Bergamo, che per la prima volta apre le porte al pensiero e alla creatività del celebre artista francese affidandogli la rilettura di uno dei suoi luoghi storici più rappresentativi.
Quello di Buren è un lavoro «per» e «nello» spazio, un unicum scultoreo con un forte connotato plastico, indipendente e anti-decorativo, e, allo stesso tempo, con una predisposizione all’interpretazione e alla valorizzazione degli elementi artistici e architettonici preesistenti.
I teli in fibra luminosa sono l’esito ultimo della ricerca dell'artista francese, la parte recente e aggiornata di un percorso creativo originale e celebrato. Essi non rappresentano soltanto l’evoluzione tecnologica di concetti e principi compositivi consolidati, ma costituiscono, a tutti gli effetti, una nuova condizione costruttiva, un nuovo modo di esistere nello spazio, in ragione delle loro peculiari qualità intrinseche, del loro essere portatori interni di sostanza raggiante e, allo stesso tempo, fonte di luce per gli ambienti.
Dopo essere state presentate all’interno di alcune importanti gallerie e musei, le fibre ottiche di Buren si trovano in questa occasione a vivere per la prima volta una nuova dimensione spaziale e un inedito dialogo con un contesto storico di grande valore, ovvero con uno dei primi palazzi comunali italiani, autentico testimone di un lontano tempo passato con i suoi capitelli del colonnato, gli affreschi interni e lo «gnomone», un orologio solare che proietta la propria ombra sulla meridiana incisa nel marmo della pavimentazione e che con precisione ne annuncia il mezzogiorno locale e la data.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Photo-souvenir: The Colors Above Our Heads Are Under Our Feet, travail permanent in situ, The Baker Museum, Naples (Florida), 2018. Dettaglio. © Daniel Buren by SIAE 2020; [fig. 2] Vedute d’installazione. Photo-souvenir: Daniel Buren, Fibres optiques tissées. Gwangju Design Biennale, Gwangju, Corea del Sud, luglio-ottobre 2019. Dettaglio. © Daniel Buren by SIAE 2020; [fig. 3] Photo-souvenir: Quand le Textile s’éclaire: Fibres optiques tissées, travaux situés 2013-2014, Kunstsammlungen, Chemnitz, 2018. © Daniel Buren by SIAE 2020; [fig. 4] Photo-souvenir: D’une Arche aux autres, travail permanent in situ, Parc de la Ligue Arabe, Casablanca, 2015/2018. Dettaglio. © Daniel Buren by SIAE 2020

Informazioni utili 
Daniel Buren per Bergamo - Illuminare lo spazio, lavori in situ e situati. Palazzo della Ragione - Sala delle Capriate, piazza Vecchia 8/ A - Bergamo. Orari: martedì-venerdì, ore 16:00-20:00; sabato e domenica, ore 10:00-22:00; lunedì chiuso. Ingresso gratuito.Informazioni: GAMeC – Galleria d’arte moderna e contemporanea, tel. 035.270272. Sito internet: gamec.it. Dal 9 luglio al 1° novembre 2020. 

lunedì 6 luglio 2020

Dodici artisti per il Nuovo forno del pane. Bologna va alla scoperta dei suoi giovani talenti

Hanno risposto in duecentodiciannove al bando lanciato dal Mambo di Bologna per il Nuovo forno del pane, il progetto con cui il museo mette a disposizione della comunità creativa del territorio i propri spazi, per sostenere la ripartenza di un settore fortemente colpito dall’emergenza Covid-19 come quello dell'arte.
Le candidature pervenute sono state selezionate da una commissione giudicatrice presieduta da Lorenzo Balbi, responsabile dell'Area arte moderna e contemporanea dell'Istituzione Bologna Musei, che ha scelto dodici artisti.
Si tratta di Ruth Beraha (1986, Milano), Paolo Bufalini (1994, Roma), Letizia Calori (1986, Bologna), Giuseppe De Mattia (1980, Bari), Allison Grimaldi Donahue (1984, Middletown, USA), Bekhbaatar Enkhtur (1994, UlaanBaatar, Mongolia), Eleonora Luccarini (1993, Bologna), Rachele Maistrello (1986, Vittorio Veneto), Francis Offman (1987, Butare, Rwanda), Mattia Pajè (1991, Melzo), Vincenzo Simone (1980, Seraing, Belgio) e Filippo Tappi (1985, Cesena).
I requisiti richiesti per l’ammissione della domanda prevedevano il domicilio nella Città metropolitana di Bologna senza vincoli di cittadinanza o residenza, una recente e documentata attività nell’ambito delle arti visive contemporanee, il conseguimento della maggiore età alla data di pubblicazione dell’avviso pubblico di selezione e il mancato possesso, in questo momento, di uno studio in cui lavorare e produrre le proprie opere.
Gli artisti selezionati hanno convinto la giuria in particolar modo per la loro necessità a disporre di un luogo di lavoro in cui sviluppare progettualità specifiche, per la loro spiccata attitudine al lavoro di gruppo in uno stile partecipativo-collaborativo e per il contributo esclusivo che ognuno di loro saprà dare, con le proprie ricerche, interessi o competenze alla creazione di questa nuova comunità creativa.
Fino al 31 dicembre 2020, le artiste e gli artisti selezionati potranno utilizzare gli spazi a loro dedicati nella Sala delle ciminiere per avviare o realizzare opere e progetti artistici in una cornice istituzionale.
Grazie alla loro energia ideativa si riaccenderanno così idealmente i due grandi camini che, con il loro inconfondibile profilo, contraddistinguono l’edificio dove ha sede il museo, noto come ex forno del pane, originariamente costruito con funzione di panificio comunale.
Le artiste e gli artisti avranno a propria esclusiva disposizione un’area di lavoro singolarmente assegnata. È, inoltre, previsto l’accesso a ulteriori spazi e laboratori di utilizzo collettivo appositamente creati all’interno del Mambo, per favorire un clima partecipativo in cui possano proliferare collaborazioni e scambi utili ad attivare processi di auto-formazione e ampliamento delle competenze tecniche e teoriche, e nei quali sarà possibile avvalersi della consulenza e del supporto di professionalità interne allo staff del museo.
Grazie al supporto del main partner Unicredit, a ciascun artista selezionato sarà erogato direttamente un incentivo di duemila euro lordi a disposizione per un concreto avvio dell'attività di produzione.
Parallelamente, verrà avviato entro breve anche il public program
che metterà in contatto l’attività degli artisti con la realtà cittadina attraverso momenti di studio visit, dialoghi, open studio, restituzioni pubbliche delle opere prodotte e dei progetti portati a termine, incontri, lezioni e presentazioni, secondo le modalità che saranno consentite durante la fase post-emergenziale.
Ma non è tutto. Grazie al favore positivo con cui il progetto Nuovo forno del pane è stato accolto da istituzioni e operatori del sistema culturale cittadino, si apre un’ulteriore nuova possibilità di inserimento per giovani artisti con l’iniziativa denominata 13° Spazio.
A partire da una riflessione circa le possibilità rappresentate dagli strumenti digitali e dai linguaggi artistici multimediali e il ruolo che questi avranno nella stretta attualità e nel prossimo futuro, il Mambo, in collaborazione con l’Accademia di belle arti di Bologna e con il sostegno della Fondazione Zucchelli, si propone di includere un tredicesimo percorso di ricerca, produzione e presentazione di contenuti appositamente concepiti per il digitale e il virtuale, in grado di mettere in relazione on-line e off-line con una forte vocazione all’interazione con lo spettatore.
Entro la metà di luglio, sui siti web del Comune di Bologna e del Mambo sarà pubblicato un avviso pubblico rivolto a studenti iscritti, all’atto della domanda, ai corsi biennali di secondo livello specialistici all'Accademia di belle arti di Bologna o diplomati successivamente al 1° gennaio 2019, che siano maggiorenni alla data di pubblicazione dell'avviso stesso.
Il selezionato riceverà un contributo di due-mila euro da Fondazione Zucchelli per sviluppare il suo progetto.
La curatela di questo spazio sarà affidata a Federica Patti, docente, critica d’arte e curatrice indipendente di base a Bologna, la cui ricerca si concentra sulle arti multimediali, su progetti interattivi e partecipativi, sulle pratiche liminali e sulla valorizzazione di giovani artisti emergenti.
Con Nuovo forno del pane il Comune di Bologna e il Mambo si mobilitano, dunque, a favore di una delle categorie più colpite dall'emergenza pandemica, quella di artisti, fotografi, designer, registi e creativi in genere, che nel museo hanno sempre visto un punto di riferimento con il quale confrontarsi nell'ambito delle loro pratiche. Ma offre anche nuovi stimoli al pubblico, offrendo uno strumento per conoscere cosa avviene tra i giovani creativi che abitano e vivono nella città di Bologna.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Allison Grimaldi Donahue, Varietà di edizioni stampate e libri autoprodotti: Funhouse Mag, The American Reader, Yo-New York, Body to Mineral Publication Studio Vancouver, On Endings Delere Press, Group Huddle Reader, due libretti per performance; [fig. 2] Bekhbaatar Enkhtur, «Volpe», 2020. Cera, rami d’albero. Dimensioni determinate dall’ambiente. Veduta di allestimento della mostra «La meraviglia», a cura di Sergio Risaliti, presso Manifattura Tabacchi, Firenze; [fig. 3] Francis Offman, «Senza titolo/Untitled», 2018. Acrilico, inchiostro, collage su carta 100% cotone, cm 56 x 76. Foto Carlo Favero. Courtesy l’artista e P420, Bologna; [fig. 4] Giuseppe De Mattia, «Esposizione di frutta e verdura», 2019. Installazione composta da frutta e verdura vera e in ceramica, ferro, legno e carta velina. Dimensioni variabili. Courtesy Materia Gallery Roma. Foto Roberto Apa; [fig. 5] Mattia Pajè, Ciao, 2019. Argilla rossa San Sepolcro, ferro, 108x172x50 cm. Veduta presso Fondazione SmART – polo per l’arte, Roma. Foto Francesco Basileo

