«Essere collezionisti ha significato per noi raccogliere con passione opere disperse, per dar loro unità in un insieme in cui ognuna avesse il suo posto». Così Giuseppe Panza (Milano, 23 marzo 1923 – Milano, 24 aprile 2010) parlava della sua raccolta, creata con la moglie Giovanna, all'interno della quale, in effetti, si possono ritrovare dei fili conduttori: dall'amore per la light art a quello per le installazioni ambientali, senza dimenticare l'attenzione per l'informale europeo.
In occasione della cinquantottesima edizione della Biennale di Venezia, il Fai - Fondo per l'ambiente italiano indaga l'interesse del collezionista milanese per i piccoli oggetti, un’autentica inversione di tendenza rispetto al suo noto interesse collezionistico degli anni Sessanta e Settanta.
Al negozio Olivetti in piazza San Marco, progettato nel 1958 da Carlo Scarpa e riaperto all’inizio di questo decennio grazie all’ente presieduto da Andrea Carandini, è allestita la mostra «Wunderkammer Panza di Biumo», per la curatela di Anna Bernardini e Pietro Caccia Dominioni.
L’esposizione, che si avvale di un elegante allestimento dello Studio Scandurra di Milano, mette in relazione le perfette geometrie, la spasmodica attenzione al dettaglio, i gentili giochi di luce di marmo e vetro di Murano dell’architettura scarpiana con le opere di piccole dimensioni che il conte milanese collezionò o ricevette in dono dai suoi amici artisti in un arco di tempo che va dal 1966 al 1992.
I quaranta lavori selezionati per la rassegna, che spaziano da una seggiolina in ferro di Joel Shapiro (New York, 1941-1975) alla musicassetta «Monologo, 9 maggio 1973» di Vincenzo Agnetti (Milano 1926-1981), sono disposti sui supporti progettati per esporre le macchine da scrivere Olivetti e appaiono agli occhi del visitatore come discrete e preziose apparizioni. L’impressione è quella di trovarsi proprio all’interno di una vera e propria «stanza delle meraviglie» o «gabinetto delle curiosità», tanto in voga tra il Cinquecento e la seconda metà del Settecento.
Maquettes, invenzioni meccaniche, studi, progetti e modelli di installazioni e creazioni artistiche interpretabili come i «primi originali» -un insieme di oggetti realizzati da quattordici artisti- ammaliano così il visitatore, che lungo il percorso scopre o riscopre l’attenzione del collezionista per le tendenze artistiche novecentesche volte a porre al centro della pratica il concetto di idea.
«L’opera per Panza -raccontano dal Fai -Fondo per l’ambiente italiano- rappresenta, infatti, l’espressione e la visualizzazione della facoltà più alta dell’uomo, il pensiero, e la geometria è il mezzo utilizzato da quest’arte che riflette la capacità della mente di ordinare la realtà. Sono, poi, infiniti i modi in cui l’ordine viene realizzato: linee curve, angoli, volumi che si possono usare in un numero illimitato di variazioni dove fantasia e creatività hanno libertà di manifestarsi».
I lavori in mostra, provenienti dalla Collezione Panza di Mendrisio, appartengono, per la maggior parte, ai principali esponenti del Minimalismo e dell’Arte concettuale: da Walter De Maria a Carl Andre, da Robert Morris a Richard Nonas, da Dan Flavin a Joseph Beuys, fino a Robert Barry, Ian Wilson, Jene Highstein, Piero Fogliati, Douglas Davis e Eric Orr.
Lungo il percorso espositivo è possibile approcciarsi, nello specifico, con le ricerche legate al colore di Dan Flavin (Jamaica, New York 1933 - Riverhead, New York City 1996), in mostra con la «Print Series (Blue/Dark 17/25, Yellow/Purple 17/25, Green/Red 4/25)», e con le sperimentazioni di Piero Fogliati (Canelli, 1930 – Torino, 2016) incentrate sulle nuove tecnologie, ben documentate dall’opera «Anemofono» (1970-1973). Non mancheranno nella rassegna veneta una riflessione sui rapporti tra arte e scrittura, con i telegrammi di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), e un suggestivo lavoro di Carl Andre (Quincy, Massachusetts, 1935), emblema della sua indagine sulla purezza della luce e della materia. Si tratta di «Brass Square Piece» (1962), un elegante insieme di quadrati in ottone dalle consuete tonalità dorate.
Un bel percorso, dunque, quello della mostra veneziana al negozio Olivetti per dire, con Giuseppe Panza, che «l’idea è l’inizio di tutto».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Dan Flavin, Print Series, 1996. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 2] Carl Andre, Brass Aquare Piece, 1972. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection; [fig. 3] Pier Paolo Calzolari, Telegramma no.349, 26 aprile 1976. Ph Alessandro Zambianchi. Courtesy Panza Collection
Informazioni utili
«Wunderkammer Panza di Biumo. L’arte dei piccoli oggetti 1966-1992». Negozio Olivetti, piazza San Marco 101 – Venezia. Orari: da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle ore 18.30; ultimo ingresso mezz’ora prima della chiusura. Biglietti: intero € 8,00, ridotto (bambini 6-18 anni) € 5,00; famiglia € 22,00; Iscritti FAI e National Trust gratuito, studenti universitari (fino ai 25 anni) e residenti nel Comune di Venezia € 5,00. Informazioni: tel. 041.5228387, fainegoziolivetti@fondoambiente.it. Fino al 27 ottobre 2019.
ISSN 1974-4455 (codice International Standard Serial Number attribuito il 7 marzo 2008) | Info: foglidarte@gmail.com
mercoledì 16 ottobre 2019
martedì 15 ottobre 2019
Obiettivi puntati sul Siena International Photography Awards
È la sfida a colpi di click più partecipata al mondo. Solo l’anno scorso sono arrivate in Toscana da centocinquantasei Paesi oltre quarantottomila immagini di fotografi professionisti, dilettanti e amatoriali. La cerimonia di premiazione della nuova edizione, che ha visto ampliarsi i confini con l’invio di fotografie da ben centosessantuno Stati, è ormai alle porte. E on-line è già stato pubblicato il bando per il 2020, la cui macchina organizzativa prenderà il via da domenica 27 ottobre. Ma il giorno prima, sabato 26, si farà un riassunto dell’anno appena trascorso con la cerimonia di premiazione dell’edizione 2019, la quinta dalla sua nascita. Stiamo parlando del «Siena International Photography Awards», che vanta una prestigiosa e qualificata giuria internazionale, nella quale figurano firme di spicco del «National Geographic», ma anche fotografi e picture editor di fama mondiale. Sul palco del teatro dei Rinnovati saliranno, oltre al «SIPA Photographer of the Year», i vincitori delle dieci categorie in concorso: «Creative & Still Life», «Fotogiornalismo», «Viaggi & avventure», «Persone & volti accattivanti», «La bellezza della natura», «Wildlife», «Architettura & spazi urbani», «Sport in azione», «Portfolio Story-Telling» e «Short Documentary Film».
Prenderà così il via nella «città del Palio» un mese dedicato alla fotografia con workshop, photo tour, eventi e nove mostre da non perdere, ospitate nelle location più esclusive della città per lasciarsi ammaliare non solo dalla bellezza degli scatti esposti, ma anche dal fascino di un territorio che ha pochi eguali al mondo.
Cuore pulsante della manifestazione, in programma fino al 1° dicembre, sarà la rassegna «Imagine All The People Sharing All The World», che allineerà negli spazi dell’ex distilleria «Lo Stellino», struttura dei primi del Novecento dal forte carattere industriale, centoquattordici fotografie di novantanove fotografi di trentanove nazionalità diverse, che hanno partecipato alla quinta edizione del contest promosso da SIPA.
La mostra, che permetterà anche di vedere le opere di alcuni premi Pulitzer e dei vincitori più noti del World Press Photo, sarà, inoltre, accompagnata dalle immagini video di alcuni dei reportage più apprezzati degli autori del «National Geographic».
Sempre all’ ex distilleria «Lo Stellino» sarà esposta «Afghanistan Desert Patrol», con le immagini che Philip Coburn ha scattato, nel gennaio del 2010, quando era aggregato all’esercito dei Marines statunitensi a Helmand.
Il fotografo racconta di avere avuto l’impressione di essere quasi dentro un film, tanto tutto sembrava assurdo e surreale: «mangiavamo cibo in scatola e ci lavavano con una bottiglia d’acqua ogni tre giorni, ma l’essenziale era riuscire a rimanere vivi». Il gruppo si spostava su automezzi attraverso il deserto e le pianure afghane, origliando le «chiacchiere» dei Talebani e scoprendo che avevano soprannominato la loro unità i «Guerrieri che Dio protegge» perché consideravano i loro blindati un segno di invincibilità.
Altro appuntamento da non perdere sarà «Above Us Only Sky» alla Basilica di San Domenico, attuale sede del Liceo artistico «Duccio Buoninsegna» di Siena. L’esposizione, che allinea le immagini più belle del concorso «Drone Awards», è la prima collettiva italiana dedicata alla fotografia aerea.