Informazioni utili 
Mambo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, via Don Minzoni, 14 – Bologna. Facebook: MAMboMuseoArteModernaBologna | Instagram: @mambobologna | Twitter: @MAMboBologna | YouTube: MAMbo chan-nel | sito internet www.mambo-bologna.org

venerdì 3 luglio 2020

«Opera tua» di Coop, il «San Francesco» di Filippo da Verona è restaurato

Era il 2017 quando Coop Alleanza 3.0 lanciava «Opera tua», il progetto che sposa il sostegno alla cultura, attraverso la valorizzazione e il recupero di capolavori locali, con l’eccellenza dei prodotti enogastronomici della linea «Fior fiore Coop», nell’ambito dell’iniziativa solidale «1 per tutti 4 per te».
Dal Friuli Venezia alla Sicilia, dalla Lombardia alla Puglia, negli ultimi tre anni sono state restaurate oltre venti opere, tra quelle selezionate da Fondaco Italia, in collaborazione con l’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco, e con il patrocinio del Touring club italiano, ente non profit che, da oltre cent’anni, si occupa di turismo, cultura e ambiente.
Tra queste c’è il dipinto ad olio su tavola «San Francesco riceve le stimmate» di Filippo da Verona, da poco restituito ai Musei civici d'arte antica dell'Istituzione Bologna Musei e, da mercoledì 24 giugno, esposto permanentemente nella Sala 6, con la lettura critica di Silvia Battistini.
L’opera, realizzata probabilmente tra il 1515 e il 1520, è stata attribuita al pittore veneto nel 1990 da Danilo Benati. grazie agli studi sull'artista che si sono succeduti a partire dagli anni Ottanta del XX secolo.
Le notizie in nostro possesso su Filippo da Verona sono molto poche; la maggior parte di queste si desumono dalle firme apposte alle sue opere o da contratti siglati per l'esecuzione di lavori.
Si apprende così che l’artista si spostò frequentemente, per eseguire le commissioni che riceveva, lavorando in numerosissime città dell'Italia settentrionale e adriatica, tra Veneto, Lombardia, Liguria, Emilia, Marche e Lazio.
Noto soprattutto per la realizzazione di opere di soggetto religioso, destinate a luoghi di culto o alla devozione privata, il pittore veneto si distinse per il suo talento e la capacità di aggiornare la sua pittura, formatasi nell'ambiente veneto del tardo Rinascimento.
Gli anni dieci del Cinquecento, quelli ai quali risale l’opera bolognese, furono fondamentali nel suo percorso: Filippo da Verona aggiornò, infatti, il suo stile, mostrando di conoscere bene Raffaello, Dosso Dossi, Lorenzo Lotto, il Romanino e Amico Aspertini (al quale, a lungo, venne anche attribuita la tavola su San Francesco), ma anche Albrecht Dürer e soprattutto Albrecht Altdorfer.
Il dipinto bolognese, che è stato scelto dai soci di Coop Alleanza 3.00 in un voto on-line sull’Emilia Romagna tenutosi dall’1° al 31 maggio 2019, è esposto nelle collezioni comunali dal primo allestimento del 1936 a opera di Guido Zucchini, ma era stato precedentemente individuato da Francesco Malaguzzi Valeri tra i beni tenuti in magazzino e prelevata per essere esposta a partire dal 1924 alla Regia Pinacoteca di Bologna, come opera ferrarese.
Purtroppo non si conoscono le circostanze dell’accesso nel patrimonio pubblico, lasciando aperta sia la possibilità che il lavoro si trovasse in un luogo di culto soppresso sia che fosse parte di una delle eredità pervenute al Comune tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi anni venti del Novecento, periodo al quale risalgono le donazioni Palagi, Pepoli e Rusconi.
Il restauro, iniziato a fine ottobre 2019, è stato realizzato per la parte riguardante la parchettatura da Daniele Biondino e dalla ditta Pantone Restauri di Roma per la parte pittorica.
L’intervento ha previsto il rilievo fotografico, anche a luce infrarossa, per la localizzazione delle zone maggiormente degradate della tavola, e numerose indagini diagnostiche, che hanno fornito informazioni fondamentali per il corretto svolgimento del restauro. Si è proceduto, quindi, al consolidamento del supporto ligneo, colmando le lacune che si erano create con il tempo nelle assi che compongono la tavola. Per fare ciò è stato necessario rimuovere le traverse apposte sul retro, che sono state rimontate una volta terminate le operazioni di risanamento. Si è, poi, proceduto con la pulitura della superficie pittorica, rimuovendo le ridipinture non coeve all’opera. Infine, sono state fatte le stuccature in corrispondenza delle fessure tra le tavole e i ritocchi pittorici, per permettere una corretta visione dell’immagine.
La pulitura della superficie pittorica e le indagini diagnostiche hanno permesso di approfondire la lettura del quadro, sia da un punto di vista stilistico che iconografico.
Come sempre accade nelle opere di Filippo da Verona, numerose figure popolano il paesaggio in cui si svolge l’evento principale, rappresentando altri momenti della storia o fornendo informazioni aggiuntive per comprenderne il contesto.
Assieme a San Francesco rapito dalla visione del Cristo (qui rappresentato non crocifisso ma Bambino), si possono riconoscere alla sua destra frate Leone e, nella parte alta del dipinto in mezzo al bosco, Santa Lucia che tiene in mano il vassoio con i suoi occhi, rivolta verso un santo vescovo, verosimilmente San Bassiano (o Bassano), riconoscibile per la fibula che trattiene il piviale, all’interno della quale vi è custodito il sangue di Cristo.
Un’altra figura, appena intuibile prima del restauro, si trova nell’angolo inferiore sinistro della tavola. Con l’avanzamento del restauro è stato recuperato il volto velato e il soggolo di una clarissa, probabilmente la committente dell’opera, che assiste orante alla scena miracolosa. Le dimensioni ridotte dell'opera sono coerenti con un’opera di devozione destinata alla cappella di un monastero. Sicuramente un cambio di destinazione indusse la nuova proprietà a modificare l’immagine della donatrice, per sostituirla con un nuovo devoto. Il lavoro fu fatto in un momento successivo, circa un secolo dopo la pittura di Filippo da Verona. Questo non deve stupire. Di fatto non erano inconsueti al tempo cambi di proprietà di oggetti di pregio con relative modifiche per adeguarli ai gusti del nuovo proprietario.
È comunque difficile formulare un’ipotesi sul luogo per cui Filippo da Verona realizzò questo dipinto: la presenza di Santa Lucia suggerisce di dover cercare la committenza in uno dei non numerosi monasteri di clarisse dedicati alla martire di Siracusa. È interessante che uno di questi –di antica tradizione– si trovasse a Rieti, città in cui nel 1522 Filippo da Verona era documentato come residente, ma dove non si conoscono sue opere. La presenza di San Bassano, però, orienterebbe piuttosto per un luogo del nord Italia, dove il culto del santo è vivo tra Lombardia (soprattutto nelle province di Lodi e Cremona) e Veneto (Bassano del Grappa).
L’altissima qualità stilistica del dipinto, la raffinata stesura pittorica, ottenuta con minuziose pennellate giocate su un’incredibile varietà cromatica di verdi, di gialli e di ocre, e la sottile capacità di descrivere lo stupore rapito sul volto del santo girato di trequarti e inondato dalla luce sovrannaturale, rendono evidente come Filippo da Verona dovesse essere un artista molto ricercato, soprattutto negli ambienti francescani, ai quali spesso possono essere ricondotte le sue opere.
Nel frattempo ha già preso il via la nuova edizione di «Opera tua», che toccherà tutte le regioni in cui è presente Coop Alleanza 3.00: ogni mese, due gioielli artistici della stessa zona vengono proposti a soci e clienti che, con il loro voto, determinano a quale opera destinare i fondi per il recupero.
Per votare l’opera da restaurare basta collegarsi al sito www.coopalleanza3-0.it e navigare nella sezione dedicata al progetto accessibile anche dalla short url all.coop/operatua.
L’andamento dei voti sarà visibile sul portale e l’opera vincitrice verrà resa nota alla fine di ogni tappa.
On-line sarà possibile seguire anche il restauro dei lavori scelti, con informazioni sui tempi e l’avanzamento.
Un bel modo, questo, per sostenere l’arte italiana e per conoscere anche la multiforme produzione artistica del nostro territorio nei secoli: dal dipinto di personaggi illustri all’arte religiosa, senza dimenticare le rappresentazioni statuarie.