Dalle valli montane scolpite dai ghiacciai alle coste frastagliate circondate da acque luccicanti, fino ai villaggi abbandonati e alle reti di trasporto tentacolari sono numerosi gli scenari con cui i visitatori si potranno confrontare, comprendendo così come gli artisti possano estendere i confini della fotografia tradizionale alla percezione ambientale del nostro tempo.
«Gli scatti esposti -raccontano gli organizzatori- rasentano il confine dell’astratto, sovvertendo le relazioni spaziali e il fattore di scala, creando un’esperienza simultaneamente seducente e disorientante per chi guarda».
A San Domenico sarà visibile anche «Planet vs Plastic», mostra di Randy Olson, uno dei più importanti e storici collaboratori del «National Geographic», che racconta la sfida ambientalista mettendo in scena l’autorevole rigore, la maestosa armonia, il delicato equilibrio e la straordinaria bellezza del nostro pianeta, impegnato nell’ardua lotta di resistenza contro l’inquinamento.
Sempre a San Domenico, nel chiostro, sarà allestita «Life Force: What Love Can Save», personale dell’argentina Constanza Portnoy, che racconta la straordinaria storia di Jorge e Vero, coppia con malformazioni genetiche, che ha dato alla luce la piccola Ángeles. «Il progetto fotografico -spiegano gli organizzatori del festival- cerca di rompere con i preconcetti e gli sguardi di disapprovazione di molti ambienti della società definiti «normali», cercando di illuminare la semplicità e l’autenticità dei rapporti umani». L’obiettivo si è così posato sulla vita quotidiana della famiglia, per raccontare il legame d’amore, il sostegno incondizionato, l’accettazione reciproca e la tolleranza tra i tre, che riescono ad andare avanti, nonostante la condizione di povertà e il ridotto sostegno economico che ricevono.
A San Domenico sarà possibile vedere anche la mostra «Prisoners of War: Male on Male Sexual Assault in America’s Military», che allinea le fotografie di Mary F. Calvert dedicate alla sua ricerca sugli abusi e sulle violenze sessuali perpetrate all’interno dell’esercito americano.
L’Area Verde Camollia aprirà, invece, le porte alla rassegna «Grandma Divers», nella quale il foto-giornalista Alain Schroeder racconta l'affascinante e poco conosciuta storia della comunità di pescatrici coreane, definite anche come le ultime sirene, dedite già dal 434 D.C. alla tradizionale attività dell’immersione subacquea in apnea in cerca di alghe, frutti di mare di vario genere e di polpi.
Le Haenyeo (letteralmente «donne di mare») rappresentano l’esempio positivo di pesca sostenibile grazie all’estrema conoscenza della vita marina che si tramanda attraverso questo mestiere che recentemente è diventato patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
La pratica di pesca sostenibile si fonda sul rispetto dell’oceano e sul desiderio di condividere armoniosamente con la ricca fauna e l’intensa attività marina. Così attraverso gli scatti di Alain Schroeder conosciamo le immersioni senza bombole di ossigeno e attrezzature tecnologicamente avanzate che hanno permesso alle Haenyeo di sviluppare metodi per navigare nelle profonde acque del mare, partendo da una tecnica di respirazione che permette loro di trattenere il respiro sott’acqua fino a due minuti. Fisicamente impegnative e pericolose, le immersioni in apnea non sono per i deboli di cuore. I pericoli comprendono anche le avversità delle estreme condizioni meteorologiche in cui possono imbattesti quando si immergono per raccogliere alghe, frutti di mare, crostacei e molto altro ancora.
Schroeder le ha volute fotografare con le loro tute di gomma sottile e con i loro vecchi occhiali, con la consapevolezza che le Haenyeo rischiano di diventare una professione del passato perché si tratta di una tradizione che sta lentamente svanendo. Un mestiere che, come racconta il fotografo, promuove uno stile di vita ecologico e sostenibile e che grazie agli sforzi delle comunità locali e del governo, sta portando un rinnovato interesse anche nei giovani, delusi dalla vita urbana e desiderosi di ritornare alle loro radici.
Al mondo del mare -con le meraviglie dei suoi abissi, sempre più messe a rischio dal difficile e contrastante rapporto con l’uomo- guarda anche la mostra «Karma Blu» di Filippo Borghi a Palazzo Sergardi Biringucci.
Tra gli eventi in programma si segnala anche a Palazzo Sergardi l’esposizione fotografica di Antonello Palazzolo, ideatore di «Spazi Sonori», istallazione permanente, laboratorio multimediale e salotto aperto dove suono, immagine e architettura si mescolano naturalmente, contribuendo a una magica percezione multi-sensoriale, nella quale le note di Chopin “incontrano” gli storici pianoforti conservati nella dimora senese, tutti costruiti dalla storica prestigiosa firma Pleyel di Parigi.