Didascalie delle immagini 
[fig. 1] Filippo da Verona (doc. 1505 c. - 1522), San Francesco riceve le stigmate. Olio su tavola, cm 130 x 94,8. Bologna, Collezioni comunali d’arte. Courtesy Pantone Restauri, Roma. Immagine successiva all'intervento di restauro conservativo; [figg.2-6] Ritorno del San Francesco riceve le stigmate di Filippo da Verona a Bologna. Foto: Roberto Serra

Informazioni utili 
Collezioni comunali d’arte - Palazzo d’Accursio, piazza Maggiore, 6 – Bologna. Informazioni: tel. 051.2193998. Sito web:_www.museibologna.it/arteantica

giovedì 2 luglio 2020

Firenze, a Manifattura Tabacchi un’estate di arte nel nuovo Cortile della Ciminiera

Concerti, proiezioni cinematografiche, installazioni artistiche, laboratori per bambini, letture drammatizzate, dj set, performance. Ma anche lezioni di yoga, biciclettate culturali nei quartieri, degustazioni di specialità eno-gastronomiche e un mercatino dell’usato interamente dedicato agli amanti del libro.
La Manifattura Tabacchi di Firenze non lascia soli i suoi concittadini o chi sceglierà la città toscana come meta vacanziera in questa lunga e complicata estate, con il Coronavirus ancora in circolazione.
A fare da filo rosso tra i vari appuntamenti, in programma fino al prossimo 13 settembre, sarà un tema quanto mai attuale come quello del rapporto tra l’uomo e l’ambiente.
È nata da qui l’idea di creare uno spazio ad hoc, all’aperto, per trascorrere i prossimi mesi in sicurezza, nel rispetto delle norme anti-Covid.
Da qualche giorno in città ha, infatti, aperto, in modalità temporanea, il Cortile della Ciminiera, un nuovo spazio verde ideato dall’architetto, paesaggista e botanico milanese Antonio Perazzi, che trasforma la corte in un giardino dove il pubblico può interagire con alberi, piante, fiori e specchi d’acqua.
La sistemazione di questo spazio trova ispirazione nella storia dell’ex fabbrica di sigari che negli anni in cui è rimasta vuota, ovvero dal 2001, è stata progressivamente conquistata da specie vegetali, autoctone e non, sbucate spontaneamente dal cemento.
Queste piante pioniere, che si sono adattate a sopravvivere negli spazi abbandonati dall’uomo e hanno ripopolato e abitato la Manifattura fino a oggi, diventano ora protagoniste in un nuovo spazio iconico che anticipa i principi alla base della rigenerazione del complesso edilizio fiorentino e della sua architettura razionalista.
Nel progetto, insieme con i trentotto alberi già allestiti all’ingresso di via delle Cascine, in occasione della passata edizione del festival «God is green» (tenutosi nel settembre 2019), e con il verde cresciuto spontaneamente nel cortile, si trovano settecento nuovi elementi tra fiori, piante acquatiche, cespugli, rampicanti e tappezzanti capaci di adeguarsi a ogni superficie drenante.
Euphorbia, salvia, echinacea, verbena, pennisetum sono alcune delle piante erbacee scelte per il giardino, perché «capaci -racconta Antonio Perazzi- di regalare di continuo nuove architetture inaspettate fatte di prolifica generosità», crescendo e prosperando con una minima manutenzione.
Firenze si ritrova così con una nuova, accogliente, piazza verde sempre aperta, dove incontrarsi, fermarsi e farsi ispirare dalla cultura.
All’interno del cortile è attualmente visibile «Arno - Imaginary Topography», un intervento site-specific di circa trecentocinquanta metri quadri, firmato da Andreco. L’opera, posta sotto la ciminiera del cortile centrale, rappresenta una topografia immaginaria che, a partire dalle forme del fiume Arno, porta idealmente all’interno del Cortile della Ciminiera quei luoghi suggestivi della Toscana in cui è inserito il complesso. Il floor-drawing, dalle tonalità rosse e blu, vuole, infatti, essere -racconta l’autore- «un omaggio alla geologia, ai fiumi, alle zone umide, agli ecosistemi, ai dislivelli dei territori toscani, ma anche alla storia di Manifattura Tabacchi».
«Il dipinto -racconta ancora l’artista- decostruisce gli elementi architettonici presenti, fluidifica le architetture industriali, restituendo a queste una nuova vita e un nuovo inizio».
Per quanto riguarda l’arte, lo spazio fiorentino presenterà anche «Nam - Not A Museum», piattaforma d’arte contemporanea basata sul principio dell’interdisciplinarietà, sul coinvolgimento della comunità, sulla collaborazione tra vari attori artistici e sull’indagine del rapporto tra arte, natura e scienza.
Qui -racconta la curatrice Caterina Taurelli Salimbeni- «l’arte è intesa nella sua accezione rinascimentale, una capacità di fare in senso trasversale, alla quale tuttavia si aggiunge la volontà di agire sul contesto attuale e sulle sue urgenze, prima tra tutte quella ambientale».
«Not A Museum» ambisce, dunque, a essere un luogo dove è possibile provare, fare esperienza, intraprendendo anche strade poco battute. Per il programma estivo sono stati chiamati Radio Papesse, l’artista multimediale Alessio De Girolamo, il collettivo Phase, gli Attivisti della danza e Fumofonico.
A Manifattura Tabacchi sono, inoltre, visibili anche lo spazio di approfondimento sulla filosofia dell’Aerocene (una nuova era utopica che promuove la consapevolezza ambientale), una grande scultura tra kitsch e minimalismo di Marcello Spada e la mostra «La meraviglia» con opere dei giovanissimi Davide D’Amelio, Anna Dormio, Bekhbaatar Enkhtur, Esma Ilter, Giulia Poppi e Negar Sh, che hanno preso parte a una residenza d’artista a Manifatture Tabacchi.
L’estate della nuova arena all’aperto di Firenze darà spazio anche al mondo delle sette note, con serate dedicate al jazz e al repertorio classico, tutte live, a cura della Scuola di musica di Fiesole, e con djset, che vedranno protagonisti i nomi più noti delle notti fiorentine.
Il giovedì sarà il giorno di «LoudLift Live», a cura di Matteo Gioli: sei appuntamenti con gli artisti più promettenti della scena indipendente nazionale, passando dalle voci femminili a one man band e sonorità neo-folk. Dal 21 luglio il Cortile della Ciminiera farà da scenario anche al cinema con una rassegna, a cura della Fondazione Stensen, che presenterà anteprime e film d’essai.
Tra i tanti appuntamenti in cartellone, tutti consultabili sul sito di Manifattura Tabacchi, ce n’è poi uno che piacerà tanto agli amanti della lettura. È «Per una libbra di libri», originale mercatino in programma ogni giovedì sera per iniziativa di Todo Modo: gli acquisti, fatti a peso, potranno essere impacchettati con vecchie copertine del «New Yorker».
Sarà un’estate ricca, dunque, quella che ha messo in cantiere Manifattura Tabacchi nella sua nuova area esterna che Antonio Perazzi ha progettato tenendo bene a mente questo suo pensiero: «I giardini sono fatti di idee, affondano le radici nella memoria e permettono a nuovi sogni di sbocciare».

Didascalie delle immagini
[Figg. 1,2,3] Giardino della ciminiera a Manifattura Tabacchi; Firenze. Foto: Niccolò Vonci; [figg.4,5] Fiori nel Giardino della ciminiera a Manifattura Tabacchi, Firenze; [fig. 6] Arno - Imaginary Topography». Intervento site specific  di Ardenco per il  Giardino della ciminiera a Manifattura Tabacchi; Firenze. Foto: Giovanni Andrea Rocchi 

Informazioni utili 
www.manifatturatabacchi.com

mercoledì 1 luglio 2020

Dagli Uffizi all’«Isadora Dance Project»: le arti su Tik Tok per conquistare la «generazione Z»

È il social network più amato dai teenager, ma è anche quello più scaricato al mondo sulle piattaforme (superando Youtube, Instagram, Whatsapp e Messenger). Ha più di ottocento milioni di utenti attivi al mese. E piace per la formula intuitiva e fresca, che permette di condividere clip di quindici o sessata secondi ai quali abbinare musica, effetti sonori e filtri. Stiamo parlando di Tik Tok, il social network nato in Cina nel 2016 da un’idea di Alex Zhu e Luyu Yang, che, nei mesi del lockdown, ha attirato l’attenzione anche degli Uffizi, primo ente culturale italiano di rilievo a fiutarne il potenziale.

Distanziamento sociale per la «Venere» del Botticelli, mascherina protettiva per la «Medusa» del Caravaggio: intrattenimento con il sorriso agli Uffizi
Sono diverse le clip, brevi e ironiche, che il museo toscano ha pubblicato, a partire dallo scorso 28 aprile, sulle notizie di attualità del momento: dalle autocertificazioni alle chiome ribelli per la mancanza del parrucchiere, dal distanziamento sociale alle lezioni on-line.
Il primo video di quindici secondi è stato una risposta alla challenge lanciata da Chiara Ferragni e dal marito Fedez, #festaincasa, e mostra il «Cavaliere Pietro Secco Suardo», dipinto nel Cinquecento da Giovanni Battista Moroni, aggirarsi per i corridoi degli Uffizi e la città di Firenze in cerca di un party esclusivo.
I post successivi hanno, invece, rivisitato in chiave ironica alcuni dei dipinti più celebri del museo. Ecco così che Federico da Montefeltro e Battista Sforza, i due duchi di Urbino ritratti da Piero della Francesca, appaiono intenti a dialogare su una passeggiata, una «lunga passeggiata», a «soli» duecento chilometri da casa.
La «Maddalena penitente» di Tiziano si lamenta, invece, dei suoi problemi tricologici con la Giuditta del pittore fiorentino Cristofano Allori, che ha appena dato ‘una spuntatina casalinga’ a Oloferne. Mentre la Venere del Botticelli rimprovera, con toni esageratamente isterici, Flora e le Tre Grazie, personaggi raffigurati nella «Primavera», per non aver mantenuto il distanziamento sociale di un metro.
C’è anche chi spiega attentamente tutte le regole della Fase 2 («punto primo: 1 metro di distanza, poi: mascherina, guanti, occhiali, disinfettante, non parlare, non respirare»): è la Madonna dipinta nell’«Annunciazione» di Lorenzo Credi. Mentre la terribile «Medusa» del Caravaggio, mascherina sul volto, riesce a pietrificare il Coronavirus che si aggira indisturbato per le sale del museo.
Non manca, poi, una bella lezione on-line con Lorenzo Magnifico, ritratto da Giorgio Vasari, negli inediti panni dell’insegnante, e con il Bacco del Caravaggio, la «Bia dei Medici» del Bronzino e la «Venere di Urbino» del Tiziano (in pigiama e patatine a portata di mano) in quelli degli allievi.
Qualcuno ha storto il naso, ma Eike Schmidt, il direttore degli Uffizi, ha spiegato bene il senso dell’iniziativa: «così come un giornale non è completo senza la vignetta e la caricatura della prima pagina anche un museo può fare umorismo: serve ad avvicinare le opere a un pubblico diverso da quello cui si rivolge la critica ufficiale, ma anche a guardare le opere in modo nuovo e scanzonato. In particolare, in un momento difficile come questo, è importante, ogni tanto, concedersi un sorriso e un po’ di autoironia».
Il «pubblico diverso» è quello della cosiddetta generazione Z, ovvero i veri nativi digitali venuti al mondo tra il 1995 e il 2010, sui quali stanno puntando l’attenzione anche moli altri importanti musei europei sbarcati sul popolare social network: dal Prado di Madrid al Rijksmuseum di Amsterdam, dal Naturkundemuseum di Berlino al Grand Palais di Parigi.