Siena International Photography Awards prevede anche workshop e photo tour con escursioni inedite alla scoperta di uno dei territori più fotografati e visitati al mondo con il Chianti.
Da non perdere è, poi, anche l’appuntamento con l’incontro «One Shot Together», quando tutti i partecipanti del concorso si daranno appuntamento in piazza del Campo per una foto ricordo.
Sono, inoltre, previsti appuntamenti di approfondimento con Randy Olson e Melissa Farlow, grandi firme del foto-giornalismo internazionale e storici obiettivi del National Geographic, che daranno vita a un laboratorio di narrazione visiva che documenta la storica città del Palio e la sua gente. Altro momento di approfondimento sarà il workshop con Oliviero Rossi sull’utilizzo della fotografia in ambito psicologico.
Un cartellone, dunque, ricco quello del Siena International Photography Awards, che offrirà l’occasione per guardare al mondo con occhi nuovi, ricordandoci che «una fotografia vale più di mille parole».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mauro De Bettio, «Chasing spirits» ; [fig. 2] Thomas Vijayan,«Krill View» ; [fig. 3] Ignacio Medem, «Natural recycling» ; [fig. 4] SE_Ming, «Li_Colourful mountain 1» ; [fig. 5] Philip Coburn, «Afghanistan Desert Patrol» ; [fig. 6] Constanza Portnoy, «Life Force: What Love Can Save»; [figg.7 e 8] Filippo Borghi, «Karma Blu»
Informazioni utili
www.festival.sienawards.com
Prenderà così il via nella «città del Palio» un mese dedicato alla fotografia con workshop, photo tour, eventi e nove mostre da non perdere, ospitate nelle location più esclusive della città per lasciarsi ammaliare non solo dalla bellezza degli scatti esposti, ma anche dal fascino di un territorio che ha pochi eguali al mondo.
Cuore pulsante della manifestazione, in programma fino al 1° dicembre, sarà la rassegna «Imagine All The People Sharing All The World», che allineerà negli spazi dell’ex distilleria «Lo Stellino», struttura dei primi del Novecento dal forte carattere industriale, centoquattordici fotografie di novantanove fotografi di trentanove nazionalità diverse, che hanno partecipato alla quinta edizione del contest promosso da SIPA.
La mostra, che permetterà anche di vedere le opere di alcuni premi Pulitzer e dei vincitori più noti del World Press Photo, sarà, inoltre, accompagnata dalle immagini video di alcuni dei reportage più apprezzati degli autori del «National Geographic».
Sempre all’ ex distilleria «Lo Stellino» sarà esposta «Afghanistan Desert Patrol», con le immagini che Philip Coburn ha scattato, nel gennaio del 2010, quando era aggregato all’esercito dei Marines statunitensi a Helmand.
Il fotografo racconta di avere avuto l’impressione di essere quasi dentro un film, tanto tutto sembrava assurdo e surreale: «mangiavamo cibo in scatola e ci lavavano con una bottiglia d’acqua ogni tre giorni, ma l’essenziale era riuscire a rimanere vivi». Il gruppo si spostava su automezzi attraverso il deserto e le pianure afghane, origliando le «chiacchiere» dei Talebani e scoprendo che avevano soprannominato la loro unità i «Guerrieri che Dio protegge» perché consideravano i loro blindati un segno di invincibilità.
Altro appuntamento da non perdere sarà «Above Us Only Sky» alla Basilica di San Domenico, attuale sede del Liceo artistico «Duccio Buoninsegna» di Siena. L’esposizione, che allinea le immagini più belle del concorso «Drone Awards», è la prima collettiva italiana dedicata alla fotografia aerea.
Dalle valli montane scolpite dai ghiacciai alle coste frastagliate circondate da acque luccicanti, fino ai villaggi abbandonati e alle reti di trasporto tentacolari sono numerosi gli scenari con cui i visitatori si potranno confrontare, comprendendo così come gli artisti possano estendere i confini della fotografia tradizionale alla percezione ambientale del nostro tempo.
«Gli scatti esposti -raccontano gli organizzatori- rasentano il confine dell’astratto, sovvertendo le relazioni spaziali e il fattore di scala, creando un’esperienza simultaneamente seducente e disorientante per chi guarda».
A San Domenico sarà visibile anche «Planet vs Plastic», mostra di Randy Olson, uno dei più importanti e storici collaboratori del «National Geographic», che racconta la sfida ambientalista mettendo in scena l’autorevole rigore, la maestosa armonia, il delicato equilibrio e la straordinaria bellezza del nostro pianeta, impegnato nell’ardua lotta di resistenza contro l’inquinamento.
Sempre a San Domenico, nel chiostro, sarà allestita «Life Force: What Love Can Save», personale dell’argentina Constanza Portnoy, che racconta la straordinaria storia di Jorge e Vero, coppia con malformazioni genetiche, che ha dato alla luce la piccola Ángeles. «Il progetto fotografico -spiegano gli organizzatori del festival- cerca di rompere con i preconcetti e gli sguardi di disapprovazione di molti ambienti della società definiti «normali», cercando di illuminare la semplicità e l’autenticità dei rapporti umani». L’obiettivo si è così posato sulla vita quotidiana della famiglia, per raccontare il legame d’amore, il sostegno incondizionato, l’accettazione reciproca e la tolleranza tra i tre, che riescono ad andare avanti, nonostante la condizione di povertà e il ridotto sostegno economico che ricevono.
A San Domenico sarà possibile vedere anche la mostra «Prisoners of War: Male on Male Sexual Assault in America’s Military», che allinea le fotografie di Mary F. Calvert dedicate alla sua ricerca sugli abusi e sulle violenze sessuali perpetrate all’interno dell’esercito americano.
L’Area Verde Camollia aprirà, invece, le porte alla rassegna «Grandma Divers», nella quale il foto-giornalista Alain Schroeder racconta l'affascinante e poco conosciuta storia della comunità di pescatrici coreane, definite anche come le ultime sirene, dedite già dal 434 D.C. alla tradizionale attività dell’immersione subacquea in apnea in cerca di alghe, frutti di mare di vario genere e di polpi.
Le Haenyeo (letteralmente «donne di mare») rappresentano l’esempio positivo di pesca sostenibile grazie all’estrema conoscenza della vita marina che si tramanda attraverso questo mestiere che recentemente è diventato patrimonio culturale immateriale dell’Unesco.
La pratica di pesca sostenibile si fonda sul rispetto dell’oceano e sul desiderio di condividere armoniosamente con la ricca fauna e l’intensa attività marina. Così attraverso gli scatti di Alain Schroeder conosciamo le immersioni senza bombole di ossigeno e attrezzature tecnologicamente avanzate che hanno permesso alle Haenyeo di sviluppare metodi per navigare nelle profonde acque del mare, partendo da una tecnica di respirazione che permette loro di trattenere il respiro sott’acqua fino a due minuti. Fisicamente impegnative e pericolose, le immersioni in apnea non sono per i deboli di cuore. I pericoli comprendono anche le avversità delle estreme condizioni meteorologiche in cui possono imbattesti quando si immergono per raccogliere alghe, frutti di mare, crostacei e molto altro ancora.
Schroeder le ha volute fotografare con le loro tute di gomma sottile e con i loro vecchi occhiali, con la consapevolezza che le Haenyeo rischiano di diventare una professione del passato perché si tratta di una tradizione che sta lentamente svanendo. Un mestiere che, come racconta il fotografo, promuove uno stile di vita ecologico e sostenibile e che grazie agli sforzi delle comunità locali e del governo, sta portando un rinnovato interesse anche nei giovani, delusi dalla vita urbana e desiderosi di ritornare alle loro radici.
Al mondo del mare -con le meraviglie dei suoi abissi, sempre più messe a rischio dal difficile e contrastante rapporto con l’uomo- guarda anche la mostra «Karma Blu» di Filippo Borghi a Palazzo Sergardi Biringucci.
Tra gli eventi in programma si segnala anche a Palazzo Sergardi l’esposizione fotografica di Antonello Palazzolo, ideatore di «Spazi Sonori», istallazione permanente, laboratorio multimediale e salotto aperto dove suono, immagine e architettura si mescolano naturalmente, contribuendo a una magica percezione multi-sensoriale, nella quale le note di Chopin “incontrano” gli storici pianoforti conservati nella dimora senese, tutti costruiti dalla storica prestigiosa firma Pleyel di Parigi.
Siena International Photography Awards prevede anche workshop e photo tour con escursioni inedite alla scoperta di uno dei territori più fotografati e visitati al mondo con il Chianti.
Da non perdere è, poi, anche l’appuntamento con l’incontro «One Shot Together», quando tutti i partecipanti del concorso si daranno appuntamento in piazza del Campo per una foto ricordo.