Danza contemporanea su Tik Tok con il progetto «Isadora»
Tik Tok diventa, in questi giorni, protagonista anche di un progetto di danza contemporanea: una residenza artistica digitale con una coppia inedita di professionisti dello spettacolo, quella composta da Giselda Ranieri, danzatrice e coreografa di formazione classica e contemporanea, e da Simone Pacini, docente allo Ied e all’università «La Sapienza» di Roma, specializzato in social media storytelling.
Il lavoro, che prenderà il via mercoledì 1° luglio, si intitola «Isadora – The TikTok Dance Project», in omaggio a Isadora Duncan, donna emancipata e danzatrice rivoluzionaria, ed è il primo a partire tra i sei progetti vincitori, in una rosa di circa quattrocento candidature nazionali e internazionali, del bando «Residenze digitali», promosso nei mesi del lockdown dalle associazioni toscane Armunia e CapoTrave/Kilowatt, in collaborazione con Amat – Associazione marchigiana attività teatrali e Anghiari Dance Hub.
La call aveva invitato la comunità artistica a esplorare le possibilità creative del digitale in un momento in cui l’attività del teatro si era repentinamente trasferita sul web, spesso senza porsi la domanda più importante: come intervenire efficacemente sui social e sulle varie piattaforme on-line?
Il bando ha posto l’accento su questo quesito e insieme a «Isadora» sono risultate convincenti le risposte di Agrupación Señor Serrano (Barcellona) con «Prometheus», Nicola Galli con «Genoma scenico | dispositivo digitale», Enchiridion con «Shakespeare Showdown/ Romeo & Juliet» e Umanesimo Artificiale/Joana Chicau e Jonathan Reus, Illoco Teatro con il progetto «K».
Per quanto riguarda «Isadora», Giselda Ranieri creerà dall’indirizzo www.tiktok.com/@isadora.danceme una web performance interattiva, basata sull’improvvisazione, in cui darà corpo alle coreografie degli adolescenti a partire da un processo partecipativo, ispirato alla didattica a distanza.
«I ragazzi coinvolti -spiegano gli organizzatori- realizzeranno una coreografia basata su parametri quali la ripetizione, il ritmo, lo stop motion, la segmentazione del movimento, dando vita a un processo di ricerca in linea con il learning by doing della generazione Z, iper-connessa, performativa, che si mette al centro, con forte spirito autodidatta».
Nel contempo Simone Pacini monitorerà le reazioni dei followers e del contesto, in un dialogo con la danzatrice utile al processo artistico, ma anche all’analisi delle potenzialità di Tik Tok in ambito culturale.
Il progetto si concluderà, in autunno, con un evento on-line al quale si potrà partecipare iscrivendosi al gruppo Facebook «Il Foyer di Isadora», platea virtuale che potrebbe essere utilizzata, in futuro, per nuovi progetti performativi.
Diventeranno virali le coreografie di Giselda Ranieri? «Isadora» riuscirà a conquistare i giovanissimi? C’è un mese di tempo, tutto luglio, per scoprirlo.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Tik Tok; [figg. 2-4] Tik Tok ali Uffizi; [fig. 5] Giselda Ranieri in scena. Foto di Ilaria Scarpa; [fig. 6] Le coreografie espressive o "face dances" di Giselda Ranieri. Foto di Marco Pezzati

Informazioni utili
www.tiktok.com/@uffizigalleries
www.tiktok.com/@isadora.danceme

martedì 30 giugno 2020

È on-line l’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento

È on-line, sul sito della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, il database dell’Atlante delle xilografie italiane del Rinascimento. Il progetto, che può essere consultato nella sezione dedicata agli «Atlanti fotografici», curati dall’Istituto di storia dell’arte, è il frutto di quattro anni di ricerche durante i quali sono state rintracciate, studiate e schedate le xilografie su fogli sciolti e le matrici a partire dai primi esemplari noti dall'inizio del Quattrocento e fino al 1550 circa.
Il progetto, consultabile attraverso diverse chiavi di ricerca, corredato da immagini e schede in costante aggiornamento e in collegamento con le maggiori istituzioni museali , è a cura di Laura Aldovini, David Landau e Silvia Urbini.
Le xilografie – e le matrici lignee da cui derivano-, sono fra i materiali meno studiati della grafica italiana del Rinascimento. Altre tecniche a stampa, come i bulini e le acqueforti, erano spesso destinate a riprodurre disegni e opere di artisti noti, ovvero sono «stampe di riproduzione»: ad esempio, grande fu la fortuna di stampe derivate da opere di Raffaello Sanzio, di cui ricorre il quinto centenario.
Le xilografie, invece, sono quasi sempre «stampe di invenzione», ovvero sono opere disegnate da un artista noto – come Tiziano Vecellio-, o anonimo, specificamente per quella stampa, senza riferimento ad un’altra opera esistente. In questo risiede sia il motivo della loro marginalizzazione e dispersione -sul fronte collezionistico e su quello degli studi-, sia l’esigenza di far riemergere un patrimonio figurativo, stilistico e iconografico italiano ancora in gran parte disperso e sconosciuto.
L’archivio digitale si propone di colmare questa lacuna, come una sorta di meta-museo destinato alla xilografia italiana del Rinascimento, dove sono raccolte, catalogate e mostrate le opere conservate nelle istituzioni nazionali e internazionali e nelle collezioni pubbliche e private che le conservano.
In questi anni di ricerche, oltre a censire il materiale noto, sono state reperite opere ritenute perdute, altre sconosciute ai repertori, e aggiunti esemplari nuovi al catalogo di artisti, sia nel ruolo di inventori che di incisori.
Non è solo un contributo alla storia dell’arte italiana del Rinascimento ma anche, più in generale, alla storia della cultura di quell’epoca. Infatti le xilografie accompagnavano la vita quotidiana dell’uomo rinascimentale. Erano le immagini della devozione, protettrici delle case e delle botteghe. Erano le decorazioni che ingentilivano gli arredi; erano protagoniste dei momenti ludici, pensiamo ad esempio alle carte da gioco e ai tarocchi. Erano strumenti di divulgazione e aggiornamento della conoscenza tecnica, storica e geografica sotto forma di fogli volanti e di mappe. Erano spesso articolati montaggi di testi e immagini.
Infine, l’Atlante vuole creare un network attivo e in continuo aggiornamento destinato alle istituzioni che possiedono i materiali censiti e agli studiosi, e porsi come punto di riferimento per la conoscenza e la divulgazione dei materiali utili allo studio delle xilografie e della grafica italiana del Rinascimento.

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Cristo in Pietà con i simboli della Passione, Londra, Victoria and Albert Museum; [fig. 2] Asso di Denari, carta del cosiddetto mazzo Leber, Rouen, Bibliothèque municipale; [fig. 3] Matteo Pagano, Istruzioni per suonare il liuto, Stoccolma, The National Library of Sweden, KoB Tr. B_2017_B.2