Sono, inoltre, previsti appuntamenti di approfondimento con Randy Olson e Melissa Farlow, grandi firme del foto-giornalismo internazionale e storici obiettivi del National Geographic, che daranno vita a un laboratorio di narrazione visiva che documenta la storica città del Palio e la sua gente. Altro momento di approfondimento sarà il workshop con Oliviero Rossi sull’utilizzo della fotografia in ambito psicologico.
Un cartellone, dunque, ricco quello del Siena International Photography Awards, che offrirà l’occasione per guardare al mondo con occhi nuovi, ricordandoci che «una fotografia vale più di mille parole».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Mauro De Bettio, «Chasing spirits» ; [fig. 2] Thomas Vijayan,«Krill View» ; [fig. 3] Ignacio Medem, «Natural recycling» ; [fig. 4] SE_Ming, «Li_Colourful mountain 1» ; [fig. 5] Philip Coburn, «Afghanistan Desert Patrol» ; [fig. 6] Constanza Portnoy, «Life Force: What Love Can Save»; [figg.7 e 8] Filippo Borghi, «Karma Blu»
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lunedì 14 ottobre 2019
Teatro, donato alla Fondazione Cini l'archivio di Paolo Poli
È stato il rappresentante di un teatro al contempo graffiante e lieve, raffinato e dissacrante, che ha preso le mosse dall’operetta, dalla rivista, dal vaudeville, dall’avanspettacolo e dal varietà, dando vita a qualcosa di nuovo, difficilmente inquadrabile in definizioni di genere e contenuto. Stiamo parlando di Paolo Poli (Firenze, 23 maggio 1929 – Roma, 25 marzo 2016), attore, cantante, regista e autore, ovvero uomo di spettacolo a tutto tondo, il cui archivio è stato di recente donato dalla sorella Lucia Poli e dal nipote Andrea Farri all’Istituto per il teatro e il melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, diretto da Maria Ida Biggi.
La donazione si compone di documenti eterogenei afferenti all’attività dell’artista fiorentino, che spaziano dagli spettacoli realizzati con la Compagnia dell’Alberello negli anni Cinquanta fino alle celebri produzioni dei primi anni Duemila.
L’acquisizione del fondo si inserisce a pieno titolo nella recente tradizione di ricerca della Fondazione Cini, volta a ricostruire la scena teatrale italiana del secondo Novecento. Diversi sono, infatti, ormai gli uomini e le donne di teatro dei quali si conservano, sull’isola di San Giorgio Maggiore, gli archivi e le biblioteche personali, da Luigi Squarzina a Pierluigi Samaritani, da Mischa Scandella ad Arnaldo Momo.
L’archivio stabilisce, inoltre, un dialogo virtuoso con altri fondi presenti alla Cini, in particolare con quelli di Santuzza Calì e di Maurizio Scaparro, con i quali l’artista fiorentino ha collaborato nel corso della sua carriera.
Nei faldoni del fondo Poli sono reperibili copioni autografi e annotati, fotografie, corrispondenza, locandine e programmi di sala, recensioni e appunti preparatori per la messa in scena degli spettacoli.
Una sottolineatura particolare, per la sua straordinaria ricchezza, merita la collezione fotografica, che permette di ricostruire con grande accuratezza tutti i principali titoli del ricco repertorio poliano.
Le immagini raccolte in tanti anni di lavoro sono perlopiù foto di scena, ma non mancano «dietro le quinte» e ritratti di Paolo Poli, dei suoi attori e dei suoi principali collaboratori.
Il fondo è completato da una raccolta di circa diecimila spartiti musicali di canzonette popolari collezionati dallo stesso Paolo Poli nell’arco della sua carriera.
Gli spartiti, alcuni dei quali molto rari, sono afferenti alla tradizione novecentesca italiana e internazionale di musica popolare e leggera, e sono stati materiali di studio fondamentali per la creazione e la messa in scena di alcuni dei suoi più celebri titoli.
Di grande valore documentale è, poi, anche la corposa rassegna stampa. Recensioni, interviste e approfondimenti culturali apparsi sulle più importanti testate giornalistiche nazionali, a firma di alcune tra le migliori penne del giornalismo italiano, sono, infatti, in grado di documentare la straordinaria popolarità dell’artista e l’impatto sociale e culturale della sua opera.
Tra gli articoli se ne trova anche uno di Camilla Cederna che, sulle pagine del settimanale «L’Espresso», dà a Paolo Poli uno dei suoi soprannomi più conosciuti: «il professorino che canta».
Per un breve periodo l’artista fiorentino, laureatosi a pieni voti nel 1959 con una tesi su Henry Becque, insegna, infatti, letteratura francese in un liceo e nel contempo recita con la compagnia genovese «La borsa di Arlecchino» di Aldo Trionfo.