Informazioni utili 
italianrenaissancewoodcuts.com

lunedì 29 giugno 2020

Ustica, scene di una «stragedia». Nino Migliori tra i relitti dell'aereo


C'era chi partiva per le vacanze, chi era andato «nel Continente» per una visita medica, chi tornava da un viaggio di lavoro e chi, all'atterraggio, avrebbe festeggiato il matrimonio di un amico. C'era un ingegnere nucleare, la prima donna a laurearsi in Italia in quella disciplina, che tornava da Urbino, insieme alla figlia e alla baby sitter, dopo aver assistito alla laurea del fratello. E c'era una ragazzina di undici anni che, soddisfatta, aveva messo nello zaino la pagella da mostrare al papà che l'attendeva a Palermo. C'erano ottantuno persone, con le loro storie straordinariamente normali, simili a quelle di tante altri, eppure uniche, sull’aeromobile Douglas DC-9 IH 870 della compagnia aerea Itavia che alle 20:59 del 27 giugno 1980 spariva dai radar nel tratto di mare compreso tra le isole di Ponza e Ustica, facendo perdere ogni traccia.
Era una sera d’estate come tante altre e chi, nell’affollata sala d’attesa dello scalo di Punta Raisi, riscontrava sul tabellone il ritardo del volo partito da Bologna, dall’aeroporto «Guglielmo Marconi» di Borgo Panigale, alle 20:08 (con due ore di ritardo a causa di un violento temporale), e atteso a Palermo alle 21:13, non si aspettava che, di lì a poco, la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Alle 22:00, dopo le operazioni di ricerca, l'aeromobile veniva dato ufficialmente per disperso e scattavano le misure d’emergenza. La noia e il nervosismo delle prime ore si trasformavano in angoscia.
All'alba del 28 giugno uno degli elicotteri impegnati nella missione di soccorso vedeva affiorare alcuni rottami; intorno alle 9 quei resti venivano identificati con quelli del Douglas DC-9 IH 870. L’angoscia diventava dolore, rabbia, silenzio stupito.
La notizia non voluta, ma temuta arrivava nella sala d’attesa di Punta Raisi. Rimbalzava nelle case di parenti e amici grazie ai vecchi telefoni a gettoni. Raggiungeva tutti gli italiani attraverso i giornali e le televisioni. L’aereo era caduto in mare e tutte le persone a bordo -64 passeggeri adulti, 11 ragazzi tra i due e i dodici anni, due bambini di età inferiore ai 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio- erano morte.
Per cinque giorni le navi fecero la spola con Palermo per portare a terra detriti e rottami. Si cercò anche di dare degna sepoltura a tutti i corpi, ma alla fine ne vennero recuperati solo trentanove su ottantuno.
Cos’è successo quella sera? Perché quell'aereo è caduto? Cosa lo ha distrutto in volo? A quarant’anni di distanza queste domande rimangono ancora senza risposta. La strage di Ustica è senza colpevoli. Silenzi, bugie, depistaggi, scontri di potere, tracciati radar cancellati, registrazioni manomesse, coperture politiche hanno nascosto una verità scomoda, una verità che ancora oggi sembra essere inconfessabile per chi sa.
Inizialmente si parlò di un «cedimento strutturale». Poi si avanzò l’ipotesi di un attentato terroristico con l’esplosione di una bomba a orologeria. Infine, nel 1996, un giudice, Rosario Priore, mise nero su bianco quello che era successo: c’era stata «una guerra in tempo di pace», aerei militari di diverse nazioni -Francia, Stati Uniti, Libia, Italia e altre ancora (a detta della Nato)- avevano sorvolato i nostri cieli e uno dei questi aveva abbattuto il volo civile dell’Itavia, nella cui scia si celava –fuori dai radar- il bersaglio mancato. Sembra un film e, invece, è una pagina di storia, una pagina ancora incompleta perché non si sa chi sia il responsabile materiale della strage e quale fosse l’obiettivo mancato.
Dal 2007 i resti dell’aereo sono raccolti in un museo a Bologna, all'interno degli ampi spazi dell'ex magazzino dell’azienda di trasporti cittadina Atc.
Attorno al relitto l’artista francese Christian Boltanski ha ideato un’installazione permanente, un invito alla memoria che fa venire i brividi.
Dal soffitto scendono ottantuno lampadine, una per ogni vittima, che si accendono e si spengono a intermittenza, al ritmo del respiro. Tutt’intorno ci sono ottantuno specchi neri che riflettono l’immagine di chi percorre il ballatoio posto attorno al relitto. Mentre, dietro ognuno di essi, ottantuno altoparlanti emettono parole e frasi sussurrate a sottolineare la casualità e l’ineluttabilità della tragedia. Infine, nove casse, coperte da un drappo nero, contengono, gli oggetti appartenuti alle vittime: scarpe, pinne, boccagli, occhiali e vestiti che documenterebbero la scomparsa di un corpo, rimangono così invisibili agli occhi dei visitatori.
Tredici anni fa, poco tempo dopo che il relitto del velivolo, recuperato al largo dell’isola di Ustica, ha compiuto lo straziante percorso a ritroso che dall’aeroporto di Pratica di Mare lo ha riportato a Bologna, Nino Migliori ottiene il permesso per entrare in quel capannone che sarebbe diventato un museo. Vi rimane quattro notti e, a lume di candela, fotografa i resti dell’aereo non ancora ricomposto nella sua forma originaria intorno allo scheletro della fusoliera. Il risultato sono ottantuno immagini, una per ogni vittima, che illuminano, con una tremula fiamma che ha il sapore di un cero votivo, i muti testimoni -rottami contorti, piegati, spezzati e rotti- di quella che il fotografo bolognese definisce una «stragedia», neologismo inventato per congiungere l’idea della tragedia a quella di una volontà stragista.
La severa cromia del bianco e nero che Nino Migliori sceglie per consegnare alla memoria, nostra e di chi verrà dopo di noi, i dettagli delle superfici metalliche disgregate dell’aereo dell’Itavia, posti con pietoso rispetto e delicata compostezza sul pavimento dell’hangar, amplifica la straordinaria forza emotiva delle immagini, a partire dallo scatto cover: l’oblò simile a una bocca, «che urla come nel quadro di Munch».
Tredici anni dopo quelle immagini diventano una videoinstallazione immersiva, per la curatela di Lorenzo Balbi, allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Mattia a Bologna, edificio cinquecentesco dal fastoso impianto decorativo interno che, nel Settecento, vide al lavoro il «quadraturista» Pietro Scandellari e gli artisti Nicola Bertuzzi e Tertulliano Taroni.
Sette schermi di grandi dimensioni, posizionati ad altezze e angolature diverse, come a voler avvolgere lo spettatore, proiettano nel buio della chiesa bolognese, trasformata nel 2015 in spazio museale, una narrazione audio-visiva che rielabora le ottantuno immagini del reportage realizzato nel 2007.
Una voce dalla torre di controllo, il rumore dell’esplosione, lo sciabordio del mare, una nenia che sembra una liturgia funebre e poi quegli scatti che non hanno nulla di piacevole, che ti colpiscono come un pugno allo stomaco, con i rottami che sembrano riemergere dall’acqua e fluttuare nel vuoto vanno a comporre quattordici minuti sospesi nel tempo, una narrazione di grande intensità per la sceneggiatura e il montaggio video di Elide Blind e Simone Tacconelli, con la musica e il sound design di Aurelio Zarrelli e con l’allestimento tecnico di Paolo Barbieri.
Le forme sembrano anche sfaldarsi, fino a sconfinare nell’astratto, fino a generare un ulteriore effetto di spaesamento. Quello stesso spaesamento che, da quarant’anni, proviamo nell’ascoltare questa storia non risolta. Un ennesimo mistero italiano che ha ancora molto da dire e su cui c’è ancora molto da indagare. Una ferita profonda e mai rimarginata che si porta dietro il dolore e la richiesta di verità dei familiari delle vittime e di un intero Paese. Perché solo la verità può dare pace al ricordo, a quei corpi rimasti in fondo al mare con le loro speranze, i loro sogni, la loro vita.

Informazioni utili 
 «Stragedia - Nino Migliori».  Ex Chiesa di San Mattia, via Sant’Isaia, 14/a - Bologna. Orari: venerdì e sabato, ore 20.00 – 22.00; domenica, ore 18.00 – 20.00.  Ingresso libero, con prenotazione  al numero 051.6496611 o su https://ticket.midaticket.it/museicivicibologna/Event/36/Dates. Catalogo: Edizioni MAMbo, Bologna. Informazioni  MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna, tel 051.6496611 - info@mambo-bologna.org. Sito web: www.mambo-bologna.org. Fino al 7 febbraio 2021.  

venerdì 26 giugno 2020

Dalla petizione al palco: «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Debutta ad Arte Sella e a ForlìMusica «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni»

È la fine di marzo. L’Italia è in quarantena fermata da un virus sconosciuto, il Covid-19, arrivato in sordina dalla Cina. Le vittime aumentano di giorno in giorno, soprattutto tra gli anziani, la memoria del nostro Paese. Le strade delle città sono deserte. Si fanno le code davanti ai supermercati con mascherina e guanti. Si canta sui balconi. Si attende il bollettino giornaliero della Protezione civile. Si guardano le dirette streaming che portano in casa un po’ di cultura grazie a quanti hanno arricchito i propri profili social con sonate, letture, monologhi e interpretazioni. Si spera di ritornare presto a pianificare il proprio futuro, riempiendo l’agenda di appuntamenti e incontri, mentre in molti, tra le mura delle proprie cucine, impastano e panificano.
In questo tempo sospeso c’è chi si incontra sul web o in videochiamata, condividendo passioni e suggestioni. È il caso dell’attore bergamasco Alessio Boni, del violinista rock Alessandro Quarta, del violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e di Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano.
Non si sono mai incontrati prima d’ora, ma hanno un obiettivo comune: tutelare lo spettacolo dal vivo, «una realtà, un patrimonio, una esigenza di tutti che non può essere sostituita dal digitale». Vogliono difendere i diritti di chi lavora in questo settore, proteggendo l’intera macchina organizzativa che si cela dietro a un concerto, a uno spettacolo teatrale, a un balletto, dal regista all’elettricista, dal drammaturgo alla maschera, dal direttore artistico al bigliettaio, dal costumista all’addetto stampa, dal macchinista a chi si occupa del «trucco e parrucco». Nessuno escluso.
Nasce così, sulla piattaforma Change.org, la petizione «L’arte è vita», che in pochi giorni viene firmata da più di ventisettemila persone, raccogliendo l’adesione anche di nomi noti come, per esempio, Ascanio Celestini, Vinicio Capossela, Sergio Rubini, Amii Stewart, Andrea Mingardi, Pino Insegno, Luca Barbarossa e Paolo Fresu.
La ripartenza del settore sembra lontana, più lontana di quanto poi non è realmente accaduto. L’incontro tra musicisti, attori e pubblico sembra quasi impossibile in un mondo caratterizzato dalla distanza sociale; eppure è quell’incontro a creare le emozioni sempre nuove, diverse di sera in sera, dello spettacolo dal vivo.
Con la ripresa delle attività per il settore culturale, avvenuta il 18 maggio per i musei e il 15 giugno per i teatri, «L’arte è vita» diventa uno spettacolo. Mario Brunello lancia la proposta, subito accettata dagli altri tre: combinare le «Variazioni Goldberg» di Bach con gli «Esercizi di stile» di Queneau. Un'opera concepita come un'architettura modulare di trenta variazioni di un’aria e un testo composto da novantanove modi diversi di raccontare una vicenda apparentemente banale, mettendo alla prova tutte le figure retoriche (dall’epico al drammatico, dal racconto gotico alla lirica giapponese) e giocando con sostituzioni lessicali e sintattiche, convivono così sul palco in una produzione firmata da Arte Sella e ForlìMusica.
Nasce, dunque, on-line uno spettacolo inedito, nella forma e nei contenuti, pronto a vivere davanti al pubblico per raccontagli, dopo i giorni grigi della quarantena, le tante e varie sfumature di colore dell’arte e del nostro rapporto con essa.
L’abbinamento non è casuale, come spiega Alessio Boni: «Umberto Eco, nella famosa prefazione al libro di Raymond Queneau, racconta di aver letto da qualche parte che l’autore ha concepito l’idea degli Esercizi ascoltando delle variazioni sinfoniche. E persino Stefano Bartezzaghi, nella postfazione, sottolinea come, per Queneau il ‘nume tutelare’ del suo progetto fosse nientemeno che Johann Sebastian Bach».
«Facendo eco alla lettera aperta in cui Gabriele Vacis invitava a cogliere le sfide imposte dall’emergenza sanitaria, immaginando una trasformazione generativa delle modalità di fruizione degli spettacoli dal vivo, il recital nato dalla petizione «L’arte è vita», intitolato «Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni», «dilaterà -raccontano gli organizzatori- lo spazio teatro, utilizzando prima lo streaming in una chiave capace di potenziare le peculiarità dell’esecuzione dal vivo, senza sostituirla per poi arrivare al momento magico del contatto con il suono dal vivo, come una riscoperta dell’emozione di essere a tu per tu con gli artisti».
La prima nazionale si svolgerà nella splendida cornice di Arte Sella, in Trentino, nei giorni dal 27 al 29 giugno, alle ore 18 (prenotazione al numero 0461.751251 o artesella@yahoo.it | ingresso € 40,00). L’evento si terrà nella cornice unica dell’area espositiva di Malga Costa. Qui gli spettatori, dotati di cuffie wireless, potranno ascoltare in diretta il prologo del concerto veicolato in streaming, camminando immersi nella natura, scoprendo le opere d’arte disseminate nel bosco, attraversando di fatto uno sconfinato teatro naturale accompagnati dalle note della musica. Infine, in un’atmosfera di grande intimità, al cospetto di un’opera d’arte, potranno assistere allo spettacolo dal vivo.
«Bach, Queneau, Esercizi e Variazioni» verrà, quindi, proposto a Forlì nella serata di mercoledì 1° luglio, alle ore 21.30, in apertura del programma di «ForlìMusica Estate 2020», ribattezzato per l’occasione «L’arte è vita».
Nella splendida cornice del secondo chiostro dei Musei di San Domenico sono in programma sette appuntamenti. Dopo il recital con Alessio Boni, Alessandro Quarta, Mario Brunello e Danilo Rossi (direttore del cartellone), a salire sul palco sarà l’Orchestra Maderna, che venerdì 10 luglio proporrà «Ouverture» (intesa qui con il senso di ripartenza), un programma con l’ensemble di fiati e le musiche di Donizetti, Gounod e Mozart. Mentre venerdì 17 luglio si esibirà, con la sola formazione d’archi, accanto alla giovanissima Lucilla Mariotti, solista al violino, nell’esecuzione delle «Quattro stagioni» di Vivaldi.
Sabato 25 luglio salirà, invece, sul palco Cesare Picco, alla sua prima volta a Forlì, con un concerto di sue musiche dal titolo «Un piano per le stelle».
Venerdì 7 agosto sarà, quindi, la volta di un’altra prima nazionale con lo spettacolo «Il sogno di Giacomo Giuseppe», una parodia lirica ideata e scritta dal tenore e attore Diego Bragonzi Bignami, che per l’occasione sarà accompagnato al pianoforte da Maria Silvestrini.
Giovedì 20 agosto, invece, Stefano Benni e Danilo Rossi, moderati da Oreste Bossini di Rai Radio 3, animeranno la serata «Incontro scontro tra parole e musica».
Il programma si concluderà il 23 agosto con le note travolgenti del Gipsy Quartet, composto da Mariam Serban al cimbalon, Mihai Florian alla fisarmonica, Nicolae Petre al contrabbasso, Vasile Stingaciu al violino.
Il sogno di tornare a vivere lo spettacolo, la musica, il teatro dal vivo, insieme al pubblico – quel sogno che a marzo sembra quasi impossibile- diventa, ora, realtà in Emilia Romagna, a Forlì, pur con tutte le limitazioni del caso. E, nei chiostri forlivesi di San Domenico, dove è in corso anche una bella mostra sul mito di Ulisse nell’arte, non possono non ritornare alla mente le parole che Dante Alighieri mise in bocca all’eroe greco: «considerate la vostra semenza / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza».

Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Alessio Boni; [fig. 2] Alessio Boni con il violinista rock Alessandro Quarta, il violoncellista di fama mondiale Mario Brunello e Danilo Rossi, prima viola del Teatro alla Scala di Milano; [figg.3,4,5] Arte Sella, in Trentino; [fig. 6] Chiostri dei Musei di San Domenico a Forlì; [fig. 7] La nave di Gela esposta nella mostra su Ulisse a Forlì

Informazioni utili 
www.artesella.it 
forlimusica.it

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giovedì 25 giugno 2020

«Made Of Sound», arte e suono si incontrano al Pac di Milano

È il mese di novembre del 2003 quando la musicista e artista newyorkese Laurie Anderson, icona dell'arte multimediale, arriva a Milano per la sua prima retrospettiva in Italia. «The Record Of The Time» è il titolo del progetto espositivo, per la curatela di Jean Hubert Martin e Thierry Raspail, che viene ospitato dal Pac – Padiglione d’arte moderna. Qui sculture, oggetti, disegni, fotografie e installazioni raccontano lo speciale cocktail di teatro, musica pop e immagini che, miscelati elettronicamente con l’uso del computer, danno vita a performance e installazioni basate su episodi della vita personale, sogni, poemi, miti e leggende.
Quasi vent’anni dopo Laurie Anderson torna idealmente nel museo milanese. È, infatti, lei la madrina della terza edizione di «Performing Pac», la rassegna annuale dedicata a un tema attuale nell’ambito degli studi delle arti visive contemporanee.
Il tema scelto per il 2020 è il rapporto tra arte e musica, sviluppato attraverso opere video, materiali d’archivio, interventi di artisti, critici e curatori che esplorano l’interazione tra suono e immagine nella pratica e nella ricerca artistica contemporanea.
«Made Of Sound» è il titolo scelto per il programma, in agenda dal 2 luglio al 13 settembre. Di Laurie Anderson verrà proiettato per la prima volta il video realizzato in occasione della mostra milanese, accompagnato da documenti, fotografie e materiali d’archivio.
L’artista sarà protagonista anche di un appuntamento in cartellone a luglio, in una data ancora da stabilire, quando nel cortile del Pac verrà proiettato il suo lungometraggio «Heart of a dog», la storia che ha incantato e commosso la stampa alla Mostra del cinema di Venezia. Realizzato nel 2015, il documentario è un viaggio intimo e delicato in compagnia dell’amata cagnetta Lolabelle, scomparsa nel 2011, che diventa occasione per una riflessione multimediale sul significato della memoria, della perdita e dell’amore. Con un linguaggio visivo ai confini dell’onirico, l’artista rompe gli schemi del documentario classico, mischiando filmini di famiglia in 8 millimetri a opere d’arte, musica a frammenti di memorie legati ai suoi affetti d’infanzia, senza dimenticare citazione di scrittori e musicisti che l’hanno ispirata fino al compianto marito Lou Reed.
Il percorso espositivo di «Art of The Sound» si sviluppa attraverso i lavori di cinque artisti che utilizzano suono e musica nella loro ricerca.
Il duo Barbara and Ale (Barbara Ceriani Basilico e Alessandro Mancassola) porta al Pac il film «The sky is falling» (2017), dove il vibrafono di Elio Marchesini, percussionista della Teatro alla Scala, viene suonato su un lago ghiacciato tra montagne innevate. Il vibrare del metallo dialoga, scompare e resiste alle folate continue, mentre il musicista si ostina a non perdere il controllo, smarrito nel paesaggio.
Jeremy Deller e Nicholas Abrahams propongono, invece, «Our Hobby Is Depeche Mode» (2006), film che fotografa la fanbase dei Depeche Mode, muovendosi in poche settimane tra Messico, Stati Uniti, Germania, Romania, Brasile, Canada e Russia. Il lavoro documenta come il comportamento disordinato, caotico e spesso imprevedibile con il quale i fan si appropriano della band entri in collisione con l’immagine commerciale accuratamente elaborata del gruppo.
Pamela Diamante presenta «Generare corpi celesti - Esercizi di stile» (2020), installazione inedita che esplora il rapporto tra visione antropocentrica e infinito. In collaborazione con il composer Malasomma, l’artista scompone e trasla in musica le parole di Paolo, ipovedente, che narra l’emozione del ricordo di poter osservare le stelle; Antonio invece, non vedente dalla nascita, ha raffigurato su due grandi tele un cielo stellato che non ha mai potuto osservare.
Mentre il duo artistico italiano Invernomuto (Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi) porta al Pac l’installazione audiovisiva «Vers l'Europa deserta, Terra Incognita» (2017), che - muovendosi in una periferia allargata tra Italia e Francia - lavora sui modelli di auto-rappresentazione condivisi dalle culture giovanili suburbane di tutta Europa attraverso mezzi come videoclip, storie di Instagram e flussi di Snapchat.
Nell’opera dell’artista portoghese João Onofre, invece, un'adolescente canta «La Nuit n'en Finit Plus» di Petula Clark in downtempo a capella, all'interno di una buca sul terreno di una prateria. L'opera «Untitled (N'en Finit Plus)», del 2010-11, indaga così il tema dell'appropriazione, declinato sia nella pratica artistica che nella musica pop, e la possibilità che questi due mondi paralleli si sovrappongano.
Il progetto espositivo è arricchito, poi, da due ulteriori interventi. Nella project room una selezione di videoclip musicali diretti da sette tra i più importanti e visionari registi contemporanei - Anton Corbijn, Chris Cunningham, Jonathan Glazer, Michel Gondry, Spike Jonze, Mark Romanek e Stephane Sednaoui– raccontano le incursioni dell’arte nell’universo musicale pop e rock.
Mentre nel parterre è visibile l’installazione di Marie Cérisier, giovane artista di Roquebrune-Cap-Martin, che con «Pile à Cd (Pila di Cd/ Pila da cedere)» costruisce la sua memoria personale e immaginaria in un bilico «sonoro» regalandone un frammento al pubblico, tra «équilibre» e «déséquilibre».
Ad arricchire la rassegna sono stati pensati anche degli appuntamenti da godere on-line. Per tutta la durata dell’esposizione la musica accompagnerà il pubblico sul canale Spotify Performing PAC – High Fidelity, con una playlist collaborativa nella quale curatori e artisti condivideranno la loro personale classifica di cinque brani. Sono, poi, in programma due eventi in streming su You Tube. Venerdì 11 settembre, alle ore 21, si terrà una performance live del duo Invernomuto, che sperimenta l’interazione tra immagine in movimento e suono con il quarto capitolo di Black Med, un dj set supportato da proiezioni che intercetta le traiettorie tracciate dai suoni che attraversano il Mediterraneo.
Sabato 12 settembre, alle 18, Andrea Lissoni, senior curator international art (Film) alla Tate Modern (2014-2020), recentemente nominato direttore del Haus der Kunst di Monaco, sarà in dialogo con il duo Invernomuto e con Iolanda Ratti, conservatore del Museo del Novecento.
Un programma, dunque, articolato quello studiato dal Pac – Padiglione arte contemporanea di Milano per questa estate, nel quale eventi on-line e fruizione dal vivo, nel rispetto di tutte le normative anti-Covid, si fondono per raggiungere il maggior numero di persone possibile.

Didascalie delle immagini
[fig. 1] Pamela Diamante, GENERARE CORPI CELESTI - ESERCIZI DI STILE (2020) Video still. Courtesy Galleria Gilda Lavia; [fig. 2] Heart of a dog di Laurie Anderson, 2015 still da video; [fig. 3] Invernomuto, Portrait, 2018, Photo Jim C. Neddù; [fig. 4] Jeremy Deller con Nicholas Abrahams, Our Hobby Is Depeche Mode, 2006. Courtesy the Artist and The Modern Institute/Toby Webster Ltd, Glasgow. Photo Jeremy Deller; [fig. 5] Barbara and Ale, The sky is falling, 2017. Courtesy the artists

Informazioni utili 
Made of  Sound. Pac - Padiglione d'arte contemporanea, via Palestro, 14 - Milano. Orari: da giovedì a domenica, ore 11 - 20; ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Ingresso: gratuito previa prenotazione (prenotazioni dal 25 giugno). Informazioni: info@pacmilano.it o 02.88446359. Sito internet: pacmilano.it. Dal 2 luglio al 13 settembre 2020.