La notorietà arriva nel 1961 quando Paoli Poli presenta, in televisione, «Canzonissima» con Sandra Mondaini.
Negli stessi anni l’attore fa il suo esordio nel ruolo di capocomico a Milano con lo spettacolo «Il novellino» (1960): un excursus tra canzonette della tradizione orale, laudi medievali e inni di propaganda fascista. Il successo è immediato e da lì è un susseguirsi di applausi a scena aperta, ma anche di interventi della censura.
Emblematico è il caso di «Rita da Cascia», che debutta con grande successo nel 1967 a Milano e Roma e che, dopo molto repliche, viene bloccato per accusa di vilipendio alla religione e offesa delle dignità civile del popolo italiano.
Tra gli spettacoli di maggior successo c’è, invece, «La vispa Teresa», un’antologia di pezzi ottocenteschi per l’infanzia, di cui così si parla sulle colonne dell’«Avanti»: «la deliziosa fanciullina della poesia è lui, in abitino di organdis bianco con un gran fiocco di velluto verde e una biondissima parrucchetta di boccoli; vedere Poli in questa tenuta non provoca alcuna sensazione di travestimento o di equivoco».
«La vispa Teresa» è una delle prime prove dell’attore fiorentino nel teatro en travesti, un genere che gli deve molto e a cui lui dona, nel 1969, una versione indimenticabile de «La nemica» di Dario Nicodemi, dando vita a una scatenata mamma duchessa, tutta vezzi e gesti ad effetto, che mordicchia il boa di struzzo e che si sventola le ascelle con il ventaglio.
L’elenco delle opere che Paolo Poli ha interpretato come primo attore o che ha diretto è lungo. Si spazia da «Aldino mi cali un filino» a «Caterina De Medici», da «L'asino d'oro» a «I viaggi di Gulliver», da «La leggenda di San Gregorio» a «Il coturno e la ciabatta», senza dimenticare «Sei brillanti giornaliste Novecento» (2006), un omaggio a Natalia Aspesi, Elena Giannini Belotti, Irene Brin, Camilla Cederna, Paola Masino e Mura.
Forieri di successo sono anche gli ultimi anni di attività dell'artista. Il 2009 vede in scena i «Sillabari», da Goffredo Parise; nel 2010 e nel 2012, al teatro dell’Elfo di Milano, debuttano «Il mare», da Anna Maria Ortese, e «Aquiloni», da Giovanni Pascoli: ultime fatiche di un uomo di teatro a tutto tondo, che, per dirla con le parole di Natalia Ginzburg, è «un soave, beneducato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Poli in «Aldino mi cali un filino?», 2000; [fig. 2] Paolo Poli in «Magnificat», 1983; [fig. 3] Andrea Farri e Lucia Poli, ph Matteo De Fina; [fig. 4] Vista dell’installazione per la presentazione del fondo Poli alla Cini. Biblioteca del Longhena, ph Matteo De Fina
Informazioni utili
Istituto per il Teatro e il Melodramma, tel. 041.2710236, e-mail: teatromelodramma@cini.it. Sito web: www.cini.it.
La donazione si compone di documenti eterogenei afferenti all’attività dell’artista fiorentino, che spaziano dagli spettacoli realizzati con la Compagnia dell’Alberello negli anni Cinquanta fino alle celebri produzioni dei primi anni Duemila.
L’acquisizione del fondo si inserisce a pieno titolo nella recente tradizione di ricerca della Fondazione Cini, volta a ricostruire la scena teatrale italiana del secondo Novecento. Diversi sono, infatti, ormai gli uomini e le donne di teatro dei quali si conservano, sull’isola di San Giorgio Maggiore, gli archivi e le biblioteche personali, da Luigi Squarzina a Pierluigi Samaritani, da Mischa Scandella ad Arnaldo Momo.
L’archivio stabilisce, inoltre, un dialogo virtuoso con altri fondi presenti alla Cini, in particolare con quelli di Santuzza Calì e di Maurizio Scaparro, con i quali l’artista fiorentino ha collaborato nel corso della sua carriera.
Nei faldoni del fondo Poli sono reperibili copioni autografi e annotati, fotografie, corrispondenza, locandine e programmi di sala, recensioni e appunti preparatori per la messa in scena degli spettacoli.
Una sottolineatura particolare, per la sua straordinaria ricchezza, merita la collezione fotografica, che permette di ricostruire con grande accuratezza tutti i principali titoli del ricco repertorio poliano.
Le immagini raccolte in tanti anni di lavoro sono perlopiù foto di scena, ma non mancano «dietro le quinte» e ritratti di Paolo Poli, dei suoi attori e dei suoi principali collaboratori.
Il fondo è completato da una raccolta di circa diecimila spartiti musicali di canzonette popolari collezionati dallo stesso Paolo Poli nell’arco della sua carriera.
Gli spartiti, alcuni dei quali molto rari, sono afferenti alla tradizione novecentesca italiana e internazionale di musica popolare e leggera, e sono stati materiali di studio fondamentali per la creazione e la messa in scena di alcuni dei suoi più celebri titoli.
Di grande valore documentale è, poi, anche la corposa rassegna stampa. Recensioni, interviste e approfondimenti culturali apparsi sulle più importanti testate giornalistiche nazionali, a firma di alcune tra le migliori penne del giornalismo italiano, sono, infatti, in grado di documentare la straordinaria popolarità dell’artista e l’impatto sociale e culturale della sua opera.
Tra gli articoli se ne trova anche uno di Camilla Cederna che, sulle pagine del settimanale «L’Espresso», dà a Paolo Poli uno dei suoi soprannomi più conosciuti: «il professorino che canta».
Per un breve periodo l’artista fiorentino, laureatosi a pieni voti nel 1959 con una tesi su Henry Becque, insegna, infatti, letteratura francese in un liceo e nel contempo recita con la compagnia genovese «La borsa di Arlecchino» di Aldo Trionfo.
La notorietà arriva nel 1961 quando Paoli Poli presenta, in televisione, «Canzonissima» con Sandra Mondaini.
Negli stessi anni l’attore fa il suo esordio nel ruolo di capocomico a Milano con lo spettacolo «Il novellino» (1960): un excursus tra canzonette della tradizione orale, laudi medievali e inni di propaganda fascista. Il successo è immediato e da lì è un susseguirsi di applausi a scena aperta, ma anche di interventi della censura.
Emblematico è il caso di «Rita da Cascia», che debutta con grande successo nel 1967 a Milano e Roma e che, dopo molto repliche, viene bloccato per accusa di vilipendio alla religione e offesa delle dignità civile del popolo italiano.
Tra gli spettacoli di maggior successo c’è, invece, «La vispa Teresa», un’antologia di pezzi ottocenteschi per l’infanzia, di cui così si parla sulle colonne dell’«Avanti»: «la deliziosa fanciullina della poesia è lui, in abitino di organdis bianco con un gran fiocco di velluto verde e una biondissima parrucchetta di boccoli; vedere Poli in questa tenuta non provoca alcuna sensazione di travestimento o di equivoco».
«La vispa Teresa» è una delle prime prove dell’attore fiorentino nel teatro en travesti, un genere che gli deve molto e a cui lui dona, nel 1969, una versione indimenticabile de «La nemica» di Dario Nicodemi, dando vita a una scatenata mamma duchessa, tutta vezzi e gesti ad effetto, che mordicchia il boa di struzzo e che si sventola le ascelle con il ventaglio.
L’elenco delle opere che Paolo Poli ha interpretato come primo attore o che ha diretto è lungo. Si spazia da «Aldino mi cali un filino» a «Caterina De Medici», da «L'asino d'oro» a «I viaggi di Gulliver», da «La leggenda di San Gregorio» a «Il coturno e la ciabatta», senza dimenticare «Sei brillanti giornaliste Novecento» (2006), un omaggio a Natalia Aspesi, Elena Giannini Belotti, Irene Brin, Camilla Cederna, Paola Masino e Mura.
Forieri di successo sono anche gli ultimi anni di attività dell'artista. Il 2009 vede in scena i «Sillabari», da Goffredo Parise; nel 2010 e nel 2012, al teatro dell’Elfo di Milano, debuttano «Il mare», da Anna Maria Ortese, e «Aquiloni», da Giovanni Pascoli: ultime fatiche di un uomo di teatro a tutto tondo, che, per dirla con le parole di Natalia Ginzburg, è «un soave, beneducato e diabolico genio del male: è un lupo in pelli d’agnello, e nelle sue farse sono parodiati insieme gli agnelli e i lupi, la crudeltà efferata e la casta e savia innocenza».
Didascalie delle immagini
[Fig. 1] Paolo Poli in «Aldino mi cali un filino?», 2000; [fig. 2] Paolo Poli in «Magnificat», 1983; [fig. 3] Andrea Farri e Lucia Poli, ph Matteo De Fina; [fig. 4] Vista dell’installazione per la presentazione del fondo Poli alla Cini. Biblioteca del Longhena, ph Matteo De Fina
Informazioni utili
Istituto per il Teatro e il Melodramma, tel. 041.2710236, e-mail: teatromelodramma@cini.it. Sito web: www.cini.it.
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